DE CONCINI, Ennio

Enciclopedia del Cinema (2003)

De Concini, Ennio

Serafino Murri

Sceneggiatore, regista cinematografico, commediografo e giornalista, nato a Roma il 9 dicembre 1923. Autore versatile e prolifico, ha ideato storie di robusta e articolata dimensione narrativa, ricche di avvincenti soluzioni, rivelandosi in particolare narratore di vicende avventurose, che hanno prodotto alcuni dei migliori risultati nei generi popolari degli anni Sessanta. Nel 1960 ha ottenuto il Nastro d'argento per Un maledetto imbroglio (1959) di Pietro Germi. Un altro Nastro d'argento gli è stato assegnato nel 1962 per Divorzio all'italiana (1961), ancora diretto da Germi, per il quale ha ricevuto, nello stesso anno, anche l'Oscar per la migliore sceneggiatura.Laureato in filosofia, D. C. si dedicò per lungo tempo al giornalismo (soprattutto per la rivista "La fiera letteraria", con Pasquale Festa Campanile), e fece un precoce esordio come commediografo. Dopo essere stato, a ventitré anni, aiuto regista di Vittorio De Sica in Sciuscià (1946), cominciò a lavorare come sceneggiatore per film storico-fantastici come L'ebreo errante (1948) di Goffredo Alessandrini, melodrammatici come Il tradimento (1951) di Riccardo Freda, e soprattutto Vortice (1953) e La risaia (1955), entrambi di Raffaello Matarazzo, nonché in molti film d'avventura (genere a lui particolarmente congeniale), che spaziano da ricostruzioni storiche come Il brigante Musolino (1950) di Mario Camerini al piratesco Jolanda, la figlia del Corsaro Nero (1953) di Mario Soldati, fino a L'arciere di fuoco (1971), versione nostrana della leggenda di Robin Hood diretta da Giorgio Ferroni. D. C. si collocò dunque fin dagli esordi in quella fascia di buon artigianato del cinema italiano che proseguiva la politica dei generi così com'era stata concepita nell'anteguerra, piuttosto estranea alle suggestioni del Neorealismo: lo dimostrano film sulla Seconda guerra mondiale come I sette dell'Orsa Maggiore (1953) e Londra chiama Polo Nord (1957), entrambi di Duilio Coletti, ma anche l'agrodolce e pittoresco Via Margutta (1960) di Camerini o la commedia L'attico (1963) di Gianni Puccini. Ma a conferma della varietà dei suoi registri narrativi è da segnalare la collaborazione con Germi ‒ con cui scrisse Il ferroviere (1956), un complesso poliziesco quale Un maledetto imbroglio (da C.E. Gadda) e un'acida satira di costume dai toni mélo, quale Divorzio all'italiana ‒ nonché quella con Mario Bava, per il notevole horror La maschera del demonio (1960). In quegli stessi anni D. C. partecipò anche a numerose produzioni internazionali, tra cui Mambo (1954) di Robert Rossen, War and peace (1955; Guerra e pace) di King Vidor, e Madame Sans-Gêne (1961) di Christian-Jaque. Come sceneggiatore di film di genere, D. C. partecipò, con un tocco sempre più sottile di quello del regista e della produzione, a decine di film storico-mitologici di valore incostante, dalla ripresa del personaggio di Maciste ‒ già eroe del cinema muto italiano ‒ in Maciste nella valle dei re (1960) di Carlo Campogalliani, al meno epico e più convenzionale Romolo e Remo (1961) di Sergio Corbucci, scritto, tra gli altri, anche con Sergio Leone, con il quale D. C. aveva già collaborato per la sceneggiatura del suo film d'esordio come regista: Il colosso di Rodi (1960). Autore di numerose commedie, aveva lavorato spesso in film atipici: il curioso Gli eroi della domenica (1952) di ambientazione calcistica e il barocco La bella mugnaia (1955), entrambi di Camerini, e quest'ultimo remake di Il cappello a tre punte (1935) che lo stesso Camerini aveva realizzato con i fratelli De Filippo. E ancora, in un tentativo di commedia sofisticata da esportazione, La ragazza del palio (1957) di Luigi Zampa, o infine, più in là nel tempo, in film fortemente ironici come La pecora nera (1968) di Luciano Salce e Amo non amo (1979) di Armenia Balducci. D. C. ebbe la possibilità di esprimere appieno il suo tocco ironico con i due film scritti per Dino Risi: L'ombrellone (1965) e Operazione San Gennaro (1966), opere forse minori per il regista, ma sicuramente argute e raffinate. Al di là del mestiere, rivelato in gran parte delle sue sceneggiature, in alcuni film scritti da D. C. e ascrivibili al cinema d'autore affiorano accenti di una forte personalità narrativa: tra questi un intenso e duro dramma di ambientazione proletaria quale Il grido (1957) di Michelangelo Antonioni, e due tardi epigoni del Neorealismo, ma con tratti più spettacolari rispetto al canone, come La lunga notte del '43 (1960) di Florestano Vancini, scritto insieme a Pier Paolo Pasolini, e Italiani brava gente (1964) di Giuseppe De Santis. Dopo un lungo periodo di incessante attività nella sceneggiatura, D. C. concentrò le sue energie su progetti personali di regia: così, mentre partecipava a esperimenti ibridi ma di qualche interesse come il gangster film I bastardi (1968) di Duccio Tessari (con Giuliano Gemma e Klaus Kinski), o all'operazione internazionale Barbablù (1972), diretta da un Edward Dmytryk al termine della sua carriera, D. C. esordì, ma senza successo, nella regia con il drammatico, scabroso Daniele e Maria (1973), cui fece seguito il cupo e visionario Gli ultimi dieci giorni di Hitler (1973), noto anche come Hitler: the last ten days, interpretato da Alec Guinness. Tra le sceneggiature scritte negli anni seguenti, molte delle quali per produzioni estere, figurano Salon Kitty (1976), una delle migliori prove di Tinto Brass, il soggetto e la sceneggiatura di Le dernier amant romantique (1978) di Just Jaeckin, il melodramma di ambientazione weimariana Schöner Gigolo, armer Gigolo (1979; Gigolò) di David Hemmings, interpretato da David Bowie, Le due vite di Mattia Pascal (1985) di Mario Monicelli e lo scandaloso Diavolo in corpo (1986) di Marco Bellocchio. In quegli stessi anni D. C. aveva cominciato un'assidua e duratura collaborazione con la televisione italiana: delle sue opere, di taglio fortemente popolare, il maggiore successo resta la scrittura delle prime tre serie del poliziesco La Piovra (1984-1987).

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