DEL CARRETTO, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEL CARRETTO, Enrico

Giovanni Nuti

Marchese di Savona, secondo di questo nome, nacque nella seconda metà del sec. XII da Enrico Guercio, marchese di Savona e da Beatrice, figlio di Guglielmo II di Monferrato.

Le prime notizie su di lui si riferiscono alle sue sottoscrizioni di atti in cui il padre riconobbe vari diritti al Comune di Savona (luglio 1179) e a quello di Noli (17 ott. 1181), entrambi sorti all'interno della marca di Enrico: insieme con il D. sottoscrisse anche il fratello maggiore Ottone. Nel luglio 1182, sempre insieme col fratello, giurò la "Compagna" del Comune di Genova, impegnandosi, fra l'altro, a militare nell'esercito cittadino. Alla morte del padre tra il 1184 e il 1186, i due fratelli procedettero alla divisione del feudo: al D. toccarono la signoria su Noli (dove, tuttavia, le spinte autonomistiche del Comune, rafforzate dalla notevole potenza economica da esso raggiunta, rendevano assai precario il controllo marchionale), il territorio del Finale, varie terre poste nelle Langhe e alcuni castelli che controllavano la strada commerciale che dai porti rivieraschi portava al retroterra padano attraverso il suo feudo.

A differenza del fratello Ottone che, privo di una salda base militare, preferì legare la sua politica alle sorti delle potenze comunali confinanti col suo piccolo feudo, il D. poté contare su un compatto territorio, strategicamente importante, ricco di uomini e di entrate; ciò gli permise di muoversi con una certa autonomia nel complesso mondo subalpino, con una politica accorta e tesa ad allontanare, con frequenti scambi di alleanze, i pericoli provenienti al suo feudo dall'espansionismo dei Comuni rivieraschi e padani.

Un documento del 1190 ci informa che in quest'anno gli fu restituito, per sentenza del giudice imperiale, il castello di Cengio, a lui tolto da un certo Anselmo; costui, infatti, aveva approfittato dell'assenza del D., partito per l'Oltremare, per impadronirsi del castello. Il D., dunque, sembra essersi recato in Oriente, ma non si può precisare in quale anno e in quale circostanza. Ben presto egli dovette realisticamente riconoscere l'impossibilità di opporsi alla richiesta di autonomia avanzata dal Comune di Noli e preferì procedere ad una serie di alienazioni di diritti signorili dietro il pagamento di somme in denaro. Il 1° ag. 1188 vendette ai consoli di Noli il diritto di fodro per 200 lire di genovini; il 10 ag. 1192 cedette al Comune metà del castello di Segno (a controllo del golfo di Vado e oggetto di aspre contese), un quarto del pedaggio riscosso alla porta della città e varie quote di diritti bannali sull'uso dei boschi: la somma pattuita fu di 1.417 lire e mezza di genovini; il 23 maggio 1193 vendette al Comune il diritto sul mercato del grano e quote di altri diritti bannali, per 708 lire di genovini; infine, nello stesso anno, cedette i diritti di alta giustizia criminale, lo "ius ripe et piscarie", le sue prerogative sui fitti e sulle pensioni riscosse nel borgo di Noli. Da questa vasta serie di alienazioni (che furono pagate dal Comune 1.440 lire di genovini) il D. escluse solo il giuramento, ormai formale, di fedeltà a lui dovuto dagli uomini del borgo e piccole quote sui diritti di mercato, in comproprietà col fratello Ottone (7 ag. 1193). In pratica, questo atto metteva fine alla signoria marchionale su Noli, che vide sancita la sua autonomia con diploma dell'imperatore Enrico VI il 2 sett. 1196.

Se un importante sbocco marittimo era ormai perduto, il D. poté, tuttavia, mantenere sotto il suo controllo un feudo di grande importanza strategica e commerciale perché attraversato da una strada assai frequentata dai mercanti padani (specialmente albesi e astigiani) diretti verso i porti rivieraschi; inoltre, esso comprendeva anche uno sbocco al mare, il porto del Finale, destinato a ricoprire un ruolo fondamentale in tutta la storia ligure come pericolosa alternativa al monopolio marittimo e commerciale attuato da Genova sulle riviere.

Il 12 maggio 1191 il D. si alleò con Asti, infeudando ad essa il castello di Lequio e altre terre nelle Langhe, compresa la quota su Cortemiglia lasciatagli in eredità dal marchese Bonifacio; si impegnò a diventare cittadino astigiano, a proteggere i mercanti lungo la sua strada e ad aiutare il Comune, tranne che contro Alba, di cui il D. era alleato. Scoppiate le ostilità tra Asti e il marchese del Monferrato, il D. si schierò col Comune e nel 1193 militò nel suo esercito, assistendo all'atto in cui Manfredo II di Saluzzo fu costretto a cedere ad Asti la località di Romanisio.

Negli anni seguenti dovettero continuare le ostilità tra il D. e Noli per il possesso del castello di Segno, rimasto in comproprietà: l'8 apr. 1198 egli fu costretto a cedere al Comune il castello da lui occupato e a impegnarsi a permettere il libero transito sulla sua strada, bloccata durante la guerra e di vitale importanza per l'economia nolese. Nel luglio dello stesso anno, contro di lui si formò una vasta coalizione comprendente i Comuni di Savona, Noli, Albenga e Ventimiglia; sempre in quest'anno, insieme col fratello Ottone, egli assistette all'alleanza tra Bonifacio I del Monferrato e Ivrea e fu teste nel maggio 1199 agli accordi tra i Comuni di Asti, Novara e Vercelli e il marchese per lo scambio dei rispettivi prigionieri.

Negli anni successivi, mantenuti costanti i suoi buoni rapporti con Alba, il D. entrò (3 sett. 1204) nell'alleanza stretta tra questo Comune, Guglielmo del Monferrato, il marchese Manfredo II di Saluzzo e altri marchesi aleramici contro Asti e Cuneo; questi Comuni ebbero, tuttavia, la meglio, dato che il D. fu costretto, due anni dopo, a garantire ad Asti il libero transito sulle sue strade e a prometterle aiuto militare contro la sua alleata Alba. Del resto, almeno finché l'espansione di Alba non lo preoccupò seriamente, il D. cercò di garantire ai mercanti di entrambe le città rivali il libero transito sulla sua strada, che gli garantiva un notevole gettito doganale, alleandosi ora con l'uno ora con l'altro Comune. Il 5 sett. 1209 egli si impegnò a difendere Alba dalle mire degli Astigiani e a mantenere aperta la strada ai mercanti di questa città. Nel mese precedente (21 ag. 1209) egli aveva donato allo stesso Comune, dietro compenso di 300 lire astesi, i castelli di Arguello, Feisoglio e Cravanzana nell'alta Langa, lungo la strada che portava a Savona.

Disceso in Italia Ottone IV, il D., come il fratello, si unì all'esercito imperiale: il 3 giugno 1210 si trovò a Vercelli e assistette alla concessione di privilegi da parte dell'imperatore alle città di Pisa e di Milano. Scoppiato il conflitto tra Ottone e Federico di Svevia, egli si schierò per quest'ultimo, diventandone uno dei più fedeli sostenitori nell'area subalpina e rivierasca. Nel 1213, con il consueto mutamento di alleanze, egli si accordò col Comune di Asti, sostenitore dello Svevo, impegnandosi a non istituire nuovi pedaggi sulle merci dei mercanti astigiani transitanti per il suo feudo.

In seguito, egli venne a conflitto col marchese Guglielmo del Monferrato, che pretendeva da lui il giuramento di vassallaggio per i feudi di Cosseria, Cengio, Rocca di Mallare, Arguello, Bozzolasco e Niella; tuttavia, il 29 maggio 1216 si venne ad un accordo, per cui Guglielmo riconobbe al D. l'allodialità di tali castelli, in cambio del pagamento di una somma. Nel 1217, dall'accordo tra Alessandria e i signori di Pocapaglia si escluse la possibilità di attacco al D.; nello stesso anno, egli rinnovò il suo trattato commerciale con Asti ed è ricordato come alleato di Alessandria nell'accordo tra questo Comune e Vercelli. Sempre nel 1217 (27 novembre) egli si impegnò a rispettare la vendita di Canelli al Comune di Asti.

Nel frattempo, prese corpo il progetto del D. di creare una solida roccaforte nel Finale per proteggere lo sbocco della strada montana da lui controllata. Verso il 1188, infatti, egli aveva fondato il "burgus Finarii", aprendolo agli abitanti delle alture circostanti e ponendo la sua residenza in Castel Gavone; l'attività costruttiva nel borgo, tuttavia, si protrasse a lungo. Nel 1206 egli fondò un altro borgo, quello di Millesimo, in una posizione strategicamente rilevante; fra il 1212 e il 1216 egli vi promosse la costruzione del monastero femminile cisterciense di S. Stefano. Queste iniziative, tese a dare compattezza al suo feudo, finirono per metterlo inevitabilmente in urto col Comune genovese, che da tempo stava attuando una azione politica tesa a raggiungere il monopolio del commercio marittimo nelle riviere, obbligando le navi degli altri Comuni costieri a fare scalo nel suo porto. Nel luglio 1217 il podestà di Genova gli intimò di abbattere le opere fortificate da lui erette nel castello del Finale. L'anno seguente (11 genn. 1218) egli fu costretto a cedere al Comune di Noli l'altra metà del castello di Segno e la metà di quello di Vado, fino ad allora tenuti in comproprietà, per la somma di 2.000 lire di genovini; nello stesso anno (28 ottobre) si impegnò ad aiutare la contessa Adelasia di Saluzzo a recuperare Dogliani. Nel 1219, rinnovata la sua alleanza con Asti (egli fu anche presente all'accordo tra questo Comune e Manfredo III di Saluzzo), militò nell'esercito genovese inviato a domare la ribellione di Ventimiglia.

Nel frattempo provvide a consolidare il suo controllo sui castelli di Novello, Monforte e Barolo, acquistando i diritti vantati su di essi da una famiglia di castellani della zona, gli Scapita, vassalli di Alba. Il D. si accordò con questo Comune, ottenendo il riconoscimento del controllo dei castelli in cambio dell'infeudazione al Comune medesimo di questi e degli altri castelli da lui controllati nelle Langhe (Niella, Bozzolasco, La Morra). Egli provvide a giurare nuovamente il cittadinatico di Alba e si impegnò a garantire il libero transito alle merci del Comune nel suo territorio. I possessi signorili del D. nelle Langhe costituivano, tuttavia, un nucleo pericoloso per l'espansionismo del Comune albese che, il 1° luglio 1224, riuscì ad ottenere, tramite sentenza arbitrale, il possesso dei castelli di Novello e Monforte, sborsando la somma di 7.000 lire in moneta genovese ed astigiana; il D. si impegnò a tenere muniti per il Comune gli altri castelli da lui controllati, compresi Arguello Cravanzana e Feisoglio, evidentemente ancora in sua mano a quindici anni dalla donazione ad Alba. Inoltre egli acquistò nuovi diritti sui due castelli contesi, tanto che il Comune fu costretto ad intavolare altre trattative e poi ad occuparli.

Questo gesto spinse il D. a rinsaldare i suoi legami con Asti e ad allontanarsi dal marchese Bonifacio II del Monferrato, che si era impegnato ad aiutare Alba nel suo sforzo di controllare Monforte. Nel 1223 egli assistette alla cerimonia in cui Manfredo III di Saluzzo fu investito di alcuni feudi da parte di conte Tommaso I di Savoia, cognato del D.; forse grazie alla sua opera poté maturare il riavvicinamento tra il conte e il Comune di Asti, fino ad allora in aperta ostilità. Infatti, il 16 maggio 1225, vicino alla città di Torino, il D. assistette agli accordi tra le due parti per risolvere le loro controversie; nello stesso anno, egli donò il castello di Fontane ad Asti, mentre una commissione formata da Ottone Del Carretto, suo figlio Ugo, Guillaume Gratapaille de Clery e dal conte Tommaso di Savoia si impegnò a risolvere le pendenze ancora aperte tra questo Comune e il D., in particolare il problema del castello di Lequio, per il quale egli era vassallo del Comune, ma che aveva venduto al marchese di Saluzzo. Nello stesso anno, il D. militò nell'esercito genovese radunatosi a Gavi Ligure per soccorrere l'alleata Asti, sconfitta dall'esercito alessandrino nella battaglia di Quattordio.

Nel frattempo l'arrivo di Federico II in Alta Italia provocò un rimescolamento delle alleanze: Tommaso I di Savoia abbandonò la sua amicizia con Genova, sempre più decisa a lottare contro l'imperatore, e si avvicinò a Federico II, forse spintovi anche dal D., da tempo legato alla famiglia sveva. Nel luglio 1226, con diploma da Borgo San Donnino, l'imperatore riconfermò al D. i diritti signorili sulla marca di Savona già concessi da Federico Barbarossa a suo padre Enrico Guercio. L'8 nov. 1226 il D. fu presente in Albenga all'atto in cui Tommaso, divenuto vicario imperiale di Lombardia, concesse autonomia al Comune di Marsiglia e favorì l'accordo tra il conte e i Comuni di Savona e Albenga, che a lui si sottomisero. In tal modo, rotti i legami col Comune genovese, egli si pose alla testa di una vasta coalizione, coacervo di forze disparate, tenute insieme solo dall'obiettivo di bloccare l'espansionismo genovese nelle Riviere. La rivolta, tuttavia, fu di breve durata: l'energica azione militare del podestà di Genova, il lucchese Lazzaro di Gerardino di Glandone, portò alla riconquista della Riviera occidentale nel 1227 e alla caduta di Savona. Il 27 maggio 1227, sotto la tenda del podestà, nell'esercito genovese impegnato nell'assedio di Savona, il D. fu costretto a giurare la Compagna e l'abitacolo in città per tre mesi all'anno in caso di guerra e per un mese in tempo di pace; si impegnò inoltre a militare nell'esercito comunale e a non costruire castelli nel suo territorio.

Tale atto, tuttavia, provocò un incidente procedurale, in quanto esso conteneva alcune modifiche rispetto al testo che il D. aveva sottoscritto nel 1182; pertanto, il podestà fu costretto a cassarlo (29 genn. 1228). Solo l'anno seguente il D. rinnovò il giuramento della Compagna, attenendosi al testo originario.

Sempre nel 1228, il 25 novembre, egli entrò a far parte di una vasta coalizione di forze, comprendente il fratello Ottone, gli altri marchesi aleramici e il Comune di Asti contro Alessandria ed Alba; il D. si impegnò a consegnare ad Asti il castello di Saliceto, riavendolo come feudo oblato; il Comune, a sua volta, si impegnò a non far pace separata con le due città rivali finché Alba non avesse restituito al D. i castelli di Sineo, Novello e due parti del castello di Monforte. Riprese le ostilità tra i due schieramenti e forte dell'alleanza con Asti, il D. tentò di impadronirsi del castello di Sineo, presso Alba, senza riuscirvi, per il sopraggiungere di contingenti alessandrini; questi, tuttavia, furono a loro volta assediati dal marchese del Monferrato e costretti alla fuga. Negli anni seguenti ritornarono in primo piano le divergenze esistenti tra il Comune di Asti e il D., i quali si rimisero all'arbitrato genovese per tentare di dirimerle. Nel 1231 egli ottenne da Asti il castello di Lequio.

Il D. morì prima del 1233, dato che in un atto del 27 febbraio di quell'anno vengono ricordati i suoi eredi. Egli aveva sposato nel 1181 in prime nozze Simona, figlia del genovese Baldovino Guercio; in seconde nozze sposò Agata, figlia del conte Guglielmo di Ginevra e sorella di Beatrice, moglie di Tommaso I di Savoia. Egli ebbe tre figli: Sofia, sposata al marchese Guglielmo (III) di Ceva, Giacomo, cui passò il feudo-paterno, ed un'altra figlia, andata sposa a Guillaume Gratapaille di Clery, al quale il Comune di Alba infeudò i castelli di Arguello, Cravanzana, Bozzolasco e Niella.

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