LAVAGNINO, Emilio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

LAVAGNINO, Emilio

Paola Nicita Misiani

Nato a Roma il 22 ag. 1898 da Paolo e da Enrica Mucciarelli, il L. compì gli studi liceali presso il collegio militare e fu ufficiale di artiglieria durante la prima guerra mondiale. Iscrittosi alla facoltà di lettere dell'Università degli studi di Roma, si laureò nel 1921 con A. Venturi, con una tesi in storia dell'arte; e sempre a Roma proseguì i suoi studi con una borsa di studio presso la Scuola di perfezionamento. Nel 1922-24 comparvero i suoi primi saggi storico-critici, pubblicati sulla rivista di Venturi, L'Arte, di cui curò anche il Bollettino bibliografico.

Sono di questo periodo: Di alcuni affreschi inediti della scuola di Raffaello, XXV (1922), pp. 181-187; Pittori pisani del secolo XIV, XXVI (1923), pp. 33-43, 72-85; L'architetto di Sisto IV Baccio Pontelli, XXVII (1924), pp. 4-13; Andrea Bregno e la sua bottega, ibid., pp. 247-263. Contemporaneamente, e anche negli anni seguenti, fu impegnato nell'impresa delle succinte ma essenziali monografie "Le chiese di Roma illustrate", pubblicate per iniziativa di C. Galassi Paluzzi dall'Istituto nazionale di studi romani. Sono suoi i volumi su S. Paolo sulla via Ostiense (1924), S. Maria del Popolo, S. Pietro in Montorio (1925). Quelli su S. Maria Maggiore, su S. Onofrio al Gianicolo (1930) e su S. Lorenzo in Lucina (1931) furono scritti in collaborazione, il primo con V. Moschini, gli ultimi due con L. Huetter.

Nel 1926 entrò nell'amministrazione dell'Antichità e belle arti come ispettore aggiunto e venne assegnato alla soprintendenza alle Gallerie di Palermo, dove rimase per un anno.

In questo breve periodo approfondì il tema dell'influenza della pittura spagnola su quella siciliana del XV secolo: Le pitture di S. Maria di Gesù presso Palermo, in Bollettino d'arte, VI (1926-27), pp. 404-420 e pubblicò uno studio originale sull'Oreficeria del Quattrocento in Sicilia per la rivista di U. Ojetti, Dedalo, VIII (1927-28), pp. 314-320.

Nel 1927 venne trasferito alla soprintendenza all'Arte medievale e moderna di Napoli, dove rimase fino al 1929, partecipando in modo decisivo all'intervento di restauro, diretto dal soprintendente G. Chierici insieme con R. Filangieri, della chiesa di S. Gennaro extra Moenia, con la scoperta - fra le più importanti d'arte paleocristiana in quegli anni - della basilica del V secolo.

Di questo restauro, dell'indagine storica e stratigrafica, il L. ha lasciato esaurienti studi pubblicati nel Bollettino d'arte: I lavori di ripristino nella basilica di S. Gennaro extra Moenia a Napoli, VIII (1928-29), pp. 145-166; Osservazioni sulla topografia della catacomba di S. Gennaro a Napoli, IX (1929-30), pp. 337-354.

Nel marzo 1929 il L., già da un anno promosso ispettore, venne trasferito alla soprintendenza ai Musei e gallerie di Roma. Nel 1933 fu incaricato della direzione dell'Ufficio esportazione di Roma e nello stesso anno assunse l'incarico della direzione della Galleria nazionale d'arte antica e dell'annesso Gabinetto disegni e stampe. Nel 1935 fu promosso direttore di seconda classe, per concorso.

In questi anni produsse numerose pubblicazioni di argomento romano, dalle relazioni di restauro alla guida sulla Galleria Spada pubblicata per la collana "Itinerari di musei e monumenti d'Italia", all'indagine storico-critica sull'architettura del palazzo di Venezia, di cui il L. attribuì la paternità a Giuliano da Maiano, allo studio dell'opera di Pietro Cavallini, pubblicato nel 1925, poi ripreso e approfondito nel secondo dopoguerra, in cui evidenziava la pienezza classica e la libertà da ogni convenzionalismo orientaleggiante nell'opera del pittore. Si vedano: Pietro Cavallini, in Roma, III (1925), pp. 305-392; La Galleria Spada, Roma 1933; L'architettura del palazzo Venezia, in Riv. d'archeologia e storia dell'arte, V (1935), pp. 128-177; I restauri della pittura nell'abside della chiesa di S. Gregorio Nazianzeno in Roma, in Bollettino d'arte, XXXII (1938), pp. 54-64; Pietro Cavallini, Roma 1953; Cavallini, Pietro, in Enc. universale dell'arte, III, Roma 1958, pp. 234-237.

Nel 1936 pubblicò con l'UTET (2a ed., 1960) una monografia sulla Storia dell'arte medioevale italiana, dall'età paleocristiana al Trecento, in cui, pur mantenendo una suddivisione della materia tradizionale, che si rifaceva ai volumi di P. Toesca, presentava alcune osservazioni originali.

Tuttavia, mentre il L. produceva sul piano scientifico una ricca bibliografia, la sua carriera subì un arresto, in seguito alla nomina, nell'agosto 1938, a ispettore centrale di seconda classe per l'insegnamento medio, con la quale era escluso dall'amministrazione delle Belle arti.

In conseguenza della stretta totalitaria avviata dal regime fascista dal 1938 e intensificata dopo lo scoppio della guerra, il L. era finito nella rete investigativa della polizia, come è confermato dalla lettera del 10 dic. 1942 inviata dal capo della polizia C. Senise al ministro dell'Educazione nazionale G. Bottai, in cui si informava che il funzionario L. continuava a mantenere rapporti epistolari con lo storico dell'arte G. De Logu, tra gli animatori del gruppo degli antifascisti fuorusciti di Zurigo (Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 1699, f. De Logu Giuseppe).

Proprio in questo periodo così critico per la sua carriera, il L. rivelò il suo coraggio e la sua passione civile nell'opera di salvataggio del patrimonio artistico nazionale. Durante la seconda guerra mondiale, si assunse la responsabilità di trasferire a Roma e portare in salvo in Vaticano circa 700 casse contenenti migliaia di opere d'arte dislocate in depositi situati in prossimità della linea del fronte. Le trattative con la segreteria di Stato vaticana erano state avviate, già prima dell'armistizio, da G.C. Argan e dal L., incaricato dal soprintendente A. De Rinaldis.

Consapevole che dopo l'8 settembre non vi erano misure di protezione sicure contro bombardamenti, saccheggi e trafugamenti da parte dei Tedeschi, ottenne - sebbene ufficialmente collocato in pensione perché si era rifiutato di seguire al Nord il governo della Repubblica sociale italiana - i mezzi di trasporto e i permessi di circolazione per effettuare due spedizioni nei ricoveri delle Marche dove erano raccolti i dipinti più importanti delle gallerie di Venezia, Milano e Roma, nonché quelli delle Marche, e riuscì, grazie alla collaborazione del soprintendente delle Marche P. Rotondi, a portare in Vaticano un carico di circa duecento casse contenenti oltre trecento quadri di eccezionale valore (tra cui opere di Tiziano, Giorgione, Piero della Francesca, Raffaello, nonché l'intero tesoro della basilica di S. Marco).

Gli interventi del L. per il recupero delle opere d'arte continuarono numerosi tra il gennaio e il maggio 1944. Setacciò tutto il Lazio, spingendosi anche in regioni esposte ai bombardamenti, organizzando la protezione delle opere non removibili e predisponendo quelle da portare in Vaticano, come quelle provenienti da Genazzano, dove erano raccolte le opere dei musei romani, da Viterbo e da molte altre città e paesi del Lazio. Si veda: Quadri delle chiese di Fondi ospiti in Vaticano, in Ecclesia, III (1944), pp. 27 s.; Migliaia di opere d'arte rifugiate in Vaticano, in Strenna dei romanisti, VII (1946), pp. 82-88; Diario di un salvataggio artistico, in Nuova Antologia, CIX (1974), 521, pp. 509-547, con presentazione di B. Molajoli. Un grandissimo servizio reso dal L., per il quale sarebbe stato insignito, nel 1954, della medaglia d'oro dei benemeriti della cultura e dell'arte.

Nel periodo 1944-45 riprese la sua attività presso il ministero della Pubblica Istruzione, e in questa fase di transizione venne avanzata la sua candidatura come direttore generale delle Antichità e belle arti: l'incarico fu poi affidato a R. Bianchi Bandinelli.

Dopo la guerra, il L. ebbe un ruolo di primo piano nell'elaborazione delle linee programmatiche della ricostruzione come rifondazione del rapporto tra cultura e società, prendendo parte all'attività svolta per la salvezza del patrimonio artistico nazionale da parte del mondo laico riformatore che trovò spazio in associazioni e riviste di politica culturale. Al centro di questa opera si colloca l'Associazione nazionale per il restauro dei monumenti italiani danneggiati dalla guerra, di cui fu tra i fondatori con l'archeologo U. Zanotti Bianco.

L'Associazione, nata a Roma nel 1944 per volontà di un gruppo di studiosi sul modello di analoghi comitati internazionali non governativi, e sostenuta da B. Croce e da Bianchi Bandinelli, si proponeva di raccogliere fondi per eseguire restauri di edifici monumentali, per mezzo di esposizioni, pubblicazioni, conferenze, coinvolgendo nell'opera di ricostruzione del paese tutta la cittadinanza, secondo un'idea "partecipata" della cultura. Alla sua attività sono legate due iniziative importanti: la "Mostra d'arte italiana a palazzo Venezia", tenutasi a Roma nel 1945, che costituì la prima iniziativa culturale organizzata dopo la guerra completamente da italiani, e la pubblicazione di un volume da lui curato su cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra, pubblicato a Roma in inglese (Fifty war damaged monuments of Italy) nel 1946 e quindi in traduzione italiana nel 1947. Già nel febbraio 1945, dalle pagine del settimanale La Nuova Europa il L. nell'articolo Restauro dei monumenti danneggiati dalla guerra, aveva lanciato un vero e proprio appello, chiamando a raccolta le forze intellettuali del paese per salvare "queste vittime veramente innocenti delle guerra", nel timore che dopo la tragedia si sarebbero operati tagli feroci nel corpo delle città italiane (p. 11).

L'attenzione al restauro del patrimonio artistico fu un tema a cui si dedicò con grande impegno negli anni del dopoguerra, a partire dal complesso restauro del tempio Malatestiano di Rimini, gravemente danneggiato dai bombardamenti, che presentava la fronte inclinata in avanti.

Anziché consolidare il monumento con queste deformazioni, il L. decise di smontare il paramento della fronte e quello della maggior parte dei fianchi, per riportarli al livello originario: Restauro del tempio Malatestiano, in Bollettino d'arte, XXXV (1950), pp. 176-184.

Nel dopoguerra il L. riprese anche le sue ricerche di carattere storico-artistico. Nel 1956 raccogliendo un materiale vastissimo, pubblicò in due volumi riccamente illustrati L'arte moderna dai neoclassici ai contemporanei, che uscì nella collana di "Studi dell'arte classica italiana" della UTET (Torino 1956).

I volumi si presentano come una guida all'arte moderna, dalla reazione al barocco fino alle esperienze astratte contemporanee. Importante appare la trattazione, ampia e organica, della storia dell'architettura italiana, con spunti originali sull'architettura in ferro e sull'illustrazione di parchi e giardini. Il L. ricostruì il panorama artistico dell'Ottocento italiano, fornendo di monumenti, dipinti, sculture un inquadramento storico, che li toglieva dall'anonimato e permetteva di sottolinearne la ricca varietà di forme e di maniere. Più che nella ricostruzione delle singole personalità, si concentrò soprattutto sulla fenomenologia dei fatti artistici, mettendo in rapporto l'evoluzione delle forme con la crisi della civiltà tradizionale e indicando nell'architettura industriale alcuni aspetti di quella che riteneva sarebbe stata l'architettura futura delle case degli uomini.

Tra gli apporti più interessanti dei volumi sono le pagine sull'architettura neoclassica, la cui origine viene rintracciata in quella reazione antibarocca, neorinascimentale, già affermatasi durante il Settecento, e che viene messa in rapporto con il ritorno al valore urbanistico degli edifici, riconosciuti come il prodotto migliore della stagione illuministica. L'interesse per la cultura neoclassica, riflesso in questo studio, trova piena corrispondenza nelle ricerche che già da qualche anno il L. stava conducendo su questi temi, e in particolare sull'opera di A. Canova. È del 1957 il suo intervento su La "conversione" del Canova per il convegno Arte neoclassica, in cui mantenendosi entro una visione critica di tradizione ancora romantica, sottolineava la presenza di due linguaggi diversi nell'artista, corrispondenti alla lingua parlata nei bozzetti e a quella usata nella traduzione dell'opera (Atti del Convegno… 1957, Venezia 1964, pp. 173-183).

Questa imponente attività di ricerca scientifica si accompagnava a quella non meno importante di carattere istituzionale come funzionario delle Belle Arti. Nel giugno 1952 era stato trasferito alla soprintendenza alle Gallerie e alle opere dell'arte medioevale e moderna del Lazio, come soprintendente di seconda classe. Un anno più tardi, nel marzo 1953 fu promosso soprintendente di prima classe, e in questo ruolo rimase per circa dieci anni.

Sin dal 1952, e con grande impegno, affrontò la difficile questione della riforma dei musei romani, e in particolare quella della ricostituzione della Galleria nazionale d'arte antica in Palazzo Barberini, il cui allestimento era stato ostacolato dall'insediamento del circolo delle forze armate. Per tenere vivo l'interesse intorno al destino dell'importante galleria italiana e ottenere la disponibilità degli ambienti, organizzò con l'aiuto del direttore N. di Carpegna le quattro mostre romane delle opere che non avevano ancora trovato spazio nella nuova sede: "Mostra dei fiamminghi e olandesi del '600", 1954-55; "Caravaggio e i caravaggeschi", 1955; "Paesisti e vedutisti a Roma nel '600 e nel '700", 1956; "Pittori napoletani del '600 e del '700", 1958.

Questa sua attività di organizzatore di mostre e di musei non diminuì la sua cura per l'incremento delle raccolte dello Stato: accolse la donazione della collezione di dipinti settecenteschi di D. Sursock, duca di Cervinara, che fu destinata proprio alla Galleria di Palazzo Barberini. Il lascito, che era costituito da uno scelto gruppo di dipinti dei secoli XVII-XVIII, dava modo di conoscere un importante capitolo della storia pittorica del Settecento francese, poco presente nelle raccolte pubbliche italiane (I quadri italiani e francesi della collezione del duca di Cervinara, Roma 1962).

Un altro suo impegno di particolare rilevanza fu quello dell'istituzione e riallestimento dei musei comunali e diocesani del Lazio (Viterbo, Gaeta, Rieti, Velletri), che rientrava nel quadro organico delle iniziative che il L. aveva avviato nel dopoguerra insieme con alcuni funzionari della soprintendenza alle Gallerie del Lazio (C. Maltese, I. Faldi, L. Mortari, L. Salerno, I. Toesca), procedendo, provincia per provincia, alla sistematica ricognizione del patrimonio artistico del territorio, al suo restauro, alla sua documentazione e a una sua più aggiornata valutazione critica.

Gli anni del dopoguerra videro il L. impegnato anche nella promozione di una serie di esposizioni ideate all'insegna di un'apertura della cultura italiana alle vicende artistiche internazionali e di un progetto di conoscenza e valorizzazione del comune patrimonio di civiltà europea, base per una politica di integrazione culturale tra i diversi paesi.

Nel 1952 fu tra i promotori della mostra sul Medioevo italiano, ospitata al Petit-Palais di Parigi, organizzata nel quadro degli accordi culturali italo-francesi (Trésors d'art du Moyen Âge en Italie, Paris 1952). Seguirono poi altre mostre su temi importanti, organizzate a Roma, al palazzo delle Esposizioni e nelle sale del Museo del Palazzo di Venezia: nel 1955 la "Mostra di capolavori della pittura francese dell'Ottocento", da J.-L. David a P. Cézanne; nel 1956, la mostra dedicata al "Seicento europeo", di cui seguì la sezione italiana; nel 1959 fu segretario generale della mostra "Il Settecento a Roma" (palazzo delle Esposizioni) che, nata dalla collaborazione di studiosi europei, costituì un'illustrazione monumentale della civiltà e del costume del Settecento romano. Nel 1961, curò la sezione italiana della mostra sul romanico, organizzata in Spagna, approfondendo il rapporto tra l'antichità classica e l'arte romanica (El arte románico, Barcelona-Santiago de Compostela 1961).

Dai suoi vasti studi traspare un approfondimento delle vicende storico-artistiche di Roma e del Lazio.

Nel 1959 il suo interesse per il barocco romano e per l'unità linguistica delle arti trovò spazio nel volume Altari barocchi in Roma portato a termine con la collaborazione di G.R. Ansaldi - L. Salerno (Roma). Nel 1962 pubblicò la sua ultima opera importante su La chiesa di S. Spirito in Sassia e il mutare del gusto a Roma al tempo del concilio di Trento, che, corredato di un prezioso materiale iconografico, in parte inedito, proponeva un nuovo approccio di ricerca sull'età del manierismo a Roma, mettendo in luce quel contesto di idee e linguaggi artistici che dietro impulso del concilio di Trento aveva cambiato il gusto e il volto della città (Roma 1962). A questo filone di ricerca appartiene anche lo studio sul ciborio del salone sistino dell'ospedale di S. Spirito, attribuito dal L. ad Andrea Palladio, pubblicato nel Bollettino del Centro internazionale di studi d'architettura A. Palladio, II (1960), p. 133.

L'ultima opera alla quale il L. si dedicò con passione e coraggio fu il restauro, affidato a P. Cellini, della finta cupola prospettica di S. Ignazio dipinta da Andrea Pozzo, che, danneggiata nel 1891, era stata da allora nascosta da un velario (Il restauro della cupola di S. Ignazio, in Studi romani, X [1962], pp. 144-150).

Il L. morì il 12 apr. 1963 a Ginevra.

Fonti e Bibl.: G. Castelfranco, E. L., in Bollettino d'arte, s. 4, XLVIII (1963), pp. 386-388; C. Maltese, In memoriam. E. L., in Musei e gallerie d'Italia, VIII (1963), pp. 27-29; G.C. Argan, Ricordo di L., in Il Messaggero, 13 maggio 1963. Si veda anche la recensione a L'arte moderna dai neoclassici ai contemporanei di E. Battisti, L'arte di Strapaese, in Il Mondo, 16 ott. 1956. Riguardo alla vicenda del salvataggio delle opere nella seconda guerra mondiale, si veda la ricostruzione letteraria nel romanzo della figlia Alessandra, nata dal matrimonio con Angela Lattanzi (1924), Le bibliotecarie di Alessandria, Palermo 2002.

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