ENERGIA

Enciclopedia Italiana (1932)

ENERGIA (gr. ἀνέργεια)

Antonio Sellerio

Per energia, in fisica, s'intende la capacità di compiere lavoro. Il significato preciso però non si può dare, se non procedendo metodicamente.

1. Lavoro. - Per sollevare un peso P a un'altezza h, si fa una fatica tanto maggiore quanto maggiore è P e quanto maggiore è h. In questo caso si pone: lavoro = Ph = L, e si ha ragione di credere (salvo quanto è detto sotto), che la fatica sia la manifestazione fisiologica della grandezza fisica L. Da qui viene l'unità di misura ordinaria, chilogrammetro (kgm.), lavoro necessario per sollevare i kg. all'altezza di 1 m. In fisica si usa il sistema assoluto c.g.s. (centimetro-grammo-secondo), in cui l'unità di lavoro è l'erg;

Un corpo, su cui agisce una forza f avente una data direzione, può muoversi in direzione diversa, p. es. in grazia di altre forze che lo sollecitano; la f fa un lavoro motore quando aiuta il movimento, resistente quando lo contrasta.

Considerazioni di questa natura hanno portato a precisare la nozione di lavoro nella seguente definizione: se durante il movimento di un corpo agisce una forza f costante in grandezza e direzione e il punto di applicazione di essa percorre un tratto rettilineo di lunghezza s, si dice che la forza compie il lavoro

dove α è l'angolo fra i vettori f e s. Il lavoro si considera come una grandezza scalare, cioè come una di quelle grandezze la cui somma si esegue algebricamente, e per tale ragione la (1) dicesi anche prodotto scalare dei vettori f. e s. Osservando che f. cos α è la componente di f presa nella direzione e nel verso del cammino s, si vede che quando α è acuto, la componente della forza agisce nel senso del movimento e il lavoro è motore e risulta positivo (cos α > 0); quando α è ottuso (cos 〈 0, L 〈 0), il lavoro è negativo ossia resistente; quando la forza è normale al cammino (cos α = 0), il lavoro è nullo. Dalla (1) segue che quando su un punto agiscono più forze f1, f2, ..., il lavoro della risultante r è la somma algebrica dei lavori delle forze componenti. La dimostrazione è immediata; proiettando sulla direzione s il poligono delle forze, che vien chiuso dalla risultante r, e detto α l'angolo fra r e s, si ha f1 cos α1 + f2 cos α2 + ... = r cos α, da cui moltiplicando per s segue L1 + L2 + ... = r s cos α.

Esempio. - Solleviamo verticalmente per un tratto h, con moto uniforme, un corpo. Su questo agiscono due forze: la f da noi applicata, che è diretta verso l'alto, cioè nel senso del movimento (α = 0, cos α = 1) e fa quindi un lavoro motore fh, e il peso P che è diretto verso il basso cioè in senso contrario al movimento (α = 180°, cos α = − 1), e fa quindi un lavoro resistente.

Il lavoro fatto dalla risultante, cioè il lavoro totale è fh Ph. Siccome, per ipotesi, il moto è uniforme, la risultante deve essere nulla, cioè f = P, e il lavoro totale è nullo. Se invece adoperassimo una forza f > P avremmo una risultante diretta verso l'alto, la quale accelererebbe il movimento; il lavoro totale sarebbe positivo. Questo esempio fa intravedere un legame fra variazioni di velocità e lavoro (n. 5) e mostra l'importanza dinamica di quest'ultimo.

Dalla (1) si passa facilmente al caso generale, scomponendo il cammino rettilineo o curvilineo, percorso dal punto di applicazione M della forza, in elementi infinitesimi ds, lungo ognuno dei quali f cos α si può considerare come costante; α diventa l'angolo che la f forma con la tangente alla traiettoria di M, presa nel senso del moto. Si definisce pertanto lavoro elementare l'infinitesimo

da cui si ha il lavoro finito mediante somma; o più esattamente mediante l'espressione

la quale vien detta integrale di linea del vettore f. Finalmente nel caso di un sistema qualunque, cioè di un insieme di corpi sollecitato da varie forze agenti in punti diversi, il lavoro totale è:

Dato un sistema, le forze possono agire o fra i diversi punti di esso e si dicono interne, o fra questi e altri punti che stanno fuori, nel mezzo ambiente e si dicono esterne. Corrispondentemente, il lavoro si distingue in interno Li ed esterno Le. Nel caso di un grave, es. una pietra, se si considera come sistema l'insieme terra + pietra, il peso è una forza interna e fa un lavoro interno. Se invece si considera come sistema la sola pietra, il peso - che è l'attrazione terrestre - è una forza esterma e fa un lavoro esterno; possiamo anzi dire che il sistema pietra quando si muove, riceve dall'esterno un lavoro Le (positivo, o negativo). L'espressione di L, volta per volta, può subire notevoli trasformazioni. Così quando si sceglie come riferimento un sistema di assi cartesiani ortogonali il lavoro di f si calcola sommando i lavori delle sue tre componenti X. Y, Z. Osservando che è d cos (sx) = dx, ecc., la (2) diviene

Interessa molto il lavoro Le che si deve fare per comprimere un fluido. Supponiamo che questo sia contenuto in un cilindro munito di pistone scorrevolissimo; e avvertiamo però che tale ipotesi semplificativa non lede la generalità del risultato. Sul pistone agisce dalla parte esterna una forza f, dovuta in parte alla pressione atmosferica e in parte alle macchine con le quali il pistone è in comunicazione. Se questo viene spinto verso l'interno per un tratto infinitesimo ds, la f fa un lavoro elementare δLe = fds. Nel caso in cui il pistone si muova di moto uniforme, la f è controbilanciata dalla forza f′ = pS che il fluido esercita internamente, con la sua pressione p, contro il pistone di superficie S; cioè il fluido si trova istante per istante in equilibrio dinamico con l'ambiente. Scrivendo f' = pS al posto di f, il lavoro diviene δLe = pSds, ossia in valore e segno

dove dV è la variazione di volume (dV 〈 0, δLe > 0). Per una compressione finita:

Anche se si tratta di espansione sussistono le (6) e (6′), nel qual caso Le risulta negativo (dV > 0). Nella termodinamica dei fluidi, si considera più spesso il lavoro Le′ che il fluido deve compiere, per vincere la resistenza opposta dall'ambiente. Nella stessa ipotesi di sopra, cioè dell'equilibrio dinamico tra fluido e ambiente, si ha

Le′ vien detto lavoro esterno di espansione. L'aggettivo "esterno" è necessario, in quanto che fra le diverse molecole del fluido esistono in generale delle forze che devono essere considerate come interne, secondo quanto si è notato sopra. Nelle variazioni di volume queste forze fanno un lavoro interno, che non ha nulla da vedere con la (7). L'espressione trovata è suscettibile di una comoda rappresentazione geometrica, utilizzando il diagramma di Clapeyron, fig.1, che ha per coordinate il volume V e la pressione p.

Il prodotto di p = = ???BB per un piccolo aumento BC′ del volume, misura l'area del sottile rettangolo BBCC′ che, a meno del triangolo BCC infinitesimo di secondo ordine, coincide con quello del trapezio BBCC′. Dunque il lavoro esterno di espansione (7) misura tutta l'area tratteggiata; area da assumersi con segno positivo nel caso della figura, con segno negativo nel caso in cui la trasformazione avvenisse in senso contrario, cioè si trattasse di una compressione DCBA. Se poi il fluido dopo un'espansione subisce una compressione che lo riconduce allo stato iniziale, cioè se percorre un ciclo (chiuso) di trasformazioni, come MNOPM, si vede facilmente (tenendo conto del lavoro positivo e del lavoro negativo) che il lavoro totale è rappresentato dall'area delimitata dal contorno MNOPM.

La natura ci porge, con la gravità, il modo di avere forze costanti a immediata portata di mano: i pesi dei varî corpi. Ciò ha reso facile la formazione del concetto di forza e la misura. Non così per il lavoro. La definizione di lavoro che a noi pare spontanea, in realtà è frutto dell'elaborazione di molti secoli.

Si stanca egualmente tanto chi è costretto a reggere un grande peso stando fermo come le cariatidi, quanto chi porta un piccolo peso sopra un'altura. Sembrerebbe dunque che il senso di fatica o stanchezza fosse il corrispondente di un'unica grandezza fisica, la forza. Ma qui i sensi ci tradiscono. Ed è questa senza dubbio una delle principali ragioni per le quali la meccanica - e con essa tutta la fisica - per molto tempo non andò molto più in là di dove l'aveva lasciata Archimede: rimase cioè confinata alla statica. Né vale osservare che chi vuol reggere un grave può ricorrere a un sostegno qualunque, mentre se vuole portarlo su deve esplicare un'attività vitale; anche la forza del vento, che non ha nulla di vitale, è capace di spingere una barca, vincendo la resistenza opposta dall'acqua; quindi siffatti argomenti aumentano la confusione. Le idee si chiarirono dopo lo studio delle macchine semplici, escogitate dall'umanità per eseguire comodamente varie operazioni. Col mezzo di una carrucola a due gole (fig. 2) si può sollevare un peso f = 30 chili, sospeso ad Ae, tirando in A1 con una forza minore, p. es.

si ha dunque un vantaggio di forza. In pari tempo però, si ha uno svantaggio per quanto riguarda il cammino, perché se A1 percorre uno spazio s2 = 60 cm., A2 percorre solo

cioè il peso si solleva di poco. L'inverso avverrebbe se collocassino il peso in A1 e tirassimo in A2; il peso si solleverebbe di molto, ma dovremmo impiegare una forza maggiore. Si ha fs = fs′ = cost., o più generalmente, considerando altre macchine semplici fs cos α = cost. Il prodotto fs cos α, sul quale non si può fare alcun guadagno usando qualunque macchina, si presenta come atto a caratterizzare un'entità fisica ben distinta.

Di più facile intuizione è la potenza, cioè il lavoro eseguito nell'unità di tempo, o anche (quando cos α = 1) il prodotto della forza per la velocità. Un animale può tirare un carro pesante con piccola velocità o un carro leggiero con grande velocità; il prodotto della forza per la velocità (potenza), ha press'a poco un valore costante per un dato essere vivente, cosicché rappresenta una proprietà intrinseca di esso e di natura dinamica.

2. Il calore - Principio d'equivalenza. - Quando un corpo, per il fatto di trovarsi in contatto o in vicinanza di corpi più caldi, subisce un aumento di temperatura, diciamo che ha ricevuto del calore. La quantità di calore necessaria per portare 1 grammo di acqua, da 14°,5 a 15°,5 dicesi piccola caloria (cal); 1000 cal formano una grande caloria (Cal).

Se mettiamo un corpo caldo A in contatto con B, C, ... freddi, la temperatura di A si abbassa, quelle di B, C, ... s'innalzano e diciamo: "il calore ceduto da A è passato ai corpi B, C, ...". Su questo enunciato, che si chiama principio dell'uguaglianza degli scambî di calore, sono fondati i noti metodi della calorimetria ordinaria (p. es. calorimetro ad acqua). Il principio si regge: 1. sulla Convenzione di misurare, in valore e segno, il calore ricevuto da una sostanza di massa m, che subisca una piccola variazione dT di temperatura, mediante la relazione

dove c è un coefficiente di proporzionalità, detto calore specifico della sostanza; convenzione che per una variazione finita di temperatura, siccome in generale c varia un poco, si amplia in

2. sulle esperienze calorimetriche, le quali provano che fra il valore assoluto ∣δTA∣ dell'abbassamento di temperatura e gl'innalzamenti δTE, δTC ..., ecc., sussiste sempre la relazione cAmA ∣δTA∣ = cB mB δTE + cCmC δTC + ... . Questa, scritta per la (8) sotto la forma

dice appunto che il calore ∣δQA∣ perduto dal corpo A è stato distribuito tutto (cioè senza nè aumento né diminuzione) ai corpi B, C,.... Così - generalizzando abusivamente - per molto tempo si attribuì al calore la proprietà di conservarsi (come la materia), oltre a quella di scorrere: si ideò il fluido calorico.

Qualche pensatore - e in primo luogo va ricordato Francesco Bacone - era contrario a tale concezione, che incontrava in molti fenomeni delle innegabili difficoltà. Una mente libera da preconcetti, constatando che due pezzi di legno o di metallo strofinati insieme si riscaldano - e sono notevoli a questo proposito le esperienze di B. Rumford sul calore che si manifesta nel trapanare i cannoni -, che si riscalda un filo metallico inserito fra i poli di una pila o un corpo che assorba i raggi luminosi (esperienze di M. Melloni, 1834), avrebbe concluso che il calore si può produrre, quindi non ha carattere conservativo. Più grave imbarazzo recavano non solo le reazioni chimiche (es. fiamme), ma anche i passaggi di stato. Se un pezzetto di metallo caldo si pone sopra un blocco di ghiaccio (calorimetro di J. Black), si forma una fossetta perché un po' di ghiaccio fonde; il metallo si raffredda, ma l'acqua di fusione non va oltre 0°, quindi vi è scomparsa di calore. Tuttavia si diceva: il calore perduto dal metallo è passato nel ghiaccio e ne ha prodotto la disgregazione. Malgrado l'artificiosità di siffatte pseudo-spiegazioni, la conservazione del calore indissolubile dal concetto del fluido calorico, si sostenne, fin quando per opera di Roberto Mayer, che affermò nettamente nel 1842 il principio di equivalenza fra calore e lavoro, e di J. P. Joule e altri che lo provarono con svariate esperienze, si riconobbe che il calore si può produrre impiegando lavoro e si può distruggere ricavandone lavoro.

Per formulare rigorosamente il principio, è necessario ricorrere a un ciclo. In questo caso, se il sistema può scambiare calore e lavoro con l'insieme dei corpi che costituiscono l'ambiente, è possibile eseguire un bilancio e stabilire in modo univoco una corrispondenza fra calore e lavoro. Scegliamo a esempio un'esperienza di Joule. Dentro un recipiente contenente acqua e munito di tramezzi per rendere difficile il movimento di questa, si fa girare per un certo tempo un mulinello, impiegando una forza che si misura. Si determina pure lo spostamento del punto di applicazione, per es. contando i giri e misurando il raggio della manovella; così si hanno tutti gli elementi per calcolare, secondo la (4) il lavoro Le eseguito dall'ambiente - in particolare p. es. dal nostro braccio - contro il sistema costituito dal recipiente con l'acqua e il mulinello. Se, dopo che questo è fermo, aspettiamo un poco, vediamo che il sistema, il quale in un primo tempo aveva subito alterazioni (moto dell'acqua e riscaldamento) ritorna nelle condizioni iniziali e intanto cede all'ambiente una certa quantità di calore Qe, che si misura calorimetricamente. Dunque il lavoro eseguito lascia una e una sola traccia: il calore generato. Il sistema (recipiente con acqua, ecc.) è intervenuto come un organo di trasfomiazione, che alla fine del ciclo si presenta immutato. Epperò si ha ragione di pensare che scegliendo un altro sistema qualsiasi e facendogli percorrere un ciclo, a un dato Le corrisponda sempre lo stesso Qe a un Le doppio corrisponda un Qe doppio ecc. Così infatti avviene.

Vogliamo dare un altro esempio, ricorrendo come fece Mayer ai gas perfetti. Oltre a essere importante teoricamente, questo esempio ha il vantaggio di permettere non solo la trasformazione lavoro calore, che è comunissima perché le resistenze passive (quali l'attrito) non mancano mai, ma anche la trasformazione inversa calore lavoro meno frequente, che è più interessante ai fini pratici (motori termici).

Nel cilindro con pistone, di cui al n.1, facciamo in modo che il gas percorra il ciclo rettangolare (fig. 3). Il lavoro Le′ compiuto dal gas risulta positivo ed uguale all'area del rettangolo:

Durante le quattro trasformazioni di cui si compone il ciclo, sono intervenuti scambî di calore tra l'ambiente e il gas. Se il ciclo non è molto ampio, il calore specifico si può considerare come costante, con un valore cv lungo le trasformazioni a volume costante DA BC, e costante con un valore cp, lungo le trasformazioni a pressione costante AB CD. Secondo la (8), il calore positivo o negativo che l'ambiente ha fornito al fluido di massa m è

Per i gas perfetti (come idrogeno, ossigeno, ecc., nelle condizioni ordinarie; v. aggregazione, stati di) è soddisfatta, secondo insegna l'esperienza, l'equazione caratteristica

dove mol è il cosiddetto peso molecolare, T = 273 + t la temperatura assoluia. L'esperienza mostra pure che si ha

Da queste due relazioni si trae mT = pV/J (cpce), in virtù della quale l'espressione di Qe si muta facilmente in

Questa espressione è positiva, dunque a ciclo finito si constata che da un canto l'ambiente ha fornito al gas una quantità di calore Qe′ 0 e dall'altro lato il gas ha dato all'ambiente un lavoro Le′, animando le macchine collegate con lo stantuffo. Nessun'altra modificazione è avvenuta perché il gas, chiuso il ciclo, è ritornato nelle condizioni di partenza. Dividendo le espressioni di Le′, Qe si ha

Se il ciclo fosse stato percorso in senso inverso, i segni di Qe, Le′ si sarebbero simultaneamente invertiti, significando con ciò che l'ambiente in tal caso dà lavoro e riceve calore; il rapporto sarebbe rimasto immutato. Tale rapporto dunqu̇e non dipende dal verso in cui è percorso il ciclo, dalla quantità m di gas adoperato, dalla qualità, dalle temperature, dalle pressioni, ecc. La proporzionalità fra Q, L′ riscontrata in tutti i cicli autorizza a considerare calore e lavoro come equivalenti; si possono addirittura esprimere con lo stesso numero, cambiando opportunamente le unità di misura. Il principio di equivalenza si formula dunque nel seguente modo: Quando un sistema, messo in comunicazione con altri corpi, coi quali può scambiare soltanto calore e lavoro, percorre un ciclo in modo da ritornare allo stato iniziale, se il sistema ha ricevuto calore ha ceduto lavoro e viceversa. Fra il calore ricevuto o ceduto e il lavoro ceduto o ricevuto esiste un rapporto costante J, il cui valore dipende solo dalla scelta delle unità di misura: esso si chiama equivalente meccanico (o dinamico) della caloria.

Una volta riconosciuto il principio, si ha maggior libertà nel determinare J. Così, nel caso dell'esperienza di Joule sopra. ricordata, non v'è bisogno di aspettare realmente che l'acqua del recipiente ritorni alla temperatura iniziale, ma basta determinare di quanto si è riscaldata per opera del mulinello.

Va notato ancora che l'equivalenza fra calore e lavoro trae con sé altre equivalenze. È noto, per es., dall'elettrologia che se un tratto AB di circuito è percorso da una corrente d'intensità i, detta v la tensione o differenza di potenziale applicata fra gli estremi A e B, l'espressione seguente

è equivalente al lavoro fatto dalle forze elettriche nel tempo dt. D'altra parte, si constata che se il percorso AB è costituito semplicemente da un filo metallico, questo si riscalda; epperò si ha ragione di presumere che la grandezza (10) sia pure equivalente al calore δQ sviluppato nel filo, ossia:

L'esperienza conferma questa legge di Joule, la quale fornisce uno dei metodi più precisi per la determinazione di J. Alcuni ragguagli:

D'ora in poi, intenderemo che il calore e il lavoro siano misurati nella stessa unità. Con ciò J diventa = 1, e il principio di Mayer si può scrivere in una delle forme seguenti:

o anche

3. Definizione e proprietà formali dell'energia. - Le domande: quanto calore contiene un corpo? quanto lavoro contiene un corpo? non hanno senso in generale; il lavoro e il calore sono funzioni di trasformazione, in quanto che, per definizione, i loro valori vengono determinati seguendo passo passo un movimento, o in genere una modificazione. Invece ha senso chiedere posizione, velocità, temperatura, ecc., di un corpo, giacché queste variabili dipendono esclusivamente dallo stato in cui si trova il corpo o sistema, e riprendono i loro valori tutte le volte che il corpo, percorso il ciclo, si ripresenta nelle condizioni di partenza. Chiameremo siffatte grandezze: variabili di stato, o funzioni di stato; propriamente useremo la parola "funzione" quando ci premerà di mettere in vista che una variabile di stato si può esprimere per mezzo delle altre. A es. data una massa gassosa, p, v, T sono tre variabili di stato, una delle quali si potrà considerare come funzione delle altre due. Premesso ciò, riprendiamo un sistema di corpi, che possa scambiare con l'esterno solo calore e lavoro. Supponiamo che il sistema da uno stato A passi a uno stato C, seguendo una certa serie di trasformazioni, 1; poi, seguendo una serie di trasformazioni che indichiamo con 2′, ritorni allo stato iniziale A, chiudendo il ciclo. Secondo la (11′′) si ha Qe1, + Qe2′ + Le′ + Le2′ = 0 che possiamo scrivere Qe1 + Le1 = − (Qe2′ + Le2′). Pensiamo ora a una trasformazione, la quale porti il sistema dallo stato A allo stato C percorrendo in senso inverso la serie 2′; questa nuova trasformazione che vogliamo designare con 2 è, in breve, la trasformazione inversa di 2′. Se lungo un elemento della 2′ il lavoro era ricevuto dal sistema, ora lungo l'elemento corrispondente sarà ceduto, e viceversa; e lo stesso dicasi del calore, onde Qe2 + − Qe2′, Le2 = − Le2′. Avremo pertanto

Lo stesso potrà dirsi per qualsiasi altra trasformazione la quale, come la (1) e la (2), conduca il sistema da A in C. Dunque la somma Qe + Le dipende non dal modo come si esegue la trasformazione. ma dagli stati estremi A, C. In ciò consiste il principio dello stato iniziale e dello stato finale, o degli stati estremi.

Indichiamo subito una notevolissima applicazione, che servira anche a titolo di esempio. Da un sistema di sostanze, in date condizioni, si ottenga mediante reazioni chimiche, a volume costante, un insieme di altre sostanze in condizioni ben determinate: il calore sviluppato nella trasformazione è lo stesso, tanto se questa è avvenuta per via diretta, quanto se è avvenuta per il tramite di svariate reazioni. Indicate infatti con 1, 2 le vie seguite, siccome nelle reazioni a volume costante - p. es. in recipienti chiusi - il sistema non fornisce lavoro all'esterno, si avrà Le1 = 0 = Le2 la (12) darà Qe2, = Q2e; o anche, considerando invece del calore Qc fornito quello sviluppato Qe′ = − Qe e ceduto all'ambiente:

Questa legge fondamentale della termochimica fu stabilita da G. H. Hess nel 1840, cioè due anni prima che Mayer enunciasse il principio di equivalenza, dal quale abbiamo visto scaturire il principio (12) degli stati estremi. Viceversa, ammesso il principio (12), segue immediatamente quello d'equivalenza. I due principî, dal punto di vista logico, costituiscono in fondo due diversi enunciati di un'unica proprietà. Praticamente però essi si completano a vicenda, perché vi sono dei casi nei quali o non si può far percorrere a un sistema un ciclo, o non si può portare il sistema da uno stato a un altro in diversi modi: in questi casi rari, verificando sperimentalmente un principio, è rimasto implicitamente dimostrato l'altro. Volendo poi all'infuori della chimica un facile esempio del modo come si possa condurre un sistema da uno stato all'altro per diverse vie, basta tornare alla fig. 3. Da A in C si può pervenire o percorrendo la linea ABC indicata dalle frecce (un'espansione a pressione costante seguita da una trasformazione a volume costante), o seguendo la linea ADC, o in infiniti altri modi.

Consideriamo la grandezza Qe + Le. Poiché il suo valore non dipende dalla speciale trasformazione seguita, ma solo dagli stati estremi A, C, la sua espressione analitica conterrà solo i parametri che definiscono lo stato A e lo stato C; e se fissiamo una volta per tutte arbitrariamente lo stato di riferimento A e facciamo variare lo stato finale, che ora vogliamo denotare genericamente con X il valore Qe + Le dipenderà solo dai parametri x1, x2, ..., che definiscono lo stato X. In breve, abbiamo trovato una funzione di stato che possiamo denotare simbolicamente con

o più per disteso con

A questo punto, per evitare equivoci in cui spesso si cade, poniamo la definizione: chiamiamo energia ogni grandezza che si possa pensare come funzione di stato e sia misurabile in unità di lavoro (o anche: sia omogenea a lavorc). Tale è la E definita dalla (13); essa, per disteso, è l'energia del sistema nello stato X riferita allo stato A.

Denotiamo per un momento genericamente con (M, N) la somma Qe + Le relativa a una (qualunque) trasformazione che conduca dallo stato M allo stato N. Se è data una trasformazione B X, pensando a una trasformazione A B X, abbiamo (A, X) = (A, B) + (B, X), da cui (B, X) = (A, X) − (A, B), che in virtù della (13) si può scrivere

o anche

Abbiamo dunque la proposizione fondamentale: allorche un sistema può scambiare con l'esterno solo calore e lavoro, la somma Qe + Le relativa a una trasformazione qualsiasi B X è uguale alla differenza fra i valori che una funzione E assume rispettivamente nello stato X e nello stato B; questa funzione è l'energia del sistema.

Per date ai risultati esposti un'interpretazione fisica più facile spesso è preferibile considerare non il lavoro Le ricevuto dal sistema, ma il lavoro Le′ = −Le fatto dal sistema; p. es., nel caso di un fluido che si espande, il lavoro

La (14') diviene

che si può leggere nel seguente modo: il calore Qe, fornito dall'ambiente a un sistema, in parte ritorna nell'ambiente trasformato in lavoro, Le in parte resta nel sistema e serve a produrvi quelle modificazioni che portano la E dal valore E (B) al valore E (X). Se per caso poi Si avesse E (X) = E (B), verrebbe Qe = Le′; ciò si presenta, fra l'altro, quando il sistema percorre un ciclo, cosicché allora tutto il calore Qe sparito dall'ambiente viene restituito a questo sotto forma di lavoro Le′; si ricade cioè nel principio di equivalenza (n. 2). Se poi si avesse Le′ = 0, come avverrebbe per un fluido chiuso in un cilindro col pistone reso immobile, sarebbe per la (15) Qe = E (X) − E (B), cioè tutto il calore ricevuto dal sistema servirebbe a farne variare l'energia. Infine, se facciamo in modo che sia Qe = 0, Le′ > 0 (p. es. lasciamo espandere un fluido senza somministrargli calore), abbiamo dalla (15) E (B) − E (X) = Le′ > 0, E (B) > E (X); la quale indica che l'energia del sistema è diminuita; e la diminuzione equivale al lavoro che il sistema ha dato all'ambiente. Tutto ciò dunque conferisce all'energia l'aspetto di una ricchezza che può essere spesa per ricavare lavoro, o che si può ottenere spendendo lavoro.

Tomiamo alla (13), nella quale è sottinteso il riferimento allo stato A, e osserviamo che se si fosse scelto uno stato di riferimento A′, il che era in nostro arbitrio, essendo (A′, X) = (A′, A) + (A, X), l'energia sarebbe stata calcolata mediante la funzione

dove con C abbiamo denotato la costante (A′, A). Concisamente si suol dire: l'energia è definita a meno d'una costante additiva arbitraria. È evidente che l'energia dello stato di riferimento ha il valore zero; epperò fissare arbitrariamente il valore della costante additiva equivale a fissare lo stato a cui si attribuisce convenzionalmente un'energia zero. Malgrado tale arbitrarietà, le variazioni di energia, che sono le grandezze realmente interessanti perché osservabili, restano perfettamente determinate; la differenza di energia fra lo stato B e lo stato X, calcolata o mediante la (13) o mediante la E′ (X), (16), ha lo stesso valore.

Dalle cose dette in questo paragrafo si potrebbero ricavare subito conseguenze della più alta importanza. Per farne abbracciare meglio la portata, preferiamo però di parlarne in seguito (n. 8); cioè dopo che sarà meglio lumeggiato il significato fisico di energia col mostrare che essa si scompone in energie di vario tipo, le quali col loro giuoco reciproco determinano il mutevole aspetto delle cose e dei fenomeni.

4. Commento matematico. - Apriamo una parentesi, che servirà a evitare ripetizoni. Siamo partiti dalle grandezze

e abbiamo constatato sperimentalmente che calcolando l'uno e l'altro integrale per un ciclo (nel qual caso vogliamo usare il simbolo ʃc), e sommandoli si ha zero; abbiamo constatato cioè che è

qualunque sia il ciclo. Da ciò abbiamo dedotto che la somma Qe + Le = E è una funzione di stato, con tutte le conseguenze. Riprendendo il ragionamento, si vede che esso si può generalizzare: definito un δG, se è soddisfatta, qualunque sia il ciclo, l'ipotesi

l'integrale

dipenderà solo dagli stati estremi, la G si potrà considerare come una funzione di stato definita a meno di una costante additim arbitraria, l'infinitesimo δG coinciderà col differenziale dG di questa funzione. Se invece la (17) non è soddisfatta, cadono tutte le conseguenze.

Il lavoro in generale non soddisfa alla (17): per convincersene basta pensare alle figg. 1 e 3 in cui ʃc δL in valore assoluto misura l'area racchiusa da un ciclo. Anche il calore, se si osserva la relazione Qe = EeLe, non soddisfa alla (17). In generale dunque, il calore infinitesimo δQe, somministrato a un corpo come pure il lavoro infinitesimo δLe, che sono elementi fisicamente importanti perché accessibili alla misura, non si possono esprimere come differenziali esatti di una qualche funzione, mentre invece la loro somma è un differenziale esatto. Riserbando il simbolo d per i differenziali e continuando a chiamare xr le variabili di stato indipendenti, possiamo scrivere

che è in fondo l'espressione più concisa del principio di equivalenza. Se tutte le xr restano costanti salvo una, sia ad es. x1, la somma δQe + δLe si riduce a un solo termine, il quale, eseguite le misure, si metterà sotto la forma I1 dx1, dove I1 figura come coefficiente di proporzionalità. La (18) ci dice, ponendovi dx2 = dx3 ... = 0, che deve essere

Se in base a esperienze riusciamo a mettere δQe + δLe sotto la forma

possiamo essere sicuri che le Ir saranno le derivate di una medesima funzione E = E (x1, x2, ...). Per una nota regola di analisi, si avrà

le quali relazioni, se si conoscono le espressioni delle Ir, permettono di ricavare importanti proprietà del sistema. Le Ir vengono chiamate fattori energetici d'intensità, le corrispondenti xr fattori d' estensione. Vi è una scienza che studia da un punto di vista generale - e quindi necessariamente astratto - le proprietà formali dell'energia e dicesi energetica, o anche termodinamica generale.

5. Forza viva. - Per sollevare un corpo che si trovi in riposo occorre l'intervento di un'attività simile a quella che può svolgere una persona; ma una pietra lanciata con una certa velocità può sollevarsi da sola; essa ha dunque in sé qualche cosa dei caratteri d'un essere vivo. La valutazione di questo qualche cosa fu oggetto di lunghe controversie intorno al 1700, specialmente tra Descartes e Leibnitz, al quale ultimo si deve l'espressione forza viva (1695). Riteniamo oramai opportuno, d'accordo con la maggior parte degli autori, di chiamare forza viva di una massecola m, che si muova con velocità v, la grandezza scalare

Evidentemente questa è una funzione di stato, giacché è definita tosto che sian conosciuti i valori m, v relativi al corpo nell'istante che si considera, inoltre, il teorema che dimostreremo indica che

è omogenea a lavoro; dunque, secondo la definizione data nel n. 3, la forza viva è un'energia, detta cinetica, o attuale, o di movimento; la designeremo con l'abbreviazione Cin. Se si tratta d'un corpo o sistema, per definire la forza viva totale si ricorre alla scomposizione in massecole; abbiamo cioè le definizioni: per una massecola

per un sistema

L'energia cinetica, come somma di quadrati, è sempre positiva.

Sia f la risultante di tutte le forze che agiscono sopra una generica massecola. L'equazione fondamentale della dinamica

(a = accelerazione), scomponendo f ed a secondo tre assi cartesiani ortogonali, si scrive

da cui

e analoghe. Il lavoro della (5), ricordando che v2 = vx2 + vy2 + v22, assume la forma

Si ha dunque

La (21) mostra che la (23) vale non solo per una massecola, ma per tutto il sistema. Integrando la (23) fra gl'istanti t1, t2, e osservando che è

si può scrivere anche

La (23), ovvero la (24), costituiscono l'importante teorema della forza viva: il lavoro eseguito da tutte le forze che agiscono su un sistema è uguale alla variazione che ha subito l'energia cinetica durante l'intervallo di tempo considerato.

Abbiamo dunque in concreto la prima forma di energia; prima sia in ordine di tempo, nello sviluppo storico dei concetti, sia in ordine psicologico. Tralasciando gl'innumerevoli esempî familiari (martello che configge un chiodo, vento che spinge una barca, ecc.) vogliamo notare che nella (24) si possono distinguere tre casi:

1°. Le forze fanno complessivamente un lavoro positivo, cioè (n.1) il lavoro motore prevale su quello resistente; la forza viva cresce, la (24) scritta sotto la forma Cin2 = Cin1 + L, si può interpretare dicendo: il sistema ha assorbito il lavoro L, che ha trasformato in energia cinetica immagazzinandola insieme con la Cin1, che eventualmente aveva in origine (es.: i gas nella camera di scoppio d'un cannone fanno un lavoro ʃpdV > 0, che in massima parte viene impiegato per animare il proiettile).

2°. Il lavoro totale è nullo, cioè il lavoro motore compensa il lavoro resistente. Di questo caso importantissimo nello studio delle macchine (regime dinamico), abbiamo visto qualche esempio nel n. 1 (sollevamento di un grave con moto uniforme, impiego di una puleggia in condizioni ordinarie).

3°. Il lavoro totale è negativo; la forza viva diminuisce e può anche annullarsi (es. movimento ascendente di un grave lanciato, la velocità diminuisce perché nella salita il lavoro di gravità è resistente; proiettile che si ferma penetrando dentro un terreno, ecc.).

S'è detto in fine del n. 3 che l'energia si decompone in parti. La (21) ne dà un esempio, giacché la forza viva d'un sistema è espressa da una somma. La (21) spesso si semplifica. P. es., se tutte le massecole hanno la stessa velocità (moto di traslazione) si avrà

dove M è la massa totale del corpo. Parimente, se un solido ruota con velocità angolare ω intorno a un asse, si trova

dove la grandezza Θ (momento d'inerzia) dipende dalla distribuzione delle masse. Si dimostra poi (teorema di A. König) che per un solido il quale si muove di moto qualunque si ha

cioè la sua forza viva è la somma della parte che spetta alla traslazione e di quella che spetta alla rotazione.

6. Energia potenziale. - Supponiamo che in un sistema di punti materiali siano soddisfatte le seguenti ipotesi:

1. Le componenti Xr, Yr, Zr della forza applicata al generico punto rmo siano le derivate parziali d'una funzione delle coordinate ϕ = ϕ (x1, y1, z1, x2, y2, z2, ...) detta, con W. Hamilton, funzione di forze; cioè sia

Per una ragione che vedremo tosto, si dice anche che le forze "ammettono un potenziale"; e si dimostra che se ciò accade in coordinate cartesiane, accade anche usando qualsiasi altro sistema di riferimento. Si noti che nell'ipotesi fatta le forze sono posizionali, cioè dipendono solo dalla posizione dei varî punti; resta perciò escluso il caso che dipendano anche dalla velocità, come avviene nell'attrito e in genere nelle cosiddette resistenze passive.

2. La ϕ sia una funzione uniforme delle coordinate, abbia cioè un valore ben determinato quando son date le posizioni dei punti. Epperò resta ad es. escluso il caso (si presenta in elettromagnetismo: legge di Biot e Savart) in cui ϕ (x, y) abbia un'espressione come arctang y/x, la quale in ogni punto (x,y) ha non uno ma infiniti valori. La 1ª ipotesi permette di trasformare l'espressione (5) del lavoro totale:

che possiamo anche scrivere δL = − d (− ϕ) considerando la funzione (− ϕ), più espressiva dal punto di vista fisico. Secondo il n. 3, la grandezza (− ϕ), omogenea a lavoro essendo, tenuto conto della 2ª ipotesi, una funzione di stato, è un'energia. Viene chiamata energia potenziale e la designeremo con l'abbreviazione

cosicché scriveremo

e integrando

Seguono proprietà analoghe a quelle viste nei nn. 3 e 5, come l'annullarsi del lavoro per un ciclo (i punti riprendono le posizioni iniziali) ʃeδL = 0, l'indipendenza del lavoro dalla via percorsa, ecc.; e seguono le interpretazioni fisiche, p. es. se è L > 0, il lavoro è stato fatto a spese dell'energia potenziale, che è diminuita (Pot1 > Pot2), ecc. Dalla nozione d'energia potenziale deriva l'importantissima grandezza il potenziale, che nei diversi rami della fisica (meccanica, elettrostatica, ecc.) ha definizioni e significati differenti sui quali non possiamo intrattenerci.

La prima idea d'energia potenziale è venuta dalla gravità. Una pietra si trovi ferma in posizione elevata; se togliamo l'impedimento' la pietra scende e la forza di gravità, cioè il peso P = mg, compie un lavoro; dunque quando la pietra è in alto siamo in presenza di una energia allo stato potenziale. Se il grave scende verticalmente dal punto A1 di quota Z1 al punto A2 di quota Z2, il lavoro della gravità è:

Un calcolo molto facile, tenuta presente la (2), mostra che il lavoro di gravità è identico anche se il corpo - scorrendo su qualche guida - va da A1 ad A2 lungo un cammino curvilineo qualsiasi; l'indipendenza del cammino, espressa dalla (28), è nient'altro che una generalizzazione di questo semplice e importante risultato. Notiamo che, per la (29):

C indica una costante additiva arbitraria (cfr. n. 3, in fine) assegnata la quale si ricava dall'equazione mgZ0 + C = 0 il livello Z0 ove l'energia che stiamo considerando ha convenzionalmente il valore zero. Di solito, si sceglie il livello del mare. Derivando la (30), in cui gli assi x, y sono supposti orizzontali, si hanno le componenti della forza

Il grave è stato implicitamente considerato come un punto, il che presuppone dimensioni piccolissime. Se ciò non è, basta pensare che i pesi delle massecole, in cui si può pensare suddiviso un corpo, si compongono in una risultante unica applicata a un punto detto baricentro (o centro di gravità); la (29) e la (30) continuano a valere, ove per m s'intenda la massa totale del corpo e per Z la quota del baricentro. Questo esempio valga a mostrare come, spesso, le complicazioni che fa temere il simbolo ϕ (x1, y1, z1, x2, ...) siano solo apparenti; nei casi consueti la ϕ si riduce a una funzione di poche variabili, il che ne accresce l'utilità. Sempre nel caso della gravità, se gli spostamenti in altezza sono molto grandi, l'accelerazione g non si può considerare come costante e si deve ricorrere alla legge dell'attrazione universale, scoperta da Newton

dove ν è una costante. Quando m′ si allontana per un tratto infinitesimo, la forza di gravità fa un lavoro negativo

Si vede che il δL è il differenziale della funzione

epperò l'energia potenziale è data da

Analogo è il caso delle forze elettriche, giacché la legge di Coulomb

(k = costante dielettrica del mezzo in cui sono le cariche positive o negative q, q′) ha la stessa forma della (31). La costante additiva dell'espressione.

qui si prende, per convenzione, uguale a zero, intendendo così che l'energia potenziale sia nulla quando le cariche sono infinitamente distanti l'una dall'altra; epperò

Negli esempi considerati, l'energia potenziale si è presentata come una energia di posizione. Mostriamo un esempio in cui assume il carattere d'una energia di deformazione. Un filo ela5tico viene allungato d'un tratto ξ; si sviluppa una forza elastica proporzionale all'allungamento e diretta in senso contrario (legge di R. Hooke), = −aξ, a = cost > 0. Il lavoro elementare della forza elastica δL = fdξ = − aξ dξ è il differenziale dell'espressione

quindi avremo, a meno della solita costante additiva arbitraria

La generalizzazione di questo caso si studia nella teoria matematica dell'elasticità. Non molto diversa dall'energia elastica è la energia della tensione superficiale, che si manifesta specie nei fenomeni capillari ed è dovuta al fatto che per accrescere la superficie d'un liquido bisogna spendere lavoro. Se il filo elastico, di cui abbiamo parlato, fosse assicurato a un estremo e reggesse all'altro estremo posto in basso una massa mg, scriveremmo per le (30) e (35),

o anche, chiamando z la quota dell'estremo inferiore, z0 il valore che z assume quando il filo non è stirato:

In generale, se un sistema di forze si può scomporre in due o più altri, ognuno dei quali ammette una funzione di forze, tenendo presente che il lavoro della risultante è la somma dei lavori delle componenti (n.1), si avrà

Anche l'energia potenziale, come quella cinetica, si scompone dunque in diversi termini, Pot = PotI + PotII + ...

7. Sistemi conservativi. - Supponiamo che le forze (interne) d'un sistema isolato dall'ambiente ammettano una funzione di forze, cosicché sussista la (28); combinando questa col teorema della forza viva (24), si ha

da cui

Dunque, nelle ipotesi fatte, si ha

In ciò consiste il teorema della conservazione dell'energia in meccanica. La somma Cin + Pot, per questa ragione, spesso viene chiamata energia meccanica, qualunque sia l'origine (p. es. elettrica) delle forze. Il significato filosofico del teorema, che fu intuito dal Leibnitz, precisato meglio da Giov. Bernoulli (1742) e poi applicato dal figlio Daniele al moto dei fluidi, da Eulero alla gravità, ecc., è che la facultas agendi, cioè la facoltà di produrre lavoro, non va perduta: quando diminuisce l'energia cinetica compare un'equivalente energia potenziale, e viceversa.

Citiamo alcuni fra i tanti esempî di conferme qualitative.

a) Un grave cade, si perde energia potenziale e s'acquista energia cinetica, d'accordo con la (39), che nel caso presente, per la (30) si scrive

b) Due corpi elastici urtandosi perdono energia cinetica, ma nello schiacciarsi acquistano energia potenziale elastica; questa torna a trasformarsi in cinetica e si ha il rimbalzo.

c) Il pendolo: incessanti trasformazioni Cin → Pot → Cin → Pot...; la somma è costante, cioè vale la (40), istante per istante.

d) Le onde: anche qui contínuo giuoco di energie Cin e Pot.

Osserviamo ora però che la (39), per l'osservazione fatta in principio del n. 6, può sussistere solo quando le forze sono posizionali; e tali non sono certamente le resistenze passive inevitabili. Sorge quindi il sospetto che le conferme segnalate siano affrettate, e si presenta la necessità di esaminare il lato quantitativo. Non occorre, a tal fine, nessuna esperienza da laboratorio. Nell'esempio a), basta la vecchia osservazione che le gocce di pioggia, se l'energia potenziale si mutasse tutta in cinetica, riuscirebbero micidiali. Infatti la (41), facendovi v1 = 0, z1 = H, v2 = V, z2 = 0, dà

da cui per altezze di caduta H vicine ai 3000 m. si ottengono velocità V vicine a 200 m./sec.; ogni goccia sarebbe un proiettile, ma interviene la resistenza dell'aria, che frena il movimento. Nell'esempio b), si osserva che due corpi poco elastici rimbalzano con piccola velocità; anzi due corpi plastici, di masse uguali, urtandosi si fermano del tutto; l'energia cinetica sparisce senza che si veda apparire energia potenziale. Quanto agli esempî c), d), è notorio che dopo un tempo più o meno lungo, qualunque pendolo si ferma, qualunque moto ondoso si estingue.

Se vogliamo un esempio di conservazione nel mondo direttamente accessibile ai sensi, cioè nel mondo macroscopico, dobbiamo ricorrere agli spazî celesti, nei quali mancano verosimilmente le resistenze passive. E si cita il sistema Terra + Sole. Teoria e osservazioni sono d'accordo: nel perielio, che è il punto dell'orbita terrestre più vicino al Sole, abbiamo massima energia cinetica, minima energia potenziale, nell'afelio che è il punto più lontano, il contrario come esige la (39). (Tuttavia anche qui si deve fare una certa riserva, a causa delle maree). Queste constatazioni suggerirono di distinguere le forze in due classi, ascrivendo alla prima quelle che ammettono una funzione di forze e il cui lavoro si può perciò esprimere mediante la differenza Pot1 − Pot2, forze che vengono dette conservative; alla seconda classe le forze dissipative o resistenze passive, il cui lavoro negativo indicheremo con − L″. Eguagliando il lavoro totale

alla variazione di forza viva, la (39) si muta in

Conservativi vennero chiamati in meccanica i sistemi in cui, essendo soddisfatte le ipotesi enunciate in principio di questo paragrafo, si ha L″ = 0 e l'energia meccanica si conserva. Spesso si ha approssimativamente conservazione (quindi trasformazione di energia cinetica in potenziale, o viceversa) perché L″ è piccolo, come nel caso di una pietra che cade. Altre volte invece L″ assume un'importanza di primo ordine; così, nel caso dell'acqua che passi da un serbatoio alto a uno basso scorrendo per un tubo stretto e rugoso, sparisce energia potenziale e non si vede comparire energia cinetica.

La distinzione dei sistemi in conservativi e non conservativi, comoda in quanto facilita i calcoli, non poté entusiasmare i fisici: essa appare sprovvista di quel profondo contenuto filosofico che conferisce generalità e chiarezza ai principî fondamentali d'ogni scienza, tanto più che, essendo i sistemi conservativi rarissimi nel mondo macroscopico (dovemmo cercarli in astronomia), la costanza della somma Cin + Pot si presenta più che altro come un privilegio di sistemi eccezionali. La conservazione dell'energia meccanica sarebbe assicurata se si avesse da fare con forze centrali; con la quale denominazione s'intendono, secondo Helmoltz, forze analoghe a quelle di Newton (31) e di Coulomb (33), ma variabili secondo una funzione qualunque della distanza r = AB, che intercede fra i punti materiali A, B a cui sono applicate. Si dimostra infatti che in tal caso esiste una funzione di forze. Si obietta che nella gran varietà della natura, non è detto a priori che tutto si possa ridurre a punti materiali e forze centrali; forze che implicano l'obbedienza al principio di azione e reazione e si presentano come istantanee giacché nella loro espressione non compare il tempo.

Un difensore accanito della conservazione dell'energia meccanica potrebbe tentarne il salvataggio, invocando l'energia cinetica (ed eventualmente potenziale) microscopica. Quando le onde di un bacino si estinguono, non può accadere che le massecole continuino a muoversi, senza che ce ne accorgiamo? Nell'affermativa, avremmo un'energia cinetica invisibile, da poter invocare tutte le volte che si tratta di giustificare la scomparsa dell'energia meccanica macroscopica. Ritorneremo nel n. 9 su queste energie microscopiche, il cui studio costituisce una delle parti più brillanti della fisica moderna (teoria cinetica della materia), ma ora dobbiamo osservare che il loro intervento qui è sistematicamente fuori posto: non vi è a priori nessun mezzo per controllarle, e non conviene costruire sopra ipotesi gratuite. La scienza dell'energia ha l'ambizione di esser generale e di servire di fondamento a tutte le altre scienze della natura, non già di fondarsi su di esse; epperò deve concedersi un numero minimo d'ipotesi, suffragate da fatti semplici nelle loro manifestazioni, macroscopici. A questo punto la scienza del calore porge, con sicura mano, aiuto alla meccanica. L'umanità, in mezzo alle infinite vicende, va sempre in cerca di qualche cosa che rimanga costante e serva da guida: il principio di Mayer, allargando il significato di energia, salva il concetto della conservazione.

8. Conservazione dell'energia. - Si abbia un sistema che possa scambiare con l'ambiente solo calore e lavoro; 1. rappresenti lo stato che chiamiamo iniziale; 2. lo stato che chiamiamo finale; e, i, significhino esterno, interno. Il lavoro delle forze interne, denotando come nel n. 7 con − L″ quello delle forze nnn conservative, si scrive Li = Pot1 − Pot2L″; da qui e dal teorema della forza viva (24), Cin2 − Cin1 = L = Le + Li segue

Questo ci dà la meccanica; d'altra parte il principio di equivalenza ci ha condotti alla (14′), che scriviamo

Dal confronto segue

A questo punto osserviamo che se la somma Qe + L″ fosse nulla o almeno costante, potremmo soddisfare alla (46) ponendo

e l'energia E di un sistema s'identificherebbe con l'energia meccanica (Cin + Pot) n. 7, giacché la costante additiva non ha importanza (n. 3). Siccome però Qe e L″ si possono far variare a piacere, la (a) non può soddisfare in generale alla (46); la differenza fra E e (Cin + Pot) non è una costante; è una grandezza variabile, che per fissare le idee chiameremo energia fisica e denoteremo con la sua abbreviazione. Ponendo dunque

possiamo scrivere

È tempo di ritornare alla (14′) per considerare un sistema isolato. In tal caso, essendo Qe = 0, Lc = 0, si ha E (X) = E (B) ossia

che per la (48) si scrive

In questa equazione consiste il famoso principio della conservazione dell'energia, fondamento della scienza moderna. Esso si enuncia: l'energia totale d'un sistema isolato è costante. Tutti i sistemi sono dunque conservativi in senso lato. Nei rari casi poi in cui si ha Fis = cost, dalla (50) si ritorna a Cin + Pot = cost, cioè il sistema è conservativo, anche nel senso stretto della meccanica.

Nel n. 3 eravamo in grado di scrivere la (49), ma la sua importanza sarebbe sfuggita, perché non conoscevamo la scomposizione (48) dell'energia totale. La fecondità e l'immensa portata del principio di conservazione risiede nel fatto che esso, nella forma (50), si presenta simultaneamente come un principio di conservazione e di trasformazione: i singoli termini possono variare - e si svolgono i fenomeni - ma la somma non muta. In altre parole: l'energia si trasforma, ma non si distrugge. Per le applicazioni è conveniente fare un ulteriore passo avanti. Supponiamo che un sistema isolato consti di due parti α, β, ognuna delle quali si possa pensare sede di energia. E chiaro che dovendo rimanere costante la somma

tanta energia perde una parte del sistema, quanta ne guadagna l'altra. Riferendoci al solito a uno stato iniziale 1 e a uno stato finale 2 si avrà cioè

dove la grandezza ϕ denota l'energia che da α è passata in β, ossia il flusso entrante d'energia relativo al sistema β. Fissando l'attenzione su questo sistema e tralasciando le indicazioni α e β, scriviamo

Se il sistema riceve calore e lavoro, si deve porre ϕ = Qe + Le e si ricade nella (14′); se è collegato mediante fili a macchine elettriche esterne si porrà (10), n. 2, dϕ = vidt, se il sistema è una vasca in cui vien lanciato un corpo, si metterà per ϕ la forza viva del corpo lanciato, ecc. La (51) è la forma più comoda del principio di conservazione. Essa si può anche scrivere, tenendo costante uno stato di riferimento, p. es. 1, e facendo variare l'altro,

ossia per la (50):

A questo punto cominciano le differenziazioni energetiche fra le varie scienze fisiche. Ognuna di esse, oltre a dare alle energie Cin, Pot espressioni opportune, dovrà stabilire come si manifesti l'energia Fis, nei fenomeni di cui si occupa.

L'osservazione attenta dei fatti e un profondo intuito della natura avevano già suggerito ad alcuni pensatori l'idea che il lavoro non si possa creare dal nulla. Galileo, e più indietro S. Stevin (1634) e, a quanto pare, anche Leonardo, avevano già chiara coscienza dell'impossibilità del moto perpetuo, cioè dell'impossibilità di costruire una macchina che, abbandonata a sé stessa, si muovesse indefinitamente, perché gl'inevitabili attriti spengono dopo un tempo più o meno grande il movimento (es.: pendolo). A fortiori ne risultava l'impossibilità del motore perpetuo, l'impossibilità cioè di costruire una macchina che ripassando periodicamente per le stesse posizioni e con le stesse velocità, fornisse indefinitamente lavoro all'esterno, senza che in pari tempo avvenisse qualche altro fenomeno, tale da potersi pensare come un compenso del lavoro ottenuto. E nel 1775 l'accademia di Francia dichiarava una volta per sempre che non avrebbe più preso in considerazione pretese soluzioni del problema del moto perpetuo (specialmente nel significato di motore perpetuo), problema che aveva affaticato tanti cervelli.

L'impossibilità di creare dal nulla non era però accompagnata dall'impossibilità di distruggere nel nulla. Lo stesso Newton (1782) accettava con indifferenza il fatto che gli attriti e gli urti dei corpi non elastici distruggono il movimento, senza compensi. Non si poteva quindi parlare di conservazione di energia in generale, quantunque nella meccanica ideale (sistemi conservativi, n. 7) si fosse già parlato di conservazione (Leibnitz, Descartes, J. e D. Bernoulli, Eulero, ecc.) e quantunque in termochimica Hess avesse già scoperto la legge, che porta il suo nome (n. 3). Il passo decisivo fu dunque quello di Mayer (n. 3), il quale riconobbe che la scomparsa del lavoro è accompagnata dalla comparsa d'una quantità ben determinata di qualche altra cosa: il calore. Da allora in poi, fu possibile parlare di trasformazione, in luogo di distruzione.

Il Mayer ebbe piena consapevolezza della portata della sua scoperta, dai fenomeni vitali (ossidazione del sangue) a quelli cosmici (incandescenza delle meteoriti: si perde forza viva e si ottiene calore). Al Mayer va pure tributata lode per la somma prudenza del suo procedere scientifico, il quale, pure essendo ispirato da concetti filosofici trascendenti ("ex nihilo nihil fit" e inversamente "nihil fit ad nihilum"), si fonda unicamente sui fatti osservabili. Le ipotesi, adottate in seguito, sulla natura dei corpi, sull'energia termica, ecc., sono da considerarsi come base di sviluppo e non come fondamento del concetto di equivalenza. All'opera di Mayer seguì immediatamente quella di Joule, il quale con illuminata e assidua fatica impresse al principio di Mayer il suggello dell'esperienza, constatando per diverse vie la costanza dell'equivalente dinamico della caloria J Si aggiunsero poi altri sperimentatori o teorici - vanno specialmente ricordati W. Thomson, H. Helmoltz, A. O. Rankine, G. H. Hirn, H. V. Regnault, R. Clausius - cosicché intorno al 1860 il principio della conservazione e della trasformazione dell'energia era definitivamente acquisito alla scienza.

9. Principali forme di energia. - Passeremo rapidamente in rivista i più importanti tipi di energia, e ci appariranno di scorcio alcuni problemi fondamentali della fisica.

Incontreremo una forma di energia che può venire considerata o come potenziale o come cinetica, secondo il mutevole punto di vista che il fisico adotta per la rappresentazione della natura. Simili constatazioni, congiunte con la possibilità di raggruppare arbitrariamente - e spesso inconsapevolmente - diverse forme di energia in una, o viceversa, fanno sorgere il timore di uno smarrimento: in particolare, come osserva M. Planck, sussiste il pericolo che una forma di energia venga o dimenticata o contata due volte. Il pericolo qualche volta si affronta facendo l'analisi dei movimenti e delle forze elementari, ma il criterio più sicuro per non smarrire la via scaturisce dalle considerazioni fatte alla fine del n. 4: delimitare bene il campo dei fenomeni che si considera, assumere un sistema di variabili indipendenti x,. (fattori di estensione), e cercare nel campo considerato l'espressione dE = ΣIr dxr. Bene spesso poi, accade una circostanza fortunata, cioè che anche l'espressione finita dell'energia si lasci mettere sotto la forma di una somma E = A + B + C + .... Del che abbiamo visto esempî nel n. 5, (25) a proposito dell'energia cinetica e nel n. 6 (36) a proposito dell'energia potenziale. Quando ciò accade, si può parlare di una vera e propria separazione delle varie specie di energia e riesce più facile concepirle e seguirle.

1. Energia cinetica macroscopica, Cin. Vedasi n. 5; l'aggettivo "macroscopica" indica che intendiamo qui prescindere dai moti individuali delle singole molecole, o delle loro parti.

2. Energia di gravitazione macroscopica, Grav. Vedasi n. 6.

3. Energia elettrostatica macroscopica, Elettrost.

Un sistema di cariche in quiete possiede un'energia potenziale, espressa nel caso più semplice dalla (34). La legge di Coulomb (33), su cui è fondata la (34), è una constatazione sperimentale: descrive ma non spiega; anzi la sua forma matematica può far pensare che si tratti di forze agenti a distanza e istantanee, difficili a concepirsi. Il problema di spiegare le azioni elettriche stimolò il profondo intuito di M. Faraday, il quale da numerosi fatti sperimentali fu indotto a ritenere che non i conduttori, ma i cosiddetti isolanti - o dielettrici come egli li chiamò - interposti fra i conduttori fossero la sede di quelle modificazioni, a cui son dovuti i fenomeni elettrici. Fra due cariche +, − esistono infinite linee di forza, le quali sono simili, secondo Faraday, a fili elastici tesi, che tendano ad accorciarsi; così si spiega l'attrazione fra le cariche +. Ogni parte di un campo elettrico viene dunque a trovarsi in una condizione speciale simile - nell'immagine di Faraday - a quella di un corpo elastico deformato; e diviene sede di un'energia, che costituisce nella sua totalità l'energia elettrostatica del sistema. Questa concezione fu sviluppata meravigliosamente da J. C. Maxwell, col sussidio della matematica. Il caso di un condensatore piano, in cui il campo h è uniforme, insegna il modo di computare l'energia localizzata nel mezzo. Dalle nozioni elementari si ha

dove q = carica, k = cost. dielettrica del mezzo, S = sezione normale del campo, d = distanza fra le armature. Dividendo l'energia per il volume V = Sd, si trova subito l'energia che ha sede ne volume 1, cioè la densità volumetrica d'energia elettrostatica:

4. Energia magnetica macroscopica, Magn.

Due poli magnetici si attirano, o respingono, con legge analoga a quella di Coulomb (33); epperò si ammette che un campo magnetico sia sede di energia, la cui densità volumetrica è data da

analoga alla (54); la costante μ è la permeabilità del mezzo, H è l'intensità del campo magnetico. L'analogia ricordata fece pensare che anche qui si trattasse di energia potenziale, ma si vide poi - specialmente in seguito all'esperienza di H. A. Rowland - che una carica elettrica moventesi rapidamente con velocità v si comporta come un magnetino e viene attratta o respinta da una calamita, con una forza proporzionale alla velocità v; questa forza, dipendendo (oltre che dalla posizione) anche dalla velocità, non può essere posizionale (n. 7) e l'energia non può essere potenziale. Si pensò dunque in un secondo tempo che l'energia magnetica fosse ora di natura potenziale (calamite permanenti), ora di natura cinetica; ma i concetti moderni sulla costituzione atomica hanno rimesso in onore le correnti molecolari di Ampère. Hanno portato cioè ad ammettere che il magnetismo delle calamite naturali sia dovuto al movimento rapido degli elettroni atomici e l'energia magnetica sia perciò in ogni caso di natura cinetica.

5. Energia elettromagnetica si chiama la somma dell'energia elettrostatica e della magnetica. Riferita al volume 1 ha l'espressione

Il concetto dominante della teoria di Maxwell-Faraday, cioè il concetto della localizzazione dell'energia nello spazio, di cui la teoria dell'azione a distanza fa a meno completamente, se ha portato qualche oscurità - di cui parleremo tosto - ha recato però grandissimi vantaggi, soprattutto perché ha fatto scaturire il concetto della propagazione. Ogni localizzazione trae con sé la possibilità d'una propagazione, la quale si attua tutte le volte che una energia, in cui sono in giuoco due forme, una cinetica e una potenziale, cambia sede. Se si scuote uno straterello a di aria, questo comprime uno strato b contiguo, cioè l'energia cinetica si muta in energia potenziale di pressione, la sovrapressione di b fa muovere uno strato c, ecc.; lo scuotimento partito da a si trasmette agli strati successivi e si hanno così, se si fa pulsare lo straterello a, le onde sonore. Parimenti una modificazione elettrica o magnetica provocata in un punto si trasmette, con un giuoco a due, da uno strato all'altro, impiegando un tempo piccolissimo, ma finito; si hanno così le onde elettromagnetiche (luce, onde hertziane, raggi X, ecc.) in seno alle quali si propaga l'energia raggiante.

L'oscurità a cui s'è accennato poc'anzi riguarda il mezzo, giacché la propagazione avviene non solamente in seno alla materia, ma anche nel vuoto. Qual'è in questo caso la sede della energia? Si pensò che l'universo fosse ripieno d'una tenuissima materia elastica, imponderabile, denominata etere cosmico e già invocata utilmente per spiegare la luce, intesa come un fenomeno ondulatorio. Il tentativo di attribuire all'etere proprietà meccaniche (densità, moduli di elasticità) fallì; e fallì pure nella celebre esperienza di A. A. Michelson (1881) il tentativo di considerarlo come un corpo (nel senso meccanico), dotato di proprietà elettriche e magnetiche. La sede dell'energia elettromagnetica rimane oscura, ma in ogni modo se si vuole sfuggire alle azioni a distanza, sembra inevitabile ammettere che lo spazio vuoto, interposto fra i corpi, venga modificato profondamente dalla presenza di corpi elettrizzati. In altre parole il vuoto non è il nulla, è qualche cosa. È un'entità per cui fu proposta la denominazione spazio fisico, ma che si può anche continuare a chiamare etere, togliendo però a questa parola il significato ordinario di corpo. Così, a poco a poco, lo spazio è venuto a riprendere quel contenuto fisico, di cui l'avevano privato la potenza d'astrazione dei geometri greci e le necessità d'ordine costruttivo, in cui vennero a trovarsi i fondatori della meccanica classica (Galileo e Newton).

6. Energia interna, Int. ovvero U. Spesso è detta così la parte di E che rimane in un corpo escludendo l'energia cinetica macroscopica; cioè, per (48), la somma Pot + Fis. Meglio però dire interna solo l'energia che, insita nella costituzione stessa della materia, di solito è la meno appariscente, ma manifesta la sua potenza nelle trasformazioni termomeccaniche o chimiche o radioattive.

Il caso più sempfice è quello d'un gas perfetto monoatomico. La teoria cinetica ammette che le molecole siano in continua agitazione. Se il gas è monoatomico, la U è niente altro che l'energia cinetica microscopica dell'agitazione molecolare (v. aggregazione, stati di); si ha cioè:

dove la sommatoria è estesa a tutte le molecole. Se al gas somministriamo calore, mantenendo invariato il volume, la (15), che ponendo E = Int - U, Le′ = ʃpdV, scriviamo nella forma consueta della termodinamica

Ciò significa, per la (56), che in questo caso il calore è servito esclusivamente ad accrescere le velocità delle particelle. L'energia interna si presenta qui come energia termica di agitazione molecolare, Int = Term = Agit, e le sue variazioni si rispecchiano nelle variazioni di temperatura.

Se passiamo a gas poliatomici, a liquidi, solidi, oltre a una maggiore complessità di movimenti (intervengono rotazioni delle molecole e oscillazioni degli atomi), troviamo le forze di coesione. Una somministrazione di calore serve non solo ad accrescere l'agitazione molecolare, ma anche a vincere la coesione; p. es. in una caldaia ermeticamente chiusa l'acqua si muta in vapore. Epperò l'energia termica risulta da due parti Term = Agit + Coes. Un esempio di questa scomposizione, che può essere fatta secondo diversi criterî, si ha nella teoria dei solidi cristallini (v. aggregazione, n. 23).

Il concetto che abbiamo dell'energia termica ci spiega finalmente come accada che l'urto, gli attriti, le resistenze viscose, ecc., sviluppino calore: una parte dell'energia cinetica macroscopica viene sottratta al movimento d'insieme e, suddivisa in piccolissime porzioni, - polverizzata si potrebbe dire - va ad accrescere l'energia d'agitazione delle singole particelle (molecole e atomi).

Una miscela di 2 grammi d'idrogeno e 16 d'ossigeno si comporta, se prendiamo qualche precauzione, presso a poco come se avessimo ossigeno solo; ma basta una minuscola scintilla - come nella pistola di Volta - per provocare un'esplosione; e di questi fatti si trae profitto nei motori a scoppio, per ottenere lavoro. Cambia intanto la natura chimica della sostanza (H2 + 1/2 O2 = H2O). Il miscuglio aveva dunque, oltre all'energia d'agitazione e di coesione, cioè all'energia termica che spettava singolarmente all'idrogeno e all'ossigeno, un'energia mutua che possiamo chiamare chimica; la denoteremo, al solito, mediante la sua abbreviazione Chim

Finalmente, se l'atomo stesso subisce modifiche strutturali, come accade nelle trasformazioni radioattive, viene messa in giuoco una imponente quantità di energia. La materia emette radiazioni elettromagnetiche (raggi γ) e soprattutto corpuscoli velocissimi (raggi α, β) che urtando contro altri corpi mutano la loro forza viva in calore, o in altra forma di energia; 1 grammo di radio genera in i giorno circa 4000 piccole calorie e la modificazione da esso subita è così impercettibile, che questo calore sembrò da principio creato dal nulla e fece dubitare, a torto, del principio di conservazione. Le trasformazioni radioattive ci rivelano l'esistenza di una energia non contemplata in quelle precedenti: chiamandola atomica, abbiamo le seguenti scomposizioni:

Stando poi alle vedute moderne, le forze che agiscono fra le varie parti d'un atomo o d'una molecola sarebbero quasi sempre di natura elettrica e l'energia interna verrebbe ridotta alle forme fondamentali della meccanica, cioè cinetica e potenziale; l'una e l'altra però intese in senso microscopico, riferentisi cioè alle ultime particelle della materia e ai loro invisibili movimenti.

Gl'innumerevoli aspetti particolari e modi d'impiego dell'energia possono suggerire, e suggerirono, altre distinzioni e denominazioni, che s'incontrano nei diversi rami della scienza e della tecnica. Il motto dell'antica filosofia παντα ρεῖ (Eraclito), non potrebbe esser meglio applicato che all'energia, la quale incessantemente si trasforma e si propaga per l'universo. Dal Sole, sorgente di vita per noi, essa parte sotto forma elettromagnetica e arrivando sulla terra subisce metamorfosi diverse, secondo la natura dei corpi che assorbono le radiazioni: diventa energia chimica nelle piante che fissano il carbonio - e ne abbiamo testimonianza non solo in quelle viventi, ma anche negl'immensi giacimenti di carbon fossile -, diventa energia termica nelle acque che evaporano e ricadendo poi sotto forma di pioggia ci dànno il modo di procurarci energia idraulica, elettrica, lavoro. Il Sole, a sua volta, non può mantenere inesausta la sua potenza attraverso le migliaia di secoli, se non in virtù di trasformazioni energetiche che compensino la energia irradiata; sia che si tratti di masse cosmiche che vengono a urtare su di esso sviluppando calore (Mayer), sia che avvenga una trasformazione d'energia gravitazionale per contrazione di materia (Helmoltz), sia che si svolgano profonde modificazioni atomiche, come suggeriscono le teorie moderne (J. Perrin).

10. Degradazione.- Le diverse specie, o forme, di energia sono equivalenti, nel senso del n. 3, ma non si possono considerare identiche. Particolare attenzione merita l'energia termica, per il fatto che è la più facile a ottenersi, ma la più difficile a ritrasformarsi in altre specie di energia e produrre lavoro. Per es., nelle macchine termiche si prende periodicamente da uno o più focolari una quantità Q1 di calore, se ne trasforma una parte Q1Q2 = L′ in lavoro e la rimanente Q2 = Q1L′, si disperde distribuendola ai corpi più freddi. Tale sciupio è inevitabile; perciò l'energia termica è considerata la forma meno pregevole di energia. Questo è, in germe, il principio della degradazione dell'energia, o secondo principio della termodinamica, scoperto da Sadi Carnot (1824), e sviluppato specialmente da R. Clausius e da L. Boltzmann.

Consideriamo un grave che scivoli su un piano rugoso senza acquistare velocità, o un pendolo il cui moto vada smorzandosi. L'equazione della conservazione, che in questi casi si scrive

ci dice che quando si perde energia meccanica, cresce quella termica; il grave scivolando si riscalda. Si potrebbe congetturare con la (59), la possibilità di fenomeni inversi: da energia termica a meccanica. Si potrebbe cioè pensare: a un certo momento - eventualmente con l'aiuto di qualche dispositivo - l'energia termica, p. es. dell'aria che circonda un corpo, diminuisce e compare nel corpo una forza viva equivalente; l'aria si raffredda e il corpo vien lanciato verso l'alto. Il principio di conservazione (59) sarebbe salvo e si potrebbe attuare il cosiddetto moto perpetuo di seconda specie lasciando ricadere il grave per raccogliere il lavoro di gravità, poi facendolo risalire a spese dell'energia termica dell'ambiente, ecc.; verrebbe così utilizzata l'ingente provvista di energia termica che c'è nella terra, nel mare, nell'aria, anche supponendo che tutti siano alla stessa temperatura. Il secondo principio della terrmodinamica nega che simili fatti di regola possano accadere, giacché una macchina termica a funzionamento periodico deve prendere calore da uno o più corpi caldi e cederne a corpi più freddi, come si è notato sopra; richiede cioè la preesistenza di salti di temperatura. Epperò mentre il principio di equivalenza (59) non stabilisce se la trasformazione spontanea avvenga nel verso

o nel verso contrario, il 2° principio fissa il verso (60), ed esclude quello contrario; si presenta cioè come un principio d'evoluzione.

Nella nozione d'energia vediamo dunque raccolti i concetti di conservazione, trasformazione, propagazione, evoluzione.

Abbiamo detto poco sopra "di regola", perché in circostanze eccezionali, quando le particelle agenti simultaneamente sono relativamente poche, il loro moto d'agitazione può sollevare un peso con diminuzione dell'energia termica (moti Browniani di granellini immersi in un fluido); si suol dire perciò che il 2° principio rappresenta una verità "statistica".

La ragione profonda, per la quale l'energia termica non si può integralmente e spontaneamente trasformare in altri tipi, risiede nella circostanza che essa si distribuisce in modo eminentemente simmetrico fra i singoli individui (molecole, atomi) capaci di accoglierla; e dalla simmetria non può nascere spontaneamente la dissimmetria, non si possono avere fenomeni.

Spesso, avuto riguardo all'inestricabile complessità dei movimenti delle innumerevoli particelle elementari, si suol dire anche che l'energia di agitazione è disorganizzata e non può spontaneamente mutarsi in una forma ordinata. Per usare le parole di J. Becquerel: l'agitazione delle molecole d'aria o delle molecole d'una massa d'acqua non potrebbe produrre direttamente alcun lavoro: occorre una corrente, cioè un movimento d'insieme orientato, per far muovere un mulino.

Se è lecito considerare l'universo come un sistema isolato, il principio di degradazione, siccome precisa il verso dell'evoluzione, impedisce i ritorni: "un sistema isolato non può passare due volte per le stesse condizioni" (J. Perrin e P. Langevin). Ciò significa che l'universo è condannato a invecchiare. Il verso dell'evoluzione è quello che tende a far sparire gli squilibrî (di temperatura, pressione, ecc.) o dissimmetrie da cui hanno origine i fenomeni; e vien precisato analiticamente nell'affermazione che in un sistema isolato mentre l'energia resta costante (n. 8) una certa funzione di stato - l'entropia - cresce e tende a un massimo. Così si è affacciata una previsione lontana, ma catastrofica: la morte dell'universo. L'interpretazione statistica del 2° principio ha però mitigato l'asprezza di siffatta conclusione, in quanto che le fluttuazioni, inevitabili negli organismi che si comportano come folle, rendono possibile qualche ritorno; non è escluso dunque che l'universo inanimato, o qualche sua parte, possa - sebbene in un tempo enormemente lungo - ripresentarsi in una condizione precedente, cioè ringiovanire.

11. Uno sguardo alle nuove teorie. - Alcune nuove teorie, sbocciate nel presente secolo, hanno recato profonde modificazioni nella fisica classica, sulla quale si basa la presente esposizione, ed è probabile che, quando tali teorie saranno state meglio vagliate e coordinate, la trattazione metodica della fisica sarà fatta con altri criterî. Il divario fra i vecchi e i nuovi risultati è forte però solo quando sì considerano condizioni estreme, quasi ai margini della nostra possibilità di conoscere, come velocità grandissime, vicine a quelle che dà la luce nel vuoto

ovvero temperature assai basse, cioè vicine allo zero assoluto che è a circa 2730 sotto la temperatura del ghiaccio fondente, ovvero fenomeni individuali in cui agiscono le ultime parti della materia, ecc. Epperò tutte le teorie moderne sono concordi nell'ammettere - né potrebbe essere altrimenti - che la fisica classica conserva, se non altro, il valore d'uno schema molto approssimato dei fenomeni. In attesa che al periodo rivoluzionario subentri, come sembra inevitabile, la fase di assestamento in cui si riorganizza il pensiero scientifico, ci limitiamo a notare brevemente le principali ripercussioni che la fisica moderna ha sui concetti dell'energia.

a) Abbiamo osservato ripetutamente, dal n. 3 in poi, che l'energia è definita sperimentalmente a meno d'una costante additiva arbitraria, ossia che sperimentalmente si possono determinare non i singoli valori dell'energia, ma le loro variazioni.

La teoria della relatività (ristretta), di A. Einstein, la quale, in fondo verte sul problema della sede dell'energia elettromagnetica (nn. 9, 5; p. 974) giunge invece alla conclusione che si possa conoscere l'energia totale E d'un corpo. Denotando con v la velocitȧ di questo (rispetto all'osservatore), con m0 la massa misurata allo stato di riposo, si avrebbe

ossia

In particolare, se il corpo è fermo:

In m = 1 grammo di qualsiasi materia sarebbe raccolta, secondo la (63), l'energia fantastica 9 × 1020 erg; capace, se ci fosse possibile di trasformarla in lavoro, di mantenere in corsa un'automobile per più di un secolo. Purtroppo non abbiamo tale possibilità - secondo le attuali conoscenze - e solo l'energia che sprigionano spontaneamente le trasformazioni radioattive (nn. 9, 6; pag. 975) ci dà una pallidissima idea dell'enorme concentrazione di energia che rappresenta la materìa.

Se un corpo subisee una trasformazione che gli fa perdere una certa quantità δE0 di energia, anche la sua massa deve diminuire, secondo la (63); la diminuzione è

e si ritiene di avere trovato delle conferme nelle trasmutazioni degli elementi. (Si cita ad es. la formazione d'un atomo d'elio da 4 atomi di idrogeno). Nei processi fisico-chimici ordinarî però, come cambiamenti di stato, combustioni, ecc., le variazioni δE0 d'energia sono sempre incomparabilmente piccole di fronte al divisore c2 che compare in (64), cosicché si ha sensibilmente δm0 = 0, m0 = costante. La legge della conservazione della materia (Lavoisier) diventa così una conseguenza della conservazione dell'energia, conseguenza valida solo approssimativamente. Le tre leggi fondamentali di conservazione delle più importanti grandezze scalari, energia, materia, elettricità, sono dunque ridotte a due sole - conservazione dell'energia, conservazione dell'elettricità. Nella relatività generale il concetto d'energia viene poi, per così dire, assorbito in altri concetti più complessi.

La (61), secondo la teoria di relatività, è invertibile, e cioè: non solo ogni massa m rappresenta una energia, ma anche viceversa ogni energia ha una massa m. Si può dunque parlare d'una inerzia dell'energia (Langevin) o, se si vuole, addirittura di una materializzazione dell'energia.

b) L'energia si è presentata come una funzione continua (anche nella teoria della relatività) delle variabili di stato. Se vogliamo somministrare energia a un pendolo di massa m, possiamo sollevarlo di un'altezza H, con che il pendolo avrà l'energia mgH (n. 6); se l'avessimo sollevato soltanto a un'altezza H + δ con δ piccolo a piacere, l'energia avrebbe subito un incremento mgδ piccolo a piacere. La teoria dei quanti, fondata da Planck per spiegare certe leggi dell'irraggiamento ed estesa poi a smriati fenomeni, afferma invece che gl'incrementi sono piccoli, ma non a piacere. Dunque l'energia varierebbe a salti. Queste affermazioni, che negli scambî energetici del microcosmo (atomi, molecole, elettroni, ecc.) hanno trovato brillanti conferme, non si possono direttamente né verificare né confutare nella meccanica macroscopica - p. es. nel caso citato del pendolo - perché allora i salti previsti dalla teoria divengono estremamente piccoli, di modo che anche se ci sono, dànno l'illusione della continuità.

c) La meccanica ondulatoria, fondata da M. De Broglie e E. Schrödinger si presenta, per certi aspetti, come una fusione delle teorie della relatività e dei quanti; essa assume che le leggi fondamentali della meccanica classica siano non leggi elementari, ma risultanti di leggi elementari molto più complesse, così come la propagazione rettilinea della luce, su cui si fonda l'ottica geometrica, è la risultante di una propagazione per onde. Nei riguardi dell'energia, il dissidio fra la meccanica classica e quella ondulatoria, se si potesse trasportare alla scala macroscopica, consisterebbe in questo: lanciando verticalmente verso l'alto delle pietre eon velocità v eguali, in assenza d'aria ci aspettiamo, secondo la legge di conservazione, espressa qui dall'equazione

di vederle arrivare tutte alla stessa altezza H; incece, secondo la meccanica ondulatoria, qualche pietra arriverebbe un po' più su, qualche altra un po' più giù; la H data dall'equazione ora scritta varrebbe solo come una media. Nel mondo atomico: gli elettroni che si muovono nel nucleo dell'atomo non possono in generale scappare, perché non hanno energia cinetica sufficiente per compiere il lavoro necessario a vincere le forze che impediscono l'uscita; ogni tanto però, qualcuno disobbedendo alla legge macroscopica della conservazione dell'energia, riesce a sfuggire. L'atomo allora cambia natura e si ha una trasformazione radioattiva. Si è riusciti così a spiegare qualche fatto sperimentale (legge di H. Geiger e J. M. Nuttal), di cui non si trovava la ragione e si è aperto uno spiraglio in un mondo misterioso. Questo e altri successi, però, considerato che la conoscenza del microcosmo è inevitabilmente indiretta e quindi meno sicura di quella del mondo più vicino ai nostri sensi, non sembrano sufficienti a cancellare il dubbio che il bilancio energetico dell'atomo possa essere sanato da altre forme di energia, o da altre circostanze non conosciute. Resta così impregiudicata la questione di sapere fino a qual limite le ordinarie leggi dell'energia - e con esse tutta la fisica classica - siano applicabili rigorosamente.

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