ELETTROCHIMICA

Enciclopedia Italiana (1932)

ELETTROCHIMICA

Francesco Giordani

. L'elettrochimica si occupa essenzialmente delle reazioni chimiche che avvengono sotto l'azione della corrente elettrica, nonché di quelle che possono decorrere in modo da dar luogo a produzione d'energia elettrica. Pertanto l'elettrochimica teorica si preoccupa d'indagare le relazioni quantitative che intercedono tra l'energia elettrica e l'energia chimica e di chiarire, non solo il meccanismo delle vicendevoli trasformazioni, ma anche quello attraverso cui si compie la conduzione elettrica in quei sistemi in cui il passaggio della corrente è accompagnato da trasporto di materia ponderabile (conduttori di seconda classe). L'elettrochimica rappresenta una branca importante della chimica generale, in quanto permette di eseguire misure dell'affinità e di approfondire la conoscenza delle proprietà chimico-fisiche della materia, specialmente allo stato di soluzioni.

Il passaggio della corrente elettrica attraverso i sistemi materiali è accompagnato sempre da svolgimento di calore. Nei casi che ci interessano questo fenomeno ha di regola carattere secondario e può anche riuscire dannoso; ma non mancano casi in cui la produzione di calore a spese dell'energia elettrica assume importanza preponderante, specie per l'attitudine a fornire temperature molto più alte di quelle che si raggiungono con i comuni forni industriali. Si realizzano così dei processi elettrotermici, lo studio dei quali si fa rientrare solitamente nel quadro dell'elettrochimica.

L'elettrochimica applicata comprende così le seguenti parti: a) processi elettrolitici in soluzione; b) processi elettrolitici nei sali fusi; c) processi elettrotermici.

Le prime due parti saranno sommariamente trattate nella voce elettrolisi; della terza si darà alla fine di questo articolo un cenno dal punto di vista generale, rimandando per i particolari agli articoli che riguardano i varî prodotti ottenuti con processi elettrotermici, nonché alla voce forno: Forno elettrico.

Cenno storico sullo sviluppo delle teorie elettrochimiche. - Le prime esperienze di elettrochimica sono state eseguite avvalendosi della macchina elettrostatica. Padre Beccaria (1716-1781) per primo osservò che sotto l'azione della scarica elettrica alcune calci terrose possono essere "rivivificate" mettendo in libertà il rispettivo metallo (zinco, mercurio, ecc.). Indi Priestley realizzò la sintesi dell'ossido di azoto (interpretata poi da Cavendish) facendo passare la scarica elettrica nell'aria e osservò che lo stesso agente provoca la decomposizione dell'olio e dell'etere con liberazione di gas contenenti idrogeno. Seguirono le esperienze di van Marum sul passaggio della scarica elettrica attraverso liquidi e gas, che lo condussero a notare per primo la formazione di ozono (1785): e infine le ricerche di Deimann sull'elettrolisi dell'acqua.

Le scoperte di A. Volta hanno dato il più grande impulso alle indagini elettrochimiche, prima con lo stabilire la serie delle tensioni secondo la quale egli ordinò i metalli (1795) aprendo la via a Ritter per stabilire che la stessa successione si ottiene ordinando i metalli secondo il loro grado di ossidabilità (1798), e poi con l'invenzione della pila (1800) la quale permise tutta una serie di esperienze elettrochimiche vere e proprie con correnti unidirezionali e d'intensità non piccola. La lettera con la quale Volta annunziava a Banks la scoperta della pila, onde ne fosse data comunicazione alla Royal Society di Londra, fu fatta circolare tra alcuni amici e provocò subito le esperienze di Nicholson e Carlisle. Essi trovarono che, collegando i reofori di una batteria con fili d'oro o di platino e immergendo poi questi in acqua, si otteneva svolgimento d'idrogeno (2 vol.) e d'ossigeno (1 vol.) nello stesso rapporto secondo cui questi due elementi entrano in combinazione per formare l'acqua, e ne dedussero che la corrente elettrica operava la decomposizione primaria dell'acqua.

L'esperienza fu estesa a soluzioni acquose di varî sali e W. Cruick shank trovò che, durante l'elettrolisi di tali soluzioni, la zona circostante al polo positivo assumeva reazione acida, mentre quella circostante al polo negativo assumeva reazione alcalina. Con i sali dei metalli pesanti egli ottenne la deposizione del metallo al polo negativo e riconfermò così un risultato che già Ritter aveva ottenuto con la macchina elettrostatica, ripetendo l'esperienza di Deimann sulla decomposizione dell'acqua, ma adoperando reofori d'argento immersi in una soluzione di nitrato d'argento. Si suppose in un primo tempo che la liberazione del metallo fosse dovuta alla riduzione operata dall'idrogeno nascente, considerando sempre la scissione dell'acqua come un fenomeno primario.

Solo nel 1804 H. Davy, con una serie accurata di misure, dimostrò che la decomposizione dell'acqua e le reazioni ai poli si attenuavano quando l'acqua veniva purificata e che bastavano le tracce di sostanze cedute dalle pareti degli ordinari recipienti di vetro per inquinare l'acqua più pura. Soltanto con recipienti d'oro il fenomeno veniva a mancare. Restava quindi dimostrato che il passaggio della corrente elettrica decompone i sali disciolti e, per fenomeno secondario, l'acqua della soluzione.

Le ricerche condotte da J. J. Berzelius in collaborazione con il suo allievo barone Hisinger precisavano il fenomeno per un gran numero di sali neutri in soluzione, fornendo la base per la teoria elettrochimica della valenza, conosciuta sotto i nomi di Berzelius e di Davy. Quest'ultimo a sua volta era riuscito a decomporre le terre alcaline e alcalino-terrose facendo passare la corrente attraverso i solidi appena inumiditi e isolando i rispettivi metalli al polo negativo, in condizioni in cui non si poteva pensare a sviluppo d'idrogeno. Davy enunciava la sua teoria secondo la quale gli atomi si elettrizzano e le cariche dànno luogo al manifestarsi dell'affinità. L'elettrolisi produce la neutralizzazione delle cariche degli atomi riportandoli allo stato antecedente alla combinazione. La polarità del reoforo al quale gli atomi si separano ne definisce la carica (eteronima).

Varie vedute furono emesse dagli autori citati e da altri in merito alla grandezza e alla distribuzione delle cariche sugli atomi e in merito alle relazioni tra la grandezza della carica e quella dell'affinità, ma tutte queste vedute mancavano d'una sicura base sperimentale. E del pari mancava una spiegazione soddisfacente del meccanismo attraverso cui si compie la conduzione nella massa del conduttore, in quanto i fenomeni noti e apparenti restavano limitati agli elettrodi.

Grotthus nel 1805 aveva avanzato l'ipotesi che i due gruppi costituenti la molecola, carichi d'elettricità eteronima, costituissero un elemento polarizzato e che tutti questi elementi si orientassero sotto l'azione del campo elettrico disponendosi a catena fra i due elettrodi (fig. 1 a). L'attrazione esercitata dall'elettrodo sulla carica eteronima dell'elemento terminale avrebbe provocato la scissione di questo in due frammenti di cui l'uno si sarebbe neutralizzato e l'altro, rimasto libero (fig. 1 b), si sarebbe ricombinato con la mezza molecola successiva e così dall'uno elemento all'altro della catena, fino a riprodurre la stessa configurazione orientata precedente, ma con un elemento in meno (fig. 1 c). Questa successione di fenomeni riproducentisi continuamente avrebbe spiegato il manifestarsi di azioni chimiche agli elettrodi e l'immutabilità dell'elettrolita intermedio. La teoria ha il difetto di ritenere che l'elettrolisi avvenga a partire da molecole neutre onde si richiederebbe in ogni caso una spesa di energia, per vincere le forze di affinità, anche in assenza di polarizzazione agli elettrodi, il che è contro l'evidenza sperimentale.

Un progresso decisivo si realizza per opera di M. Faraday, il quale - nel corso delle sue ricerche sulla corrente voltaica - fu condotto a indagare se tra le correnti elettriche prodotte con sorgenti diverse esistessero solo differenze quantitative o anche qualitative. Egli pensò all'uopo di misurare gli effetti (meccanici, elettromagnetici, termici e chimici) prodotti dal passaggio della corrente, indagando se essi conservano tra loro dei rapporti costanti quando cambia la natura della sorgente. Da tali indagini derivò la formulazione delle famose leggi di Faraday (1833) le quali stabilirono che ogni equivalente-grammo lega una quantità costante di elettricità e aprirono quindi la strada alla concezione di Helmoltz circa l'esistenza di una carica elementare (carica atomica), fondamento della moderna elettrochimica. Spetta a Faraday di avere precisato la nomenclatura elettrochimica (v. elettrolisi) dando il nome di ioni ai frammenti molecolari carichi d'elettricità che trasportano la corrente. Il nome (dal gr. ἱέναι "andare") implica il concetto della mobilità di tali ioni in seno all'elettrolita.

J. F. Daniell precisò il concetto di ione ricollegandosi alla concezione di Davy, secondo cui, non solo nei sali di idracidi ma anche in quelli di acidi ossigenati, il catione è costituito dal semplice metallo e non dall'ossido. Cosicché nel solfato di magnesio, ad es., si avrebbe un catione Mg e un anione SO4 e non Mg O ed SO3 come riteneva Berzelius.

Tenendo poi conto della diversa velocità con la quale gli ioni si spostano nella soluzione, Daniell cercò di spiegare i cambiamenti di concentrazione che si producono agli elettrodi. Ma tale quesito doveva essere risolto solo più tardi in modo completo da W. Hittorf (1853).

Alla lor volta le ricerche di quest'ultimo autore furono debitamente apprezzate solo quando Kohlrausch ebbe dato modo di misurare con facilità e sicurezza la conduttività degli elettroliti accumulando un gran numero di dati sperimentali. Stabilita da lui la legge dell'indipendente celocità di migrazione degli ioni, la vecchia concezione di Grotthus doreva cedere il campo per condurre a quella che ammette l'esistenza di ioni liberi in soluzione.

Pur attribuendo agli ioni il carattere di completa mobilità, Faraday aveva ammesso che gli aggruppamenti atomici di cui essi sono costituiti fossero tenuti insieme nella molecola da forze d'origine chimica e che le attrazioni elettrostatiche, esercitantisi, p. es., tra l'anione d'una molecola e il catione d'un'altra viciniore, tendessero a controbilanciare in parte il legame chimico, cosicché l'aggiunta del campo elettrico esterno poteva bastare a dissociare la molecola, rendendo gli ioni liberi di muoversi. Una simile interpretazione implica, come quella di Grotthus, che per formare gli ioni si deve spendere una certa quantità di energia elettrica oltre quella che, come nei conduttori di prima classe, si dissipa sotto forma di calore. Ciò è contrario a due fatti fondamentali accertati sperimentalmente: 1. che i conduttori elettrolitici obbediscono alla legge di Ohm; 2. che le mobilità dei loro ioni sono interamente indipendenti.

Il Clausius comprese che gli ioni dovevano esistere allo stato libero in soluzione anche quando non avviene elettrolisi e tentò di darne conto ammettendo che essi fossero presenti in quantità minime e tali da non potersi svelare con l'analisi chimica. La loro esistenza andava attribuita a un fenomeno di dissociazione per urto tra le poche molecole che, nel moto di agitazione termica, posseggono energia cinetica grandissima. La idea di Clausius apre la via alla giusta concezione, ma il piccolo numero di ioni da lui ammesso non hasta a rendere conto dei fatti sperimentali.

La chiarezza doveva essere ristabilita più tardi, quando sulla base della geniale generalizzazione di J. H. Van t'Hoff si poteva precisare lo stato delle sostanze in soluzione, attraverso la dimostrazione dell'eguaglianza numerica tra il valore della pressione osmotica e quello della pressione che il soluto avrebbe esercitato allo stato gassoso, occupando alla stessa temperatura un volume pari a quello della soluzione (estensione della legge di Avogadro alle soluzioni; 1885).

Il Van 't Hoff poté notare subito che le sostanze anormali rispetto alle leggi crioscopiche di Raoult, presentavano anche pressioni osmotiche anormali e aprì la via alla definitiva concezione di Arrhenius. Questi osservò che il manifestarsi di pressioni osmotiche anormalmente alte coincideva con la proprietà di condurre facilmente la corrente elettrica (soluzioni di acidi, basi, sali) e attribuì da un lato l'eccesso di pressione come nel caso dei gas, alla presenza d'un numero di monadi, superiore al numero delle molecole, per effetto di una dissociazione più o meno completa di queste. E suppose inoltre che tali monadi derivassero da una "dissociazione elettrolitica", cioè che esse portassero inizialmente la carica che compete agli ioni.

Le idee imperanti al tempo di Arrhenius impedivano di ammettere, ad esempio, che una soluzione di NaCl contenesse un gran numero di ioni Na e di ioni Cl, in quanto si riteneva che le proprietà degli ioni non dovessero differire da quelle dei gruppi atomici corrispondenti; e non fu piccolo merito di Arrhenius l'aver divinato che l'acquisto o la perdita di cariche elettriche conferisse alla rimanente struttura proprietà chimiche e fisiche del tutto diverse.

Dissociazione elettrolitica (v. anche dissociazione). - Secondo la teoria di Arrhenius, quando le molecole d'un elettrolita passano in soluzione esse si dissociano dando luogo a uno o più ioni. Per ogni molecola la somma delle cariche positive deve essere eguale alla somma delle cariche negative degli ioni. Nel caso delle molecole più semplici è facile indicare lo schema della dissociazione, ma nei casi più complicati solo un insieme d'osservazioni sistematiche ha permesso di determinare quello che avviene.

Ricorderemo che secondo la teoria di Van't Hoff la pressione osmotica D d'una soluzione avente la concentrazione molecolare C è data dalla formula

dove R = 0,08206 (nel sistema di misura litri-atmosfere), T è la temperatura assoluta, i un coefficiente numerico dipendente dalla natura della sostanza e del solvente (numero di Van't Hoff).

La pressione osmotica normale sarebbe

Il valore

coincide con quello assunto dal rapporto tra l'abbassamento del punto di gelo trovato Δt e quello normale Δ0 t che si prevederebbe dalle leggi di Raoult, almeno per le soluzioni diluite. L'esperienza insegna che i varia anche al variare della concentrazione e che esso tende per molte sostanze ad assumere valori interi multipli dell'unità quando la concentrazione tende a zero.

La "depressione molecolare del punto di gelo" per le sostanze normali è di 1°857. Per varî elettroliti, alla concentrazione di 0,01 molecole-grammo per ogni 1000 grammi di acqua, Loomis ha trovato i seguenti valori:

Le sostanze del primo gruppo dànno valori di i sensibilmente eguali a 2 e quelle del secondo valori sensibilmente eguali a 3. E così via di seguito. Ammettendo l'ipotesi di Arrhenius si può ragionare nel seguente modo. Se C è la concentrazione molecolare e &out;n il numero di Avogadro, si dovrebbero avere normalmente N0 = &out;nC molecole per litro; nel caso che avvenga un fenomeno di dissociazione, se α è la frazione di molecole dissociate e μ il numero di ioni cui dà luogo ciascuna molecola, ogni litro conterrà (1 − α) &out;nC molecole indissociate μ&out;nC ioni, cioè un numero totale N di monadi:

La pressione osmotica Π sta alla pressione osmotica normale Π0 come N sta a N0 e quindi

La frazione di molecole dissociate prende il nome di "grado o coefficiente di dissociazione" e varia tra 1 e o quando C cresce da zero ad infinito (caso puramente ipotetico). Perciò i tende al valore 1 + (μ − 1) quando laconcentrazione tende a zero. Gli elettroliti con due ioni hanno lim i = 2, quelli con tre ioni lim i = 3 e così via di seguito.

Gli elettroliti del primo gruppo (i = 2) si scindono in due ioni (μ = 2) e si dicono elettroliti binarî. Uno degli ioni sarà il metallo (K, Na, H, NH4, ecc.) e l'altro il radicale acido (NO3, Cl, OH, ecc.). Quelli del secondo gruppo (i = 3, μ = 3) daranno luogo a tre ioni (elettroliti ternarî), p. es.: 2 Na e SO4 oppure Ca e 2 Cl, ecc.

Secondo le leggi di Faraday la quantità di elettricità collegata con ciascuno ione è proporzionale alla sua valenza e ciò si indica nel simbolo adottato, insieme col segno della carica. Si scriverà quindi H+ K+ Na+ Ca+ + Al+ + + OH- Cl- NO3- SO4- - PO4- - - oppure H K Na Ca• • Al• • • OH′ Cl′ NO3′ SO4′ ′ PO4′ ′ ′.

Gli atomi capaci d'assumere diversa valenza dànno ioni con diversa carica; p. es. rameoso Cu+ e rameico Cu+ +, ferroso Fe+ + e ferrico Fe+ + +. Si possono poi avere elettroliti con diversi anioni o con diversi cationi nella stessa molecola; ma sempre la somma delle cariche ioniche positive deve essere eguale alla somma delle cariche negative. Siano in genere μn′ e νn′ il numero e la valenza degli anioni, μn′ ′ e νn′ ′ il numero e la valenza dei cationi

costituirà la valenza dell'elettrolita: il prodotto della concentrazione molecolare C per la valenza v rappresenta la concentrazione equivalente, cioè il numero d'equivalenti-grammi disciolti in un litro di soluzione. Spesso si riferisce tale concentrazione al centimetro cubico e si designa con

Può riuscir comodo talvolta, per quanto non sia rigoroso, considerare gli ioni alla stregua di composti tra gruppi atomici e cariche elettriche (positive o negative) scrivendo ad esempio le equazioni:

Secondo Arrhenius la dissociazione delle molecole del soluto sarebbe parziale e varierebbe al variare della concentrazione in dipendenza dello stabilirsi d'un certo equilibrio tra molecole indissociate e ioni, equilibrio che Ostwald ha considerato alla stregua delle ordinarie leggi dell'equilibrio chimico.

Un simile modo d'affrontare la questione si è mostrato molto fecondo e ha prodotto utilissimi risultati: esso è però certamente manchevole. E infatti, mentre col sussidio delle semplici formule che si ricavano, si riesce a dare sempre un'interpretazione qualitativa dell'andamento dei fenomeni, l'accordo quantitativo viene a mancare non appena si considerano le soluzioni di elettroliti forti entro limiti estesi di concentrazione e di temperatura.

La visione più moderna derivata dalle primitive suggestioni di Sutherland, Milner e altri, si legittima con i risultati delle indagini röntgenografiche sulla struttura cristallina dei composti polari e riceve per ora la sua più compiuta espressione nella teoria di Debye e Hückel. Si riterrebbe il grado di dissociazione sempre eguale all'unità negli elettroliti forti e si spiegherebbero le anormali variazioni di pressione osmotica, tensione di vapore, ecc. al variare della concentrazione, come dipendenti da una diminuzione dell'attività che gli ioni risentirebbero in conseguenza delle intense azioni interioniche (d'origine elettrostatica), come già la risentono le molecole dei gas reali per effetto delle forze di coesione.

Pertanto, seguendo i concetti introdotti in termodinamico dalla scuola di G. N. Lewis, si parla di "attività" al posto delle "pressioni parziali" o delle "concentrazioni" e di "coefficienti di attività" al posto dei "coefficienti di dissociazione".

I caratteri di brevità e di accessibilità che occorre dare a questa trattazione ci consigliano di seguire la via classica, limitandoci ad accennare volta per volta alle differenze concettuali più importanti.

Leggi di Faraday. - Gli studî di Faraday, come abbiamo accennato, fornirono le relazioni semplici le quali ricollegano la quantità di elettricità che ha attraversato un circuito, alla quantità di sostanza liberata, deposta o trasformata agli elettrodi. Queste relazioni sono enunciate per mezzo di due leggi: 1ª legge di Faraday: la massa di elettrolita decomposta è proporzionale alla quantità di elettricità che ha attraversato il circuito; 2ª legge di Faraday: le masse degli ioni che si rendono liberi agli elettrodi al passaggio d'una determinata quantità d'elettricità sono proporzionali ai rispettivi equivalenti chimici (cioè alle masse degli ioni divisi per le rispettive valenze).

Queste leggi sono state verificate con grande esattezza non solo per le soluzioni ma anche per i sali fusi. Le misure più recenti e più accurate di Richards e Heimrod indicano che ogni ione-grammo monovalente trasporta una quantità d'elettricità pari a 96.500 coulomb. Questa quantità viene ordinariamente designata col nome di Faraday, e col simbolo F. Si dicono equivalenti elettrochimici le masse dei diversi elementi che trasportano l'unità di carica elettrica del sistema pratico (coulomb). Nel caso dell'argento (peso atomico 107, 88) l'equivalente elettrochimico è di 0,0011175; per gli altri elementi si hanno valori che stanno a questo come i rispettivi pesi equivalenti stanno a 107,88.

Le leggi di Faraday servono a calcolare la massa che si dovrebbe teoricamente avere d'un determinato prodotto a seguito dell'elettrolisi: il rapporto tra la massa di sostanza che si ottiene in pratica e quella che si calcola in base alle leggi di Faraday prende il nome di "rendimento di corrente" (v. elettrolisi). Le leggi di Faraday sono utilizzate anche per eseguire con grande esattezza la misura di piccole quantità di elettricità. Vengono all'uopo adoperati apparecchi denominati "voltametri", nei quali si provoca in modo quantitativo: a) la deposizione catodica d'un metallo (voltametri a pesata, a rame o ad argento; fig. 2 a e b); b) lo sviluppo di gas (voltametri a volume: a gas tonante, a idrogeno, a ossigeno; fig. 2 c); c) una reazione d'ossidazione o di riduzione o qualunque altra che si presti all'analisi volumetrica (voltametri a titolazione).

Migrazione degli ioni. - Sotto l'azione del campo elettrico gli ioni liberi si muovono: gli anioni migrano al polo positivo e i cationi al polo negativo.

Consideriamo il caso più semplice d'una soluzione di cloruro rameico Cu Cl2 → Cu++ + 2Cl-. Al passaggio di 2 F abbiamo la scomparsa d'una molecola di CuCl2, con la deposizione d'un atomogrammo di rame al catodo e con la liberazione d'una molecolagrammo di cloro all'anodo. L'esperienza mostra che la molecolagrammo di sale viene sottratta in parte (pa) alla zona anodica e in parte (pc) alla zona catodica e che di regola le due perdite non sono eguali. In assenza di reazioni secondarie, la perdita totale (p = pa + pc) corrisponde sempre al valore calcolato in base alla legge di Faraday. Hittorf chiamò "numeri di trasporto" i rapporti:

il primo si dice numero di trasporto dell'anione e il secondo numero di trasporto del catione; e poiché la loro somma è evidentemente eguale all'unità, basta determinare con esattezza uno dei due valori per conoscere anche l'altro.

La ripartizione delle perdite implica che la massa di ione neutralizzata non viene ad essere sottratta soltanto nell'immediata vicinanza del corrispondente elettrodo, ma migra da lontano e proviene in parte dalla zona circostante all'elettrodo eteronimo. Ciò conferma in via generale la mobilità degli ioni sotto l'azione del campo elettrico, mobilità che si può talvolta rendere visibile, avvalendosi della colorazione di alcuni ioni.

Si dimostra inoltre che le perdite anodica e catodica stanno tra loro in rapporto inverso delle velocità con le quali gli ioni si spostano

dove ua e uc indicano rispettivamente le velocità dell'anione e del catione. Per una nota proprietà delle proporzioni risulta:

Le velocità ua e uc dipendono evidentemente dall'intensità del campo elettrico, cioè dalla forza agente, e anche dalla forma dello ione e dalla fluidità del mezzo, cioè dalla forza resistente. Tali velocità però non s'influenzano mutuamente, almeno nelle soluzioni diluite, e sono direttamente proporzionali all'intensità del campo elettrico. Pertanto la velocità che un determinato ione assume in un dato solvente, a diluizione infinita, sotto l'azione d'una differenza di potenziale corrispondente a 1 volt per ogni cm. nella direzione del campo, costituisce una costante caratteristica e prende il nome di "velocità assoluta dello ione": tali velocità si designano con i simboli Ua e Uc.

Ammettendo in prima approssimazione che gli ioni si comportino come piccole sfere mobili, in fluidi viscosi, e indicando con ϕ la fluidità del mezzo, si può ritenere valida la legge di Stokes e quindi la relazione:

La coppia di relazioni (5) non permette di calcolare le U; ma tenendo conto dell'equazione (14) che ritroveremo in seguito, si ha per i due ioni di un elettrolita

La tabella I racchiude i valori dei numeri di trasporto dell'anione di alcuni elettroliti in soluzione acquosa, alla concentrazione 0,1 normale e alla temperatura di 18° C:

La tabella II dà alcuni valori delle velocità assolute degli ioni espresse in cm. sec-1:

Le velocità anormalmente elevate che gli ioni H+ e OH- assumono nelle soluzioni acquose sono state variamente interpretate e forse non è da trascurare il fatto che questi due ioni sono gli stessi che derivano dalla dissociazione del solvente acqua.

La teoria esposta implicherebbe che il numero di trasporto rimanesse costante al variare della concentrazione dell'elettrolita e della temperatura, in quanto la viscosità agisce secondo lo stesso rapporto sulla velocità dei due ioni. Ma in pratica ciò non avviene. Al crescere della temperatura tutti i valori dei numeri di trasporto convergono verso il limite comune di 0,5, cioè tutte le velocità ioniche tendono a eguagliarsi. Invece al crescere della concentrazione - salvo pochi casi - di regola il numero di trasporto dell'anione cresce. La tabella III racchiude qualche esempio tipico:

I valori anormali e notevolmente variabili trovati per il CdJ2 s'interpretano tenendo conto del fatto che le relative soluzioni contengono degli anioni complessi (CdJ2)J. Partendo da tali fatti alcuni propendono a credere che in generale l'aumento del numero di trasporto dell'anione sia dovuto a formazione di ioni complessi, mentre altri ammettono che gli ioni siano in diversa misura idratati o solvatati e che il grado di idratazione varii al variare della concentrazione.

Basandosi su tali interpretazioni la misura dei numeri di trasporto può anche servire come mezzo ausiliario per risolvere problemi strutturistici. Ioni complessi si formano nei bagni di argentatura (argenticianuro di potassio), nei quali la misura del numero di trasporto rivela una sensibile concentrazione dell'argento all'anodo (ioni AgCy-). La presenza di tali ioni spiega la struttura uniforme del deposito catodico in questi bagni, in contrasto con quanto avviene con gli ordinarî sali di argento che dànno un deposito microcristallino. Nei bagni cianurati la deposizione catodica dell'argento non è un fenomenoo primario, bensì deriva dalla decomposizione dell'anione complesso in seguito alla scarica dei cationi K+.

La misura dei numeri di trasporto si fa con apparecchi di varia forma (vedi ad esempio fig. 3), nei quali è possibile separare senza scosse, alla fine dell'elettrolisi, i liquidi anodico, catodico e centrale (accertandosi che la composizione di quest'ultimo sia rimasta immutata). Si preferisce ora di evitare l'uso di diaframmi per la separazione delle varie zone in seno al liquido perché essi possono dar luogo a trasporti anormali (v. in seguito fenomeni di elettroosmosi).

Conduttività degli elettroliti. - I fenomeni di migrazione degli ioni e quelli di polarizzazione (v. elettrolisi) renderebbero completamente aleatoria la misura della conduttività degli elettroliti se si adoperasse l'ordinario ponte di Wheatstone con una sorgente di corrente continua. Ricorrendo a speciali precauzioni si possono bensì eseguire alcune misure con l'uso della corrente continua ma la complicazione che ne deriva dà a tali indagini un interesse soltanto teorico per controllare l'identità dei risultati conseguiti con i due metodi.

Per le misure correnti si ricorre a una modificazione del ponte di Wheatstone dovuta al Kohlrausch (fig. 4). Invece della pila funziona da sorgente un rocchetto a induzione o un qualunque generatore G di corrente alternata (di forma per quanto più è possibile sinusoidale e di frequenza intorno ai 1000 periodi). Come rivelatore si presta benissimo un telefono T, la cui sensibilità può essere aumentata sintonizzandolo col generatore. Nelle misure di precisione si adottano inoltre speciali accorgimenti per eliminare gli effetti di induttanza e di capacità. Il lato della resistenza nota R è costituito da una cassetta a spina o a manopola, i due lati che dànno il rapporto variabile sono costituiti da un lungo reocordo AB con un contatto mobile D.

Il liquido da sperimentare X si pone in una cella con elettrodi di platino platinato, di cui le costanti geometriche si determinano facilmente servendosi di liquidi campione. La fig. 5 dà l'illustrazione di alcuni modelli di cellule dovute a Washburn.

La fig. 6 riporta i valori della conduttività di alcuni elettroliti in funzione della concentrazione equivalente. Per interpretare l'andamento delle curve si può approssimativamente ragionare come segue. Al crescere della concentrazione cresce il numero delle molecole disciolte e quindi degli ioni capaci di trasportare la corrente onde la conduttività sale. Ulteriormente però l'aumento della concentrazione provoca un aumento di viscosità e quindi una diminuzione della mobilità degli ioni e d'altro canto diminuisce il coefficiente di dissociazione (o quello di attività) cooperando i due fenomeni a ridurre il trasporto d'elettricità. Ciò spiega come, da un certo punto in poi, la conduttività vada diminuendo.

Per sceverare i due effetti si usa considerare, invece della conduttività, la cosiddetta "conduttività equivalente", Λ, cioè il quoziente della conduttività κ per la concentrazione equivalente. Il diagramma della fig. 7 dà i valori della conduttività equivalente per alcuni elettroliti in funzione della diluizione v (reciproca della η, cioè numero di cmc. in cui è disciolto un equivaleme-grammo); e si vede chiaramente che gli elettroliti si dividono in due gruppi. Quelli cui competono valori elevati di Λ mostrano, al crescere della diluizione, una rapida tendenza ad assumere un valore limite e si dicono elettroliti forti; ai più bassi valori di Λ corrisponde anche un andamento continuamente crescente senza che si noti una teridenza al limite (NH4 OH, CH3 Co2 H, . . . .: elettroliti deboli).

Il valore limite Λ0 della conduttività equivalente raggiunto dagli elettroliti forti prende il nome di "conduttività equivalente limite" e Kohlrausch ha mostrato che essa è una proprietà additiva degli ioni costituenti:

Possiamo renderci conto di tutti questi fatti procedendo al calcolo della conduttività in base ai concetti che si sono venuti formando sulla struttura degli elettroliti.

Partendo dalla legge di Ohm e indicando con I l'intensità della corrente che attraversa un conduttore di resistenza R, ai cui estremi è applicata una differenza di potenziale E; si ha

Designando poi con κ la conduttività, con s la sezione retta, con l la lunghezza del conduttore, si ha

e sostituendo nella (8)

da cui

Per un conduttore sottoposto a un gradiente di potenziale unitario

e quindi la conduttività sta a indicare la quantità di elettricità che nell'unità di tempo attraversa la sezione unitaria.

Questa quantità di elettricità si può calcolare come somma delle cariche positive trasportate dai cationi nel senso del campo e di quelle negative trasportate dagli anioni in senso opposto.

Tenendo conto che esistono

anioni e

cationi per cmc., che essi portano rispettivamente le cariche

e si muovono con le velocità assolute Ua ed Uc, si trova che la quantità totale di elettricità trasportate nell'unità di tempo è data da:

Ricordando poi le (1) e (2) si può scrivere μa νa = μe e νc = v e quindi

La conduttività equivalente sarà

e, per gli elettroliti forti, il suo limite per η tendente a zero corrisponde al fatto che α tende all'unità e le U al valore limite corrispondente alla fluidità dell'acqua pura. Quindi

quest'ultima formula rappresenta la deduzione teorica del risultato sperimentale di Kohlrausch sulla indipendente mobilità degli ioni.

La legge di Kohlrausch è importante, oltre che per il suo valore teorico, perché permette di calcolare le conduttività equivalenti limiti anche degli elettroliti deboli, come somma dei valori che competono ai loro ioni e che si possono dedurre da misure eseguite su altri elettroliti. Dividendo la (13) per la (14) membro a membro si ricava

cioè sì ha un mezzo semplice per valutare il "coefficiente di dissociazione" e quindi il numero di Van't Hoff.

e si può paragonare questo valore con quello che si ricava con gli altri metodi (osmotico, crioscopico, ecc.). Per le soluzioni diluite l'accordo è molto buono come risulta dalla seguente tabella IV.

A concentrazioni più elevate l'accordo viene a mancare. Ciò si spiega da un lato tenendo conto delle forze d'attrazione interioniche le quali diminuiscono l'attività degli ioni; dall'altro lato tenendo conto del fatto che l'atmosfera ionica crea una specie di viscosità elettrostatica e quindi riduce la mobilità degli ioni. La teoria elementare che abbiamo esposta deve pertanto considerarsi come un caso ideale limite, valido in quelle condizioni di diluizione (e quindi di distanza media tra gli ioni) per cui le forze interioniche diventano trascurabili.

Forza elettromotrice. - Quando due conduttori sono immersi in un elettrolita, prende origine una forza elettromotrice che si manifesta per mezzo d'una differenza di potenziale ai due estremi liberi ed è capace di alimentare il passaggio d'una corrente elettrica in un circuito esterno che li colleghi. È necessario perciò che tra i due conduttori esista una differenza di qualsiasi genere, onde possono presentarsi varî casi: 1. due metalli eguali o diversi immersi in due elettroliti diversi a contatto tra loro direttamente o per mezzo di altri elettroliti; 2. due metalli diversi in uno stesso elettrolita; 3. due metalli eguali in due elettroliti eguali ma a concentrazione diversa, queste soluzioni essendo tra loro a contatto diretto o per mezzo di altri elettroliti.

Quando noi chiudiamo il circuito esterno della pila, la forza elettromotrice ε provoca una corrente d'intensità non solo nel circuito esterno di resistenza Re ma anche nel circuito interno di resistenza Ri:

e quindi la differenza di potenziale disponibile ai capi della pila Re I è tanto più piccola della forza elettromotrice ε quanto maggiore è la corrente I circolante nel circuito. Perciò le forze elettromotrici si misurano o a circuito aperto (con l'elettrometro) oppure con metodi capaci di assicurare una circolazione di corrente praticamente nulla.

Il capostipite di tali metodi è il cosiddetto metodo di opposizione di Poggendorff, sul quale sono fondati gli schemi di montaggio dei potenziometri. Il principio del metodo è illustrato nella fig. 8. Agli estremi del conduttore AB di forte resistenza è applicata una forza elettromotrice proveniente da una batteria C di grande capacità che rende disponibili delle cadute di potenziale costanti e proporzionali alla resistenza dei tratti che si considerano. La pila da misurare è montata nel circuito AGM in modo che la sua forza elettromotrice sia in opposizione con quella disponibile lungo il tratto AB. Mantenendo fisso il punto A e spostando gradualmente il punto M si riduce il galvanometro G allo zero: in tali condizioni la forza elettromotrice che si cerca è eguale alla caduta di potenziale lungo il tratto AM. Per mezzo d'un commutatore 1.2 .3. si possono eseguire due misure, l'una con la pila incognita Ex e l'altra con una pila campione Ec (di forza elettromotrice nota): rilevando due posizioni di equilibrio M ed M′, le due forze elettromotrici stanno fra loro nello stesso rapporto delle due resistenze comprese nei tratti AM ed AM′ intercetti sul conduttore AB. Regolando la resistenza R si può fare in modo che le letture di resistenza siano anche letture dirette di potenziali.

La pila campione più comunemente adoperata oggi è la pila Weston (fig. 9) costituita da un elettrodo di mercurio immerso in una soluzione satura di solfato mercuroso e da un elettrodo di amalgama di cadmio al 10%, immerso in una soluzione satura di CdSO4. La forza elettromotrice di tale pila varia pochissimo in funzione della temperatura.

La pila di Weston appartiene alla prima categoria sopra ricordata e così pure la pila di Daniell della quale discorreremo subito. L'originaria pila a tazza di Volta appartiene alla seconda categoria. In essa si hanno due elettrodi, uno di rame e l'altro di zinco, immersi in una soluzione acidulata con acido solforico, lo zinco si discioglie mentre sul rame si svolge idrogeno. Avviene cioè la reazione:

e per ogni atomo-grammo di zinco che si scioglie allo stato ionico passano due farad di elettricità nel circuito, i quali sono trasportati all'esterno da una corrispondente quantità di elettroni che si rendono disponibili nel metallo inizialmente neutro, mentre nell'interno della pila essi sono trasportati da due grammi-atomo di idrogeno che vanno a scaricarsi sul rame.

La pila di Volta ha l'inconveniente di esaurirsi rapidamente. Per eliminarlo, Daniell costruì una pila nella quale i due elettrodi sono immersi rispettivamente in due soluzioni di CuSO4 e di ZnSO4. Gli ioni che si formano per la dissoluzione dello zinco spostano una equivalente quantità di ioni Cu++ i quali vanno a scaricarsi sull'elettrodo di rame. Si produce la reazione

la quale dà luogo a una forza elettromotrice di 1,1 volt.

Per le relazioni che intercedono tra la variazione d'energia libera e la forza elettromotrice, v. affinità. Vale in generale la relazione di Gibbs-Helmholtz

Donde si ricava

Se si ha una reazione chimica vera e propria, U rappresenta la tonalità termica della reazione, ma in genere essa sta a indicare la variazione d'energia interna. Si dànno infatti casi di pile nelle quali non avviene alcuna reazione chimica. Tali sono le pile di concentrazione che appartengono alla terza categoria della nostra classifica. Il metallo immerso nella soluzione più diluita ha maggiore facilità a passare in soluzione di quello contenuto nella soluzione più concentrata, e chiudendo il circuito esterno si ha effettivamente dissoluzione del metallo da un lato e rideposizione dall'altro. La misura diretta della variazione d'energia interna si presenta qui molto difficile, e però per lungo tempo si è preferito di trattare simili problemi ricorrendo alla teoria osmotica di Nernst.

Questo autore considera una "tensione di soluzione" dei metalli analoga alla tensione di vapore d'un liquido e paragona quindi la dissoluzione elettrolitica d'un metallo all'evaporazione condotta in modo reversibile a partire dalla tensione di soluzione P fino al valore p della pressione osmotica parziale che gli ioni del metallo esercitano nella soluzione circostante all'elettrodo. Quando p > P si ha invece l'analogo d'un fenomeno di condensazione. Supponendo che si tratti di sistemi ideali, il lavoro massimo ottenibile A è dato dalla formula

onde la forza elettromotrice ε risulta

Di regola si sceglie come termine di riferimento la forza elettromotrice d'un elettrodo immerso in una soluzione normale dei suoi ioni e si designa con 0ε tale valore del potenziale (potenziale normale dell'elettrodo). Indicando con p1 la pressione osmotica esercitata dagli ioni alla concentrazione normale, dalla (18) si ha

e sostituendo alle pressioni le concentrazioni

Alla temperatura di 18° e tenendo conto del fattore di conversione dei logaritmi naturali in decimali, si ricava

Il problema sarebbe perfettamente determinato se si potesse misurare la forza elettromotrice d'un singolo elettrodo. In pratica occorre però costituire sempre una pila con due elettrodi e pertanto occorre definire un potenziale di riferimento.

Dopo molti tentativi infruttuosi per la misura assoluta dei potenziali, gli elettrochimici hanno convenuto di porre eguale a zero il potenziale normale dell'elettrodo a idrogeno e - tenendo conto del fatto che la forza elettromotrice d'una pila è uguale alla differenza delle forze elettromotrici dei singoli elettrodi - hanno potuto fissare la scala dei potenziali normali, che si dispongono nello stesso ordine della serie elettrochimica di Volta (v. affinità).

Per una pila di concentrazione la forza elettromotrice ε sarà data dalla differenza delle due forze elettromotrici:

e però

Meno casi eccezionali le pile di concentrazione dànno luogo a forze elettromotrici molto piccole. Per ν = 1 e c′/c″ = 10, ε assume il valore di pochi centesimi di volt. In tali condizioni la forza elettromotrice che si genera al contatto delle due soluzioni di diversa concentrazione (potenziale di diffusione) assume notevole importanza e occorre eliminarla con opportuni artifici oppure tenerne il debito conto. Si dimostra che la forza elettromotrice di diffusione obbedisce alla formula

tale forza elettromotrice può essere cospirante o discordante con quella del complesso dei due elettrodi. Combinando le due formule (21) e (22) si perviene a una relazione tra forza elettromotrice complessiva e numeri di trasporto degli ioni, la quale dà la base per un nuovo metodo di misura di queste ultime grandezze.

Quando si hanno potenziali di diffusione e si desiderano misure accurate, occorrono speciali precauzioni per ottenere che la giunzione tra i due liquidi sia sicuramente riproducibile: i migliori risultati si ottengono rinnovando continuamente il contatto con un regolare efflusso dei liquidi.

Ammessa la convenzione per la misura dei potenziali, si trova opportuno eseguire la misura della forza elettromotrice d'un singolo elettrodo, costruendo una pila a mezzo di esso e d'un altro elettrodo di forza elettromotrice nota (elettrodo campione). Servono allo scopo: 1. l'elettrodo normale a idrogeno che assume forme diversissime (v. ad es. fig. 10) ma è costituito essenzialmente da un elettrodo di platino platinato immerso in una soluzione normale in ioni idrogeno tenuta in equilibrio con una atmosfera d'idrogeno alla pressione di 760 mm. di Hg; 2. gli elettrodi a calomelano costituiti da mercurio in contatto con soluzioni (N/10, N, o satura) di KCl saturate con calomelano (fig. 11).

Con tali espedienti la misura potenziometrica permette di valutare facilmente i potenziali di singoli elettrodi e, per mezzo di formule del tipo della (19), di risalire al calcolo delle concentrazioni ioniche. Particolare interesse per molte applicazioni ha la misura della concentrazione degli ioni idrogeno.

Le formule dedotte in questa sommaria trattazione derivano dall'ipotesi che si abbia da fare con soluzioni ideali per le quali le concentrazioni ioniche risultano dal prodotto della concentrazione totale per il coefficiente di dissociazione. Volendo tener conto del fatto che noi abbiamo di regola da fare con soluzioni reali, occorre sostituire alle concentrazioni le attività e oggi si ritiene precisamente che la misura delle forze elettromotrici rappresenti il miglior mezzo per valutare le attività degli ioni e i relativi coefficienti di attività. L'esame particolareggiato di tal modo di vedere esorbiterebbe dai limiti di questa trattazione; basterà dare una idea del grado di concordanza che presentano i valori numerici del coefficiente di dissociazione (determinato per via conduttometrica) e di quello di attività (determinato potenziometricamente) al variare della concentrazione. Il diagramma della fig. 12 permette tale comparazione per le soluzioni di HCl. Occorre in ultimo fare osservare che la teoria di Nernst e quelle che più o meno direttamente ne derivano, pongono la sede della forza elettromotrice al contatto tra elettrodi ed elettroliti, contrariamente alla concezione originale del Volta il quale fissava la sede della forza elettromotrice al contatto tra i due metalli eterogenei. I lavori recenti sulla emissione elettronica, sui fenomeni fotoelettrici e sui potenziali di contatto (Millikan) hanno rimesso in onore la teoria del Volta conducendo a fissare la sede, per lo meno della preponderante parte della forza elettromotrice, nelle pile, al contatto tra due metalli diversi. È merito del Langmuir e più recentemente del Corbino di aver rivendicato con grande chiarezza le ragioni che militano a favore della teoria del Volta, onde noi oggi concepiamo chiaramente come la sede della forza elettromotrice possa essere diversa da quella ove si svolge il fenomeno chimico che l'alimenta, così come la sede della forza elettromotrice di un turbo-alternatore non è il focolaio della caldaia ove si compie la reazione chimica che l'alimenta.

Tralasciamo qui tutto quanto riguarda la costruzione e il funzionamento delle coppie voltaiche come generatori primarî di corrente (v. pila) e secondarî (v. accumulatore).

Influenza del solvente. Soluzioni non acquose. - L'esperienza dimostra che il solvente ha una notevole influenza nel determinare il comportamento delle soluzioni elettrolitiche. Le proprietà fisiche del solvente più importanti da questo punto di vista sono la sua viscosità e la sua costante dielettrica. La prima perché - come abbiamo accennato - interviene nel determinare la mobilità degli ioni e la seconda perché influisce sulla grandezza delle forze elettrostatiche (azioni interioniche). Già agli albori delle teorie elettrochimiche Nernst e Thomson avevano messo in evidenza che l'alto potere dissociante dell'acqua deve ascriversi all'elevato valore della sua costante dielettrica (circa 80) e le successive misure hanno dimostrato che esiste un sensibile parallelismo tra potere dissociante e costante dielettrica.

L'elettrochimica delle soluzioni non acquose costituisce un capitolo oltremodo importante che in questi ultimi anni ha richiamato in misura notevole l'attenzione degli studiosi: merita d'essere qui ricordato che i primi e più importanti contributi furono dovuti al Carrara e alla sua scuola. Non bisogna però credere che l'azione del solvente sia puramente fisica. Il solvente interviene in modo elettivo attraverso i fenomeni di solvatazione degli ioni e delle molecole indissociate e anche con la dissociazione propria, che dà luogo a ioni capaci d'influenzare i fenomeni d'equilibrio tra gli ioni dei soluti. Le misure eseguite sull'acqua purificata con ogni cura (Kohlraush e Heydweiller) hanno portato alla conclusione che in ogni litro d'acqua neutra alla temperatura ordinaria si trova circa un decimilionesimo di molecola-grammo dissociato. Tale minima percentuale implica già l'esistenza in soluzione di circa 1016 ioni H+ e di altrettanti ioni OH- onde si spiega come il fenomeno possa avere influenze rilevanti (v. in proposito equilibrio: Equilibrio chimico; soluzione).

Sali fusi. - I cristalli dei composti polari mostrano già allo stato solido una conduttività apprezzabile, che prende valori non piccoli a temperature poco inferiori a quella di fusione: a tale conducibilità non manca per lo meno in parte il carattere elettrolitico. Fenomeni di trasporto di materia ponderabile in corpi solidi sono noti fin da quando Warburg realizzò l'elettrolisi del vetro.

I sali fusi conducono la corrente sempre attraverso lo stesso meccanismo ionico dei soluti nelle soluzioni. Gli ioni che si scaricano agli elettrodi sono esattamente gli stessi che nelle soluzioni, essi portano le stesse quantità di elettricità, talché si verificano esattamente le leggi di Faraday. Per tale verifica occorre prendere particolari precauzioni in quanto l'elevata temperatura favorisce i fenomeni di diffusione e le reazioni parassite.

L'analogia con le soluzioni si estende perché è possibile avere a temperature elevate miscugli di due sali l'uno poco conduttore che funziona da solvente e l'altro buon conduttore che funziona da soluto. Così avviene per varî cloruri alcalini disciolti in cloruro mercurico. Se si paragona infine la conduttività equivalente di un sale allo stato di fusione con quella che esso presenta in soluzione acquosa, si trovano numeri dello stesso ordine di grandezza (Tabella V), e se per uno stesso sale allo stato di fusione si calcolano i rapporti tra la conduttività κ e la fluidità ϕ alle varie temperature si trovano valori sensibilmente costanti (Tabella VI).

Ciò indica che se mai fosse da parlare d'un coefficiente di dissociazione, le sue variazioni dovrebbero essere molto piccole. La ricerca d'un criterio per valutare tale coefficiente nei sali fusi ha per molto tempo affaticato gli studiosi; ma ormai tale ricerca non ha più alcuna importanza, in quanto senza dubbio noi dobbiamo ritenere che i sali fusi siano completamente dissociati e che il loro comportamento sia dovuto all'influenza che le forze interioniche (di carattere elettrostatico) esercitano sull'attività, nonché alla formazione eventuale di ioni complessi.

Si possono con i sali fusi eseguire misure di forza elettromotrice e realizzare pile di concentrazione. I risultati ottenuti da Sackur e da altri dimostrano che le leggi delle ordinarie soluzioni diluite sono in questi casi valide anche se si tratta di concentrazioni piuttosto elevate.

Elettroforesi. Elettroosmosi. - La carica delle micelle colloidali (v. collo di) fa sì che esse si muovano sotto l'azione del campo elettrico dando luogo a fenomeni di elettroforesi, cioè di trasporto sotto l'azione del campo elettrico, sia verso l'anodo per le micelle cariche negativamente (anaforesi) sia verso il catodo per quelle che hanno carica positiva (cataforesi). A causa della notevole grandezza delle micelle, rispetto agli ioni, nei fenomeni d'elettroforesi si realizza il trasporto di masse notevoli con piccole quantità d'elettricità e inoltre - attesa la piccola conduttività che di regola presentano i sistemi colloidali - si possono applicare forti gradienti del potenziale e raggiungere elevate velocità di trasporto.

Con tale mezzo è possibile separare la fase dispersa d'un sistema colloidale dal mezzo disperdente e dalle sostanze che vi si trovano allo stato di soluzione vera, realizzando quindi con celerità risultati analoghi a quelli che si conseguono d'ordinario con la dialisi (elettrodialisi). Procedimenti del genere sono stati proposti per la coagulazione del latice di caucciù, per la purificazione delle argille, delle gelatine, degli enzimi, degli anticorpi, ecc.

Se s'immagina che le micelle vengano ad agglomerarsi, formando un setto poroso tenuto immobile, il moto relativo tra fase dispersa e fase disperdente deve permanere e quindi sotto l'azione del campo elettrico si avrà un flusso del liquido attraverso il setto, come se fosse realizzato un conveniente carico idrostatico. Si dà al fenoneno il nome di elettroosmosi e si può fare di esso una trattazione analitica semplice seguendo il concetto di Helmoltz: che si formi cioè, al contatto di due sostanze aventi costante dielettrica diversa, un doppio strato elettrico per cui il corpo dotato del potere induttore specifico più alto si carica positivamente. La possibilità di forzare un liquido a passare attraverso uno strato più o meno poroso avrebbe nella tecnica un'importanza grandissima per accelerare e semplificare alcuni processi: si è, ad esempio, proposto di ricorrere a tale artificio per aumentare la rapidità della concia al tannino delle pelli. Del pari si può realizzare la sottrazione di acqua da sistemi porosi difficilmente essiccabili (come, ad es., la torba). Il metodo elettroosmotico permette di sottrarre una quantità di acqua, per unità d'energia elettrica impiegata, pari a 50 volte circa quella che evaporerebbe tramutando l'energia in calorie e pari a 1000 volte circa la quantità che si decomporrebbe per elettrolisi. Tutti questi processi hanno incontrato finora enormi difficoltà di realizzazione.

In questi ultimi tempi si è venuto affermando un processo di purificazione dell'acqua detto elettroosmotico. Esso consiste essenzialmente nel realizzare (v. fig. 13) tre compartimenti: A (anodico), C (catodico), B (centrale). Quest'ultimo compartimento è delimitato da due diaframmi i quali insieme col liquido interposto costituiscono un complesso capace di funzionare come un colloide sottoposto alla elettrodialisi e quindi l'acqua di E viene gradualmente privata dei suoi sali. Ripetendo un certo numero di operazioni e facendo ricircolare i liquidi catodici (dai quali per carbonatazione all'aria precipitano facilmente i metalli alcalino-terrosi) si può realizzare un funzionamento economico, che dia circa 50 litri d'acqua purificata per ogni kWh messo in giuoco.

La fig. 14 dà la visione schematica d'un impianto industriale.

Processi elettrotermici. - I processi elettrotermici si realizzano nei forni elettrici. Questi possono classificarsi nelle tre categorie: a) forni a scarica elettrica; b) forni a resistenza elettrica; c) forni a induzione. Nella prima categoria rientrano gli apparecchi a effluvio, i dispositivi per utilizzare l'effetto corona e i forni ad arco. È raro che si usino apparecchi puramente ad arco, perché spesso questo si fa scoccare tra un elettrodo e la carica conduttrice, la quale viene perciò attraversata dalla totalità della corrente e quindi scaldata anche per effetto Joule: si hanno così i forni del tipo misto ad arco-resistenza. Nella seconda categoria si possono distinguere due gruppi a seconda che funzioni da resistor (resistenza) la stessa carica o un conduttore distinto. Quando la carica del forno conduce la corrente e questa è unidirezionale si hanno fenomeni di elettrolisi (v.) nei sali fusi. I forni della terza categoria sono anch'essi a resistenza, la corrente tuttavia non è direttamente applicata alla carica, ma vi circola per fenomeno d'induzione provocato da un avvolgimento primario elettricamente isolato dalla carica stessa.

Per la descrizione dei varî tipi di forno e per la illustrazione dei principî che presiedono al loro funzionamento, si vedano gli articoli forno: Forno elettrico; ferro; calcio; carburi. Qui ci limiteremo a parlare dei fenomeni di scarica e delle azioni chimiche che essi provocano. I fenomeni di scarica che ci interessano sono quelli cosiddetti indipendenti, cioè quelli per i quali la conduttività del mezzo interposto non è determinata, né esaltata da agenti esterni di ionizzazione e di eccitazione. L'aspetto della scarica e le sue caratteristiche dipendono in tal caso dalla natura e dalla forma degli elettrodi, dalla natura e dallo stato fisico del mezzo interposto, dalle caratteristiche elettriche del circuito.

L'esame particolareggiato di tutti questi fattori esorbita dal quadro di questa trattazione. Ricorderemo solo che, nel mezzo ove avviene la scarica, la corrente è trasportata da ioni (atomi, molecole o gruppi di molecole carichi di elettricità) e anche da elettroni. Una piccola quantità di ioni liberi è sempre presente anche nell'atmosfera che ci circonda e quindi una debole corrente si ha anche in assenza d'ogni causa eccitatrice e con voltaggi piccoli. A misura che cresce il voltaggio applicato, gli ioni già esistenti acquistano una velocità bastevole a provocare per urto la ionizzazione delle molecole e l'emissione di elettroni dal catodo, il quale poi riscaldandosi può anche emettere elettroni per effetto Richardson: infine i fenomeni luminosi della scarica sono anche fattori coadiuvanti per la ionizzazione. I fenomeni di scarica possono essere in prima approssimazione classificati in base agli aspetti esterni (scarica silenziosa, scarica a bagliori, scintilla, arco) e per ognuna di queste forme, ceteris paribus, esiste un andamento caratteristico della relazione che intercede tra corrente I e tensione V. Si chiama "caratteristica statica" la curva che esprime tale relazione nel sistema di assi coordinati V − I e per l'alimentazione a corrente continua.

Per dare una rappresentazione d'insieme dell'andamento che questi fenomeni assumono a pressione atmosferica è molto utile il diagramma della fig. 15 (Valle) il quale ha carattere puramente indicativo perché non sarebbe possibile tracciarlo con una scala uniforme conservando dimensioni sufficienti per i varî tratti. Si hanno quattro curve caratteristiche delle fasi stazionarie di scarica: 1. la curva OA che corrisponde alla corrente di saturazione estremamente piccola; 2. la curva BC che corrisponde alle scariche, dette di Townsend, sulle quali l'influenza dei campi creati dalle cariche spaziali è quasi insensibile (effluvio, effetto corona, ecc.); 3. la curva DE che corrisponde alle scariche di luminiscenza (scariche a bagliori); 4. la curva FG che corrisponde all'arco.

Appare dall'andamento delle curve che talvolta nelle scariche a bagliori, e sempre nell'arco, la caratteristica è negativa, cioè al crescere del voltaggio corrisponde una diminuzione della corrente. È questo un inconveniente per la stabilità del funzionamento, la quale non è realizzabile senza il contemporaneo concorso di alcune caratteristiche elettriche del circuito esterno (criterio di Kaufmann). Le scariche attraverso i gas producono effetti chimici svariati i quali non sempre si possono esclusivamente attribuire ad azioni termiche. In un primo tempo si è pensato che gli effetti chimici prodotti dalla scintilla e dall'arco si potessero spiegare semplicemente tenendo conto delle temperature elevatissime che si raggiungono nella zona sottoposta alla scarica e del rapido raffreddamento che si consegue nella zona circostante; riavvicinando così la funzione della scarica a quella del tubo caldo-freddo di Deville. Ma è fuor di dubbio, come hanno dimostrato tra l'altro le esperienze di Le Blanc, che gli stati stazionarî ai quali pervengono, per effetto dell'effluvio, alcuni sistemi gassosi, non consentono l'applicazione della legge di azione di massa.

Le prime ricerche di Berthelot avevano mostrato che l'effluvio elettrico può produrre importanti demolizioni molecolari, che può eliminare idrogeno da idrocarburi paraffinici e olefinici dando con i residui non saturi prodotti elevati di polimerizzazione, analoghi a quelli che si formano direttamente e senza eliminazione d'idrogeno, sottoponendo gl'idrocarburi acetilenici all'effluvio elettrico e infine condussero ad osservare la fissazione d'azoto su vapori di sostanze organiche. Ma le numerose ricerche posteriori volte a realizzare importanti sintesi hanno fornito quasi sempre risultati di puro valore qualitativo. Losanitch e la sua scuola hanno realizzato alcune sintesi a partire da ossido di carbonio e idrogeno, De Hemptinne ha ottenuto varie idrogenazioni di doppî legami non saturi, Gruszkiewicz ha effettuato la sintesi dell'acido cianidrico. Nel campo della chimica inorganica si sono provate la sintesi degli ossidi di azoto e quella dell'ammoniaca. Ma all'atto pratico l'uso dell'effluvio è rimasto limitato alla produzione dell'ozono.

Le stesse ricerche del Poma hanno portato a concludere che solo alcuni sistemi chimici semplicissimi in cui siano gassosi e gassificabili gli elementi costitutivi e tutti i loro prodotti di combinazione, possono dar luogo a stati chimici stabili sotto l'azione della scarica. Negli altri casi le sostanze ottenute non sono quasi mai da considerare come prodotti definiti della reazione, ma solo come termini transitorî che debbono la loro esistenza a ragioni inerenti alla loro velocità di formazione e a quelle delle loro possibili trasformazioni. Francesconi e i suoi allievi, sotto l'azione dell'effluvio, hanno potuto ottenere, dai composti non saturi, con HCN i nitrili e con NH3 le ammine. Montemartini ha realizzato molte di queste sintesi servendosi dell'effetto corona.

L'azione dell'arco elettrico ad alta tensione è stata sperimentata del pari per moltissime reazioni, ma anche qui l'unica realizzazione pratica si è avuta con la sintesi degli ossidi di azoto a partire dagli elementi dell'aria. Di tutte le altre numerose ricerche eseguite, meritano d'essere ricordate dal punto di vista applicativo quelle di Dieffenbach e Moldenhauer per realizzare d'accordo con la Griesheim Elektron la sintesi dell'acido cianidrico.

L'effluvio elettrico si ottiene di regola alimentando con corrente alternata a tensione piuttosto alta due superficie conduttrici disposte parallelamente tra cui fluisce il gas da trattare: esso è caratterizzato da densità di corrente molto piccole. Il gas può venire a contatto con i conduttori metallici (armature) direttamente oppure attraverso uno strato dielettrico il quale compie la funzione di combattere l'ineguale distribuzione della corrente e spesso anche quella di garantire il metallo dall'attacco chimico dei prodotti reagenti.

Il primo apparecchio a effluvio è quello da laboratorio dovuto a Berthelot. Esso prende forme diverse, due delle quali sono illustrate dalla fig. 16. Come si vede si tratta d'un apparecchio tubolare dove lo spazio di reazione è limitato da due cilindri coassiali. L'apparecchio industriale di Siemens e Halske deriva direttamente da tale tipo (fig. 17), ma non mancano modelli con elettrodi piani, come quello di Abraham-Marnier (fig. 18). Tutti questi apparecchi si adoperano in pratica solo per la produzione dell'ozono. Il rendimento energetico della trasformazione così ottenuta è molto basso. Secondo l'equazione

1 kWh dovrebbe fornire 1200 grammi di ozono: in pratica nelle migliori condizioni si hanno dai 65 agli 80 grammi.

Ciò nonostante, di tutti i metodi proposti questo resta ancora il più vantaggioso.

Il rendimento volumetrico e il rendimento energetico crescono al diminuire della temperatura e al crescere della pressione. La tabella VII racchiude alcuni valori della concentrazione percentuale in volume che si raggiungono ad equilibrio in diverse condizioni di temperatura e di pressione (Chappuis e Hautefeuille).

Il rendimento energetico è poi tanto maggiore quanto più bassa è la concentrazione che si raggiunge in marcia di regime. L'arco ad alta tensione è stato lungamente adoperato per la sintesi degli ossidi d'azoto. Si tratta anche qui di realizzare una reazione fortemente endotermica

L'arco esercita in questo caso una funzione prevalentemente termica: a contatto della fiamma si possono raggiungere concentrazioni prossine a quelle corrispondenti agli equilibrî con temperature molto alte. L'artificio da adoperare consiste quindi nel dare alla fiamma la massima estensione. Perciò i primi risultati degni di nota si ottennero da Birkeland e Eyde, alimentando l'arco con corrente alternata fra due elettrodi ordinarî, il cui asse comune era normale alla direzione d'un intenso campo magnetico. L'azione del campo sulla corrente che s'inverte periodicamente determina la formazione d'una fiamma a disco (fig. 19).

Pauling e altri hanno ricorso a elettrodi di forma analoga a quelli che si usano per gli scaricatori a corna (fig. 20), tra i quali la scarica, innescata in basso, dove c'è una distanza minima, risale a mano a mano (per azione termica e per le migliorate condizioni di conduttività che l'arco stesso determina) assumendo quindi la forma di una fiamma a ventaglio. Infine nel forno Schoenner un lungo arco a corrente alternata viene reso stabile facendovi circolare attorno una corrente d'aria che segua un percorso elicoidale.

Le concentrazioni di NO che si raggiungono nell'aria trattata dai forni industriali sono dell'ordine del 0,5÷1%, il che implica la necessità di scaldare a temperatura altissima enormi masse d'aria degradando l'energia elettrica sotto forma d'energia termica.

Nelle migliori condizioni si hanno da 65 a 70 gr. di acido nitrico per kWh, con un rendimento energetico dell'ordine del 3%. Oggi pertanto, anche nei paesi più ricchi d'energia idraulica a buon mercato, questo processo cede il posto a quello più economico dell'ossidazione dell'ammoniaca, ottenuta per sintesi diretta.

Bibl.: S. Arrhenius, Text-book of Electrochemistry, Londra 1902; R. Lorentz, Elektrochemie geschmolzener Salze, Halle 1905-6; A. J. Allmand, The principles of applied electrochemistry, Londra 1912; O. Dony-Hénault, H. Gall e Ph.-A. Guye, Principes et applications de l'électrochimie, Parigi-Liegi 1914; F. Foerster Elektrochemie wässeriger Lösungen, 3ª ed., Lipsia 1922; G. Carrara, Lezioni di elettrochimica, Milano 1923; A. Campetti, Compendio di chimica fisica ed elettrochimica, Milano 1927; W. Orthmann, Kritische Arbeiten zur elektrostatischen Theorie der starken Elektrolyte, in Erg. d. Ex. naturwiss., VI (1927), pp. 155-200; W. Westphal, Handbuch der Physik, XIII, Berlino 1928; G. Valle, Diagramma teorico delle fasi della scarica elettrica nei gas, in Nuovo Cimento, V (1928), pp. 195-203; G. B. Bonino, A proposito delle nuove vedute sulla teoria delle soluzioni, in Atti III Congr. Naz. Chim. pura e appl., Firenze 1929, pp. 231-248; J. Eggert, Trattato di chimica fisica e di Elettrochimica, trad. Castelfranchi, Milano 1931. Tra i giornali sono da ricordare in particolar modo la Zeitschrift für Elektrochemie, le Transactions of the Faraday Society, e le Transactions of American Electrochemical Society.

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