LONGONI, Emilio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LONGONI, Emilio (Eugenio Emilio)

Paola Pietrini

Figlio di Matteo, maniscalco ed ex garibaldino, e di Luigia Meroni, sarta di origini contadine, nacque il 9 luglio 1859 a Barlassina, nel Milanese.

Quarto di dodici figli ebbe una difficile infanzia, ricordata dal L., con lucidità e dovizia di particolari, nella sua autobiografia, redatta sul finire degli anni Dieci (in Mostra di E. L., pp. 112-120, e in Ginex, 1995, pp. 372-377, nella versione dattiloscritta dalla moglie del pittore Fiorenza De Gaspari).

Le precarie condizioni economiche della famiglia indussero il padre a portare il L., ancora adolescente, a Milano per cercargli un lavoro. I primi anni trascorsi in città furono molto duri per il L., che i genitori dapprima affidarono a un sensale di vini, e infine, dopo altre tristi esperienze lavorative, grazie alla sua insistenza, decisero di mettere a bottega dal pittore milanese Faustino Colombo, autore soprattutto di cartelloni per le piazze. Fu Colombo a indurre il L. a iscriversi all'Accademia di Brera, dove frequentò, con ottimo rendimento, dapprima i corsi serali e poi quelli regolari, dal 1876 al 1880, avendo per insegnanti, tra gli altri, G. Bertini e R. Casnedi. Tra i compagni lo stesso L. ricorda G. Segantini, M. Quadrelli, G. Sottocornola, E. Bazzaro e altri ancora. Sempre a Brera il pittore conobbe il suo primo committente, l'ebanista C. Bugatti, per il quale decorò con nature morte pannelli lignei per mobili. Oltre a questo lavoro il L., per mantenersi, dipingeva giocattoli e realizzava ritratti partendo da fotografie, spesso in collaborazione con studi fotografici, che proponevano ai propri clienti anche la riproduzione a olio del ritratto ottenuto per via meccanica. In quegli stessi anni entrò nell'ambito culturale della Famiglia artistica, alle cui attività partecipò poi per diverso tempo.

La sua prima produzione pittorica, rappresentata essenzialmente da ritratti di familiari e conoscenti e da paesaggi, risentiva ancora della formazione accademica e vi predominavano i toni scuri; la tecnica utilizzata era ancora quella a impasto. Risalgono a questo periodo opere quali i due ritratti della sorella Ester, entrambi del 1878 (collezione privata: ripr. in Ginex, 1995, p. 132) e quello della sorella più piccola Ernestina, anch'esso del 1878 (collezione privata: ripr. ibid., p. 133), oltre al ritratto di Luigia Calvasina Romanò (1878) e a quello di Giuseppe Romanò (1879), i due coniugi che furono maestri elementari del pittore (ambedue a Milano, Pinacoteca Ambrosiana).

L'esordio espositivo del L. risale al 1880, quando presentò a Brera Interno di una stalla: studio dal vero e Paesaggio (entrambi di ubicazione ignota). Le due opere non ebbero il riconoscimento critico auspicato dal L., che, in condizioni economiche sempre più precarie e deluso per un amore non corrisposto, decise di recarsi a Napoli, dove giunse agli inizi del 1881, sperando di poter entrare nella scuola di D. Morelli. Il maestro lo indirizzò invece verso l'Accademia di belle arti, alla quale il L. si iscrisse; ma l'assoluta necessità di lavorare per poter sopravvivere gli impedì di frequentarne assiduamente i corsi. Il L. si trovò nuovamente a fare i lavori più disparati, dal verniciare bastimenti o pali del telegrafo al fare l'imbianchino o il decoratore, mestieri questi ultimi che continuò a esercitare anche una volta tornato a Milano, già nell'estate seguente.

Agli inizi del 1882 il L. incontrò nuovamente Segantini, il quale lo presentò ai fratelli Alberto e Vittore Grubicy de Dragon, che svolgevano con la propria galleria una importante opera di mecenatismo nei confronti di giovani artisti emergenti, fornendo loro anche stimoli culturali per un aggiornamento sui coevi orientamenti dell'arte europea. Iniziò quindi un fruttuoso periodo di collaborazione artistica tra il L. e Segantini. I due pittori, sostenuti economicamente dai Grubicy, soggiornarono dapprima a Pusiano, in Brianza, e poi a Carella, sul lago di Segrino, continuando a dipingere scegliendo, nonostante la stretta vicinanza, un proprio personale ambito di ricerca espressiva: il L. realizzò soprattutto nature morte e raffigurazioni di teste a olio, mentre Segantini privilegiò il paesaggio. Ma il sodalizio era destinato a interrompersi in modo piuttosto brusco, già nel 1884, quando il L. non riuscì più ad accettare che sue opere venissero attribuite da Vittore Grubicy a Segantini. Il gallerista, infatti, con una clausola contrattuale si era riservato il diritto di firmare o siglare a propria scelta i dipinti dei due artisti e abusò di tale diritto per favorire Segantini. Ancora tra il 1882 e il 1883 e attraverso i Grubicy, il L. ricevette, da parte dell'industriale tessile Carlo Dell'Acqua, la commissione di realizzare una serie di ritratti di bambini e fanciulli e di nature morte, di uguale formato e di piccole dimensioni, per la propria villa di Legnano.

I volti infantili, estremamente espressivi, risentono stilisticamente dell'esperienza napoletana e dimostrano, in particolare, un'approfondita conoscenza dell'opera di A. Mancini. Lo studio del dato reale è il punto di partenza per l'elaborazione di tali piccole teste, così come avviene per le nature morte, nelle quali la strutturazione dell'immagine diviene, rispetto alla produzione precedente, più ricercata e consapevole e l'uso del colore ha una maggiore consistenza materica, mentre la tavolozza si accende di nuove cromie.

Agli inizi del 1885 il L. si trasferì a Ghiffa, sul lago Maggiore, nella villa di Giovanni Torelli, dove ebbe modo di frequentare, tra gli altri, Pietro e Paolo Troubetzkoy, Leonardo Bazzaro, Luigi Conconi e Daniele Ranzoni, e di confrontarsi quindi con la più aggiornata cultura scapigliata. A testimonianza del lavoro svolto presso Torelli resta la tela Allegoria della Primavera (collezione privata: Ginex, 1995, p. 166). Il soggiorno a Ghiffa si interruppe nel marzo 1886, quando il L. si sentì ingiustamente sospettato di un furto avvenuto nella villa. Tornato a Milano il L. riuscì per la prima volta a prendere in affitto un locale al piano terreno al n. 45 di via Stella (oggi via Corridoni), che divenne per lui studio e abitazione, che poi trasferì definitivamente, nei primi anni Novanta, all'ultimo piano dello stesso edificio. Per potersi mantenere il L. prese a produrre copie dei dipinti antichi conservati nella Pinacoteca di Brera, attività già svolta durante gli anni trascorsi all'Accademia, e iniziò a impartire lezioni di pittura. Ancora nel 1886, per tramite dei Grubicy, il L. ricevette l'incarico di realizzare alcune nature morte per Giuseppe Treves, fratello dell'editore Emilio, e in occasione di tale commissione - cui prese parte anche Segantini con sei nature morte - furono probabilmente realizzate le due tele conservate presso la Galleria civica d'arte moderna di Milano dai titoli Cocomeri e poponi (1886) e Gamberi e fiaschi (1886), unitamente a una Natura morta con funghi dello stesso anno in collezione privata (ibid., p. 75).

Sul finire degli anni Ottanta, il L. iniziò in modo più sistematico la sua attività di ritrattista, soprattutto per gli ambienti aristocratici milanesi, avvalendosi ancora, in alcuni casi, del ritratto fotografico come modello (Ginex, 1990). Contemporaneamente, non volendo più legarsi a un mercante o a un gallerista, il L. riuscì a creare un rapporto diretto con alcuni collezionisti privati, che divennero suoi committenti e mecenati, tra i quali l'industriale chimico Pietro Curletti (che dal 1906 gli assegnò anche un vitalizio) e l'imprenditore Ignazio Grün. Fu lo stesso Curletti ad acquistare uno dei dipinti più noti del L., Chiusi fuori scuola (Milano, Pinacoteca Ambrosiana), presentato a Brera nel 1888.

Tale opera, stilisticamente ancora vicina alla pittura di genere, vide l'artista nuovamente impegnato, con sensibilità e partecipazione, nella rappresentazione dell'infanzia, così come avvenne nella Piscinina del 1889-90 (collezione privata: Ginex, 1995, p. 77), esposta alla I Triennale di Brera nel 1891 insieme con Paesaggio: sole d'inverno (collezione privata: ibid., p. 186) e L'oratore dello sciopero del 1890-91 (collezione privata: ibid., p. 82).

Con quest'ultima opera il L. iniziò la personale sperimentazione della tecnica divisionista, che proseguì durante tutto il proprio percorso artistico, conducendo sempre la ricerca su base più empirica che scientifica, servendosi di una pennellata talvolta data con piccoli tocchi, talvolta più allungata e filamentosa, e con una maggiore evidenza materica, a seconda del soggetto trattato e delle esigenze espressive. L'oratore dello sciopero costituisce inoltre l'avvio della produzione longoniana di più consapevole e polemico impegno sociale, della quale fanno parte dipinti come Già ladro (1894 circa di ubicazione ignota: ibid., p. 201) e Le riflessioni di un affamato (Biella, Museo civico), presentato nel 1894 alla seconda edizione della Triennale. Per tale opera, riprodotta sul foglio socialista La lotta di classe del 1° maggio, il L. fu denunciato per istigazione all'odio di classe e fu etichettato come pittore degli anarchici.

Il L. era dotato di una coscienza viva e pronta a recepire gli spunti di riflessione che l'ambiente circostante poteva offrire alla sua arte e aveva così sviluppato una maggiore attenzione nei confronti del disagio sociale sia risentendo del clima di malcontento e agitazione che si andava diffondendo a Milano nel corso degli anni Novanta, sia grazie alle frequentazioni che proprio in quegli anni divennero per lui abituali. Il pittore infatti instaurò una duratura amicizia con Gustavo Macchi, che lo indirizzò verso la lettura dei testi di K. Marx, F. Nietzsche e A. Schopenhauer, e con il poeta operaio Pompeo Bettini, che riuscì anche a fargli avere una collaborazione come illustratore ai periodici milanesi di ispirazione socialista Lotta di classe e Almanacco socialista, durata dal 1893 al 1898.

In quegli stessi anni, il L. iniziò a frequentare, introdottovi dall'amico Giuseppe Mentessi, il circolo culturale di ispirazione socialista che spesso si riuniva nell'abitazione milanese dell'avvocato Luigi Majno e di sua moglie Ersilia Bronzini, del quale circolo facevano parte, tra gli altri, Ada Negri e Filippo Turati.

Nel corso degli anni Novanta le opere di tematica sociale e umanitaria erano affiancate da paesaggi, realizzati con tecnica divisionista e ripresi soprattutto nei sobborghi di Milano, dove il L. era solito recarsi per dipingere all'aperto. E ancora, da opere di intonazione intimista, come le due versioni di Debutto in famiglia (entrambe di ubicazione ignota: ibid., pp. 211, 213) e Melanconie (1895: Milano, Galleria civica d'arte moderna), per giungere poi, sul finire di tale decennio, a opere di più evidente ispirazione letteraria e simbolica, quali Mattino: primavera o Primavera della vita del 1899 (collezione privata: ibid., p. 117) e Sola! (1900: Milano, Casa di lavoro e patronato per i ciechi di guerra di Lombardia), con cui partecipò, nel 1900, all'annuale mostra di belle arti di Brera, dove venne acquistata dalla regina Margherita. Contenuti simbolici vennero allora inseriti anche nei dipinti di paesaggio, come avviene nella Pecorina ammalata (1902: Buenos Aires, Museo nacional de bellas artes) e nel Suono del ruscello (collezione privata: ibid., p. 254), esposto alla Biennale di Venezia del 1903, in una sala destinata ai dipinti rifiutati dalla giuria di ammissione.

Di tale opera l'artista realizzò una seconda versione dal titolo analogo - La voce del ruscello (collezione privata: ibid., p. 97) - con la quale ottenne la medaglia d'argento all'Esposizione universale di Saint-Louis del 1904.

Nella seconda metà degli anni Novanta il L. si cimentò inoltre nella realizzazione di opere di tematica religiosa, che testimoniano stilisticamente la conoscenza da parte del pittore dell'arte preraffaellita. Tra queste gli affreschi, eseguiti nel 1897, nella cappella funeraria della famiglia Piatti nel cimitero di Velate, dei quali sono ancora visibili in loco un Angelo del dolore e una Crocifissione. Ugualmente di soggetto sacro sono le due opere che si trovano presso il cimitero Monumentale di Milano, nell'edicola Comelli-Cimbardi: il mosaico con l'Angelo della speranza (1898-99) e la tela Preghiera (1899-1900).

L'inizio del nuovo secolo segnò un momento di svolta per il L., che trovò nel buddismo un nuovo referente spirituale e culturale e iniziò a soggiornare per alcuni mesi in alta montagna, soprattutto nei pressi del Bernina e del Disgrazia, risiedendo in una baita smontabile di legno - per anni poi rimontata attorno al letto nell'abitazione di Milano - e vivendo in condizioni assai disagiate, a diretto contatto con una natura intatta e aspra e con i montanari che talvolta gli fornivano il cibo.

Il L. riportava da tali soggiorni studi dal vero che rielaborava una volta tornato in città, scegliendo con cura l'inquadratura migliore e prediligendo per la stesura finale dell'opera il grande formato. Il paesaggio divenne da allora in poi soggetto predominante nella produzione del L., con risultati di grande potenza espressiva, ottenuta tramite una semplificazione delle forme e una rara capacità nel rappresentare gli effetti atmosferici e luminosi, come ben dimostra l'opera Ghiacciaio (collezione privata: ibid., p. 102). Il dipinto fu presentato, nel 1906, all'Esposizione nazionale di belle arti di Milano, dove vinse il premio Principe Umberto, rifiutato dall'artista, insieme con il compenso in denaro a esso correlato, in aperta polemica con le commissioni accademiche e con i criteri che ne regolavano l'operato, così come aveva già fatto nel 1891, quando non aveva accettato il diploma d'onore conferitogli dall'Accademia di Brera. Il gesto compiuto dall'artista inasprì ulteriormente i rapporti con l'ambiente accademico milanese e con i critici d'arte a esso vicini, contribuendo ad accreditare ancor più la sua fama di uomo solitario e orgoglioso. Frattanto il L. vedeva allargarsi la cerchia dei propri committenti; infatti a Curletti e Grün si aggiungevano Paolo Missiroli, Ambrogio Binda e Amedeo Cagnola, gli ultimi due conosciuti tramite Vittore Grubicy, con il quale era nuovamente in contatto sin dagli inizi del Novecento.

Dopo il 1908 il L. non espose a Brera per dieci anni, mentre continuò a essere presente, a Milano, alla Permanente, cui prese parte quasi ininterrottamente dal 1909 al 1917, per tornarvi poi nel 1929; a Roma, alla Società degli amatori e cultori di belle arti, dal 1913 al 1915, e alla I Biennale romana nel 1921; e, infine, a Venezia, alle Biennali, dal 1909 al 1914.

Gli anni Dieci videro il L. impegnato nella realizzazione di opere in cui i paesaggi di alta montagna sono protagonisti: Solitudine del 1910-11 (collezione privata: ripr. ibid., p. 108); Laghetto con rive in fiore (Torino, Galleria civica d'arte moderna e contemporanea) e Ghiacciaio (1912: Milano, Galleria civica d'arte moderna).

Sul piano tecnico e stilistico, il L. pose una sempre maggiore attenzione nel rappresentare gli effetti di luce, che acquisirono un ruolo preminente anche rispetto al soggetto. La forma assunse contorni sempre più evanescenti fin quasi a dissolversi; la pennellata divenne sempre più minuta, rendendo l'atmosfera vibratile; l'elaborazione dei dipinti diventò più lenta e laboriosa; l'artista iniziò a tornare più volte su uno stesso quadro.

Tra la fine degli anni Dieci e i primi anni Venti l'avanzare dell'età costrinse il L. a rinunciare ai suoi soggiorni in alta quota e a spostarsi nelle Prealpi bergamasche, in alta Brianza e sui laghi di Como e di Garda. Fu allora sempre meno presente in esposizioni pubbliche, mentre si fecero più stretti i rapporti con i suoi committenti.

La produzione degli ultimi dieci anni denota ancora la volontà di sperimentazione che aveva animato il rapporto del L. con la propria arte: egli, infatti, per ottenere una fusione del colore, rendendo così meno evidente il gesto pittorico, fece ricorso a un processo utilizzato nel restauro, quello della trasponitura, avvalendosi proprio della collaborazione di un restauratore, l'amico Alfredo Porta, per il passaggio dell'opera, solitamente ormai di piccole dimensioni, da un supporto a un altro, tramite l'applicazione di una fonte di calore sul retro della superficie dipinta (ibid., pp. 47 s.). Una volta tornato in studio, il L. interveniva talvolta nuovamente sulla tela ottenuta con la trasponitura, dando piccoli tocchi di colore o praticando delle graffiature, sempre al fine di esaltare gli effetti luce.

Il 13 febbr. 1928, dopo aver condiviso con lei tredici anni di vita, sposò Fiorenza De Gaspari, originaria di Tirano, conosciuta sin dal 1911 in casa Majno a Milano, città in cui la giovane donna, laureata in lettere, risiedeva lavorando come maestra.

Il L. morì il 29 nov. 1932 a Milano, e fu sepolto nel cimitero Monumentale.

Fonti e Bibl.: La Galleria d'arte moderna di Venezia. Catalogo, Venezia 1913, p. 69; E. L. (catal.), a cura di G. Botta, Milano 1935; C. Carrà, Artisti moderni, Firenze 1943, pp. 80-82; G. Nicodemi, Ricordo di E. L., in La Lettura, LIII (1943), 2, pp. 72-77; R. Simoni, Una storia d'amore (E. L.), in L'Illustrazione italiana, 28 dic. 1947, p. 470; Mostra omaggio a E. L. e del premio Barlassina… (catal., Barlassina), Milano 1959, pp. 5-17, tavv. pp. n.n.; T. Fiori, Archivi del divisionismo, Roma 1968, I, pp. 423, 511 s. e passim; II, pp. 130-133, 325-336; Galleria d'arte moderna. Opere dell'Ottocento. F-M, a cura di L. Caramel - C. Pirovano, Milano 1975, pp. 341 s.; Mostra di E. L. (catal.), a cura di M. Dalai Emiliani, Milano 1982; L. Caramel, L., Asnago, Vago: tre pittori di Barlassina, Milano 1987, pp. 9-92, 228 s.; Divisionismo italiano (catal., Trento), a cura di G. Belli et al., Milano 1990, pp. 82-99, 450; A.-P. Quinsac, Segantini, Fornara, L.: iter umano ed esperienza pittorica, ibid., pp. 52-63; G. Ginex, Fotografia e pittura nel laboratorio divisionista, in L'età del divisionismo, a cura di G. Belli - F. Rella, Milano 1990, pp. 236-238, figg. pp. 257-261; Id., in La pittura in Italia. L'Ottocento, II, Milano 1991, pp. 886 s.; L'Ottocento. Catalogo delle opere esposte.Galleria civica d'arte moderna e contemporanea. Torino, a cura di R. Maggio Serra, Milano 1993, pp. 344, 412; G. Ginex, E. L. Catalogo ragionato, Milano 1995 (con bibl.); Id., in M. Bianchi - G. Ginex, Aspetti del collezionismo nel Ticino…, Lugano 1996, pp. 169-171; M. De Stasio, Antiquaria: riappare dipinto di L. scomparso dal 1910, in L'Unità, 10 nov. 1996; F.P. Rusconi, in Pittura in Lombardia. L'Ottocento e il Novecento, a cura di L. Capano, Milano 2001, pp. 68 s.; G. Ginex, E. L. Opere scelte e inediti, Milano 2002 (con bibl.); L. Pini, in La pittura di paesaggio in Italia, III, L'Ottocento, a cura di C. Sisi, Milano 2003, pp. 266 s.; Catalogo Finarte, Milano, 27 maggio 2003, lotto 79; 24 nov. 2004, lotto 94.

CATEGORIE
TAG

Vittore grubicy de dragon

Accademia di belle arti

Esposizione universale

Illustrazione italiana

Pinacoteca di brera