BONAPARTE, Elisa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BONAPARTE, Elisa

Fiorella Bartoccini

Nacque ad Ajaccio il 3 genn. 1777, da Carlo e da Letizia Ramolino, e venne battezzata con il nome di Maria Anna. Nel 1783 il padre riuscì a farla ammettere alla scuola reale di Saint-Cyr, dove restò fino al 1793; successivamente visse con la madre ad Ajaccio e a Marsiglia, dove si erano trasferite per sfuggire alle persecuzioni scoppiate nell'isola contro i fautori della Francia rivoluzionaria. A Marsiglia sposò civilmente il 1º maggio 1797 un oscuro capitano corso, Felice Baciocchi. Fu un matrimonio che Napoleone, avviato a una politica di fruttuose alleanze, le perdonò con fatica (anche se il rito religioso avvenne alla sua presenza, a Mombello, il 5 luglio seguente), e che la condizionò forse negativamente nel corso della sua futura esistenza, impedendole di raggiungere, per la scialba personalità del marito, maggiori onori e riconoscimenti (cfr. Kl. von Metternich, Mémoires, I, Paris 1884, p. 311).

Con il Baciocchi, comandante della guarnigione di Ajaccio, la B. visse in Corsica fino al 1798; dopo un breve soggiorno a Marsiglia, si trasferì a Parigi, e qui si volle fermare, rifiutandosi di seguire il marito nei successivi spostamenti. A Parigi era sicura di poter emergere e recitare una parte.

A differenza delle sorelle, Elisa non era particolarmente avvenente, ma cercava di supplire alla mancanza di quella bellezza che favoriva l'ascesa delle altre nell'alta società parigina con una brillante intelligenza e con un forte carattere. Particolarmente affezionata a Luciano, che, dopo aver esercitato una parte notevole nel colpo di Stato del 3 brumaio, era divenuto ministro degli Interni, lo assecondava nella sua ansia di indipendenza e di affermazione. A fianco del fratello era una moglie, Christine Boyer, dalla modesta personalità e dalla cattiva salute (morirà di lì a poco), e fu Elisa che ne diresse la casa e la famiglia, aprendo i suoi saloni alle personalità politiche, agli alti funzionari dello Stato, agli esponenti principali del mondo culturale.

A differenza di Luciano, però, la B. seppe sempre ritrarsi a tempo sul terreno infido della politica, in cui l'altro amava assumere atteggiamenti di ideologo e di teorizzatore, e su quello della sfida a Napoleone. Rapidamente, essa ritrovava il tono della docilità e dell'obbedienza, così che questi, combattuto fra la stima e la diffidenza, non fu mai in grado di formulare sospetti precisi e accuse concrete. Fu probabilmente per un preciso calcolo, quindi, che la B. si dedicò, più che al mondo politico e amministrativo, a quello della letteratura e della scienza ("Elise donne tout-à-fait dans les savants" scriveva Luciano al cognato Leclerc: T. Jung, Lucien Bonaparte et ses mémoires, Paris 1882, II, p. 109), con una competenza più formale che sostanziale. Frequentava il suo salotto, con un'intimità e un'assiduità che fecero nascere non poche dicerie, L. Fontanes, futuro presidente del Corpo legislativo e rettore dell'università, con un seguito di letterati, artisti, scienziati. Particolarmente protetto da Elisa, e avviato al primo incarico romano, fu Chateaubriand.

La cautela usata nei confronti del potente fratello e la rapidità manifestata nello scindere le proprie responsabilità da quelle di Luciano, caduto in disgrazia, giovarono alla B. che, al momento della proclamazione dell'Impero, non venne esclusa dalla distribuzione dei favori. Non ebbe un trono importante, come poi Carolina, moglie del più utile e più apprezzato Murat, ma, con decreto del 18 marzo 1805, ricevette il titolo di duchessa di Portoferraio e poco dopo, in giugno, divenne sovrana del piccolo ducato di Lucca. Erano stati i Lucchesi stessi, nel tentativo di salvare gli ultimi resti della propria indipendenza, consigliati da C. Saliceti, a chiedere come principe Felice Baciocchi: il 14 luglio 1805, a fianco del marito, che avrà sempre una funzione puramente formale, Elisa faceva un solenne ingresso a Lucca, vera sovrana del piccolo stato, che venne successivamente ingrandito nel 1806 con l'annessione di Massa e Carrara e della Garfagnana.

I Lucchesi non erano riusciti, in realtà, a salvare le proprie libertà e i propri privilegi, e anche l'ultimo vestigio di una loro effettiva presenza nel governo del paese finì per essere travolto dalla tendenza autoritaria della B., che accentrò nelle sue mani tutte le leve del potere, unica rappresentante ed esecutrice - anche se al suo fianco furono francesi come J. B. Froussard, P. d'Hautmesnil, J. G. Eynard - delle pesanti direttive provenienti da Parigi. Ossequiente sempre alla volontà di Napoleone, che la definiva il migliore dei suoi ministri, essa ne applicò tutte le istruzioni, curando l'introduzione nel principato delle leggi e delle istituzioni francesi, il riordinamento delle strutture amministrative, burocratiche e giudiziarie. La limitata estensione dello stato lucchese permetteva una buona conoscenza dei suoi problemi e delle sue esigenze, la possibilità anche di attutire i contrasti e le opposizioni, ed Elisa si mostrò una comprensiva e "illuminata" sovrana. Una politica di incoraggiamento all'industria e al commercio, di realizzazione di vaste opere pubbliche dette vigore alla vita economica del paese; l'abbellimento della capitale, il favore accordato alla cultura, alle arti e alle scienze, il fasto della vita mondana, contribuirono a dargli lustro e prestigio. Particolarmente interessata alla diffusione dell'istruzione a tutti i livelli, Elisa curò profondamente l'opera di assistenza e di beneficenza, guadagnandosi così i favori della massa popolare; aveva già saputo destreggiarsi abilmente, per quanto riguardava le classi più alte, fra i vecchi e i nuovi privilegi, fra i rappresentanti dell'oligarchia aristocratica e quelli della Repubblica democratica, fra l'antica nobiltà e la nuova borghesia in ascesa: Lucchesini, Cenami, Mansi, Arnolfini, Burlamacchi, Guinigi, Bernardini, Belluomini, Matteucci, Vannucci. Non pesava sui Lucchesi il peso della coscrizione obbligatoria, e il pericolo più grave di dissidio con i sudditi si presentò alla duchessa sul piano della politica ecclesiastica, con l'abolizione delle corporazioni religiose e l'incameramento dei beni. Particolarmente sensibile ai vantaggi finanziari dell'operazione, Elisa la seppe però affrontare con abilità moderatrice.

Con una certa facilità si è insistito, nella ricostruzione storica dell'opera della B., sulla sua mentalità di pedante istitutrice o di assennata padrona di casa ("Elle adore décréter, légiferer, réglementer": Masson, VI, p. 266); è preferibile mettere in rilievo il fatto che tale mentalità, data la piccolezza del paese, dette buoni frutti: vi furono, certamente, pesanti spoliazioni e dure imposizioni, ma il regime di quella che fu chiamata da Talleyrand la "Semiramide di Lucca" può considerarsi positivo. Gli abitanti, passato il primo momento di euforia per la riconquistata libertà, ricordarono poi sempre con nostalgica simpatia il periodo in cui il paese aveva conosciuto benessere e sicurezza per merito di Elisa, aveva brillato di luce quasi europea per la presenza della sua corte.

Lucca era, però, troppo piccola per le ambizioni della B., che sorvegliava le difficoltà crescenti in cui si dibatteva la regina di Etruria e aveva parte notevole nell'indebolire, insieme con il rappresentante francese conte d'Aubusson, le sue posizioni: la Toscana fu annessa alla Francia, ma a lei venne concesso, il 3 marzo 1809, il governo generale del paese, con il titolo di granduchessa, mentre il marito riceveva il comando delle truppe. L'ingresso a Firenze avvenne il 1º apr. 1809.

Il periodo napoleonico in Toscana non è stato profondamente studiato, ma quanto se ne conosce è sufficiente a illustrare l'attività della granduchessa nel quadro generale della situazione, ben diversa da quella di Lucca: più ampio il terreno, innanzi tutto, e con una serie più complessa di problemi e di esigenze, di non facile controllo e di non facile soluzione; più delicato il momento, che risentiva dei contraccolpi, politici ed economici, delle prime difficoltà dell'Impero e delle incessanti guerre; più limitata l'autonomia d'azione della granduchessa, che, per la stretta dipendenza dalla Francia, si vedeva condizionata dalla presenza di autorità militari, civili e amministrative che prendevano ordini direttamente da Parigi.

La B. cercò di rafforzare l'indebolito potere, raggirando gli ostacoli, manovrando cioè più a Parigi che a Firenze, con un gioco sottile di contatti e di relazioni nel cuore stesso dell'amministrazione imperiale, di suggerimenti e di pressioni, esercitate non tanto su Napoleone quanto sui suoi principali ministri e sui suoi alti funzionari. A questo periodo risale la stretta amicizia con Fouché. Tentò anche di ripetere l'opera felicemente riuscita a Lucca: dette lustro e soddisfazione alla classe aristocratica, chiamata a esercitare una funzione di rilievo in una nuova e più brillante corte, e concesse riconoscimenti ed onori a quanti si illustravano nella vita civile; protesse arti, lettere e scienze; cercò di distrarre la popolazione con la solennità delle feste e delle cerimonie. Anche a Firenze curò in maniera particolare l'attuazione delle leggi e delle istituzioni francesi, e dette gran peso alla diffusione dell'istruzione.

La situazione, però, la condizionava con il precipitare degli avvenimenti: dovette provvedere, e con dura mano, alla coscrizione dei soldati necessari allo sforzo bellico dell'imperatore, risolvere le gravi difficoltà economiche e finanziarie provocate dalla carestia e dal blocco continentale, affrontare la politica ecclesiastica con una acuita rigidezza per l'aggravarsi del dissidio fra Napoleone e Pio VII, provvedere alla difesa militare del paese e schiacciare i potenziali nuclei di interni avversari. L'idillio con la popolazione non era così limpido come a Lucca: a parte l'esistenza di una vasta opposizione, che aveva salde radici nella tradizione politica e amministrativa del paese, il peso della coscrizione, del fiscalismo, delle spoliazioni, della miseria che si aggravava, accrebbe il malcontento e dette vita a significativi tumulti. Non sembra quindi che, a parte una minoranza di fedeli al nuovo ordine di cose, il consenso dei sudditi fosse notevole: grande fu l'esultanza nella Restaurazione per la riconquistata libertà, scarso - quasi inesistente - il rimpianto.

Con particolare ardore guerresco, la B. si accinse, divenuta colonnello onorario del XIII reggimento ussari, a difendere le coste del paese, minacciato fin dal 1813 dagli Inglesi, attuando una vasta preparazione militare e tentando di risvegliare l'impulso difensivo della popolazione. Ma la situazione stava precipitando, per l'avvicinarsi anche delle truppe di Gioacchino Murat, che tentava di salvare la propria posizione nel crollo dell'Impero; Elisa ebbe con lui, tramite intermediari, rapidi e fugaci contatti, non del tutto chiariti: cercava forse solo di venire a conoscenza del complicato gioco del cognato. Quando questi arrivò ad occupare Firenze, il 1º febbr. 1814, i Baciocchi si recarono a Lucca, sperando di poterne ancora difendere la sovranità. Gli Inglesi non concessero che una possibilità di fuga.

La B. si recò con la famiglia a Genova, Montpellier, Bologna e, infine, Graz, nel tentativo di salvare quanto era possibile (ebbe un colloquio anche con Metternich): invocava la volontarietà della scelta dei Lucchesi, le spese anticipate per il bene dei sudditi, la non avvenuta abdicazione di Felice, ma ottenne solo il titolo e la proprietà di Compignano. Integra rimase, in gran parte, la fortuna personale, e la B. fu quasi l'unica, fra i Bonaparte, a non dibattersi mai in difficoltà finanziarie. Confinata durante i Cento giorni a Brünn, dopo un breve soggiorno a Trieste, si stabilì nella grande proprietà di Villa Vicentina, fra Cervignano e Aquileia. Qui morì il 7 ag. 1820.

Dei suoi figli sopravvissero: Napoleona Elisa (1806-1869), sposata - e presto separata - al conte Filippo Camerata (con la morte del loro unico figlio, Napoleone Carlo, suicidatosi nel 1853, si estinse la discendenza diretta), e Federico Napoleone (1810-1833). Napoleona si mise in luce, come i cugini, nelle vicende rivoluzionarie del 1830-1831; in particolare a lei spetta il fallito tentativo di avvicinare a Vienna il duca di Reichstadt, per invitarlo alla rivendicazione dei propri diritti. Rostand ne farà un'eroina del suo dramma L'Aiglon.

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