CARUSO, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 21 (1978)

CARUSO, Enrico

Luciano Alberti

Nacque a Napoli il 27 febbraio 1873 da Marcello, meccanico, e da Anna Baldini. Determinante per la formazione del giovane fu l'assiduità all'oratorio di don Giuseppe Bronzetti: qui egli fece le sue prime esperienze vocali come "contraltino" nel coro, presto con mansioni solistiche; qui, nei corsi serali, ebbe anche una qualche continuazione ai propri studi elementari. Dopo che essi furono terminati, infatti, il C. lavorò presso varie officine napoletane.

Dall'infanzia all'adolescenza - prima e dopo la muta - la sua voce promettente suscitò lo zelo di vicini e "maestri"; ma le lezioni (con A. Fasanaro, Amelia Gatto, e con i pianisti D. Amitrano ed E. Schirardi) ebbero un carattere dilettantesco. Parrocchiale fu l'esordio sulle scene: quelle di don Bronzetti, nel 1887; al C. era affidata la macchietta di un bidello nella farsa musicale I briganti nel giardino di don Raffaele di A. Campanelli ed A. Fasanaro.

Il 1° giugno 1888 morì la madre. Nel novembre dello stesso anno il padre si risposò, ad Aversa, con Maria Castaldi.

Quella del canto era per il C., ormai, una seconda attività. Le prestazioni nelle chiese prevedevano trasferte anche fuori Napoli; nelle case private, nei caffè e nelle rotonde balneari, il repertorio corrente era fatto di canzoni, soprattutto napoletane, di romanze da salotto e di arie d'opera. Alla propria qualificazione professionale fu lo stesso C. ad opporre resistenze: dopo l'undicesima, interruppe una serie di lezioni più sistematiche presso un maestro rimasto ignoto. "Posteggiatore" allo stabilimento balneare Risorgimento in via Caracciolo, nell'estate 1891, fu notato dal baritono E. Missiano, che lo affidò a un buon maestro di canto, G. Vergine, con regolare impegno di preparazione e di inserimento nella carriera: avrebbe pagato le lezioni con una percentuale sui guadagni a venire, per un certo numero di anni.

La ferma militare venne risparmiata al C., che fu supplito dal fratello Giovanni, secondo una prassi allora in uso. Così, richiamato nel febbraio 1894 al 13° reggimento artiglieria, a Rieti, vi rimase solo 45 giorni; durante i quali il suo protettore, maggiore Nagliati, gli procurò perfino la possibilità di continuare a coltivare il canto in casa del barone Costa: un melomane, che individuò i limiti del giovane tenore e lo orientò allo studio di uno spartito estremamente congeniale: Cavalleria rusticana. Il 1894 risulta essere un anno cruciale per il C.; la sua situazione vocale era precaria: corta l'estensione, scarso il volume, soprattutto insufficiente la preparazione musicale; il punto a favore restava - né si sarebbe trattato di poco - il timbro; ma esso stesso era oggetto di perplessità per quella ambiguità baritonale, che resterà una delle note distintive del cantante, ma che per ora risultava in contrasto con la fresca duttilità del tenore di grazia, nella cui convenzione tutta partenopea il giovane C. era etichettato.

Il passo ambizioso verso una carriera professionistica non riuscì. Ascoltato da N. Daspuro, giornalista e corrispondente per Napoli dell'editore musicale Sonzogno, il C. fu impegnato a studiare Mignon in vista di rappresentazioni al teatro Mercadante; ma alle prove il direttore G. Zuccani lo protestò. L'esordio in un teatro regolare così rimase opaco: fu al Nuovo, il 16 nov. 1894, nell'opera L'amico Francesco di M. Morelli: un fiasco nel complesso; per il C. un guadagno di 80 lire e l'ingresso nel piccolo cabotaggio degli impresari e degli agenti minori, fra cui emergeva nella piazza formicolante di Napoli (suo quartier generale il caffè dei Fiori presso il Municipio) la figura pittoresca del siciliano F. Zucchi. Sotto di lui, o da lui ceduto ad altre imprese, il C. batté per due anni la provincia.

Il debutto nel grande repertorio ebbe luogo al teatro Cimarosa di Caserta, nell'aprile 1895, con Cavalleria rusticana; seguirono Faust di C. Gounod e Camöens di P. Musone (10 lire a recita). A Napoli, in quell'anno e nel successivo il C. alternò recite tra i teatri Bellini e Mercadante; fece anche le esperienze avventurose e faticosissime di trasferte lontane: al Cairo, subito dopo Caserta, con la medesima primadonna Emma Bianchini Cappelli; poi - nel '96 - ancora dopo la riconferma a Caserta, in Sicilia. Al teatro di Salerno il C. fu scritturato per l'autunno 1896 e per il successivo: nel '97, anzi, come tenore unico della compagnia, a 100 lire per 50 recite (oltre che come fidanzato - ma inadempiente - della figlia del direttore di quel teatro). Tra Napoli e Salerno il repertorio del C. si era arricchito sia di opere che vi resteranno sempre più gloriosamente, sia di caduche novità locali.

È un repertorio che dalla vocalità veristica, da Puccini (Manon Lescaut), Mascagni (Cavalleria) e Leoncavallo (Pagliacci), si spinge, attraverso Ponchielli e i francesi (Bizet, Carmen; Gounod, Faust) fino a Verdi (Traviata e Rigoletto) e fino al Donizetti della Favorita e al Bellini dei Capuleti e Montecchi  (il C. canta il ruolo di Tebaldo al Mercadante nel '95, accanto alla quasi esordiente Emma Carelli), ma anche dei Puritani: limite non toccato (e neanche dopo), il teatro rossiniano. Si tratta di esperienze diversissime, per cui tuttavia - ad attenuazione delle differenze tecniche e stilistiche - giocavano chiavi esecutive correnti, moduli convenzionali, secondo una forte continuità di tradizione, fatta di esempi illustri.

Nella biografia carusiana entrò a questo punto il celebre tenore Fernando De Lucia, che dalla sua villa a Cava dei Tirreni venne per ascoltare il nuovo Arturo dei Puritani. Nei suoi appunti biografici americani il C., dando atto delle cure del maestro Lombardi, dirà che fu in grado di affrontare tutte le note acute di questo ruolo; ma l'ipotesi di Gara che si trattasse di un ricorso al falsetto è ben fondata sulle accertate difficoltà (e incidenti) che ancora il C. incontrava per il do del Faust e perfino per il la della Carmen, e sul fatto che i falsetti erano appunto nella tradizione del De Lucia (il C. ne aborrirà; ma l'incisione di "Magiche note" della Regina di Saba di C. Goldmark, pur tarda - del 1909 - ne conserverà per eccezione un esempio).

Risolutivo fu il 1897. A Salerno, nella Gioconda il C. era stato riascoltato da N. Daspuro, che ne parlò con entusiasmo a Sonzogno in vista della stagione che l'editore programmava in autunno al Lirico di Milano. Intanto, in maggio, la stessa Gioconda portavail C. in un grande teatro: il Massimo di Palermo, con un direttore di primo piano, Leopoldo Mugnone. Nell'agosto il C. cantava al Politeama di Livorno: oltre alla Traviata, la sua intraprendenza gli aveva assicurato il ruolo di Rodolfo nella Bohème:scavalcando l'impresario, egli si era presentato a Puccini, a Torre del Lago, ottenendo di ripassare la parte con lui nonché di abbassare di mezzo tono la "Gelida manina". Mimì era Ada Giachetti Botti, con cui il C. iniziò quella intensa e inquieta relazione, destinata a durare undici anni e a dargli due figli (il primo, Rodolfa, nascerà nel luglio del 1898). Le trattative per il Lirico andarono in porto, nonostante intralci e gelosie. Il successo personale del C. nella Navarrese di Massenet salvò la situazione.

Ma, soprattutto, il 27 novembre, il battesimo trionfale dell'Arlesiana di Cilea fu la rivelazione e lo scatto della grande carriera. Gli impegni si assestarono in scritture di sempre maggiore portata e nelle loro riconferme. Tra l'inverno e la primavera 1898, al Carlo Felice di Genova, il C. rimase per tre mesi (e per complessive 5.000 lire); di nuovo, affrontò I Pescatori di perle di Bizet con la Storchio e - inizio di un sodalizio - con G. De Luca. Cantò Saffo di Massenet a Treviso. Sonzogno puntava su di lui, come sul tenore ideale per il repertorio della sua casa: italiano-francese, lirico-verista. In estate, Gemma Bellincioni, in villeggiatura a Livorno, lo andò a sentire cantare i Pagliacci in quel Politeama, dietro suggerimento dell'editore. Era in previsione della grande prima d'autunno al Lirico, Fedora, che Giordano aveva scritto per lei, ma anche per Stagno, prematuramente scomparso. Nelle impressioni che il soprano comunicò a Sonzogno certe riserve riguardavano solo la presenza scenica del Caruso. In ogni caso, Fedora, il 17 nov. 1898, arrivando dopo il successo della Bohème di R. Leoncavallo, sancì il primato del giovane tenore.

Anche quanto a scena ("attore discreto", dice la critica), egli aveva evidentemente fatto grandi passi avanti dai tempi delle sue recite nel Napoletano: l'"americano" C. definirà "orribile" la propria condotta scenica di quei tempi, mentre l'iconografia fotografica lascerebbe intravedere la sicura individuazione, non foss'altro, di certi atteggiamenti di base.

La Russia e l'America del Sud spalancarono i propri teatri al Caruso. Per l'inverno 1898-99 egli fu il tenore della grande compagnia italiana per Pietroburgo e per Mosca, con la Tetrazzini e Battistini; la presenza del soprano spiega l'inclusione della donizettiana Maria di Rohan, accanto a Traviata, oltre a Bohème, Cavalleria e Pagliacci. Le quotazioni salivano: il contratto che l'impresaria Ferrari ha fatto firmare al C., prima di Fedora, per Buenos Aires, era di 12.000 lire al mese ed era già un affare per l'abile agente. Tra maggio e agosto, al Colón, il C. affrontava La regina di Saba di C. Goldmark, Yupanski di A. Berutti e infine Iris di P. Mascagni.

Con l'Iris, in novembre, egli conquistò il pubblico di Roma al Costanzi ("allo, scoppio della febbre erotica di Osaka, la sua voce si raddoppia, si quadruplica"); ebbe però la delusione di vedersi preferire Emilio De Marchi per la grande prima di Tosca, ricevendo invece i commossi riconoscimenti di Boito, venuto ad ascoltarlo nel Mefistofele.

Nella seconda tournée in Russia - inverno 1899-1900 - il C. aveva accanto a sé Salomea Krusceniski e, ancora, M. Battistini, per un cartellone in larga misura - provvidenzialmente - verdiano (Aida, Un Ballo in maschera). Il C. stesso avvertì la salutare tempratura, per la voce, del ruolo di Radames, con il "fissaggio" finalmente dei do acuti. La seconda tournée in Sudamerica comportò una diversa tempratura, d'ordine psicologico: il superamento della crisi dopo un deludente Mefistofele di inaugurazione, la rimonta generosissima e immediata. A Buenos Aires e a Montevideo il C. affrontò per la prima volta l'esecuzione della Tosca e della Manon di Massenet.

Con Tosca (e con Iris) a Bologna, in novembre, vengono superati i temibili confronti con G. Borgatti e A. Bonci. Il C. cantò Tosca anche a Treviso, con Ada Giachetti. Si preparava così a fare, a Milano, il grande passo dal Lirico alla Scala: "più lungo della sua gamba" dirà un critico ingeneroso. Invece, si trattò ancora di crisi e di rivincita, anche se, per un istintivo quale il C., prevarrà l'impressione della prima scottatura. Ad essa contribuirono varie circostanze, nella nevrosi caratteristica delle prime scaligere: la Bohème, prevista come secondo spettacolo, venne affrettatamente anticipata per l'indisposizione di Borgatti, che avrebbe dovuto aprire la stagione con il Tristano; contribuirono anche i modi non concilianti di A. Toscanini, solo in parte compensati dal garbo di G. Gatti Casazza. Le repliche ottime e l'affermazione personale nell'Elisir d'amore furono la rivincita.

Il C. alla Scala entrò nel concerto celebrativo della morte di Verdi (direttore Toscanini, oratore Giacosa) il 1° febbr. 1901, sia pure in una posizione cadetta rispetto a Borgatti e a Tamagno. A marzo, l'ultimo dei tre mesi della scrittura scaligera (per complessive 50.000 lire), il C. cantò Mefistofele;le riserve che ancora si facevano sulla sua presenza scenica si comprendono nel confronto con un partner quale Šaljapin (che per altro, per il C., avrà espressioni di ammirazione incondizionata).

Ancora con Toscanini, la sua terza stagione a Buenos Aires lo vide impegnato nel Lohengrin: un'eccezione senza alcun seguito. Il 1901, anno denso per il C. balzato a un punto che non può più permettersi passi falsi, si chiuse con una scottatura per la quale non varranno rivincite: fu nella sua città, al primo apparire sulle scene del S. Carlo, il 30 dicembre. L'opera, L'Elisir d'amore, era collaudata, né pericolosa quanto a tessitura, eppure tale da contenere appigli di sconcerto (una interpretazione, quanto a vocalità e a intenzioni espressive, eccedente la misura tradizionale) per un pubblico inquieto e, soprattutto, manovrato da un manipolo di snob, che il C. non si era dato la pena di accattivarsi preventivamente. Nonostante l'esito felice, subito dopo, sulle medesime scene, della Manon di Massenet con Rina Giachetti (sorella di Ada), il C. giurò di non cantare più a Napoli: giuramento che manterrà per tutta la vita.

Dopo una brillante parentesi a Montecarlo con Bohème e Rigoletto in coppia sensazionale con Nellie Melba (capolavoro del manager Raoul Ginsburg), tornò al teatro alla Scala: l'11 marzo del 1902 contribuì in misura determinante, con Toscanini, al successo di Germania di A. Franchetti. Milano restava la base per i suoi giri internazionali, e centro, anche, delle sue prime incisioni discografiche: fin da questo marzo alla Zonophone e alla Gramophone Typewriter.

In maggio il C. faceva breccia nel mondo anglosassone, cantando a Londra con un successo trionfale: l'opera scelta per il debutto era Rigoletto (gli è ancora accanto Nellie Melba), ma al Covent Garden il cantante compì anche una eccezionale puntata mozartiana con Don Giovanni. In novembre, il suo ritorno al Lirico di Milano per la prima di Adriana Lecouvreur di Cilea era quello del grande tenore, memore e grato. Per le incisioni di questo periodo era accompagnato al pianoforte da Cilea, Giordano e Leoncavallo. Quella al Costanzi dell'inverno 1902-03 fu la sua ultima stagione italiana: Rigoletto, Mefistofele, Manon Lescaut, Aida.

Nel marzo fu per la prima volta al S. Carlos di Lisbona (con Lucrezia Borgia, fra l'altro). Fu qui che - da tempo iniziate - si conclusero positivamente le trattative per New York. Ma intanto, come di consuetudine, fra maggio e agosto, lo accolse l'America del Sud; ai pubblici familiari di Buenos Aires e di Montevideo si aggiunse quello di Rio (un record di bis: per cinque volte "La donna è mobile").

Durante le vacanze italiane il C. acquistò una villa presso Sesto Fiorentino. A settembre le ultime incisioni a Milano: quindi la partenza, con Ada, a bordo del "Sardegna". Arrivò a New York l'11 novembre. Pochi giorni dopo firmava il contratto in esclusiva per la casa discografica Victor. Il 23 dello stesso mese era il debutto al Metropolitan, con il prediletto Rigoletto (dirige Arturo Vigna), cui seguivano Aida, Tosca, Bohème, Pagliacci, Lucia, Traviata, Elisir d'amore, per complessive 29 rappresentazioni, tenacemente impegnato a reggere e quindi a superare il confronto con Jean de Reszke, il tenore stabile del Metropolitan, anziano ma nobile e popolare. Sono le prime 29 delle 607 rappresentazioni che il C. realizzerà per il Metropolitan in diciassette stagioni.

Il corso della vita, fino al 1920, sarà regolato per il C. dalla costante delle stagioni al Metropolitan, da novembre a marzo con apparizioni in varie città americane. Negli stessi mesi si aggiungeva, annualmente, l'altra costante rappresentata dalle incisioni discografiche. Fino allo scoppio della guerra, ogni anno, da primavera all'inizio dell'autunno, il C. era in Europa: attorno al mese estivo della vacanza italiana si raggruppavano impegni di lavoro in grandi teatri stranieri.

Intanto, nel 1904, interrompendo a Barcellona la tournée per il contegno agitato del pubblico, il C. chiuse con la Spagna. Londra, invece, fra le città europee, rappresentò la costante maggiore: ininterrottamente fino all'anno 1909 e nel '13 e '14. Quindi Parigi: nel 1904, 1905, 1908, 1910 e 1912. Anche nel mondo austro-tedesco e, in genere, mitteleuropeo, il C. fu ripetutamente applaudito; in particolare a Berlino: nel 1904, quindi ininterrottamente dal 1906 al '10 in tournées, nel corso delle quali cantò anche a Vienna, a Praga, Budapest, Francoforte, Wiesbaden, Brema, Norimberga, Bruxelles, Monaco di Baviera, Stoccarda.

Radicalizzato come "fenomeno" nelle iperboli degli slogan pubblicitari che ne annunciano le apparizioni nei vari centri americani, il tenore sostiene la tensione di attese tanto più frenetiche quanto più eccezionali. Ma nelle grandi capitali europee, di volta in volta, un preciso impegno di qualificazione artistica combinava attorno a lui cast di straordinario livello. Così anche al Metropolitan: dove per altro valevano come elementi di attrattiva gli stessi suoi debutti in nuovi ruoli, spesso in sensazionali prime assolute.

Queste le principali tappe del C., dal 1904 all'11, in America e in Europa: il 27 apr. 1904 il primo contatto con Parigi, al teatro Sarah Bernhardt, avvenne con Rigoletto, accantoa Lina Cavalieri; nella stagione 1904-1905, al Metropolitan, il debutto degli Ugonotti;nell'estate successiva, a Parigi, Fedora, conla Cavalieri (il clou della stagione da Sonzogno abilmente dedicata, alla "giovane scuola italiana"), e Butterfly a Londra; a New York, nella stagione 1905-1906, la Sonnambula, Marta, e, in prima oltre Oceano, Fedora, con una Cavalieri particolarmente ardente. Nel 1907, al debutto nell'Africana fecero seguito due prime pucciniane per l'America: ManonLescaut, ancora con la Cavalieri, e, curata dall'autore, Madama Butterfly, con Geraldine Farrar; a Londra, il 20 luglio, il C. affrontò l'Andrea Chénier. Nel febbraio del 1908, al Metropolitan fu per la prima volta Manrico nel Trovatore.

La stagione 1908-1909 era la prima della gestione di Gatti Casazza al Metropolitan, con Toscanini direttore stabile: nella trionfale Aida di inaugurazione (16 novembre) il C. cantò con Emmy Destinn, Louise Homer e Anthony Scotti. Nel maggio del 1910 il Metropolitan faceva la sua tournée a Parigi, capitanata da Toscanini: leggendarie sono le rappresentazioni, allo Châtelet, di Manon Lescaut (con Lucrezia Bori). Al gala di beneficenza all'Opéra, il cantante e Toscanini erano le stars del Metropolitan, accanto alle étoiles dei Ballets russes. La successiva stagione a New York vide il C. impegnato in una singolare riesumazione, l'Armida di Gluck, e in una prima storica: La Fanciulla del West di Puccini, curata dall'autore, messa in scena dal drammaturgo D. Belasco, diretta da Toscanini con la Destinn e Amato.

Nel febbraio dell'11, dopo un'infelice ripresa di Germania di A. Franchetti, il C. scomparve per un lungo periodo, annullando tutti gli impegni che aveva preso fino all'autunno.

Fu l'esplosione della crisi personale, familiare, segreta dei Caruso. In realtà, la nascita del secondo figlio (Enrico), nel settembre 1904, non era valsa a stabilizzare il ménage con Ada Giachetti. La donna diradava i soggiorni a New York accanto al tenore (nomade dall'uno all'altro dei grandi alberghi, fino alla fine), preferendo risiedere nella lussuosa nuova dimora italiana: la villa di Lastra a Signa. La gelosia del C. aveva motivazioni oggettive; non quella di lei: il processo per "disorderly conduct" nel 1906, provocato dalle accuse di una signora, era stato un caso di isteria o un tentativo di ricatto: il C. ne era uscito indenne. La separazione dalla Giachetti ebbe luogo nel 1908. La tournée europea, quella estate, ne fu turbata: nella piccola corte che accompagnava il tenore ha cominciato a comparire un assistente spirituale. L'estate successiva il C. si era operato, a Milano, di laringite nodulare. Più specificamente nervosa è ora la crisi del 1911.

Azioni giudiziarie a scopo di estorsione - ma vinte dal C. - chiudono squallidamente la vicenda di Ada Giachetti, nel 1912 (del restò, la vistosa ricchezza del cantante comportò fino all'ultimo tentativi di ricatto di vario genere; ma, ben protetto entro la stessa malavita americana, egli vedrà ogni volta scoperti i propri ricattatori).Per il 1913il progetto - poi vanificatosi - di rappresentare Nerone di Boito alla Scala, in occasione del centenario verdiano, aveva visto il C. al centro di trattative fra Ricordi, Toscanini e l'autore. Nel febbraio del 1914 il C. cantava Julien di G. Charpentier al Metropolitan. Nel primo autunno di quell'anno, e alla fine del successivo, riprese i contatti con il pubblico italiano: quello di Roma e di Milano, sempre nei suoi Pagliacci e sempre per beneficenza. I teatri italiani non si permettevano allora un C., per il quale, d'altronde, ferree vigevano le leggi delle quotazioni. Solo per i pubblici ricchi, evidentemente, valeva l'affermazione di Gatti Casazza secondo cui il C., fra compensi e incassi, era "il più economico" degli artisti. Il 16 ott. 1914 questi cantò al Costanzi a favore degli emigrati italiani in Germania, che la guerra risospingeva in patria.

Disponibilissimo alle iniziative di beneficenza del tempo di guerra, nelle due Americhe come in Europa, il C. pose per altro condizioni iperboliche per il suo ritorno, nell'estate 1915, al Colón di Buenos Aires: 300.000 lire per dieci recite, quasi il doppio rispetto ai pur cospicui 25.000 dollari serali del Metropolitan. Subito accettate dall'impresario Mocchi, esse furono poi spontaneamente temperate dal cantante. Carico di tensione fu per lui il contratto con Milano - il 23 e il 25 dic. 1916 - dopo tanti anni di assenza: ai Pagliacci al teatro Dal Verme (diretti da Toscanini con C. Muzio) il pubblico e la critica avvertirono i mutamenti del tempo: il C. era ora decisamente un tenore drammatico; si faceva il nome di Tamagno ma anche quello dell'attore Guido Salvini. Antona Traversi testimonia dell'angoscioso raccoglimento nel camerino - due ore - oltre il rituale consueto (e superstizioso): il bicchiere d'acqua tiepida e un po' salata, whisky, una mela e sigarette. Alla richiesta del sindaco di Napoli, che voleva cantasse al S. Carlo per i terremotati di Avezzano, il C. rispose inviando una somma corrispondente al presumibile incasso della serata.

Nel luglio del '17, tornato a Buenos Aires, cantò Lodoletta di Mascagni. Il 1918 è un anno ricco di eventi: tre nuove grandi interpretazioni al Metropolitan (Il Profeta di Meyerbeer eseguito in febbraio; in novembre Sansone e Dalila di Saint-Saëns per la direzione di P. Monteux, e - solo ora - la verdiana Forza del destino, con l'esordiente Rosa Ponselle). In mezzo, d'estate, due mediocri interpretazioni cinematografiche, le sue prime ed ultime: My, Cousin e The Splendid romance per la Famous Players Lasky Corporation, gli fruttarono 200.000 dollari. Nello stesso anno, il 20 agosto, il C. si sposava con la giovane Dorothy Benjamin.

Il 23 marzo 1919 il Metropolitan festeggiò il 25° anniversario della sua carriera con un gala trionfale. In maggio egli condusse in Italia Dorothy. Il rientro negli Stati Uniti avvenne passando per Città del Messico, dove il C. cantò l'Elisir d'amore, nonché. con Gabriella Besanzoni, Sansone e Dalila e Carmen (all'aperto nella sterminata Plaza de toros, anche sotto la pioggia). L'inaugurazione del Metropolitan, il 22 novembre, fu segnata da uno dei vertici interpretativi: l'Ebrea di Halévy. "Fu questa l'ultima e più grande creazione" del C., è la testimonianza di Titta Ruffo; la documentazione fotografica conferma anche le altre sue parole: "seppe comporsi una maschera piena di dolore e di pensiero".

Il 18 dicembre nacque la figlia Gloria. Ma la crisi fisica e psichica incombeva. L'usura si faceva sentire, il C. avrebbe voluto ritirarsi; ma il direttore Otto Kahn confidava nei suoi formidabili recuperi. Probabilmente fatali furono i disagi dell'estate 1920; in mezzo, fra una stagione all'Avana (10.000 dollari a sera per dodici sere) e un tour di undici concerti in altrettante città degli Stati del Nord e del Canadà, breve era stata la pausa familiare a East Hampton. La corrispondenza con Dorothy testimonia sia della affettuosa duttilità di lei sia della consapevole inquietudine del Caruso. In settembre, ancora incisioni - le ultime da lui compiute - per la Victor.

La ripresa della stagione lirica segnò una serie di lotte con il male, combattute sulle tavole del palcoscenico. Durante i Pagliacci, l'8 dicembre, il C. ebbe uno sbandamento, ma portò a termine la recita. L'Elisir d'amore, nella matinée dell'11, a Brooklyn, si interruppe alla fine del primo atto. Per la Forza del destino, il 13, fu dato l'annuncio "Caruso is not ill"; ma il Sansone del 16, il C. lo affrontò per eccesso di accondiscendenza verso Gatti Casazza. La vigilia di Natale, con l'Ebrea, non sapeva di chiudere la propria carriera. Il male, non riconosciuto subito, era un empiema polmonare. L'intervento chirurgico del 30 dicembre fu il primo di una serie che si protrasse per tutto quel tetro inverno newyorkese.

A primavera il C. tornò in Italia. Il 20 giugno, con Dorothy e Gloria e con il fedele segretario Bruno Zirato, sbarcò dal "President Wilson" a Napoli e procedette direttamente per Sorrento. La ripresa sembrò avere del miracoloso (non era mancata una visita al santuario di Pompei). Si tornò a pensare al canto, si vagheggiò un Otello con Titta Ruffo. Ma a metà luglio ricominciò la febbre. Visite mediche e consulti si susseguirono ansiosi; trasportato da Sorrento a Napoli, il C. vi morì il 2 ag. 1921.

La leggenda del C. era incominciata molto prima della sua morte: con la risonanza generosa del pubblico americano, alimentata dalla forte e appassionata componente italiana, che egli volle e seppe interpretare con l'immediatezza sincera e il talento della migliore lega partenopea. Il C. fu in tutto e per tutto un italiano d'America, fin negli atteggiamenti più quotidiani. L'allegria, il sentimento, la passione - la nostalgia, soprattutto - avevano nella sua voce l'autenticità di valori popolari, indipendentemente dalla qualità dei testi musicali: popolari anch'essi, con ampie tangenze borghesi (le stesse del mondo del "variété" e - in quella stagione - del mondo dell'opera). Opere a parte, il suo repertorio di canzoni e romanze era rimasto quello dell'antico posteggiatore; solo più vasto, con variegature cosmopolite, esotiche. Persino il patriottismo delle canzoni del tempo di guerra (il C. le ha incise tutte, compreso l'Inno di Mameli) non ha nulla di ambiguo: è retorica sana. Nel mondo il C. fu mito italiano.

Alla base, c'è la realtà concreta di una voce unica, classica e inconfondibile, retta da un professionismo che ha saputo essere all'altezza del dono naturale. C'è, dunque, la maturazione di una tecnica e di uno stile che si sono imposti come esemplari per più generazioni di tenori non solo italiani. Si avanzano i riferimenti a B. Gigli (ma con un rischioso ammorbidimento sentimentale) e a R. Tucker: nel senso di un piglio in cui l'idea dell'"eroe" coincide - nella stessa tipicità fisica, che il pubblico non solo accetta ma che non concepisce diversa - con la concretezza del tenore".

Più al fondo, là dove le ragioni di un grande interprete si legano intimamente con quelle della storia della musica, la necessità - appunto storica - del C. si afferma nel fatto che egli finalizza con decisione l'ibrida quanto suggestiva indeterminatezza del tenore tardottocentesco, oscillante in quell'"andare canzonettando", che il grande Masini si dice riprendesse nel giovane C., per cui il "belcanto" è solo un residuo adulterato di moduli inattendibili. La finalizzazione da lui operata è nella ricerca di una "verità": quella, appunto, che la "giovane scuola italiana" per sue strade e a quote diverse, andava perseguendo.

Ma, retrospettivamente, tanta forza di autenticità (la capacità di essere "travolgente" senza pudori ma anche senza infingimenti o narcisismi) arriva a sgretolare le ambiguità dell'eredità interpretativa anteriore, e ad applicarsi felicemente, in modi personali ma vitalissimi, alla lezione verdiana. La saldatura avrebbe dovuto essere in quell'Otello che balena come ipotesi patetica negli ultimi pensieri del C., e del quale alcune registrazioni sembrano approssimazioni imperfette. Ma a quel limite di verità drammatica tendevano tutte le sue estreme, grandi interpretazioni: ancora nel versante francese (ma di quegli stessi anni è anche l'approdo alla Forza del destino), verso una plasticità vigorosissima di accenti e di gesti: Sansone, Eleazar.

Che poi a queste prove l'ultimo C. amasse accostare, in calcolata alternanza. i ritorni al repertorio leggero della giovinezza, il più vicino alla soglia del "belcanto" (L'Elisir d'amore) è il segno di una ricerca di elasticità, di una intelligente "igiene" vocale, che pure non mancheranno di porsi come esemplari. In ogni caso, fino alla fine, dell'eredità anteriore il C. salvò qualcosa che sentiva come prezioso: da un più antico culto del timbro nascono certe sue vellutate emissioni, certi attacchi - inimitabili, quanto imitati - di una trasparenza lacrimosa ma pura.

Il C. compose alcune romanze: Tiempo antico, Serenata;i n collaborazione con R. Barthélemy, Adorables tourments; con J. Carroll, Dreams of long ago; ha raccolto sue caricature in Caruso's book, being a collection of caricatures and characters-Studies from original drawings of the Metropolitan Opera Company, New York 1906 (la raccolta completa è in Caricatures by E. C., a cura di M. Sisco, riedita più volte a New York); ha pubbl. un opuscolo Howto sing - Some practical Hints, London 1913 (trad. in tedesco, Berlin 1914).

Fonti e Bibl.: Per la discogr. operist., cfr. la voce C. del dizion. Le grandi voci, a cura di L. Celletti, Roma 1964; in occas. del centenario della nascita del C., nel 1973, la R.C.A. ha pubblicato 12 Long playing comprendenti pressoché tutte le incisioni del C.: pezzi d'opera, canzoni e romanze, musica sacra; la raccolta comprende anche una biografia di E. C. redatta da F. Soprano.

Sulla sua tecnica vocale: J. H. Wagenmann, E. C. und das Problem der Stimmbildung, Altenburg 1911; S. Fucito-B. J. Beyer, C. and art of singing, New York 1922; P. M. Marafioti, C.'s method of voice production, London 1925; G. Armin, E. C., eine Untersuchung der Stimme C.s und ihr Verhältnis zum Stauprinzip, Berlin 1930.

Per la parte biogr. e critica cfr. inoltre: M. H. Flint, C. and his art, New York 1917; G. Fracassini, Il poeta del canto, E. C., Firenze 1918; G. Bellincioni, Io e il palcoscenico, Milano 1920, ad Indicem; P. V. R. Key, E. C., a biography, Boston 1922 (è la prima importante biografia del C., scritta in collab. con B. Zirato, il segretario del tenore; rapidamente pubbl. anche in Inghilterra, e trad. in Germania); P. Bekker, Klang und Eros, Stuttgart-Berlin 1922, pp. 239-43; E. Ledner, Erinnerung an C., Hannover-Leipzig 1922; C. Thesing, C., eine Biogr., München 1924; N. Melba, Melodies and Mem., London 1925, ad Indicem; D. Caruso-T. Goddard, Wings of song, London 1928 (sono i ricordi della moglie del C. alla cui stesura ha collaborato la sorella di lei); I. De Lara, Many tales of many cities, London 1925; O. Pedrazzi, I nostri fratelli lontani, Roma 1928, ad Indicem; C. Antona Traversi, Ricordi parigini, Ancona 1929, ad Indicem; A. Carelli, E. Carelli, Roma 1932, passim; F. Litvinne, Ma vie et mon art, Paris 1933, ad Indicem;L. Cavalieri, Le mie verità, Roma 1936, pp. 108-114; F. Alda, Men, Women and Tenors, Boston 1937, ad Indicem; T. Ruffo, La mia parabola, Milano 1937, passim; N. Daspuro, E. C., Milano 1938; L. Lehmann, Wings of song, London 1938, ad Indicem; D. Petriccione, C. nell'arte e nella vita, Napoli 1939; G. Gatti Casazza, Memories of Opera, New York 1941, ad Indicem; A. Lancellotti, Le voci d'oro, Roma 1942 pp. 199-248; F. Thiess, Il tenore di Trapani (vita romanzata), Torino 1942; R. Trebbi, Cantanti di oggi e di domani ascoltatemi, Brescia 1944, ad Indicem; D. Caruso, E. C., his life, and death, New York 1945; U. Tegani, Cantanti di una volta, Milano 1945, pp. 91-99; H. Steen, C., eine Stimme erobert die Welt, Essen 1946; A. Della Corte, Satire e grotteschi di mus. e musicisti, Torino 1946, pp. 899-917 passim; Levai-Barat, La vie fantastique de C., Paris 1946; E. Gara, C. Storia di un emigr., Milano 1947; A. Jeri, Bellegole, Milano 1947, pp. 92-98 e passim; I. Kolodin, The Story of the Metrop. Opera 1883-1950, New York 1953, an Ind., p. VI; T. R. Ybarra, C., the man of Naples and the voice of gold, New York 1953; J. Frestone-M. J. Drummond, E. C., His recorded legacy, London 1960; J. P. Mouchon, E. C., sa vie et sa voix, Langres 1966; H. Pleasants, The Great Singers, New York 1966, ad Ind., p. 368; V. Tortorelli, E. C., Rimini 1973; R. Ponselle, E. C., in Americana, (Roma), II (1974), 6, pp. 53-58; Enc. d. Spett., III, coll. 131-138; Enc. della Musica Rizzoli Ricordi, II, Milano 1972, pp. 294-299; E. C., a cura del Museo teatrale alla Scala, Milano s.d.

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