Emigrazione italiana

Dizionario di Storia (2010)

emigrazione italiana


Come fenomeno di massa l’e.i. all’estero ebbe inizio intorno al 1870. Si passò dalle 110.000 unità di media annuale alle 300.000 nell’ultima parte del secolo, per il richiamo esercitato dal mercato del lavoro statunitense, argentino e brasiliano. Fra 1880 e 1900 in Europa la meta preferita fu la Francia, seguita da Austria, Germania e Svizzera. Nel 1901 fu emanata una legge organica in materia e creato un Commissariato generale dell’emigrazione. L’e.i. aumentò ancora con una media annua (1900-14) di oltre 600.000 unità e con una punta di 873.000 nel 1913; rilevante nello stesso periodo, pur se più modesto, fu il numero dei rientri (150-200.000 all’anno), prevalentemente da Stati Uniti e Argentina. La guerra ridusse al minimo il movimento migratorio, che riprese negli anni del dopoguerra su livelli ridotti (ca. 200.000 fino al 1930, con una punta nel 1920 di ca. 600.000, e un’altra nel 1923-24), e poi in progressiva diminuzione, su livelli inferiori alle 100.000 unità, dal 1930 al 1940. In particolare fu l’emigrazione transoceanica a declinare notevolmente, soprattutto perché gli Stati Uniti promossero una politica contraria alle immigrazioni; il fenomeno migratorio italiano si indirizzò pertanto verso Paesi europei e in particolare verso la Francia, che divenne la meta preferita nel 1920-30. Con il fascismo il fenomeno migratorio si ridusse drasticamente. Dopo la Seconda guerra mondiale emerse ancora di più lo squilibrio interno tra popolazione e capacità produttiva, e ciò determinò una netta ripresa del fenomeno migratorio. L’e.i. transoceanica (Stati Uniti, Argentina, Canada, Australia, Venezuela, Brasile) nel periodo postbellico ebbe un certo incremento, assorbendo il 30% degli espatri, ma ben più imponente fu quella intraeuropea, che interessò circa 5.500.000 persone (soprattutto verso la Repubblica federale di Germania, la Francia, il Belgio, la Gran Bretagna, la Svizzera). Nel corso dei 40 anni successivi al conflitto si contarono 8.200.000 espatri (cresciuti negli anni 1950, fino al picco del 1961 di 400.000 unità), diminuiti nei primi anni Settanta, in coincidenza della recessione che colpì i Paesi più industrializzati. Contemporaneamente aumentarono i rientri, che nel corso del decennio 1970 superarono le partenze. Infatti dall’inizio degli anni Settanta l’e.i. praticamente cessò e dal 1980 la tendenza si è invertita drasticamente ponendo l’Italia di fronte a un fenomeno opposto, quello dell’immigrazione. Il succedersi nel tempo di flussi migratori di diversa portata ha determinato l’insediamento di collettività italiane nei diversi Paesi di destinazione, quantificabili nel loro complesso (escludendo naturalizzati e oriundi) in circa 4.000.000 di persone. La loro importanza per lo sviluppo economico, politico e sociale di molti Paesi (e per il Paese e le regioni di origine con l’invio delle rimesse e anche, a volte, con il rientro di personale meglio qualificato) è stata rilevante. Altrettanto lo sono stati i problemi di integrazione con la popolazione e con gli ordinamenti politici e giuridici del Paese. La tradizionale eccedenza fra gli emigrati degli uomini si è sensibilmente attenuata per effetto di una maggior propensione ai ricongiungimenti familiari e della crescente partecipazione delle donne alle attività lavorative. La composizione per età rivela notevoli differenze tra gli immigrati nelle Americhe, dove gli anziani sono numerosi, gli immigrati nei Paesi afro-asiatici, dove prevalgono gli adulti, e gli immigrati nei Paesi europei, dove è consistente il numero dei giovani e dei bambini. Le aree italiane più interessate dall’e.i. sono state quelle del Mezzogiorno continentale (in particolare Campania e Calabria), della Sicilia, del Veneto e del Friuli, dalle quali è partita per lo più manovalanza generica che si è diretta verso altri Paesi europei, le Americhe e l’Australia, e ha trovato prevalente occupazione nell’industria metalmeccanica, nell’edilizia, nei trasporti e nell’attività alberghiera. Gli emigrati provenienti da altre regioni sono stati meno numerosi: in genere si è trattato di operai specializzati e di dirigenti di imprese italiane in Paesi africani e asiatici.

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