Emozioni

Dizionario di Medicina (2010)

emozioni

Chiara Braschi

Le emozioni costituiscono una delle componenti più naturali, spontanee e allo stesso tempo complesse del comportamento. Nel corso degli anni sono state formulate numerose teorie volte alla spiegazione della natura delle emozioni nell’ambito del funzionamento del cervello. Tali teorie hanno alternativamente proposto che la stimolazione periferica preceda o segua l’esperienza cognitiva emotiva, o che il sistema nervoso autonomo abbia un ruolo specifico, aspecifico o accessorio nel determinare il tipo di emozione percepita. I recenti sviluppi della scienza cognitiva hanno portato a considerevoli progressi nella comprensione dei meccanismi cerebrali alla base delle emozioni. Esse sono processate in un complesso insieme di strutture cerebrali, chiamato sistema limbico, nel quale l’amigdala svolge un ruolo essenziale. Nell’esempio del condizionamento classico alla paura dipendente dall’amigdala, l’apprendimento delle risposte emotive è mediato da fenomeni di plasticità sinaptica a lungo termine. [➔ ansia; empatia; espressioni facciali; limbico, sistema; neurovegetativo, sistema; paura; plasticità neurale; rabbia]

Benché non esista un consenso unanime sulla definizione del termine, le e. sono descritte come stati affettivi intensi, accompagnati da modificazioni fisiologiche e cambiamenti comportamentali osservabili, alla cui attuazione sono dedicati circuiti neurali specifici. Nonostante siano componenti familiari dell’esperienza quotidiana, le e. sfuggono a una descrizione riduzionistica e presentano contorni sfumati. Il loro ruolo è però intuitivamente riconosciuto come essenziale: le tracce emotive lasciate dagli episodi della nostra esistenza agiscono da guida per le decisioni e gli atti successivi.

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Che cosa sono le emozioni

Le e. sono caratterizzate da due componenti principali, l’attivazione fisiologica e il sentimento conscio a essa associato: per es., sentiamo il cuore battere forte e ci sentiamo spaventati. Per differenziare le due componenti esiste nella lingua inglese un’efficace distinzione, non altrettanto netta in quella italiana, tra il termine emotion (emozione, stato emotivo), tipicamente riferito ai correlati fisiologici dell’esperienza emotiva, e il termine feeling (sentimento), che si riferisce alla componente consapevolmente percepita. Si riconoscono due tipi di e.: le e. di base, radicate nella storia evolutiva dell’uomo, e le e. sociali o complesse, con caratteristiche diverse nelle diverse civiltà perché culturalmente determinate. L’universalità delle e., così come proposta da Charles Darwin (L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, 1872), è stata dimostrata attraverso lo studio di materiale fotografico e di videofilmati riprodotti al rallentatore. Sono state identificate otto e. fondamentali: felicità, sorpresa, imbarazzo, collera, paura, tristezza, disgusto e disprezzo, considerate di base perché rilevabili comunemente nelle espressioni facciali di tutti gli individui, con lievi sfumature causate da prassi culturali. L’attivazione fisiologica che si accompagna a un’e. ha una funzione preparatoria e comunicativa. La funzione preparatoria comprende una componente di attivazione generale, che predispone l’intero organismo all’azione, e una di attivazione specifica che modula l’esecuzione del set di comportamenti relativo all’e. percepita. Si possono individuare cinque principi che definiscono e caratterizzano le e.:

• Le e. giocano un ruolo cruciale nell’evoluzione della coscienza, influenzando l’emergere dei più alti livelli di cognizione durante lo sviluppo ontogenetico e determinando in larga parte il contenuto dell’attività mentale nel corso della vita.

• Gli stati emotivi agiscono sia da causa scatenante del comportamento diretto a uno scopo, sia da processi concomitanti a esso: le e. costituiscono la principale componente motivazionale delle operazioni mentali e del comportamento manifesto;

• Le e. di base aiutano a organizzare e a motivare azioni critiche per il benessere dell’individuo, permettendo un adattamento positivo alle variazioni ambientali contingenti.

• I sistemi neurali coinvolti nelle e., nella percezione e nella cognizione cooperano in modo dinamico generando e monitorando i pensieri e le azioni: tali interazioni dinamiche possono originare innumerevoli esperienze e.-specifiche che, benché accomunate dal medesimo clima emotivo (per es., rabbia), presentano schemi di percezione, pensiero e azione differenti.

• L’e. prevalente in un dato momento dipende dall’interazione tra livello emotivo e livello cognitivo ed è influenzata dalle abilità comportamentali, sociali e cognitive dell’individuo.

• Gli schemi emotivi, definiti come moduli di attivazione e.-specifici, possono divenire disfunzionali e portare allo sviluppo di psicopatologia se la loro formazione e consolidamento sono stabilmente associati a risposte comportamentali o cognitive maladattative.

Teorie delle emozioni

L’uso quotidiano di espressioni linguistiche comuni come «ho un vuoto allo stomaco» o «ho il cuore in gola» per dichiarare forti stati emotivi suggerisce che l’esperienza corporea ha un ruolo guida nella definizione delle e., soggettivamente individuate come attivazione di eventi somatici specifici. Molti studiosi hanno cercato di spiegare il forte legame tra la componente psicologica soggettiva dei fenomeni emotivi e la componente viscerale a essi associata. A questo riguardo, la prima teoria moderna è stata proposta in parallelo, ma in modo indipendente, dallo psicologo William James e dal medico Carl Lange. Entrambi ritenevano che il vincolo fra componente fisiologica e componente cognitiva delle e. fosse basato su un processo che parte dall’attivazione del sistema neurovegetativo (responsabile dell’attività viscerale) e conduce alla definizione del contenuto mentale-psicologico dell’esperienza emotiva. Secondo tale prospettiva, si prova una determinata emozione perché essa è generata da un insieme di reazioni corporee e.-specifiche. I fisiologi Walter Cannon e Philip Bard, nel tentativo di verificare sperimentalmente la teoria di James-Lange, arrivarono a confutarla. La messa in discussione della teoria era basata su due osservazioni fondamentali: l’esperienza psicologica dell’e. inizia prima che i cambiamenti del sistema neurovegetativo siano consapevolmente percepiti dal soggetto; spesso a uguali attivazioni viscerali corrispondono esperienze emotive differenti. La teoria di Cannon-Bard prevedeva che l’organismo risponda a un evento emotivamente scatenante con una generica reazione di attivazione corporea (per es., un incremento della frequenza cardiaca) e che solo successivamente questa venga analizzata e interpretata dal sistema nervoso centrale, fornendo una risposta emotiva appropriata alla situazione scatenante (per es., paura o rabbia a seconda dell’evento che ha innescato la reazione fisiologica iniziale). Tale teoria venne ripresa e perfezionata da Stanley Schachter che suggerì il ruolo fondamentale del sistema cognitivo nell’interpretazione dell’attività viscerale, tanto che l’iniezione nel circolo sanguigno di adrenalina, pur causando sempre gli stessi effetti fisiologici, ha conseguenze psicologiche diverse a seconda del tipo di informazioni possedute dal soggetto. Tali informazioni guidano l’interpretazione e la definizione delle reazioni percepite. In un esperimento classico, Schachter iniettò adrenalina a due gruppi di individui, esponendo entrambi alternativamente a situazioni piacevoli o irritanti. Un gruppo veniva preventivamente informato delle conseguenze dell’iniezione (per es., accelerazione del battito cardiaco), l’altro gruppo veniva invece lasciato all’oscuro. I soggetti che erano stati avvisati degli effetti dell’adrenalina esibivano stati emotivi di gioia o rabbia molto meno intensi. I risultati dimostravano in modo convincente che lo stato emotivo non si identifica in modo univoco con una certa attivazione fisiologica, ma dipende dall’attribuzione consapevole che il soggetto fa di essa rispetto alle informazioni di cui dispone. Le elaborazioni successive effettuate da Antonio Damasio estremizzano ulteriormente questa teoria, portando a suggerire che lo stato emotivo è essenzialmente il risultato di una storia che il cervello costruisce per spiegare le reazioni corporee. In aggiunta, anche l’idea secondo cui le attivazioni fisiologiche legate alle e. sono uniformi e aspecifiche si è rivelata non vera: stati emotivi differenti sono accompagnati da pattern di risposte neurovegetative diversi. Damasio ha anche suggerito che quando valutiamo le potenziali conseguenze di un comportamento, la memoria somatica delle nostre passate attivazioni fisiologiche (le esperienze viscerali) avute in situazioni simili fornisce informazioni utili per la valutazione del comportamento che ci accingiamo a compiere. La memoria attiverebbe proiezioni ascendenti noradrenergiche e colinergiche verso la corteccia, portando a un effettivo ricordo dell’intera esperienza emotiva. Magda Arnold ha avanzato l’ipotesi che l’e. viscerale sia il prodotto della valutazione inconscia di una determinata situazione come positiva o negativa, mentre l’e. consapevolmente riferita (il sentimento) sia il riflesso conscio dell’apprezzamento inconscio. Secondo la teoria di Arnold, il sentimento è una tendenza a rispondere in un certo modo, non la risposta fisiologica in sé, e le e. si distinguono l’una dall’altra per il tipo di tendenza all’azione che generano. Pertanto, gli stati fisiologici potrebbero contribuire alla determinazione dei sentimenti in modo meno diretto di come proposto originariamente da William James.

Componente comunicativa delle emozioni

Basate su segnali immediati e prontamente compresi, le e. sono uno strumento comunicativo estremamente potente, al punto che di recente è emersa la necessità di un vocabolario di espressioni emotive codificate da poter trasmettere con prontezza. Le cosiddette emoticon, termine nato dall’unione delle parole emotional (emotivo) e icon (icona), sono entrate nel repertorio dei testi dei blog, delle e-mail, e dei messaggi via cellulare. Le emoticon sono riproduzioni stilizzate delle principali espressioni facciali emotive e sono usate allo scopo di rafforzare e rendere più esplicito il messaggio contenuto nel testo scritto. La forza comunicativa delle e. è poi abilmente sfruttata dalle tecniche di marketing che prevedono campagne pubblicitarie interamente basate su messaggi e immagini che veicolano situazioni emotivamente coinvolgenti per chi guarda o ascolta. Nell’uomo, la comunicazione sociale di un’e. è principalmente mediata dal sistema muscolare scheletrico. Il controllo delle espressioni facciali (➔) avviene tramite i muscoli superficiali e profondi del volto che agiscono modificando la forma degli occhi, del naso e della bocca, distendendo o contraendo la pelle, sollevando le sopracciglia e permettendo l’apertura e la chiusura della mandibola. L’importanza delle espressioni facciali per la nostra specie è confermata dall’osservazione che una parte molto estesa della corteccia motoria è dedicata proprio ai muscoli del volto. È interessante notare che espressioni facciali simulate possono essere usate per fingere di provare una certa emozione. Paul Ekman, celebre studioso delle espressioni facciali delle e., ha evidenziato che, benché tale meccanismo sia molto efficace (si pensi alle abilità esibite da un bravo attore nel riprodurre ad arte espressioni emotive non autentiche), esistono parametri che possono aiutare a distinguere se le espressioni sono più o meno sincere:

• Asimmetria: un’espressione emotiva è asimmetrica nel senso che gli stessi atti sono prodotti su entrambe le metà del volto, ma risultano più intensi su un lato, tipicamente sul sinistro. Il lato sinistro è controllato dall’emisfero destro, dominante nel controllo delle espressioni facciali delle emozioni. Nelle e. contraffatte accade che nella parte controllata dall’emisfero dominante l’azione dei muscoli è più intensa. In tal senso l’asimmetria può indicare un’e. poco sentita.

• Tempo: generalmente la mimica legata a un’e. rimane sul volto per pochi secondi. Le espressioni che perdurano per dieci secondi o più possono essere segnale di ridotta autenticità.

• Collocazione nel corso della conversazione: spesso, vedendo parlare qualcuno, possiamo cogliere alcuni sfasamenti tra la comunicazione verbale e i movimenti del corpo o le espressioni facciali. Se ciò accade, le desincronizzazioni possono essere verosimilmente considerate indizi di esperienze emotive non realmente esperite.

La capacità di manifestare i propri sentimenti tramite atteggiamenti del volto non è una caratteristica unica del genere umano. Anche i primati non umani hanno muscoli facciali che permettono loro di eseguire espressioni di paura, di sorpresa, di rabbia ed espressioni simili al riso umano. Secondo la psicologia evoluzionista le e. si sono evolute all’interno di gruppi sociali come incentivo motivazionale per promuovere l’organizzazione di risposte comportamentali complesse funzionali alla risoluzione di problemi. Tramite la selezione naturale si sono affermate le risposte emotive più efficaci nel fronteggiare situazioni critiche per la sopravvivenza e il benessere degli individui e del gruppo a cui essi appartengono.

Sviluppo delle emozioni

I bambini hanno la capacità di mostrare espressioni emotive già al momento della nascita. La base innata delle espressioni è avvalorata dall’osservazione che anche bambini ciechi o ciechi e sordi dalla nascita presentano lo stesso repertorio espressivo dei bambini privi di tali difetti congeniti. Prima di poter comunicare tramite il linguaggio, i bambini sfruttano la capacità espressiva del volto come informatore privilegiato dei loro stati interni. Inoltre si dimostrano immediatamente competenti nell’abilità di derivare informazioni rilevanti sullo stato emotivo di chi entra in relazione con loro, riconoscendo se il volto della mamma esprime paura, rabbia, piacere o disappunto. I neonati mostrano numerosi precursori delle e.: il pianto di dolore e il pianto di rabbia, il trasalimento se stimolati con eccessivo vigore, la paura, lo sconforto. Al momento della nascita, i bambini non hanno ancora un’acuità visiva sufficientemente sviluppata da poter cogliere le specifiche variazioni espressive dei volti (➔ cervello, sviluppo del). Alcuni studi hanno dimostrato che, più che dall’uso delle informazioni visive, i neonati traggono informazioni salienti, per determinare il tipo di e. manifestata dal volto che hanno di fronte, da indizi su base multimodale, come la sincronia tra i movimenti facciali e gli stimoli vocali. L’abilità di discriminare il tipo di e. tramite singola modalità si sviluppa più tardi, a 5 mesi per la modalità uditiva e a 7 per quella visiva. A circa 9 mesi le e. di base sono presenti e alla fine dei primi tre anni di vita il repertorio di manifestazioni emotive è più ricco e completo e molto simile a quello degli adulti. Una volta acquisita la capacità di muoversi nell’ambiente, i bambini controllano le espressioni del volto di chi si prende cura di loro come segnale circa la pericolosità o meno di ciò che stanno esplorando, mostrando la capacità di interpretare tali espressioni anche sulla base di un quadro di riferimento più complesso che comprende la postura e la modulazione della voce: una faccia arrabbiata accoppiata a una posizione corporea distesa e a una voce bassa e calma viene percepita come fortemente incongrua. Sul piano esecutivo, i bambini si servono di modelli espressivi specifici che provocano in chi vi assiste una risposta funzionale alle esigenze espresse dal modello usato (il pianto provoca l’offerta di assistenza, coerentemente con la richiesta di aiuto implicita nel pianto stesso). Nonostante le espressioni emotive abbiano un’evidente base innata, non tutti gli individui manifestano le e. nello stesso modo, ma secondo schemi di attivazione specifici e riassumibili in un profilo individuale caratteristico evidente già nella primissima infanzia. A dispetto delle differenze interindividuali (una stessa espressione può essere soggettivamente intensificata, attenuata, neutralizzata oppure dissimulata), le e. innescano programmi universali di espressioni facciali che, temperate da una serie di norme che ne regolano la manifestazione in maniera culturalmente determinata (regole di esibizione), si rendono comprensibili a tutti gli appartenenti a una certa specie. La scelta del tipo di modulazione dipende da caratteristiche individuali e del contesto sociale in cui l’e. deve essere manifestata. Le differenze interindividuali nel reagire di fronte a situazioni emotivamente connotate non sono solo legate alle influenze ambientali contingenti, ma dipendono anche da differenze genetiche. È stato dimostrato che versioni diverse di uno stesso gene possono determinare risposte cerebrali differenti a stimoli emotivi uguali. Per es., esistono due varianti alleliche, che presentano lunghezza differente del gene che codifica un fattore coinvolto nella ricaptazione della serotonina. Si è potuta osservare una relazione tra lunghezza del gene e conseguenze comportamentali: gli individui che hanno una copia dell’allele corto sono più inclini a mostrare tratti di ansia nei test di personalità, rispetto agli individui che hanno entrambe le copie dell’allele lungo. In uno studio in cui è stata visualizzata l’attività cerebrale tramite risonanza magnetica è stato confermato che i soggetti con almeno una copia dell’allele più corto presentano un’attività molto più intensa nell’amigdala, una struttura cerebrale che ha un ruolo chiave nell’elaborazione degli stimoli che evocano paura.

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Anatomia e neurofisiologia delle emozioni
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Chiara Braschi

Anatomia e neurofisiologia delle emozioni

Alla base delle risposte emotive esistono circuiti nervosi specificamente dedicati alla loro elaborazione e produzione. Nonostante ciò, le regioni cerebrali coinvolte non sembrano essere emozione-specifiche, ma presentano attivazioni trasversali, comuni alle diverse emozioni.

Cervello ed emozioni

Nella prima parte del 20° sec., le ricerche sul cervello identificarono l’ipotalamo come struttura fondamentale per il controllo del sistema neurovegetativo. Sulla base di tale osservazione, Walter Cannon e Philip Bard proposero la teoria ipotalamica delle emozioni: l’ipotalamo elabora i dati provenienti dall’ambiente caratterizzandoli come più o meno emotivamente rilevanti; l’espressione delle risposte emotive è mediata dal dialogo tra ipotalamo e tronco dell’encefalo; le proiezioni tra ipotalamo e corteccia cerebrale determinano l’esperienza emotiva cosciente. Nel 1937 James Papez descrisse un complesso circuito anatomico, al centro del quale l’ipotalamo appare come una struttura chiave nell’incontro tra proiezioni ascendenti e discendenti. La teoria fu perfezionata nel 1949 da Paul MacLean che chiamo tale circuito cervello viscerale, più tardi rinominato sistema limbico (➔). Nonostante il termine venga tuttora usato per individuare il circuito delle emozioni, la possibilità di riferirsi a un unico sistema deputato al controllo delle emozioni è stata frequentemente criticata per la difficolta di tracciarne i confini anatomici e funzionali in modo preciso. Il problema se esistano precisi circuiti cerebrali che mediano altrettanto precise emozioni è stato a lungo controverso. Le prime evidenze sperimentali sulle aree cerebrali coinvolte nella mediazione delle risposte emotive risalgono agli inizi del Novecento. Nel cane, la rimozione chirurgica della corteccia (decorticazione) provoca un quadro comportamentale denominato finta rabbia che consiste in una risposta indiscriminata di rabbia intensa e improvvisa, mai seguita da un attacco reale. Tale quadro ha suggerito che la rabbia abbia origine da aree sottocorticali e che la corteccia svolga solitamente la funzione di inibire le risposte emozionali impulsive. Tramite studi di risonanza magnetica funzionale (fRMI) è stato possibile individuare un’area precisa associata all’emozione del disgusto, identificata nella regione dell’insula. L’insula si attiva in risposta a stimoli olfattivi e gustativi e, se attivata, provoca una serie di reazioni comunemente associate al disgusto, come nausea, conati di vomito, sensazioni sgradevoli localizzate nella bocca e nella gola. Inoltre, la regione anteriore dell’insula si attiva quando si osserva un volto che esprime disgusto. Le tecniche di neuroimaging hanno permesso di scoprire anche che la corteccia prefrontale di entrambi gli emisferi è attiva quando siamo allegri, dati confermati dal fatto che persone con traumi al lobo frontale perdono il senso dell’umorismo. È noto che danni ai lobi temporali nelle scimmie provocano un drammatico insieme di sintomi che prende il nome di sindrome di Kluver-Bucy: la sindrome comporta una riduzione nell’intensità della risposta di paura di fronte a predatori (serpenti e uomini), cambiamenti nelle abitudini alimentari (tentativi di mangiare oggetti non commestibili) e comportamenti sessuali inusuali (tentativi di comportamenti omosessuali in specie che solitamente non prevedono tale pratica o tentativi di accoppiamento con membri appartenenti ad altre specie). È stato proposto che la sindrome sia dovuta alla dissociazione tra le proprietà sensoriali e affettive degli stimoli visivi conseguente al danno all’amigdala, struttura del sistema limbico sita nella parte mediale del lobo temporale. Da qui l’idea che tale regione possa avere un ruolo chiave nel comportamento emotivo in generale.

Il ruolo dell’amidgala

Una serie di studi ha ulteriormente dettagliato l’importanza dell’amigdala nei processi emotivi. Studi successivi hanno dimostrato il suo ruolo fondamentale nel comportamento sociale e affiliativo. Scimmie adulte, con ablazione selettiva bilaterale dell’amigdala, mostrano aumentata tendenza all’affiliazione sociale (insolitamente indirizzata anche verso scimmie estranee) e diminuzione dell’ansia. Uomini con lesioni ai lobi temporali non evidenziano deficit di interazione sociale. Un esempio sono i pazienti amnesici a cui è stata rimossa parte del lobo temporale con l’intento di risolvere forme di epilessia particolarmente resistenti ai trattamenti farmacologici; in tali pazienti, le abilita nelle relazioni sociali risultano integre. Anche individui con lesioni bilaterali dell’amigdala presentano abilita sociali normali, se confrontati a gruppi di controllo, in compiti in cui devono dimostrare di conoscere comuni norme sociali e prevedere la reazione emotiva dei personaggi di una storia. Sebbene le abilità appena descritte risultino conservate, i pazienti con danno all’amigdala esibiscono gravi difficolta di riconoscimento delle espressioni emotive facciali. Inoltre, sono portati a interpretare i volti come maggiormente degni di fiducia rispetto ai gruppi di controllo. Il deficit quindi è sottile, ma non per questo potenzialmente meno importante. Un altro deficit consiste nell’incapacità di interpretare correttamente situazioni sociali in circostanze ambigue. Se si chiede a tali pazienti di inferire, sulla base di un certo antefatto, il comportamento seguente dei personaggi di una storia, tendono a fornire descrizioni generiche della scena che stanno osservando (personaggi e azioni) senza riuscire a dedurre le possibili intenzioni dei personaggi. Risulta quindi chiaro che l’amigdala riveste un ruolo essenziale nel sistema neurale alla base della comprensione del clima emotivo che guida le interazioni sociali. Gli studi di stimolazione elettrica in animali liberi di muoversi hanno inoltre dimostrato che esiste una regione specifica, il setto pellucido, la cui stimolazione procura intense reazioni di benessere, al punto che tale stimolazione può essere usata nei ratti come rinforzo positivo in risposta alla pressione di una leva. Anche nell’uomo la stimolazione del setto provoca reazioni di benessere e calore.

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Meccanismi cellulari e molecolari
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Chiara Braschi

Meccanismi cellulari e molecolari

Gli avanzamenti condotti dalle neuroscienze nello studio dei meccanismi cellulari e molecolari delle emozioni si basano principalmente sul paradigma del condizionamento classico o pavloviano (➔ apprendimento). Gli sforzi si sono concentrati sulla caratterizzazione del meccanismo del condizionamento classico alla paura, con un approccio multidisciplinare che va dalle molecole alla plasticità sinaptica e dai circuiti cerebrali all’esperienza emotiva mentale.

Il caso paradigmatico del condizionamento classico alla paura

Il condizionamento classico è una procedura comportamentale usata per accoppiare uno stimolo ambientale neutro a circuiti che mediano risposte fisiologiche. L’applicazione del condizionamento pavloviano al circuito che media la risposta alla paura è stata ampiamente usata da Joseph LeDoux e collaboratori. Tale procedura consiste nel presentare uno stimolo neutro dal punto di vista emotivo, o stimolo condizionato (CS, Conditioned Stimulus), per es. un suono, in associazione a uno stimolo avversivo, o stimolo incondizionato (UCS, UnConditioned Stimulus), solitamente una scossa elettrica, che evoca una reazione fisiologica specie-specifica, non appresa e involontaria. Dopo più accoppiamenti, la sola presentazione dello stimolo CS (il suono) acquista, anche in assenza dell’UCS, la capacità di elicitare le risposte fisiologiche e comportamentali tipiche della reazione a stimoli pericolosi: comportamenti di difesa (risposta di immobilita o di fuga), risposte del sistema neurovegetativo (cambiamenti della pressione sanguigna e nel battito cardiaco), risposte neuroendocrine (rilascio di ormoni). Il condizionamento alla paura ha una grande valenza adattativa, consentendo all’individuo di ampliare il repertorio di segnali in grado di attivare le risposte evolutivamente programmate per rispondere a situazioni di pericolo. Il vantaggio per lo sperimentatore consiste nel fatto che si tratta di una procedura veloce e semplice da indurre, che produce effetti di lunga durata e facilmente misurabili. L’amigdala ha un ruolo chiave nell’analisi degli stimoli ambientali potenzialmente pericolosi e nell’estrinsecazione del comportamento della reazione di paura. Pertanto, il corretto funzionamento dell’amigdala è necessario per il condizionamento pavloviano alla paura. Nel paradigma del condizionamento classico alla paura, l’inattivazione dell’amigdala durante le sessioni di condizionamento impedisce l’instaurarsi dei processi di apprendimento. Se l’inattivazione è effettuata immediatamente dopo il periodo di apprendimento, essa non interferisce con la possibilità che si instauri il meccanismo di condizionamento e non ha effetto sulla memoria successiva. L’amigdala riceve le informazioni sensoriali sul mondo esterno a livello del nucleo laterale (LA, Lateral Amygdaloid nucleus): gli stimoli uditivi arrivano all’LA sia dal talamo sia dalla corteccia uditiva, ed entrambe le vie possono essere coinvolte nella mediazione del condizionamento di uno stimolo uditivo semplice. Danni al nucleo laterale dell’amigdala interferiscono con la possibilità di apprendimento del condizionamento alla paura. L’LA proietta direttamente al nucleo centrale dell’amigdala, che sembra essere invece responsabile dell’esecuzione di alcune delle risposte al condizionamento. Poiché le cellule dell’LA, oltre a rispondere agli stimoli uditivi, rispondono anche alla stimolazione dolorosa, tale centro presenta i requisiti necessari per essere identificato come la struttura cerebrale in cui ha origine il condizionamento classico alla paura.

Meccanismi molecolari del condizionamento alla paura

Studi condotti su modelli animali hanno permesso di approfondire la conoscenza dei meccanismi cellulari e molecolari alla base del condizionamento classico alla paura. Registrazioni di singole cellule dall’LA dell’amigdala hanno evidenziato cambiamenti nella risposta delle cellule che inizialmente rispondevano al CS dopo che esso era stato più volte accoppiato all’UCS. La plasticità nell’amigdala è stata studiata anche mediante il paradigma dell’LTP, ossia il potenziamento a lungo termine (➔), una forma di plasticità sinaptica evocata da stimoli ad alta frequenza, simili a quelli che promuovono l’apprendimento. A livello intracellulare, il processo che porta all’apprendimento inizia con l’ingresso di calcio, coincidente con l’arrivo dei potenziali di azione; l’aumento di calcio attiva un complesso insieme di proteine chinasiche e di fattori di trascrizione, che promuovono l’espressione genica e, da ultimo, la sintesi di proteine necessarie per la stabilizzazione dei circuiti. La forma più nota di LTP è stata descritta nell’area CA1 (area 1 del Corno di Ammone) dell’ippocampo e coinvolge l’interazione tra il glutammato presinaptico e due classi di recettori postsinaptici. Il glutammato si lega ai recettori alfa-ammino-3- idrossi-5-metil-4-isoxazolone propionato (AMPA) e depolarizza la cellula postsinaptica. La depolarizzazione rende possibile il legame del glutammato a un’altra classe di recettori essenziali per l’induzione dell’LTP, i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA); il calcio entra nella cellula tramite i recettori NMDA e innesca la serie di eventi intracellulari sopra descritti, stabilizzando così i cambiamenti per lungo tempo. Nell’amigdala l’LTP è stato studiato soprattutto nei nuclei laterale e basale, confermando il ruolo dei recettori NMDA. L’induzione dell’LTP facilita il processo che naturalmente porterebbe al condizionamento dello stimolo neutro. Infusioni di farmaci che provocano il blocco dell’induzione dell’LTP prima dell’accoppiamento CS-UCS impediscono il condizionamento.

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