BAJ, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani (2017)

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BAJ, Enrico

Federica De Rosa

Nacque a Milano il 31 ottobre 1924, primogenito di Angelo e di Maria Luisa Rastelli, entrambi ingegneri. Il padre proveniva da una famiglia milanese di costruttori; la madre, originaria di Parma e milanese d’adozione, fu tra le prime donne laureate al Politecnico di Milano.

La formazione e le prime suggestioni

La passione per la pittura si palesò presto; sin dal 1938, incuriosito dai colori e dalle tele della nonna materna, Ines, che si dilettava nella pittura, Baj iniziò a dipingere una serie di paesaggi, lombardi per soggetto e per cultura (E. Baj, Automitobiografia, 1983, pp. 187 s.). Nel 1942, compiuti gli studi classici, s’iscrisse alla facoltà di medicina di Milano; l’anno successivo si trasferì a Gavirate, sfollato con i genitori e le due sorelle, Elena e Jolanda. A quel tempo, frequentò con assiduità Gianni Dova e Alik Cavaliere, il cui padre era legato ad Angelo Baj dagli anni della prima guerra mondiale; nel 1944, «rifugiato militare» a Ginevra (ibid., p. 188), continuò gli studi universitari ed ebbe l’opportunità di vedere da vicino le opere di Pablo Picasso, Henri Matisse, Georges Braque e Alberto Giacometti.

Nel 1945, per dare risposte alle sue passioni, lasciò gli studi intrapresi e s’iscrisse, per qualche tempo, all’Accademia di Brera, dove entrò in contatto con il vivace ambiente artistico milanese, proseguendo il sodalizio con Dova e Cavaliere, cui si era aggiunto, tra gli altri, Roberto Crippa. Contemporaneamente, per assecondare le richieste della famiglia, s’immatricolò alla facoltà di giurisprudenza, laureandosi in breve nell’anno accademico 1946-47. Intrapresa la professione di avvocato, ricominciò a dipingere ritratti, figure e paesaggi e si cimentò nella scultura in legno, materiale che ritenne, al contempo, primitivo ed espressivo. Meditò sulle suggestioni postcubiste e, come rivelano alcune rare opere del tempo, manifestò un chiaro interesse per Matisse, che intese quale esempio di sintesi narrativa (Figure del 1947, Milano, coll. priv., in Catalogo generale, 1973, p. 1, testo cui si rimanda per le riproduzioni delle opere citate sino al 1973, ove non diversamente indicato).

Nel 1948, mentre l’attrazione per il primitivo si manifestava in tavolette con figurine frontali molto semplificate, sperimentò la pittura astratta, che assunse, però, un valore «più sprezzatamente segnico-gestuale che non di strutturalità formale analogica» (E. Crispolti, in Catalogo generale, 1973, p. VI). Per circa due anni non dipinse più, ma non mancò di visitare le più significative mostre allora organizzate a Milano.

Anni Cinquanta: dall’esperienza nucleare ai primi Generali

La ricerca di Baj riprese sul finire del 1950, momento in cui ebbe inizio «la sua vera “storia” di pittore, in pochi anni assai eterodosso» (ibid.); organizzò uno studio presso la casa di famiglia in via Teulié e si cimentò nei primi dipinti nucleari, inserendosi in modo dialettico nelle riflessioni sul gestualismo tachiste.

Il 1951 fu un anno particolarmente significativo: Baj si fece promotore a Milano del movimento per l’arte nucleare, che intese come «atto di appartenenza alla […] contemporaneità, con un sentimento di angoscia e di speranza allo stesso tempo» (E. Baj, in La pittura spaziale e nucleare, 1997, p. 26). Nel novembre si tenne la prima personale a due con Sergio Dangelo alla Galleria San Fedele di Giorgio Kaisserlian; nel catalogo compare il sottotitolo Pittura nucleare; i testi di Dino Fabbri ed Enrico Brenna insistono sull’esperienza atomica. La verità sull’uso devastante dell’atomo si rivelò in lavori in cui si intuiva pure il «continuo capovolgimento del livello serio in livello di esercizio ironico, farsesco» (E. Crispolti, in Catalogo generale, 1973, p. IX), come Semaforo grande (1950, coll. priv.), Spiralen (1951, Milano, coll. priv.), Immacolata concezione (1951, Milano, coll. priv., che cita nel titolo un noto testo surrealista di André Breton e Paul Eluard, del 1930) e Due figure atomizzate (1951, Vergiate, Archivio Baj), dove «le colature di colore attraversano e pervadono le tracce degli individui in tutto simili ai fantasmi impressi al suolo dal caldo vento atomico che scioglie i corpi» (L. Caprile, in Baj. Dalla materia alla figura, 2010, p. 15).

Del febbraio 1952 è il Manifeste de la peinture nucléaire, firmato con Dangelo, pubblicato in occasione di un’ulteriore personale a due alla galleria Apollo di Bruxelles. Nel testo si sottolinea la necessità di intrecciare la realtà esistenziale con la consapevolezza della realtà postatomica, al di là di ogni concettualismo astratto, nella ricerca di una rappresentazione che poi si disse «prefigurazione […] quasi un presagio, un sentimento di paesaggio possibile, il risultato di una sperimentazione condotta con gli smalti e un insieme di tecniche nuovissime […], da cui non venivano escluse però le possibili ricadute sul piano delle cose visibili» (M. Corgnati, in Enrico Baj. Opere 1951-2003, 2003, p. 34).

Baj stava guardando, e aveva guardato, al di là dei confini italiani, soprattutto ai gruppi che tra Belgio, Olanda e Danimarca avevano perseguito la lezione del surrealismo, da Surréalisme révolutionaire a Cobra, alle contestazioni dada e all’informale. Quanto all’Italia, non poté non interessarsi, in primo luogo, a «Lucio Fontana lo Spazialista e Bruno Munari, inventore di macchine inutili e libri illeggibili, che agli inizi degli anni cinquanta erano i due poli dell’avanguardia milanese» (E. Baj, Automitobiografia, 1983, p. 180).

A Baj e a Dangelo si unì presto Joe Colombo, che con loro condivideva la passione per la musica jazz; presto si aggiunsero, tra gli altri, anche Enzo Preda, Antonio Tullier, Mario Colucci, Leonardo Mariani e Pino Serpi. Sin dal primo momento furono vicini al Movimento nucleare milanese il poeta Beniamino Dal Fabbro e il critico Kaisserlian. Nell'aprile del 1952 si tenne presso gli Amici della Francia la collettiva «Arte nucleare», la prima delle tante mostre organizzate dal gruppo, cui Baj prese sempre parte. Il mese successivo, in un’altra esposizione nella stessa sede, Baj presentò il cortometraggio a colori Esperimento di films nucleare, realizzato con Colombo, nel quale le energie primigenie della creazione erano rievocate attraveso immagini astratte ottenute dal movimento del colore emulsionato. Ancora con Colombo realizzò alcune sculture con ossa di animali colorate.

Intanto, andavano intensificandosi i rapporti con alcuni dei più noti movimenti d’avanguardia internazionali, in particolare con il gruppo parigino Phases di Edouard Jaguer.

Tra il 1952 e il 1953, quando anche il motivo spiraliforme, desunto dalla lezione di Max Ernst, aveva preso forma dando vita a mostri e figure, Baj si cimentò nell’illustrazione del De rerum natura di Lucrezio (le 36 acqueforti furono pubblicate in volume, nel 1958, dalla galleria Schwarz). Tale impegno si rivelò occasione per approdare a nuove riflessioni sulla figurazione e segnò l’iniziò di un interesse per l’illustrazione di poeti antichi e del passato più recente, che lo condusse a lavorare nel tempo, tra tutti, su Marziale (Epigrammi, 1967), Pico della Mirandola (Sonetti, 1981), Lewis Carroll (La caccia allo Snark, 1986) e John Milton (Enrico Baj: 40 acqueforti per il Paradiso perduto di John Milton, 1987).

Nel 1953 Baj fu profondamente suggestionato dalla grande esposizione che si tenne a Milano su Picasso; in quello stesso anno la mostra «Prefigurazione», allestita in giugno allo Studio B24 di Milano, segnò il passaggio dalla prima ricerca nucleare, con realizzazioni di carattere principalmente gestuale, ai lavori in cui palesò il suo meditare sulla figurazione. Nelle opere – che «nella tematica del mostruoso [… incontravano] la stessa iconografia animistica di Cobra» (E. Crispolti, in Catalogo generale Bolaffi, 1973, p. X) – comparvero animali minacciosi e bambini e teste femminili urlanti, tratti anche dalle suggestioni di Lucrezio. Il costante antropomorfismo, già dal 1953, lo ricondusse a quella che Tristan Sauvage (Arturo Schwarz) definì una sintassi classicheggiante (Sauvage, 1962).

Il 1954 fu contraddistinto dai rapporti con l’artista danese Asger Jorn, fondatore con Baj del Mouvement international pour un Bauhaus imaginiste, nato in opposizione al nuovo Bauhaus di Max Bill, la Hochschule für Gestaltung di Ulm; con Jorn e Dangelo, Baj organizzò gli Incontri internazionali della ceramica ad Albissola Marina, ai quali presero parte, tra gli altri, Fontana, Jaguer, Guillaume Corneille e Sebastian Matta. Iniziò a dedicarsi alla ceramica e presentò alcuni esemplari, decisamente informali, alla X Triennale di Milano di quell’anno. In occasione della personale tenuta in autunno alla galleria Schettini di Milano, che sancì il recupero dell’immagine, fu data alle stampe una prima, piccola, monografia a lui dedicata, con testi di Dal Fabbro e Roberto Sanesi. A questo periodo risale anche l’animata polemica con Salvador Dalì, sulla priorità dell’impiego del termine pittura nucleare. Sempre nel 1954 Baj sposò Gigliola Olivieri e ben presto nacque, nel 1955, la figlia Lucilla.

In quel tempo presero consistenza una nuova imagerie favolistico-grottesca e un inevitabile e conseguente polimaterismo; Baj iniziò a sondare la tecnica del collage e le possibilità offerte dal Vinavil e da materiali quali «stoffe, ovatte e vetri», che «furono gli elementi dei […] primi collages destinati a mutare il corso della […sua] pittura» (E. Baj, Automitobiografia, 1983, p. 171).

Nel 1955, con Jaguer e con Dangelo, Baj fondò a Milano la rivista Il gesto per la promozione del Movimento nucleare; contestualmente divenne corrispondente di alcuni dei più noti periodici d’avanguardia, tra i quali Phases, Edda, Boa e Direzioni. Nella primavera partecipò alla seconda mostra parigina del gruppo Phases, con il quale continuò a lungo a esporre. Nell’estate, ancora con Jaguer, organizzò la «Rassegna internazionale delle forme libere», una delle più significative esposizioni europee di arte informale. Nel primo quaderno de Il gesto, allora presentato, si pubblicarono molte delle opere esposte e testi di Dal Fabbro, Sanesi, Jaguer, Tsutomu Izima e Dangelo.

Il 1956 fu segnato dalle collaborazioni con Piero Manzoni, Yves Klein e Ralph Rumney, ma soprattutto, fu allora che Jaguer firmò una monografia a lui dedicata, pubblicata dalla galleria Schettini, alla quale era allora legato. Ormai il lavoro di Baj aveva varcato i confini italiani: tra personali e collettive espose a Copenhagen, Belgrado, Stoccolma, Parigi e Bruxelles.

Dal 1957 si dedicò al ciclo delle Montagne, tele su cui fece scorrere un’emulsione di vernici grasse cariche di colore. In quello stesso anno pubblicò il manifesto Contro lo stile, sottoscritto da molti scrittori, critici e artisti, come Manzoni, Arman e Klein; dette alle stampe il secondo numero de Il gesto, con riproduzioni, tra gli altri, di Jackson Pollock, Jean Dubuffet, Arnaldo Pomodoro e Leonardo da Vinci (in un parallelismo con le sue prime Montagne). A Londra, dove nel marzo gli era stata riservata una personale alla galleria One, strinse amicizia con il surrealista belga E.L.T. Mesens, che gli dedicò il poema Pre-fact. Della sua poetica si stavano occupando, tra tutti, Michel Tapié (L’aventure informelle, in Gutai, 1957, n. 8), Gillo Dorfles (Enrico Baj, in Domus, aprile 1957, n. 329) e Schwarz (Pittura Italiana del dopoguerra, 1957).

Nel 1958 l’attività espositiva s’intensificò sempre più; in Italia Baj esponeva spesso con Fontana e Manzoni e fu invitato da Enrico Crispolti alla mostra romana «Segno e materia» (galleria La Medusa, febbraio). Nello stesso tempo eseguì opere in collaborazione con Jorn; fu redattore, con Dangelo e Manzoni, del terzo fascicolo de Il gesto, che vide la partecipazione, tra gli altri, di Fontana, Dorfles, Mesens ed Edoardo Sanguineti; si dedicò ai primi Ultracorpi, suggeriti dal rischio delle invasioni extraterrestri enfatizzato dal cinema di fantascienza; inventò 'l’acqua pesante', «in omaggio alla precorsa “pittura nucleare” che largamente si risolveva nella atomizzazione dei colori» (E. Baj, Automitobiografia, 1983, p. 149), ottenuta da un’emulsione di acqua e colore sintetico e adoperata soprattutto nelle Montagne per ricreare «una natura da laboratorio» (Sauvage, 1962, p. 86).

Il 1959 si aprì con la pubblicazione del Manifeste de Naples, che Baj redasse con l’intento di lanciare l’avanguardia artistica del Sud, in particolare gli artisti del Gruppo 58, tra i quali gli amici di sempre Guido Biasi, Lucio Del Pezzo, Luca (Luigi Castellano), Mario Persico e Mario Colucci, che avevano da tempo fatto esplodere «un’atomica nell’accademia napoletana» (E. Baj, Automitobiografia, 1983, p. 141).

Intanto si consolidavano i contatti con i Nouveaux réalistes francesi e con gli italiani di Parigi a essi collegati, tra tutti Mimmo Rotella. Il quarto e ultimo fascicolo de Il gesto, pubblicato nel settembre di quell’anno, fu dedicato all’Arte interplanetaria, con scritti e opere, tra gli altri, di Jaguer, Farfa, Antonio Recalcati e Giovanni Anceschi. Nacquero allora i primi Specchi, rotti o tagliati e poi ricomposti; Baj dette avvio alle prime Modificazioni, riconducibili alle prospettive dell’arte interplanetaria; incominciò la serie dei Generali, il «tema dominante nel 1959», destinato a influenzare tutta la sua prima produzione, al quale approdò attraverso un processo di personificazione delle Montagne (ibid., p. 147); realizzò le prime Dame, serie che riprese tra il 1974 e il 1975. Tutte opere nelle quali, sotto il comune segno dell’ironia dissacratoria, prevalsero la visione ludica, il desiderio di lavorare con ogni tipo di materiale, l’attenzione privilegiata per l’infanzia e l’«adesione-rottura alla storia della pittura» (Jouffroy, 1963, p. 152).

Anni Sessanta: incontri e confronti tra arte, poesia, letteratura e scrittura. La centralità dei ‘personaggi’

Nel biennio 1960-61, mentre gli Specchi, con le loro trame di prefigurazioni, venivano presentati alla galleria del Naviglio di Milano (gennaio 1960), Baj continuò il lavoro sui Generali, cimentandosi pure nei primi Cartoni (ripresi nel 1964-66 e nel 1970) e nei Mobili, poi sviluppati nei Personaggi in legno dal 1962, dove l’oggetto stesso si faceva protagonista. Intanto, per l’intensità del suo humour e per l’oggettualità del suo lavoro, la critica lo indicò tra i maggiori esponenti del neodadaismo (Crispolti 1961, pp. 63-97; Dorfles, in L’Oggetto nella pittura, catal., 1961).

Il 1962 fu un anno decisivo, segnato dal significativo incontro a Parigi con Breton: Baj si accostò ancor di più al mondo della poesia, che da tempo frequentava per i legami con personalità quali Jaguer, Jouffroy, Dal Fabbro, Sanguineti, Sanesi, Balestrini, a cui si aggiunsero, tra gli altri, André Pieyre de Mandiargues, Octavio Paz, Raymond Queneau, Jean-Clarence Lambert e, più tardi, Dino Buzzati. Rapporti che nel tempo lo condussero anche a collaborare per rare edizioni di poemi accompagnati da incisioni, collage e libri-oggetto.

Sempre nel 1962 Baj raggiunse gli Stati Uniti, dove un suo Specchio (n. 488, coll. priv.) venne presentato nella grande mostra «The art of assemblage», organizzata in autunno da William C. Seitz al Moma di New York. In quell’occasione conobbe Marcel Duchamp: nacque un’amicizia destinata a durare negli anni. Ancora nel 1962 Schwarz dette alle stampe una monografia sull’Arte nucleare, nella quale veniva indagata l’intera opera di Baj. Di lì a poco, nel luglio 1963, Breton gli dedicò un ampio saggio su L’Oeil (n. 103-104, pp. 34-39, 67).

I contatti con il mondo artistico parigino erano allora quanto mai intensi; mentre allestiva a Milano un nuovo studio in via Bonnet, dal 1963 al 1966 Baj lavorò per lunghi periodi a Parigi, presso lo studio, già di Max Ernst, in Rue Mathurin Régnier. In accordo con il Collège pataphysique di Francia, il 7 novembre 1963, fondò l’Istituto patafisico milanese, con l’intervento di Queneau e sotto la presidenza di Farfa. Intanto, sue personali venivano organizzate a New York, San Paolo e Torino. In occasione della mostra «Visione e colore», tenuta a Venezia a Palazzo Grassi nell’estate del 1963, Baj presentò alcuni quadri-oggetto con personaggi realizzati con i mattoncini Lego. Contestualmente si dedicò alle prime sculture in Meccano – «totem-robots privi delle connotazioni macabre e metafisiche […] della fantascienza» (G. Dorfles, in Pittura a Milano dal 1945 al 1964, 1964, p. 106) –, presentate l’anno successivo in una sala personale alla XXXII Biennale di Venezia e alla XIII Triennale di Milano. In questa sede, dove allestì un ambiente a Specchi, Baj era stato invitato da Umberto Eco e Vittorio Gregotti; a Venezia, presentato in catalogo da Queneau, nel generale clima di critica negativa nei confronti della nuova figurazione, alcune sue opere furono oggetto di censura (E. Crispolti, Intervista a Baj, in Marcatrè, 1964, n. 6-7, p. 121). Baj ritirò i Nudi, ma espose parate militari e comizi politici, che manifestavano l’impegno civile contro ogni tipo di aggressività. Nel 1964 giunsero altre importanti occasioni espositive. Tra tutte, gli fu dedicata una sala nell’esposizione «Pittura a Milano dal 1945 al 1964» al Palazzo Reale di Milano; Baj fu inoltre invitato alla mostra sul «Nieuwe Realism» al Gemeentemuseum dell’Aja. L’anno si chiuse con un incontro fondamentale: Baj conobbe Roberta Cerini, che nel 1966 sposò in seconde nozze e con la quale ebbe sempre un intenso scambio intellettuale. Dalla loro unione nacquero quattro figli: Angelo nel 1967, Andrea nel 1968, Pietro nel 1969 e Marianna nel 1978.

Nell’estate del 1965 gli fu dedicata la prima retrospettiva, «Omaggio a Baj», nell’ambito della rassegna Alternative attuali 2, presso il Castello Spagnolo dell’Aquila. Nella mostra, curata da Crispolti, furono presentate circa ottanta opere, tra dipinti e sculture, e si approntò una prima sistemazione storiografica del suo lavoro. Tra un susseguirsi di personali e collettive, nello stesso anno Baj fu invitato alla mostra «Pop art, Nouveau realisme» al Palais des beaux-arts di Bruxelles. All’immaginario pop, tra l’altro, si stava confrontando in Italia il lavoro di Baj, già al tempo della Biennale, e più chiaramente negli scritti di Crispolti, prima in occasione della retrospettiva aquilana, poi nel volume La pop art (1966, pp. 128, 138-140).

Tra il 1966 e il 1969, mentre cresceva il suo impegno come scrittore d’arte per cataloghi, giornali e riviste (tra tutti Marcatré, Il mondo dell’arte del Corriere delle sera e Flash art), Baj iniziò a interessarsi di multipli e si dedicò con assiduità alla grafica e all’incisione per edizioni numerate. Tra le tante: L’intérieur di Sanguineti e Limbo di Lambert nel 1966; Meccano ou l’analyse matricielle du langage di Queneau e Les incongruités monumentales di de Mandiargues nel 1967; I ricatti di Guido Ballo e il suo Baj chez Picasso, con testi di Jean Cassou, Queneau, de Mandiargues, Sanguineti, Buzzati e Pierre Seghers, nel 1969.

Sempre in quegli anni Baj si recò in Australia e viaggiò a lungo tra gli Stati Uniti e l’Europa per personali e retrospettive, tenute, in particolare, a Chicago (1966), L’Aia e Gand (1967), Praga, San Francisco e Parigi (1969).

Sul finire degli anni Sessanta, nella produzione di Baj presero forma le prime riprese ironiche e parodistiche delle opere di Picasso; tra i d’après, presentati alla galleria Creuzevault di Parigi (1969), si segnalavano i monumentali Les demoiselles d’Avignon (già Stati Uniti, coll. priv.) e Guernica (Terni, coll. priv.). Allo stesso tempo si datano i primi lavori per i quali si servì dei materiali plastici, già impiegati in passato e da quel momento adoperati, ad esempio, nelle Cravatte, simbolo della cultura occidentale, esposte al 15° premio Lissone (1967) e allo Studio Marconi di Milano (1969). Nelle Plastiche la «mitologia del “nuovo materiale” [… veniva] intaccata proprio con i “nuovi materiali”» (Caramel, 1969, pp. 44 s.).

Anni Settanta: dai Funerali dell’anarchico Pinelli all’Apocalisse

Gli anni Settanta si aprirono con la pubblicazione del primo catalogo ragionato dedicato alle opere grafiche e ai multipli di Baj, a cura di Jean Petit (1970), e con tre importanti retrospettive, tenute tra la primavera e l’estate del 1971. A Ginevra, al Musée de l’Athénée, a cura di Petit si presentò la produzione grafica; a Venezia, a Palazzo Grassi, a cura di Sanesi si esposero oltre cento opere; a Chicago, al Museum of contemporary art, a cura di Jan van der Marck furono raccolti i lavori nel tempo confluiti nelle collezioni statunitensi. Nelle mostre di Venezia e Chicago comparvero anche i celebri Chez Seurat, presentati già a Lugano nella primavera dello stesso anno in occasione della collettiva «D’après. Omaggi e dissacrazioni nell’arte contemporanea». Tra questi, La grande jatte assurgeva a simbolo dell’immobilismo della borghesia.

Crescendo la famiglia, Baj prese in affitto uno studio in via Gabba, che per un periodo divise con Ugo Nespolo.

Tra una «continuità di fondo ideologica [… e] quella che potremmo chiamare una continuità confirmatoria», sin dai primi anni Settanta Baj pervenne a nuovi traguardi e a «grandi impennate immaginative», che lo condussero soprattutto all’installazione e alla «disseminazione ambientale» (E. Crispolti, in Catalogo generale, 1997, p. 9; a questo testo si rimanda per le riproduzioni delle opere citate sino al 1996, ove non diversamente indicato).

Al 1972 si data il primo lavoro di Baj di denuncia civile legato alla cronaca, fino a quel momento, tra l’altro, il più grande collage realizzato dall'artista (circa 12 metri di lunghezza per  4 di altezza), I funerali dell’anarchico Pinelli (Milano, Fondazione Marconi), dedicato al ferroviere morto precipitando da una finestra della questura di Milano, dove era trattenuto per accertamenti in seguito alla eplosione di una bomba in piazza Fontana. L’opera venne realizzata con «oggetti vari, consistenti in nastri, cordoni, passamanerie, fiocchi […]: tutto un materiale cadente e decadente […], che sta a simboleggiare una caduta culturale, il degrado di un sistema, vuoi di sviluppo, vuoi politico» (E. Baj, Automitobiografia, 1983, p. 54); «più che dei suoi funerali, si trattava di lui stesso, dell’anarchico che precipitava al suolo su un ipotetico selciato, antistante una non tanto ipotetica questura […]. Il titolo definitivo […] restò “I Funerali dell’Anarchico Pinelli”, sia perché il corteo degli anarchici […] ricordava, per mestizia mista a bandiere, un corteo funebre, sia per il richiamo a quel precedente quadro “I Funerali dell’Anarchico Galli” […] che è una delle migliori opere del Carrà futurista e dell’arte moderna italiana» (ibid., p. 53). La grande installazione doveva essere presentata a Milano nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale il 17 maggio, lo stesso giorno in cui fu ucciso il commissario Luigi Calabresi, che a quell'epoca alcuni indicavano come responsabile della morte di Pinelli. Annullato subito l’evento per ragioni di ordine pubblico, il Pinelli, nel 1973 presentato a Rotterdam, a Stoccolma e a Düsseldorf, si poté vedere a Milano nel 2000, presso la Galleria Giò Marconi, e solo nel 2012 a Palazzo Reale.

Nel 1973, a cura di Crispolti, uscì il primo Catalogo generale Bolaffi dell'opera di Enrico Baj.

Nello stesso tempo, mentre Baj continuava a scrivere testi di critica d’arte e a lavorare per edizioni numerate, tra fiocchi, cordoni e passamanerie, presero vita nuove Dame – «degne compagne» dei Generali a cui dette titoli solenni, che rintracciò soprattutto nelle pagine del Grand Larousse Illustré (ibid., p. 61) –, e che presentò qualche tempo dopo: nel 1975 allo Studio Marconi di Milano, nel 1976 alla Arras gallery di New York.

Nel 1974 Baj si traferì definitivamente a Vergiate, dove aveva già risieduto lungamente sin dalla fine degli anni Sessanta, rendendo la sua villa di campagna luogo di «convivio» per intellettuali italiani e stranieri (ibid., pp. 33-38). Fu allora che donò collezioni complete delle sue stampe alla Bibliothèque Nationale di Parigi, al Boijmans di Rotterdam e al Cabinet des Estampes di Ginevra. Sempre nel 1974 giunse un ulteriore grande impegno, simile al Pinelli per dimensioni e per la presenza di sagome. Il collezionista di Chicago, Milton Ratner, che da tempo apprezzava il suo lavoro, gli commissionò (senza però poterla poi acquistare) un’opera che raccontasse un episodio della storia statunitense: «si convenne» per «Nixon e Kissinger alla parata del Columbus Day», titolo che per abbreviazione divenne Nixon Parade (Parma, CSAC). Nella composizione, tra le più sarcasticamente Dada, «il mostruoso del politico e la pornografia del potere giungevano [per Baj] al loro apice» (ibid., pp. 51-52). I fiori di plastica, a copertura dell’intera superficie in basso, simboleggiavano il kitsch, l’aspetto per Baj più caratteristico dell’attualità. Diversamente dal Pinelli, l’opera venne presentata subito nelle sale del Palazzo Reale di Milano, dove nel maggio di quell’anno ebbe luogo una grande retrospettiva con lavori dal 1960 al 1974, poi allestita al Palais des beaux-arts di Bruxelles in ottobre e alla Kunsthalle di Düsseldorf nella primavera del 1975. L’anno successivo Baj donò l’intero corpus di opere grafiche al Comune di Milano (donazione perfezionata nel 1987), presentato a dicembre al Castello Sforzesco in una grande esposizione accompagnata dalla pubblicazione di due cataloghi: il primo dedicato alle stampe originali con testi di Antonello Negri, Zeno Birolli, Baj e Queneau; il secondo dedicato ai multipli con testi di Negri, Birolli, Baj e Breton.

Negli ultimi anni Settanta Baj viaggiò molto; si recò in Messico e in Egitto e si dedicò intensamente alla lettura, producendo pochissimo; fu profondamente suggestionato da L'èsprit du temps (1962, trad. it. L’industria culturale, 1974) di Edgar Morin, da La società dei consumi (1976) di Jean Baudrillard e da Die acht Todsünden der zivilisierten Menschheit  (1973; trad. it. Otto peccati capitali della nostra civiltà) di Konrad Lorenz. Fu proprio dal saggio di Lorenz che prese spunto per l’ultimo grande impegno del decennio: un vastissimo collage rappresentante l’Apocalisse (Vergiate, Archivio Baj), incominciato sul finire del settembre 1978 e concluso nel marzo dell’anno successivo (con uno sviluppo finale di oltre 60 metri lineari per 4 di altezza), a cui Eco dedicò un volume (Milano, Mazzotta, 1979). Allestita per la prima volta nei tre piani dello Studio Marconi di Milano nel marzo 1979 e composta da tele dipinte con tecnica informale e sagome dipinte o intagliate in legno, l’Apocalisse metteva in scena il degrado della contemporaneità, l’asservimento alla tecnoscienza e al modernismo in una commistione di elementi tragici e grotteschi che annunciavano e palesavano il dominio del mostruoso attraverso un percorso ascensionale che richiamava i gironi danteschi. Nel 1983 Baj aggiunse all’Apocalisse, considerata un work in progress, alcune sagome e tele; più tardi inserì altre tele, in particolare dedicate alle storie di Gilgamesh, realizzate tra il 1999 e il 2003.

Anni Ottanta: tra pittura, scrittura e teatro

Gli anni Ottanta, che si aprivano con la monografia Enrico Baj (1980), introdotta dal sociologo francese Baudrillard, con il quale Baj ebbe vari incontri e collaborazioni, furono contrassegnati da nuovi progetti, pur sempre coerenti, che lo condussero a sperimentare nuove tecniche e tipologie compositive, anche nel «recupero del mezzo pittura, in ruolo del tutto protagonistico, e insomma in un vero e proprio “a solo” mediale» (E. Crispolti, in Catalogo generale 1997, p. 9). Intanto, nella necessaria «conquista del presente [… nel suo] presenzialismo» (P. Bellasi, in Enrico Baj. La nostalgia del futuro, 1987, p. 29), sia nelle opere, sia nella scrittura, la critica alla contemporaneità, alla robotizzazione dell’uomo e al consumismo si fece sempre più presente.

Una grande mostra personale, in cui si presentarono i lavori di vaste dimensioni del decennio precedente, venne inaugurata il 1° maggio 1982 al palazzo della Ragione di Mantova. Per l’occasione Edoardo Sanguineti lesse il suo Alfabeto apocalittico (pubblicato come edizione numerata dalla galleria Rizzardi nel 1984); contestualmente Baj partecipò al convegno Il mostro quotidiano, con interventi, tra gli altri, di Morin e Baudrillard. Nello stesso anno pubblicò Patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie, un ampio studio sulla scienza inventata da Alfred Jarry, sua passione da sempre, a cui seguì, l’anno successivo, una vasta esposizione al Palazzo Reale di Milano, «Jarry e la Patafisica», che curò con Vincenzo Accame e Brunella Eruli.

Dal 1983, anno in cui dette alle stampe per Rizzoli la sua Automitobiografia. Dai giorni nostri alla nascita, raccontando se stesso, tra invenzioni e no, Baj si allontanò dal collage e dall’uso gestuale del colore, che adoperò, invece, in modo più disteso, a favore di ampie campiture. Di questo periodo sono i cicli Futurismo statico ed Epater le robot, dove emergono gli omaggi a Campanella (La città del sole) e a Voltaire (Studio per Micromégas), presentati allo Studio Marconi di Milano in ottobre. L’abuso della tecnologia e l’alienazione dell’uomo denunciati in queste opere furono alla base del coevo Manifesto per un futurismo statico (1983).

Nel 1985, tra l’inverno e l’estate, si tennero due importanti mostre, la prima al Center for fine arts di Miami dove si presentarono Parate e grandi opere come Guernica, Pinelli e l’Apocalisse, e la seconda al Forte di Bard in Valle d’Aosta, in cui vennero esposte Generali e Dame accanto a Meccani e alle tele dedicate a Ubu Roi.

In quello stesso anno, sempre per l’editore Rizzoli, Baj dette alle stampe Impariamo la pittura: un manuale semiserio per artisti, falsari e pittori d’ogni tipo. Per lo stesso editore, due anni dopo, uscì Fantasia e realtà: un dialogo tra Baj e Renato Guttuso sull’arte, la cultura e la società. Altro impegno editoriale fu il volume Cose, fatti, persone (1988), in cui raccolse numerosi scritti, anche inediti, pubblicati in giornali e riviste a partire dal 1981.

Le serie di quegli anni, la prima dedicata ai Manichini, la seconda intitolata Metamorfosi metafore (che nasceva da una collaborazione con il poeta Giovanni Giudici), evidenziano ancora il momentaneo abbandono del collage. Se nella prima emergono chiari riferimenti al manierismo e alla metafisica, nella seconda lo sviluppo della figurazione, dell’immaginario e del fantastico anticipa le successive 'opere kitsch', alle quali Baj approdò nel 1989 per rappresentare la volgarità del kitsch attraverso grandi composizioni dette combinatorie, ottenute dall’assemblaggio di piccoli pannelli a indicare la futura esplosione demografica (tra queste Dodici miliardi per l’anno 2030, Milano, Fondazione Marconi, e Quindici miliardi per il 2050, Vergiate, Archivio Baj).

Tutti gli anni Ottanta, intensamente animati da incontri e collaborazioni con artisti, poeti, letterati e filosofi di ogni nazionalità, si contraddistinsero, infine, per importanti lavori rivolti al teatro. Tra questi, il più significativo impegno giunse nel 1984, quando Massimo Schuster chiamò Baj a lavorare alla messa in scena dell’Ubu Roi di Jarry, rappresentato la prima volta all’Espace Kiron di Parigi il 15 novembre dello stesso anno (con 230 repliche in tutto il mondo). Baj realizzò il boccascena e circa cinquanta marionette in Meccano. Tra il 1986 e il 1987 si dedicò a una rivisitazione in chiave satirica dell’Amleto 'il lunatico' di Shakespeare, scritto da Guido Almansi con la regia di Massimo Monaco, prodotto dal Teatro regionale toscano. Successivamente, con il figlio Andrea, creò settanta personaggi in legno per un’Iliade di Schuster, in scena al San Matteo di Piacenza nel gennaio 1988. Il decennio si chiuse con la realizzazione di un ulteriore spettacolo di marionette al quale lavorò ancora con Andrea, Le bleu-blanc-rouge et le noir, opera con libretto di Anthony Burgess e musica di Lorenzo Ferrero, sempre per la regia di Schuster, presentata a Parigi al Centre Pompidou nel dicembre 1989 nell’ambito del Festival d’Automne.

Anni Novanta: dalle Maschere tribali ai Totem, da Berluskaiser a Bakunin e ai Guermantes

Gli anni Novanta si aprirono con alcune significative pubblicazioni: tra tutte, nel gennaio 1990 Baj dette alle stampe per Rizzoli Ecologia dell’arte, un ironico dizionario in 200 voci sull’arte moderna; nel maggio pubblicò per Elèuthera Cose dell’altro mondo, una raccolta di scritti sull’arte americana degli anni Ottanta. Intanto, a cura di Massimo Mussini, per Electa, uscì I libri di Baj, catalogo ragionato delle edizioni numerate. Le più importanti mostre di quel periodo furono «Enrico Baj. Die Mythologie des Kitsches», tenuta nella primavera del 1990 ai Musei civici di villa Mirabello a Varese, ed «Enrico Baj, transparence du kitsch», curata da Baudrillard e allestita nel dicembre dello stesso anno presso la Galerie Beaubourg di Parigi. In entrambe le esposizioni Baj presentò quattro grandi composizioni combinatorie. Gli stessi pannelli furono esposti, l’anno successivo, a Milano, Roma e New York alla personale «Il giardino delle delizie», il cui catalogo curato da Giò Marconi, con testi di Eco, Baudrillard e Donald Kuspit, divenne una monografia sul suo percorso ideologico e stilistico. Altre opere di quel tempo, sullo stesso tema, si rifacevano a figure emblematiche, come Amore e Psiche, Adamo ed Eva o le Tre Grazie (Vergiate, Archivio Baj): tutti soggetti che realizzò anche in maiolica, in un momento in cui ritornò a lavorare la ceramica.

Nel 1993 ebbe luogo una grande retrospettiva a Locarno, inaugurata a dicembre in tre diverse sedi, nelle quali si presentarono, rispettivamente, i lavori dal nucleare al kitsch, le opere grafiche e I funerali dell’anarchico Pinelli.

Dal 1994 Baj incentrò il suo lavoro sulla serie delle Maschere tribali, immagini di un primitivismo moderno, selvaggio e istintuale, che aprirono un filone nuovo nell’ambito del suo lavoro, sulla cui linea si collocano i Feltri, iniziati nello stesso tempo e realizzati sino al 1998, e i successivi Totem del 1997. Mentre nei primi adoperò nuovamente l’ovatta, ma come base per la pittura, nei secondi sviluppò il tema della maschera in senso verticale e ritornò a citare nei titoli personaggi della storia, talvolta anche in coppia, come ad esempio Lancillotto e Re Artù, Luigi XV e Madama Pompadura (Vergiate, Archivio Baj).

Tra le opere più significative di quegli anni vi è il satirico Berluskaiser (Vergiate, Archivio Baj), lavoro dal forte impegno civile nato a seguito delle elezioni del 1994, che mette in scena la conquista del potere di Silvio Berlusconi attraverso una composizione di sagome che richiamano l’Apocalisse. Come ulteriore meditazione sul tema, Sanguineti compose Malebolge 1994-1995, o del malgoverno da Berluskaiser a Berluscaos (pubblicato nel 1995 in collaborazione con Baj). Sempre nel 1995, il Berluskaiser, insieme al Pinelli e all’Apocalisse, furono presentati all’Institut Mathildenhöhe di Darmstadt in una grande retrospettiva con catalogo curato da Gabriele Huber e Klaus Wolbert. Durante la mostra ebbero luogo alcune rappresentazioni teatrali; in particolare Dario Fo, utilizzando come palcoscenico il Pinelli, rappresentò il suo Morte accidentale di un anarchico.

Del 1996 sono il progetto per un Monumento a Bakunin (Vergiate, Archivio Baj, in Catalogo generale, 2004, pp. 60-63; a tale testo si rimanda per le riproduzioni delle ultime opere di Baj, ove non diversamente indicato), un singolare e inedito assemblage in omaggio all’anarchia, che venne presentato nella primavera in una grande collettiva berlinese dedicata al tema, e l’imponente acrilico su feltro Impressioni d’Africa (Vergiate, Archivio Baj), ispirato all’omonimo libro di Raymond Roussel (1910), che pone alla ribalta il tema del grottesco e del kitsch.

Tutta la produzione di Baj, sino a quel momento, fu raccolta nel 1997 nella seconda impresa del Catalogo generale delle opere dal 1972 al 1996.

Tra il 1998 e il 2000 una serie di mostre mise in rilievo alcuni aspetti significativi del suo lungo percorso artistico, da sempre segnato da «una certa irriverenza, un’ironia e un gusto del paradosso […], quasi siano degli anticorpi dell’uomo contemporaneo» (E. Baj, in Caprile, 1997, p. 94). In particolare: con la retrospettiva «Enrico Baj», al Musée d’art moderne et d’art contemporain di Nizza dell’inverno 1998-99, si sottolinearono i legami con la cultura francese sin dagli anni Cinquanta; con la mostra «PicadadaBaj 2000», il cui catalogo contiene una prefazione di Dorfles e testi di numerosi critici italiani, allestita nell'estate del 1999 nel Palazzo del turismo di Riccione, venne presentata larga parte della sua produzione.

Il decennio si chiuse con la prima serie dei Guermantes, piccoli ritratti (in totale ne realizzò circa 300) dedicati a Marcel Proust e alla comune Ricerca del tempo perduto.

2000-2003: ultimi atti

Gli ultimi anni di vita furono quanto mai intensi: mentre si cimentava in nuove imprese editoriali (tra le varie si ricorda Discorso sull’orrore dell’arte, 2002), in libri per edizioni numerate e nuovi progetti per il teatro, nel 2000 Baj ritornò a lavorare con l’amico di sempre Corneille, con il quale aveva già realizzato alcune Montagne. Nello stesso anno, con l’esposizione «Enrico Baj. Masterpieces», organizzata nel febbraio alla galleria Giò Marconi di Milano, venne presentata una serie di opere particolarmente significative insieme al Pinelli e ai Guermantes.

L’anno successivo Baj si dedicò all’organizzazione di un’ampia retrospettiva a Roma, tenuta in autunno al palazzo delle Esposizioni, con circa duecento opere che raccontavano il suo lavoro dal 1951 (alcune di grandi dimensioni come Guernica, I funerali dell’anarchico Pinelli e L’Apocalisse); nel 2002 ritornò sul tema delle Dame, presentate l’anno successivo da Dorfles alla galleria Giò Marconi di Milano, per la cui realizzazione adoperò materiali idraulici, quali sifoni, rubinetti, tubi e valvole; nel 2003 due importanti rassegne, la prima al Castello di Masnago di Varese, la seconda a Milano (in quattro sedi: Spazio Oberdan, Accademia di Brera, galleria Giò Marconi, Fondazione Mudima), furono incentrate, rispettivamente, sui rapporti tra Baj e la poesia e sulle grandi installazioni.

L’ultima opera cui Baj si dedicò, senza fermarsi e riuscendo a completare il progetto a pochi giorni dalla morte, fu il grande Muro di Pontedera, realizzato postumo, nel 2005, con il contributo dell’architetto Alberto Bartalini: cento metri di mosaico che corre lungo la linea ferroviaria della cittadina toscana, nel quale, come in un testamento spirituale,  raccolse e rivelò ogni aspetto del suo lavoro, dall’impegno civile al gioco, dalla realtà all’immaginazione.

Morì a Vergiate il 16 giugno 2003.

Nel 2014, parte dell'Archivio e della biblioteca personale di Baj sono state donate al Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART).

Opere

Oltre agli scritti di Baj di volta in volta indicati nella voce si veda: Automitobiografia. Dai giorni nostri alla nascita, Milano 1983 (fondamentale per le notizie biografiche); Autocritica, a cura di R. Cerini Baj, Firenze 2004; La Patafisica, a cura di A. Sanna, Milano 2009; Ecologia dell’arte, a cura di A. Sanna, Milano 2013.

Fonti e Bibliografia

Per la bibliografia e per la ricostruzione del percorso artistico e biografico di Baj si fa riferimento, principalmente, ai tre volumi: Catalogo generale Bolaffi dell'opera di E. B., a cura di E. Crispolti, repertorio biobibliografico di R. Cerini Baj, Torino 1973; Catalogo generale delle opere di E. B. dal 1972 al 1996, con introduzione di E. Crispolti, testo critico di M. Corgnati, contributi di R. Sanesi, G. Huber, L. Caprile, E. Sanguineti, schede, notizie e apparati di R. Cerini Baj, Milano 1997; E. B. Catalogo generale delle opere dal 1996 al 2003, con testo critico di E. Crispolti, contributi di E. Sanguineti, P. Marconcini, L. Caprile, alcuni testi di Enrico Baj, schede, notizie e apparati di R. Cerini Baj, Pontedera 2004.

Oltre ai cataloghi delle mostre citate nella voce, contributi di maggior rilievo pubblicati prima e dopo tali testi sono: E. B., a cura di E. Jaguer, Milano 1956; E. Crispolti, Ipotesi attuali, in Il Verri, V (1961), 3, pp. 63-97; L’Oggetto nella pittura (catal.), presentazione di G. Dorfles, Milano 1961; T. Sauvage, Arte nucleare, Milano 1962; A. Jouffroy, L’interrogativo di Baj, in Il Verri, VIII (1963), 8, pp.146-152; L. Caramel, Baj’s Plastics, in Art International, XIII (1969), 1, pp. 44 s.; J. van der Marck, Baj, Milano 1969;  Baj, a cura di A. Jouffroy, Parigi 1972;  E. B., présenté par J. Baudrillard, Parigi 1980; Baj. Catalogo generale delle stampe originali, a cura di J. Petit, Milano 1986; R. Sanesi, A proposito di Baj, Lonato 1987; Baj. La nostalgia del futuro (catal., Comacchio), Milano 1987; D. Cameron, Baj, disegni, Milano 1989; Baj. Maschere tribali (catal., Porto Venere), Pontedera 1994; Apocalisse di E. B., Milano 1995; L. Caprile, Conversazioni con E. B. Mezzo secolo di avanguardie, Milano 1997; La pittura spaziale e nucleare a Milano 1950-1960 (catal.), a cura di F. Lanza Pietromarchi, Bergamo 1997; A. Jouffroy - S. Pegoraro, E. B. – I Guermantes (catal., 2000), Milano 1999; B. Libri d’artista, a cura di L. Caprile, Milano 2000; E. B.: opere dal 1951 al 2001 (catal., Roma), Milano 2001; E. B. Opere 1951-2003 (catal.), a cura di M. Corniati, Milano 2003; E. B. Monumentum, Milano 2007; E. B., Apocalisse (catal., Pietrasanta), Firenze 2008; E. B. Dame e Generali (catal.), Milano 2008; Baj. Mobili animati (catal.), a cura di G. Celant, Milano 2009; Baj. Dalla materia alla figura (catal., Castiglioncello), a cura di L. Caprile - R. Cerini Baj, Milano 2010; Cucine & ultracorpi (catal.), a cura di G. Celant, Milano 2015; E. B. L’invasione degli ultracorpi (catal., Aosta), a cura di C. Gatti - R. Cerini Baj, Milano 2016.

Si ringrazia, per le notizie relative alla biografia e alle opere di Baj, Roberta Cerini Baj, che da sempre cura l’archivio dell’artista.

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