CONTARINI, Elisabetta

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTARINI, Elisabetta

Vera Lettere

Nacque a Verona nel 1752. Divenne allieva, insieme con I. Pindemonte, Silvia Curtoni Verza e Paolina Grismondi - in Arcadia Lesbia Cidonia - del famoso grecista G. Pompei, che in una canzone la descrive intenta a spendere lunghe ore "sulle carte de' poeti". Andò sposa al conte Giacomo Mosconi, la cui figura restò discretamente nell'ombra, a giudicare dal fatto che nei carteggi del tempo non se ne fa quasi mai menzione.

I salotti veronesi, in particolare quello della C. e quello della Verza - chiamato dal Vannetti "gabinetto d'Armida" - erano considerati dal Denina vere e proprie accademie letterarie. Nello scorcio apparentemente sereno di questa società letteraria - destinata a essere presto travolta dalle armate napoleoniche - che attingeva ancora alla cultura dell'Arcadia anche se non era immune da fremiti preromantici, si passavano piacevolmente le serate in eleganti conversazioni, si commentavano le novità letterarie, si improvvisavano versi. Il salotto di Bettina - come la chiamava affettuosamente I. Pindemonte - era il punto d'incontro di amici letterati di Verona - G. Pompei, A. Zamboni, E. Giuliari, il poeta Vittorelli di Bassano - e di uomini colti di passaggio, spesso molto noti come S. Bettinelli, C. Vannetti, Melchiorre Delfico, con i quali la C. intratteneva una fitta corrispondenza.

Una delle letture preferite nel salotto della C. era quella di Ariosto. Ella stessa componeva versi pastorali "canoramente limpidi e metastasiani" (Piromalli), ma più per diletto suo e degli amici che per ambizione di pubblicarli. A differenza di quelli di Paolina Grismondi, sua amica e corrispondente, e di Silvia Verza, i versi della C., benché non inferiori in quanto a stile, rimasero inediti. Anzi proprio per questo suo carattere schivo e riservato - ella non recitò mai, contrariamente alla moda del tempo - ebbe a lamentarsi col Vannetti che nel 1788, a sua insaputa, aveva spedito a Lucca. per farle stampare, alcune lettere a lui indirizzate da lei e da Silvia Verza. Ella lo rimproverava dicendogli che "altr'è lo scrivere lettere familiari colla sicurezza d'una onorata oscurità, altro è lo scrivere coll'incomodo pensiero che possano esser vedute d'altri occhi che non di que' degli amici". Concludeva invitando l'amico a ritirare dai torchi le lettere sue e della Silvia (da Verona, 4 ag. 1788: Rovereto, Bibl. civica).

Se avesse avuto ambizioni del genere, non le sarebbero certo mancati i mezzi. Nel 1788 fece stampare infatti a sue spese le Poesie campestri di Pindemonte - legato a lei da una trentennale sincera amicizia - offrendole alla contessa Teodora Pompei, cui le aveva promesse. Nella lettera di presentazione - riprodotta poi in ttitte le edizioni - individuava con gusto sicuro la qualità espressiva nuova di quei versi affermando che "il Pindemonte avrà fatto de' versi più robusti e più dotti, ma di più patetici, di più soavi, di più secondo il mio gusto non ne fece egli certo", e trovando inoltre in più luoghi "quella dolce melanconia, che tanto a me piace".

Nel giugno 1783 l'abate naturalista A. Fortis, avendo saputo dei prossimo viaggio a Verona dì A. Bertola De Giorgi gli raccomandava di andare a trovare la C., già da lui amata, sua "coltissima amica, alla quale siete noto e perché le ha molto parlato di voi il Pindemonte e perché molto ultimamente le ne ho parlato io" (da Imola, 11 giugno 1783: Forlì, Bibl. com., busta 1). In quella estate comincia l'amicizia e presto l'amore fra la C. e Bertola e ha inizio tra loro una lunga corrispondenza che avrà fine solo con la morte del Bertola.

Nel 1785 dalla loro relazione nacque Lauretta, terza figlia della C., chiamata nel carteggio "La preferita". Per Ticofilo - nome che Bertola aveva assunto in Arcadia - la C. scrisse molte canzoni e Bertola, oltre a vari componimenti inediti a lei ispirati, le dedicò IlCanto della sera che troviamo nel primo tomo degli Idilli. Ma presto l'abate "epicureo" si volse ad altri amori, trovando accoglienza tra le stesse amiche della C., la Grismondi e la Verza. Tuttavia il rapporto con la C. continuò, fondato come era su affinità e comuni interessi culturali, trasformandosi in una solida amicizia. Infatti la C. si faceva mediatrice attenta delle opere di Bertola - da lei spesso lette prima che venissero stampate - e perorava la causa dell'amico presso critici molto severi come Vannetti. Entrambi erano poi in corrispondenza con l'erudito abate filogiansenista G. C. Amaduzzi.

Rimasta vedova all'incirca verso il 1790, si lamentava con Melchiorre Delfico scrivendogli del "perpetuo ordine di brighe ed imbarazzi" che le avvelenavano la vita dopo la morte del marito. L'atmosfera a Verona intanto non era più idillica. La città era diventata centro di aggregazione di parecchi emigrati francesi: in una lettera del 10 marzo 1793 la C. scriveva a Bertola di "essere sempre attorniata da tanti infelici emigrati francesi, che fanno più triste la mia vita. Quante miserie non ha apportato mai questa calamitosa rivoluzione!". Nell'ultima lettera a Bertola, il 26 giugno 1797, dopo le Pasque veronesi, si può cogliere l'eco "delle più tremende vicende a cui è stata esposta la sconsigliata e infelice mia patria". Nell'estate del 1796 Pindemonte dovette abbandonare l'abituale residenza nella campagna veronese ad Avesa per sottrarsi alle continue incursioni delle truppe francesi e fu invitato dalla C. a Novare, sua residenza estiva. Da allora il poeta veronese fu solito passare i mesi estivi presso la "regina di Novare", come scherzosamente la chiamava. Ma anche Novare non fu sempre un posto sicuro e la C. dovette in seguito, per gli eventi della rivoluzione, abbandonare momentaneamente questa residenza, affidando l'ultima nata, Clementina, alla sorella monaca Francesca.

Il 17 maggio 1807 la C. moriva a Verona, dopo dieci mesi di malattia, per una "piaga interna dell'utero", assistita da I. Pindemonte e dalle figlie. A quel tempo Pindemonte stava scrivendo ISepolcri e dedicò alla sua amica più cara i vv. 356-409 della sua epistola. U. Foscolo non conobbe personalmente la C., sebbene fosse amico del genero di lei, Giovanni Scopoli, marito di Lauretta. Ma, alla lettura dei versi di Pindemonte, gli scrisse che "dopo i vostri lamenti [su Elisa]. Mia benvoglienza inverso lei fu quale / Più strinse mai di non vista persona".

Fonti e Bibl.: Fonte principale sono i numerosi carteggi della C. sparsi in varie biblioteche. Nella Bibl. com. di Forli, Raccolta carte di Romagna legate da C. Piancastelli, si conservano 176 lettere (1783-1797) della C. al Bertola. Nella Bibl. dell'Accademia di Elopatridi di Savignano sul Rubicone, Carteggio Amaduzzi-Veneti, cod. 28, ci sono 18 lettere della C. indirizzate all'abate. A Rovereto, nella Bibl. civ., si conserva l'epiatolario di C. Vannetti con lettere della C. a lui indirizzate. Nella Bibl. prov. di Teramo si trova un fascicolo di lettere indirizzate a M. Delfico dalla C., dalla Verza e da altri. Della nutrita corrispondenza con Pindemonte solo 4 lettere (1799-1083) della C. si conservano nella Comunale di Verona, (Mss., b. 40); A. Piromalli, A. Bertola nellaletter. del '700. Firenze 1959, pubblica versi inediti della C., che si trovano a Forlì, nel carteggio C. - Bertola, pp. 113-114, 170-175. Vedi inoltre: S. Bettinolli, Opere, Venezia 1799-1801, XVIII, p. 160 (con un sonetto di Bettinelli alla C. e uno di risposta della medesima); C. Vannetti, Opere, Venezia 1831, VI pp. 287-288 (con un sonetto della C. a Bettinelli); inoltre, a Forlì, nella cit. Raccolta Piancatelli, b. IV, fasc. 7, si trovano parecchi componim. di Bertola dedicati alla C.; I. Pindemonte le dedicò il Volgarizz. dell'Inno a Cerere, Bassano 1785; un'Epistola intitolata A E. Mosconi (1800), in Le epistole, i sermoni, le prose e le poesie campestri, Milano 1845, pp. 13-20; le terzine che iniziano "benché piena tu sii di cure e brighe" nel VI Anno poetico, Venezia 1788, pp. 5-9, e rist., con alcune varianti alle pp. 342-344, dei suoi Elogi di letterati, II, Verona 1866; e, nel medesimo volume, Scherzi latini e ital. composti nella villa di E. Mosconi in Valtolicella;G. Pompei dedicò ad "Elisa" due canzoni in Opere, Verona 1790-91, V, pp. 17-19, 23-27. Si può vedere infine: C. Maes, Invito a Lesbia Cidonia di Lorenzo Mascheroni e Memorie della Contessa Paolina Grismondi, Roma 1974, pp. 143 s., 146-147; U. Foscolo, Epistolario, II, a cura di P. Carli, Firenze 1952, p. 280; C. Vannetti, Poesie inedite, Milano 1836, pp. 198-199. G. Gasperoni, La storia e le lettere nella seconda metà del sec. XVIII, Iesi 1904, pp. LVI-LVII; Id.; Settecento italliano. Contr. alla storia della Cultura, I, 2, L'abate G. C. Amaduzzi, Padova 1941, p. 108, 268; Id., Scipione Maffei e Verona settecentesca, Verona, 1955, p. 303; N. Vaccalluzzo, Tradonne e poeti al tramonto della Serenissima, Catania 1930, pp. XIX-XX; A. Piromalli, Cultura e letteratura nel secondo Settecento, in Lettere italiane, IX (1957), I, pp. 33 ss.; N. F. Cimmino I. Pindemonte nella vita e nelle opere, I-II, Roma 1968, ad Indicem.

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