ENRIQUEZ, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

ENRIQUEZ, Enrico

Pietro Messina

Nacque a Campi (Lecce) il 30 sett. 1701, da una famiglia di antica origine spagnola. Il padre, Giovanni, era principe di Squinzano e marchese di Campi, la madre era Cecilia Capece Minutolo dei principi di Canosa.

Appena diciottenne, l'E. nutriva già vivi e svariati interessi culturali. Nel 1719 aveva infatti già iniziato una fitta corrispondenza con Matteo Egizio, letterato ed erudito napoletano, futuro bibliotecario di re Carlo di Borbone; in lui cercava una guida e un consigliere, e fu tra i suoi più assidui corrispondenti fra il 1719 e il 1726.

Brillante e vivace, voleva conoscere "tutto ciocche vi ha di nuovo, e nelle materie letterarie, e negli avvisi del Mondo" (Letteredi Arrigo Enriquez…, p. 715). Naturalmente, al centro della loro attenzione era la vita culturale napoletana, e l'E. chiedeva libri, informazioni, giudizi. Conosceva il Vico, che reputava "dottissimo ed umanissimo" (ibid., p. 730); conosceva P. M. Doria, e domandava notizie della sua Metafisica; nell'epistolario si riflette anche una polemica corsa tra l'Egizio e il Vico, a proposito di alcune opere di quest'ultimo. L'E. richiedeva la Raccolta di composizioni per la morte di Eleonora di Neuburg e quella per le nozze dei principi di Traetto, ma parlava anche di Malebranche, di Arnauld, di Pascal, delle opere del Fleury e del Baronio, di A. Pagi, A. Moel, W. Est; si interessava di storia ecclesiastica, di diritto canonico e filosofia, sempre chiedendo lumi e consigli. Nel 1721 incuriosito dall'Istoriacivile del Giannone, chiese più volte all'Egizio un parere su di essa, perché gli servisse per "ammaestramento" in "quella lettura" (ibid., p. 752). Parimenti gli inviava, talora, componimenti di letterati suoi amici, come Marcello Filomarino e il duca di Cerisano, e suoi propri. Nel 1721 sottopose al suo giudizio un epigramma, Octobris mensem, e un sonetto latino, Tesseradecastichon metrorithmicum (rimasti inediti e pubblicati in Lettere …, pp. 709 s.), e nel 1723 ancora un'altra poesia, poi pubblicata da E. Marulli in un Raccolto di vari componimenti… (Lecce 1723). Gran parte di queste sue prime occupazioni letterarie si svolse nell'ambito dell'Accademia leccese degli Spioni, di cui fu eletto anche principe. Trasferitosi a Roma, e dovendo recitare una lezione sulla repubblica romana presso l'Accademia dei Quirini, ne volle discutere più volte, per lettera, con l'amico e maestro. Ancora nell'ambito di questa Accademia compose un'elegia, pubblicata in una Raccolta (Roma 1730) che celebrava l'elezione di Clemente XII. La corrispondenza si fece via via più rada, cessò tra il 1735 e il 1740, durante la permanenza dell'Egizio in Francia, ma l'E. fu ancora tra i primi a riallacciare i contatti col letterato napoletano al suo ritorno, dichiarandosi sempre suo "discepolo".

fE difficile stabilire se l'E., in quegli anni giovanili, approdasse già a una ben definita posizione nel panorama dei dibattiti e delle correnti culturali dell'epoca; subiva senz'altro il fascino della nuova cultura europea, e francese in particolare, ma probabilmente, in sintonia con l'Egizio, aveva un atteggiamento moderato; lodava infatti quegli autori francesi che "sanno tenere la via di mezzo, senza passare a gli estremi cioè di superstizione, o di miscredenza, come fanno gli 'Italiani" (Lettere, p. 752). Certamente la passione per le lettere gli rimase per tutta la vita, e continuò a nutrire un particolare interesse per gli studi storici. Alimentando un costante scambio di libri e informazioni, fu in corrispondenza con molti eruditi, primo fra tutti il Muratori, che gli riconosceva "si bel genio per le lettere, e per l'erudizione de' tempi della barbarie" (Epistolario, VII, p. 2981). Nel corso degli anni l'E. lavorò anche a due opere di un certo impegno: le Memorie istoriche della Badia di Banzi (di cui era beneficiario) e la Storia del dominio temporale dei papi, lavori che rimasero però incompiuti e inediti (cfr. Annali letterari, p. 238).

Accanto alla passione erudita, affondava le proprie radici nella prima giovinezza anche un altro fondamentale aspetto della sua personalità: la convinta adesione al giansenismo. Sin dal 1719 elogiava i "dotti Jansenisti" contro "i moderni casuisti", si dichiarava "oltremodo persuaso" tdella grazia efficace e trionfante" (Lettere, pp. 717, 746), apprezzava Pascal, e rimproverava a Vico specialmente la sua opposizione ad Arnauld. L'E. fu in contatto con i principali esponenti del giansenismo romano; fu amico e corrispondente del Passionei, al quale lo univano anche i comuni interessi letterari e, durante i suoi soggiorni romani, fu tra i frequentatori dell'"eremo" di Camaldoli di Frascati. Fu in rapporto con P. F. Foggini e G. G. Bottari, e protesse il circolo dell'"Archetto". Stimò e incoraggiò D. Concina e, quando fu in Spagna, contribui a diffonderne le opere (cosi come si adoperò a favore della Filosofia morale del Muratori). Nella sua vita pubblica rimase costantemente fedele all'austera moralità giansenista; entrato in prelatura, l'E. risiedette pochissimo a corte, rimanendo sostanzialmente estraneo agli intrighi e ai maneggi della Curia.

Figlio cadetto, era destinato alla carriera ecclesiastica. Nel 1725 si recò a Roma e, completati gli studi, si laureò in utroque iure il21 giugno 1726, e il 18 luglio fu ammesso tra i prelati domestici del papa. Dal 1728 al 1732 fu governatore a Camerino, primo incarico di una lunga serie. I Camerinesi rimasero poi in ottimi rapporti con lui, e quando fu nominato cardinale gli vollero dedicare una raccolta poetica: Varj componimenti in prosa, ed in verso … raccolti da E. Savini (Camerino 1754). Fu quindi governatore ad Ascoli (1732-1733), Civitavecchia (1734-1738), Perugia (1738-1741). Durante quest'ultimo mandato l'E. fu chiamato a svolgere un'importante missione. Nel 1739 il card. G. Alberoni, legato di Romagna, aveva proceduto all'occupazione di San Marino, un atto che ben presto anche Roma dovette giudicare quanto mai inopportuno. Si era pertanto deciso di sconfessare Alberoni e di inviare l'E. a ristabilire lo status quo. Presente a Roma durante i lavori dell'apposita commissione per gli affari sammarinesi, l'E. pose come condizione di non dover dipendere in alcun modo dall'Alberoni. Il 21 dic. 1739 fu nominato commissario apostolico, con un breve che gli conferiva pieni poteri, e il 9 genn. 1740 raggiunse San Marino.

Applicando le istruzioni ricevute, proibi le armi e sospese ogni giurisdizione, assumendo il controllo di tutta la cosa pubblica. Depose tutti gli ufficiali nominati dall'Alberoni, avviò un'indagine sui pretesi abusi commessi dal governo repubblicano - che confermò essere stati pretesti dell'Alberoni -, avviò un'inchiesta sui saccheggi e le violenze effettuati durante l'occupazione, confermò vari procedimenti penali già adottati dai Sammarinesi; provvide, infine, a far ricopiare dagli archivi tutte le scritture che confermavano la sovranità della S. Sede su San Marino e a farvi registrare il breve del 21 dic. 1739, che più volte la ribadiva. A Roma, infatti, su questo punto non avevano la minima intenzione di sconfessare l'Alberoni, e ci tenevano a riconfermare il "patrocinio e superiorità, che ha la Sede Apostolica sopra detto stato" (breve 21 dicembre, in Fea, Ildiritto…, p. 133). L'E. avrebbe dovuto accertare se i Sammarinesi volessero o meno la restaurazione della Repubblica e, in quel caso, ristabilirla, ma sotto l'alta protezione e a nome e "coll'autorità del papa" (ibid., p. 135). Su tale argomento, però, le idee dell'E. divergevano alquanto da quelle del Vaticano. Visto che la stragrande maggioranza della popolazione era per il ritorno alle vecchie istituzioni, capi che non era affatto il caso di insistere troppo sulla questione del protettorato e della sottomissione alla S. Sede. Intelligentemente, preferi eludere la questione. Il 20 genn. 1740 scriveva al segretario di Stato G. Firrao: "… per ora non sarà poco di far registrare con destrezza il breve ove ben tre volte a chiare note si stabilisce la Sovranità" (ibid., p. 136). Il 5 febbraio, riunito il Consiglio - confermato a 60 membri -, procedetteú restaurare l'antico reggimento repubblicano, facendo giurare formale rispetto e ossequio al papa, ma limitandosi, riguardo al delicato punto della sovranità statale, semplicemente a rinviare al breve del 21 dicembre, "ne più di tanto mi pareva compatibile colla libertà, che si dovea restituire" (lett. al Firrao, ibid., p. 143). Acutamente, il Muratori cosi commentò l'atto dell'E.: "Vi è dentro qualche cosetta indicante la sovranità. Pazienza. Si possono ben accontentare, ed alzar le mani al Cielo i Sammarinesi. In altri tempi non si sarebbe fatto cosi" (Epistolario, IX, p. 3974).

L'8 febbraio tornò a Perugia. Rimase in ottimi rapporti coi Sammarinesi. che ascrissero la sua famiglia alla cittadinanza; in particolare iniziò un'amicizia. e una lunga corrispondenza, con Girolamo Gozi, tra i più accesi repubblicani oppositori dell'Alberoni. L'E. fu ancora governatore di Macerata (1741-1743) e di Ancona (1742-1743). Nel novembre 1743, forse anche per il diretto interessamento di Filippo V, fu inaspettatamente prescelto quale nunzio in Spagna. Nel dicembre prese gli ordini sacri e fu creato arcivescovo di Nazianzo, ricevette la nomina il 23 genn. 1744 e il 19 giugno giunse a Madrid. Le istruzioni lo invitavano a esercitare il controllo sul clero, ad applicare i decreti tridentini, a vigilare sui diritti della Chiesa, specialmente quelli connessi con materie beneficiali. L'E. rimase in Spagna per nove anni; la sua nunziatura si collocò in un periodo in cui fl peso politico e diplomatico del Papato era a uno dei punti più bassi della sua parabola discendente, le grandi questioni della politica europea rimasero fuori dalla sua azione, e la Chiesa si trovò a essere debole anche nella difesa dei propri privilegi. Nell'estate 1745 Roma cercò, molto timidamente, di proporsi quale mediatrice per l'avvio di una trattativa di pace fra le potenze impegnate nella guerra di successione austriaca. L'E. ebbe istruzioni in proposito, si consultò anche col nunzio a Vienna C. Paolucci, ma l'iniziativa falli subito.

Dal 1745 l'E. cercò anche di far valere le proposte pontificie circa i Ducati di Parma e Piacenza, in un primo tempo richiesti dalla regina Elisabetta; si offriva l'investitura alla Farnese in cambio della rinuncia ai diritti della sua casata su Castro e Ronciglione. L'E. ne parlò con i ministri spagnoli e con l'ambasciatore francese L.G. de Guérapin de Vauréal vescovo di Rennes, ma, specie dopo il 1746, con i Ducati occupati dagli Austriaci, i suoi sforzi apparvero sempre più vani. Nell'estate 1748 si adoperò inutilmente perché della questione si parlasse nelle trattative di Aquisgrana, cercando di convincere la Spagna che era anche suo interesse preferire, almeno, l'investitura papale a quella imperiale.

Gli ultimi patetici tentativi in proposito, l'E. li compi nell'estate 1749. Nel 1747, quando l'arcivescovo di Napoli G. Spinelli fu costretto ad abbandonare la sua sede per le polemiche sorte intorno all'Inquisizione, si limitò a ribadire le proteste e il punto di vista di Roma, senza poter mai entrare però nel vivo del dibattito sull'argomento. Più e più volte invece, specialmente durante il 1745, fu chiamato a protestare per le violenze e gli abusi commessi dalle truppe e dai rappresentanti spagnoli nello Stato pontificio.

I problemi più gravi erano comunque quelli connessi con la gestione dei benefici ecclesiastici, in quanto molte questioni non erano state sanate dal concordato del 1737. In particolare c'era il caso delle diocesi di Siviglia e Toledo, amministrate dall'infante don Luigi, e che si volevano totalmente autonome da Roma per ciò che riguardava i loro ricchi benefici; ma, più in generale, non era sopita l'intenzione di imporre il patronato regio su tutti i benefici ecclesiastici. Da vari anni continuava tra Stato e Chiesa una lotta a base di memoriali e dissertazioni giuridiche. Appena arrivato, l'E. si mostrò molto ottimista, ma dovette ben presto disilludersi e scontrarsi col fiero regalismo della Camera di Castiglia e con la fermezza di Sebastian de la Cuadra, marchese di Villarias e del potentissimo confessore del re: il gesuita j. A. Le Fèvre. L'E. tentò di trattare con essi, ma il Villarias si mostrò impenetrabile, "un uomo di piombo" (Nunziatura di Spagna, 430, f. 164r), "onorato, segreto, disinteressato, e verace all'ultimo segno", ma "incapace di fare né grazia né giustizia" (Ibid., f.190v). Il più irriducibile era però il Le Fèvre, "uomo di ferro, cioè dotato di spirito aspro, e indocile" (Ibid., f. 174r), "di gran probità, franco per naturale, e per zelo acceso contro di noi" (Ibid., 250A, f. 83r), "tutto giustizia senza privati risguardi, e senza proprio interesse" (Ibid., f. 143), ma "nostro mortal nemico" (Ibid., f. 201 v) e "borsa piena di veleno" (Ibid., 249, f. 41 6r). L'E. gli fece anche scrivere personalmente da Benedetto XIV (ottobre 1744) per rassicurarlo circa le intenzioni del papa verso i gesuiti - che il Le Fèvre temeva ostili -, ma ciò non servi a mutare la sua posizione.

Nel 1745 l'E. capi che era meglio cercare di trattare col marchese A. Scotti. Non lo stimava affatto, reputandolo un "pallon di vento" (Ibid., 250A, f. 128r), inetto e ignorante; ma era un uomo assai potente a corte, caro alla regina, e che amministrava Toledo e Siviglia per conto dell'infante, servendosene come "caccia bandita". L'E. pensò che fosse anche il caso di fargli qualche concessione per ingraziarselo. Era convinto infatti che il problema del patronato andasse affrontato con calma e risolto in tempi lunghi; si rendeva conto, del resto, che anche Roma aveva le sue pecche: certe dispense, scriveva, "son dannose alla Chiesa, e ci discreditano in Spagna" (Ibid., f. 83v), e si mostrò critico con l'uso di dare "a' fanciulli e secolari l'amministrazione delle chiese" (Ibid., f. 186v).

Un importante incontro con lo Scotti doveva aver luogo il 25 ag. 1745, ma, proprio alla vigilia, gli giunsero da Roma le vive proteste per le violenze compiute dagli uomini del rappresentante spagnolo, cardinal T. Acquaviva d'Aragona. Per alcuni mesi, dunque, questo divenne l'argomento principale di discussione. Vanamente Roma cercò, tramite l'E., di ottenere l'allontanamento del ministro. "Se Acquaviva non muore, Dio sa se vedremo mai questa mutazione" scriveva l'E. il 16 nov. 1745 (Ibid., f. 224v); d'altronde reputava il marchese de los Balbases, suo possibile successore nell'incarico, "un vero cavolo torzuto" (Ibid., 250A, f. 206r). Fu comunque buon profeta, perché il problema si risolse solo con la morte dell'Acquaviva, nel 1747.

Intanto, proprio nell'agosto 1745, Filippo V ordinò di togliere tutte le coadiutorie alle chiese cattedrali e collegiate. All'inizio del 1746 l'E. tornò a farsi avanti per riprendere a discutere dei benefici. Ottenne dei brevi indirizzati al re, alla regina e al Villarias, ma la malattia del sovrano lo costrinse ancora una volta a rimandare. Nel dicembre si fece spedire altri brevi, per il nuovo re Ferdinando VI, e per il nuovo ministro J. Carvajal. Contemporaneamente, seguendo il consiglio dei rappresentanti portoghesi a Madrid, fece scrivere dal papa a re Giovanni V di Portogallo perché convincesse la figlia Maria Barbara, nuova regina di Spagna, a licenziare il Le Fèvre. Nell'aprile 1747 il partito portoghese e il Carvajal ebbero successo, e fecero nominare confessore reale F. Ravago. Anch'egli però, nonostante le speranze iniziali dell'E., si dimostrò piuttosto favorevole alle tesi regaliste. Le questioni più importanti rimanevano quelle dei regio patronato, delle coadiutorie e dell'exequatur peri decreti papali. Nell'ottobre 1748 il re fece un passo distensivo e vietò per un anno alla Camera di Castiglia di pronunziarsi su argomenti di patronato. Ma si verificò un nuovo incidente diplomatico, a proposito della proibizione da parte dell'Inquisizione spagnola della Storia dei Pelagiani di E. Noris. Il papa censurò quella condanna, e gli agostiniani diedero gran pubblicità a questo fatto. La questione divenne cosi, per la Spagna, un punto d'onore nazionale, e il re proibi la pubblicazione del decreto papale. L'E., deprecando il "vero fanatismo" degli agostiniani, non mancò di rammaricarsi col papa per il danno che ne veniva alla "sana dottrina" (Nunziat. di Spagna, 257, ff. 339r, 359v). Nell'agosto 1749 l'E. di nuovo tentò di avviare delle trattative. La corte questa volta si mostrò disponibile, ma pretese un negoziato globale per un nuovo concordato, e chiese al nunzio di procurarsi le credenziali necessarie. Roma accolse la proposta con estrema cautela e, solo nel gennaio 1750, fece sapere all'E. che doveva continuare a tastare il terreno e prendere tempo. Dopo lunghi preparativi, ebbe due incontri con i rappresentanti spagnoli, il 17 e il 20 maggio 1750, in cui, finalmente, si iniziò a entrare nel merito dei problemi. Alla fine fu deciso che sarebbero stati inviati dei rappresentanti a Roma, che avrebbero continuato in quella sede le trattative; nel luglio, infatti, si recò a Roma M. Ventura y Figueroa, iniziando negoziati ristretti. Dopo vari mesi di silenzio, il 7 genn. 1751, la segreteria di Stato informò l'E. che questa nuova iniziativa non doveva affatto significare un suo disimpegno dalla faccenda, e che anzi era bene che anche in Spagna si continuasse a discutere. L'E. si diede subito da fare e, nel febbraio, incontrò il Carvajal, parlando di questioni giurisdizionali. Dopodiché Roma riprese a tacere del tutto, tanto che, il 6 luglio, l'E. volle scrivere al papa ricordandogli tutti i suoi lunghi sforzi per comporre la controversia del patronato, e "ciò detto", concludeva, "mi trovo del tutto scarico di coscienza" (Ibid., f. 500r); e tornò sull'argomento solo un'altra volta, nel luglio 1752.

In realtà a Roma le trattative erano proseguite, ristrette a pochissime persone e rigorosamente segrete, e nel gennaio 1753 condussero alla firma di un nuovo concordato; le richieste spagnole furono ampiamente soddisfatte: su 12.000 benefici ne rimanevano a disposizione della Dataria apostolica solo 52. Il 23 febbraio il segretario di Stato S. Valenti ne informò l'Enriquez. Per lui fu un colpo durissimo; non solo era stato completamente scavalcato, ma non riusciva proprio a comprendere i motivi di quella capitolazione; autentica beffa gli sembrarono poi le parole del Valenti che attribuivano anche alle sue relazioni il merito di aver spinto la S. Sede a quella conclusione. Ebbe pure l'umiliazione di dover chiedere il testo del concordato al marchese dell'Ensenada Somodevilla y Bengoechea, poiché da Roma non gli era stato spedito in tempo. Profondamente addolorato, le sue risposte furono amare e sarcastiche (contestò che su un punto non si erano fatte sufficienti concessioni), e cosi si sfogava: "non posso pienamente riposarmi, e meno che meno dormire da quaranta giorni, appunto per aver il cuore, forse per eccesso pontificio" (24 apr. 1753 al Valenti, Ibid., f. 610r). Intanto, la circolare con cui informò i vescovi spagnoli dell'accordo, per le riserve che esprimeva, destò a corte vivissima irritazione. Il 30 agosto il Valenti gli scrisse una lettera durissima, comunicandogli le vivacissime proteste spagnole, che accusavano il papa di fare il doppio gioco: sottoscrivere il concordato e farlo crificare dal suo nunzio; l'E. doveva immediatamente dare le più ampie assicurazioni al re e indirizzare una nuova lettera al vescovi. Gli ricordava anche quanto poco saggio fosse "diminuire sull'ultimo della sua plausibile carriera il concetto et il frutto della sua benemerenza" (Nunz. di Spagna…, 410, lett. 30 ag. 1753), perdendo cosi "quella buona grazia", "frutto principale, che noi tutti occupati in tali impieghi dobbiamo curare di raccogliere, e di tenere a grado" (lett. 6 sett., Ibid.).

Lo rincuorava, infine, annunciandogli la prossima nomina cardinalizia. L'E. obbedi, e poco dopo fu richiamato a Roma; il 23 nov. 1753 fu creato cardinale (dal 2 luglio 1754 coi titolo di S. Eusebio). In quell'autunno re Carlo vietò la sua nomina alla sede arcivescovile di Napoli; più tardi (giugno 1754) fu l'E. a rifiutare quella di Capua. Lasciò Madrid all'inizio del maggio 1754; ma la polemica con Roma continuò, tanto che si fu sul punto di pubblicare un manifesto contro di lui e, dopo la sua morte, per ordine del papa furono sequestrate e sigillate tutte le sue scritture concernenti la nunziatura di Spagna.

Tornato a Roma nell'estate 1754, l'E. riprese i suoi vecchi contatti, primo fra tutti quello col Passionei. Nel 1756 lo aiutò intervenendo presso la corte di Madrid a favore della causa di beatificazione di Giacomo Palafox, di cui l'amico era promotore.

L'E. fu inviato legato in Romagna, dove giunse il 31 genn. 1755. A Ravenna riprese le sue attività culturali, promosse lo sviluppo delle due accademie cittadine, e diede anche incarico di curare una nuova edizione delle HistoriarumRavennatum di G. Rossi, accresciuta di una Vita dell'autore opera di G. Pinzi. A Roma, nel 1754, era uscita una sua traduzione dell'Imitazione di Cristo, accresciuta di note, "Riflessioni, pratiche e preghiere".

Secondo il Dammig però, l'E. non ci mise "di suo che il nome" (Il movimento…, p. 318), e P. Stella nota come le "Riflessioni, ecc. …", riprendano parzialmente quelle aggiunte alla traduzione francese dell'Imitazione, edita a Parigi nel 1737 dall'abate N. Le Duc (Il giansenismo…, pp. 165 s.). L'opera, ammirata dai giansenisti, fu invece avversata dai loro nemici che, inutilmente, cercarono di farla proibire. Il libro ebbe un grande successo, contando una ventina di edizioni (a Roma, Napoli, Venezia, Torino, Treviso, Milano, Padova) fino al 1896.

L'E. mori a Ravenna il 25 apr. 1756.

G. A. Faldoni ne esegui un ritratto su incisione (Roma s.d.).

Fonti e Bibl.: Bibl. ap. Vaticana, Borg. lat.

235, ff. 10v-11; Ibid., Capp. 277, I, ff. 139 ss.; 275, ff. 485-488; Ibid., Vat. lat. 8221, f. 20; 8338, ff. 28-32; 12564, ff. 283-307 (lettere al Passionei); Notizie per l'anno 1728, Roma 1728, p. 96; …. 1729, ibid. 1729, p. 100; …. 1731, ibid. 1731, p. 227; …. 1732, ibid. 1732, p. 215; …. 1733, ibid. 1733, p. 228; …. 1734, ibid. 1734, p. 218; …. 1735, ibid. 1735, p. 228; …. 1736, ibid. 1736, p. 220; …. 1737, ibid. 1737, p. 216; …. 1738, ibid. 1738, p. 96; …. 1739, ibid. 1739, p. 97; …. 1740, ibid. 1740, p. 97; …. 1741, ibid. 1741, p. 231; …. 1742, ibid. 1742, p. 233; …. 1743, ibid. 1743, p. 241; …. 1754, ibid. 1754, p. 93; …. 1755, ibid. 1755, p. 93; …. 1756, ibid. 1756, p. 93; …. 1757, ibid. 1757, p. 141; L. A. Muratori, Epistolario, a cura di M. Campori, VII, Modena 1904, ad Indicem; IX, ibid. 1905, ad Indicem; X, ibid. 1906, ad Indicem; XI, ibid. 1907, ad Indicem; Id., Carteggio (ed. naz.), XIV, a cura di P. Casti, Firenze 1975, ad Indicem; XX, a cura di G. Pugliese, ibid. 1982, ad Indicem; Correspondance de Benoît XIV, a cura di E. de Heeckeren, II, Paris 1912, ad Indicem; Le lettere di Benedetto XIV al card. De Tencin, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1955-1965, ad Indices; Le lettere di Arrigo E. a Matteo Egizio, a cura di S. Ussia, in Pietro Giannone e il suo tempo. Atti del Convegno di studi nel tricentenario della nascita, a cura di R. Aiello, II, Napoli 1980, pp. 707-762; S. Ussia, L'epistolario di Matteo Egizio e la cultura del primo Settecento, Napoli 1977, ad Indicem; M. Volpi, Ne' solenni funerali di E. F., Venezia 1757; Annali letterarj d'Italia, I, 3, Modena 1762, pp. 234-238; D. Sandelli, De Danielis Concinae vita…, Brixiae 1767, pp. 131 ss., in App. Epistolae clarorum virorum ad P. Danielem Concinam, pp. 49 s., 58 ss., 70 ss.; B. Carrara, Orazione per le solenni esequie del card. E. E., Faenza 1796; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali, IX, Roma 1797, pp. 44 s.; P. P. Ginanni, Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati, II, Faenza 1799, p. 210; S. Bernicoli, Governi di Ravenna e di Romagna dalla fine del secolo XII alla fine del secolo XIX, Ravenna 1898, p. 91; C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani 1904, p. 1255; L. von Pastor, Storia dei papi, XV-XVI, Roma 1962, ad Indices; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica, V, Patavii 1952, pp. 17, 43, 303 s.; Dict. d'hist. et de géogr. eccl., XV, coll. 504 s.; G. Moroni, Diz. di erud. storico-ecclesiastica, XII, p. 11; XXI, p. 291; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti d'Italia, V, ad Indicem; Enc. catt., V, p. 394. Sulla sua nunziatura in Spagna: Archivio segreto Vaticano, Nunziatura Spagna, 248, f. 514; 249 passim; 250; 250A, ff. 33-44, 68-255; 251-258; 295; 409; 410; 426, ff. 320-468; 427; 428, ff. 1-137; 430, ff. 17-116, 166-281; 465; Ibid., Nunziatura Germania, 339, ff. 638 s.; Ibid., Segreteria Brevi, 3064, ff. 1-18; L. Karttunen, Les nonciatures apostoliques perm., Genève 1912, pp. 143, 158, 243. Sulla sua missione a San Marino: Le lettere del card. E. Enriquez a Girolamo Gozi, a cura di O. Fattori, San Marino 1940; C. Fea, Ildiritto sovrano della S. Sede sopra le valli di Comacchio e sopra la Repubblica di San Marino, Roma 1834, pp. 128-145 (riporta tutti i documenti originali); C. Malagola, Ilcardinal Alberoni e la Repubblica di San Marino, Bologna 1886, pp. 258-313; I. Raulich, Il cardinale Alberoni e la Repubblica di San Marino, in Arch. stor. ital., s. 5, XXXIX (1907), pp. 389-395; C. Ricci, La morte del liberatore, in Museum, I (1917), pp. 3-8; G. B. CurtiPasini, Lo sviluppo della sovranità nella più antica Repubblica esistente: San Marino, Casalpusterlengo 1937, pp. 46-50; G. Gozi, Il monumento ai difensori della libertà sammarinese nel 1739-1740, in Museum, VII (1939-1940), 1, p. 32; 2, pp. 65-93. Sui rapporti col giansenismo cfr. A. Silvagni, Catalogo dei carteggi di G. C. Bottari e P. F. Foggini (Sezione corsiniana), a cura di A. Petrucci, Roma 1963, ad Indicem; Il giansenismo in Italia. Collezione di documenti, a cura di P. Stella, I, 1-2, Zürich 1966, ad Indices; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo XVIII, Città del Vaticano 1945, ad Indicem; E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, ad Indicem; E. Appolis, Entre jansenistes et zelanti. Les "tiers parti" catholique au XVIII siècle, Paris 1960, ad Indicem; P. Stella, La "apostasia" del card. Delle Lanze (1712-1784). Contributo alla storia del giansenismo in Piemonte, Torino 1963, ad Indicem.

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