FERMI, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FERMI, Enrico

Emilio Segrè

Nato a Roma il 29 sett. 1901, era il terzo figlio di Alberto, un impiegato delle Ferrovie, e di Ida De Gattis, una maestra elementare.

Il padre proveniva da Caorso vicino Piacenza, dove la famiglia Fermi aveva dimorato da lungo tempo lavorando la terra, e fu il primo della famiglia ad allontanarsi dall'agricoltura; non era laureato ma aveva fatto una buona carriera nelle Ferrovie raggiungendovi il grado di ispettore capo.

I figli furono educati in modo piuttosto spartano, ma con tenerezza ed affetto. La sorella maggiore del F. divenne professoressa di lettere. I ragazzi Fermi frequentarono il ginnasio-liceo classico "Umberto I" a Roma. Il fratello maggiore, Giulio, più aperto e dotato di temperamento artistico, morì in modo improvviso nel 1915 durante una tonsillectomia. La tragedia cambiò l'umore in famiglia e pesò gravemente sul Fermi. Dopo questo dolorosissimo evento egli strinse amicizia - durata tutta la vita - con Enrico Persico, suo compagno di scuola e futuro valente fisico teorico.

Già sui 10 anni il F. aveva sentito parlare di algebra e gli fu detto che c'era un metodo per tradurre la geometria in algebra. Per esempio che un cerchio corrispondeva all'equazione x2 + y2 = r2 . Questo nudo e sibillino enunciato gli dette molto da pensare, ma arrivò da sé a capirne il significato e la ragione. Sui tredici anni trovò a Campo dei Fiori a Roma un trattato di fisica matematica, scritto in latino e pubblicato a Roma nel 1840 dal gesuita Andrea Caraffa, e lo studiò a fondo (il libro si trova oggi tra le sue carte, alla Regenstein Library della University of Chicago).

Un collega del padre, l'ing. Adolfo Amidei, spesso andava all'ufficio camminando insieme con l'amico Fermi e con il figlio che l'accompagnava. Presto l'Amidei riconobbe le doti straordinarie del ragazzo e tra il 1914 e il 1918 gli dette da leggere i libri di matematica usati nelle scuole italiane di ingegneria ai primi del secolo. Gli dette anche il trattato di meccanica di S. D. Poisson, che il F. assimilò completamente, e dove c'era quella "prova" del teorema del parallelogramma delle forze che egli poi userà nelle sue lezioni. Anche il professore di fisica al liceo, F. Eredia (cfr. questo Dizionario, sub voce), notò il giovane e gli diede libri e accesso al laboratorio dell'istituto. In questo periodo il F. apprese per conto suo il tedesco e l'inglese, in aggiunta al francese studiato a scuola.

L'Amidei gli consigliò di concorrere per un posto di allievo interno alla Scuola normale superiore di Pisa. Esistono documenti su come il giovane si preparò all'esame: i libretti di appunti conservati alla Regenstein Library contengono un riassunto in poche pagine dei fondamenti dei vari capitoli della fisica classica con bibliografie. È sorprendente come un ragazzo di 17 anni, da solo, sia riuscito a distinguere le cose importanti da quelle secondarie in tutta la fisica.

Il F. svolse il compito di concorso per la Scuola normale "Caratteri distintivi dei suoni" in modo che stupì l'esaminatore, G. Pittarelli: questo ragazzo appena uscito dal liceo classico trattava le equazioni differenziali a derivate parziali delle vibrazioni di una verga con somma perizia ed eleganza; chi era questo prodigio? (cfr. E. Fermi, Note e memorie, I, Roma 1962, p. XXII). Pittarelli volle conoscere di persona il candidato e dopo avergli parlato gli disse che era senza dubbio un genio.

A Pisa, dimostrò prestissimo la sua preminenza culturale sui coetanei. Di ciò fanno fede molte testimonianze contemporanee, mentre il progresso dei suoi studi si può seguire da un nutrito carteggio col Persico che era rimasto a Roma e studiava con O. M. Corbino e T. Levi-Civita. Il professore di fisica sperimentale e direttore dell'istituto di fisica di Pisa, Luigi Puccianti, riconobbe anch'egli la sua eccezionale preparazione e con ammirevole umiltà gli chiese di poterlo consultare su argomenti di fisica. Allo Studio pisano il F. conobbe Franco Rasetti che, pur avendo tendenze per le scienze naturali, si iscrisse a fisica. Altri amici universitari furono Nello Carrara e Giovanni Polvani, aiuto di Puccianti.

Il F. approfittò di quello che trovava nella biblioteca dell'istituto per studiare per conto suo molti lavori di fisica moderna acquistando una vasta conoscenza della letteratura mondiale. Per la matematica seguì i corsi della Scuola normale, tra cui quelli di Luigi Bianchi, ma anche qui fu soprattutto autodidatta.

La sua cultura matematica era profonda, benché talvolta ostentasse un certo disprezzo per alcuni argomenti di matematica a carattere formale, erudito e rigoristico. Se occorreva, egli sapeva però dare rigore a qualunque dimostrazione e spesso accadeva che sulla base di un esempio sviluppasse trattazioni critiche assai raffinate, ma poi le abbandonasse per procedere più speditamente. Certo è che da Pisa il F. trasse un patrimonio di dati, idee e metodi matematici che gli sarebbe servito per tutta la vita. Al bisogno, c'era sempre in un angolo della sua memoria il metodo matematico, ingegnoso e potente, sebbene estraneo alle conoscenze abituali dei fisici teorici di professione. Talvolta chiamava ironicamente quelli di loro che sfoggiavano erudizione "alti sacerdoti della teoria" e si atteggiava a sperimentale ingenuo e ignorante, salvo batterli poi al loro stesso giuoco e scoccare qualche freccia a dimostrazione che ne sapeva più dei "sacerdoti".Il F. svolse una tesi di routine sui raggi X (E. Fermi, I raggi Röntgen, ibid., pp. 35-54) e si laureò il 7 luglio 1922. In conclusione si può dire che fu un autodidatta che si formò una cultura scientifica quasi esclusivamente sui libri. Molto notevole nei suoi studi è il modo in cui seppe scegliere i soggetti più importanti senza mai perdersi in dettagli, sia pure affascinanti.

Subito dopo la laurea il F. tornò in famiglia a Roma e si presentò al senatore prof. O. M. Corbino, direttore dell'istituto di fisica dell'università. Da questo incontro, di importanza capitale per il seguito della sua vita (descritto in Un maestro: Orso Mario Corbino, ibid., pp. 1017-20) nacque una vivissima reciproca simpatia e una alta stima che perdurarono fino alla immatura morte del Corbino. Questi riconobbe subito il genio del giovane normalista e lo considerò la persona adatta a far rifiorire la fisica in Italia, assecondando cosi una delle sue grandi aspirazioni. Da allora in poi Corbino si adoperò in tutti i modi per facilitare la carriera del giovane e per aiutarlo a formare una scuola.

Già prima della laurea il F. aveva scritto un lavoro con un risultato di sicuro valore. Si tratta di un articolo sul peso dei corpi elastici nella relatività generale (E. Fermi, Sulpeso dei corpi elastici, ibid., pp. 60-71), in cui l'autore ottiene un importante teorema di analisi tensoriale. T. Levi-Civita, uno dei fondatori di quel ramo della matematica, ammirò il teorema e divenne un altro protettore del Fermi. Anche i matematici romani Guido Castelnuovo e Federigo Enriques lo accolsero nella loro cerchia di amici.

Nel 1923 il F. ottenne una borsa ministeriale di perfezionamento all'estero e successivamente una borsa Rockefeller, per raccomandazione di Corbino e V. Volterra. Andò prima a Gottinga presso Max Born. A Gottinga la fisica teorica era in un periodo di fermento che preludeva alla scoperta della meccanica quantistica e in quella università il F. avrebbe potuto entrare in contatto con W. Pauli, W. Heisenberg e gli altri "ragazzi prodigio" dell'epoca. Ciò non avvenne e il soggiorno non fu particolarmente proficuo. È possibile che il F., abituato all'isolamento, non sia stato facilmente accessibile e nello stesso tempo non abbia fatto sforzi per conoscere i colleghi, anche se i rapporti con Born erano cordiali, come risulta da varie lettere. Invece un successivo soggiorno a Leida presso Paul Ehrenfest fu assai più felice. Ehrenfest gli rese possibile confrontarsi con i suoi contemporanei su scala europea e ciò finì col rassicurarlo sul proprio valore. A Leida conobbe anche Albert Einstein, che gli dimostrò grande interesse e simpatia, come risulta da una lettera che egli scrisse agli amici romani. Probabilmente Einstein riconobbe il valore del giovane borsista italiano, ma questi, a parte quel breve periodo a Leida, ebbe pochissime relazioni con lui.

Tornato in Italia, il F. ottenne, per incarico, l'insegnamento di matematica per chimici a Roma. Nel 1925, conseguita la libera docenza, andò a Firenze come incaricato di meccanica razionale e di fisica matematica. Il laboratorio di Firenze era diretto dal prof. Antonio Garbasso, che era anche sindaco della città, e quivi si ricongiunse col Rasetti che era stato nominato assistente di Garbasso.

Nel campo della meccanica statistica le sue ricerche di questi anni sulla costante dell'entropia per un gas perfetto monoatomico preludono alla scoperta della cosiddetta statistica di Fermi, per cui mancava peraltro ancora l'idea fondamentale del principio di esclusione di Pauli (E. Fermi, Sopra la teoria di Stern della costante assoluta dell'entropia di un gas perfetto monoatomico, ibid., pp. 114-117; Considerazioni sulla quantizzazione dei sistemi che contengono elementi identici, ibid., pp. 124-129). Eseguì anche un'importante ricerca sulla teoria dell'urto tra particelle cariche elettricamente (Ueber die Theorie des Stosses zwischen Atomen und el.gel. Teilchen, ibid., pp. 142-153) e vari esperimenti di ottica in collaborazione col Rasetti, tra cui vogliamo ricordame uno sulla depolarizzazione della luce di risonanza (Effetto di un campo magnetico alternato sopra la polarizzazione della luce di risonanza, ibid., pp. 161-166), con idee che, decenni più tardi e con nuove tecniche, ebbero vasti sviluppi.

Nel 1926 fu bandito un concorso per la cattedra di fisica matematica all'università di Cagliari. La commissione giudicatrice, composta da T. Levi-Civita, V. Volterra, L. Somigliana, R. Marcolongo e G. Guglielmo, riconobbe il valore del F.; Levi-Civita e Volterra lo vollero primo in terna, ma la maggioranza gli antepose Giovanni Giorgi ed egli dovette contentarsi di rimanere professore incaricato a Firenze. L'esito del concorso gli apparve ingiusto e tale giudizio mantenne anche col passare del tempo. Nella corrispondenza di quel periodo, soprattutto col Persico, si trova una preoccupazione per i concorsi e per la carriera che gli sarà del tutto estranea alcuni anni dopo, quando sarà ormai affermato e ampiamente riconosciuto.

Nel 1926 il F. lesse della scoperta del principio di esclusione di Pauli, e in brevissimo tempo ne trasse le conseguenze per la meccanica statistica. Come accennato, egli era del tutto preparato mentalmente a una nuova forma di statistica e quindi riconobbe subito che il principio di esclusione gliene dava la chiave. Riteneva anzi che il nesso tra il principio e la sua statistica fosse tale che avrebbe potuto scoprire egli stesso il principio di Pauli, partendo da considerazioni statistiche, se Pauli non ci fosse arrivato prima a partire dalla spettroscopia. La statistica di Fermi (E. Fermi, Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico, ibid., pp. 178-185) è un risultato di importanza fondamentale che pervade molti capitoli della fisica. Poiché tutte le particelle di spin semintero, tra cui elettroni, protoni, neutroni e quark, obbediscono a questa statistica, è facile cogliere la vastità delle sue applicazioni. Esse vanno dalla spettroscopia atomica alla teoria dei solidi e in specie dei metalli, all'astrofisica, alla teoria delle particelle elementari. P.A.M. Dirac raggiunse lo stesso risultato alcuni mesi più tardi per via diversa, fondata sulla nuova meccanica quantistica, mentre il F. aveva operato nell'ambito della vecchia teoria dei quanti alla Bohr-Sommerfeld. Nella sua pubblicazione Dirac non citò il F. perché si era scordato di averne letto il lavoro, ma, quando lo scienziato italiano gliene mandò un estratto, riconobbe senz'altro la priorità e si scusò dell'accaduto.

Dopo la scoperta della statistica la fama del F. si diffuse e, poco dopo, Corbino riuscì a far bandire un concorso di fisica teorica, il primo in Italia, per l'università di Roma. La commissione, composta da Corbino, G. A. Maggi, A. Garbasso, M. Cantone e Q. Majorana, giudicò il F. primo, Persico secondo e terzo A. Pontremoli. Persico andò a Firenze prendendo ivi l'insegnamento prima tenuto dal Fermi. La relazione, stesa da Corbino, dice tra l'altro "La Commissione pertanto unanime ritiene di poter fondare su di lui le migliori speranze per l'affermazione e lo sviluppo futuro della fisica teorica in Italia". Il prof. A. Lo Surdo, titolare di fisica superiore, fu l'unico a opporsi alla chiamata del F. a Roma, naturalmente senza successo. Cosi nell'autunno del 1926 il F. si istallò a Roma nell'istituto di via Panisperna e iniziò il periodo più fecondo della sua vita scientifica.

L'istituto, costruito verso il 1880, era adatto alla sua destinazione: i locali erano paragonabili a quelli degli altri laboratori europei, la sua biblioteca era ottima, passabile la dotazione di apparecchi didattici e di strumenti di ricerca, soprattutto spettroscopici, mediocrissima l'officina meccanica. Nello stesso edificio aveva sede anche il laboratorio fisico della Sanità pubblica diretto dal prof. G. C. Trabacchi, che era particolarmente ben dotato di strumenti e materiali di laboratorio. Il direttore li prestava volentieri agli amici del gruppo del F. per cui acquistò il nomignolo di "divina provvidenza". Corbino non faceva più esperimenti di fisica, ma veniva regolarmante nel suo studio a leggere le riviste ed ad accudire alle incombenze amministrative. Visitava anche i suoi giovani protetti, si informava in dettaglio del loro lavoro scientifico, e in quelle occasioni le conversazioni andavano spesso oltre gli argomenti tecnici ed erand estremamente istruttive per i presenti.

Il F. sentì presto il desiderio di crearsi un gruppo di studenti e futuri collaboratori. Inoltre nella sua nuova concezione della fisica, teoria ed esperimento erano inseparabili, per cui volle subito avere un giovane collega sperimentale, F. Rasetti, con cui aveva lavorato fino dai tempi di Pisa. Pertanto presentò Rasetti a Corbino che poi lo assunse come assistente. Si aggiunsero in seguito E. Segrè, E. Amaldi, E. Majorana e G. Gentile iunior, figlio dei filosofo.

Cominciarono a frequentare il gruppo; altri studiosi, alcuni borsisti per soggiorni lunghi, o per visite brevi in occasione di seminari o conferenze; tra cui dei torinesi incoraggiati da Persico, che si era trasferito a Torino come professore di fisica teorica: E. Fubini, U. Fano, G. C. Wick, R. Einaudi; da Firenze venne G. Racah, da Bologna L. Pincherle.

La crescente fama di Roma, la tragica situazione che si stava creando in Germania a causa del nazismo e l'aiuto della Rockefeller Foundation portarono a Roma negli anni successivi anche un contingente di stranieri tra cui H. A. Bethe, G. Placzek. F. London, E. Teller, L. Nordheim, R. Peierls, Chr. Moeller, S. A. Goudsmit, divenuti poi tutti fisici famosi. Corbino e il F. li accolsero cordialmente, e li aiutarono nei limiti delle possibilità dell'istituto.

Il F. teneva bellissimi corsi di lezioni regolari per i quali si preparava con lunghe riflessioni; la materia era offerta agli ascoltatori in modo chiarissimo e tale da sembrare anche più semplice e naturale di quanto non fosse. Inoltre egli insegnava privatamente ai suoi allievi quando nel pomeriggio, verso le cinque, li chiamava nel suo studio e iniziava una conversazione in cui qualcuno finiva col menzionare un argomento di fisica, che proseguiva poi nei giorni successivi (per es. sulla diffrazione dei raggi X, sulla dinamica dei gas a bassissima pressione, sulle fluttuazioni del moto browniano, e specialmente su temi di meccanica quantistica, con illustrazione di qualche memoria originale di E. Schrödinger e più tardi di Dirac).

L'istruzione era prevalentemente teorica e non faceva distinzione tra chi sarebbe diventato fisico teorico e chi fisico sperimentale, un punto su cui il F. insisteva particolarmente. A quell'epoca comunque egli si dedicava maggiormente alla teoria, ma si interessava attivamente anche ai lavori sperimentali. Leggeva assiduamente varie riviste, soprattutto la Zeitschrift für Physik e i Proceedings of the Royal Society. Prediligeva problerrù concreti e rifuggiva dalle questioni troppo astratte e forse per questo non contribuì alla fondazione della meccanica quantistica. D'altra parte un qualunque fenomeno fisico gli appariva come una sfida alla sua ingegnosità e immaginazione. Una volta inventato un metodo originale egli lo incideva nella sua memoria e spesso lo riusava in modo inatteso. Per esempio, la regola aurea numero due (così chiamata da lui), il metodo degli pseudopotenziali e la connessa lunghezza di diffusione, il volume nello spazio delle fasi, ricorrono nelle applicazioni più disparate.

Più tardi, in America, formò nuove scuole, alla Columbia University a New York e all'University of Chicago, usando modi assai simili a quelli impiegati a Roma. Anche qui la sua attività di maestro ebbe grande successo e influenzò tutta la fisica per un paio di generazioni.

Nel 1927 L. H. Thomas applicò la statistica del F. agli elettroni di un atomo (caratterizzati, com'è ovvio, da particolarissime condizioni e legami reciproci e con le particelle del nucleo) calcolando il potenziale del nucleo e della nuvola elettronica. Il F., poco dopo, rifece lo stesso lavoro poiché quello di Thomas gli era sfuggito, ma, in più, estese molto le applicazioni del nuovo metodo di calcolo a problemi di fisica atomica, facendosi aiutare da vari suoi allievi (E. Fermi, Un metodo statistico per la determinazione di alcune proprietà dell'atomo, note e mem., pp. 278-82; Id., Ueber die Anwendung der statistischen Methode auf die Probleme des Atombaues, ibid., pp. 291-304; Id., Sulcalcolo degli spettri degli ioni, ibid., pp. 379-85). Tale metodo rimase uno dei suoi cavalli di battaglia.

Nel 1929 aveva formulato l'elettrodinamica quantistica in modo semplice e chiaro facendone varie applicazioni. Il lavoro Sopra l'elettrodinamica quantistica, (ibid., pp. 305-310), basato su una difficile memoria di P. A. M. Dirac, fu importante nel rendere accessibili ai teorici i principi fondamentali della teoria quantistica dei campi. Numerosi cultori tra i più insigni di questo campo, per es. H. A. Bethe, dissero che il F. aveva aperto loro la porta. Altri lavori importanti di questo periodo riguardano l'effetto Raman (E. Fermi, Ueber den Ramaneffekt des Kohlendioxyds ibid., pp. 446-454). Rasetti era stato nel 1929 al California Institute of Technology e vi aveva eseguito importanti lavori sull'effetto Raman; tornato in Italia li aveva discussi a lungo coi F., che ne aveva approfondito la teoria. Tra i risultati importanti c'era la dimostrazione che il nucleo di azoto conteneva un numero pari di fermioni, mentre secondo le idee allora correnti avrebbe dovuto contenere 14 protoni e 7 elettroni, ossia 21 fermioni. Questo paradosso trovò la sua soluzione con la scoperta del neutrone e col fatto che i nuclei sono costituiti da neutroni e protoni.

Nel luglio del 1928 il F. sposò Laura Capon, figlia di un ammiraglio. Laura, che conosceva il F. e buona parte dei suoi amici da anni, ha lasciato un libro di grande successo (L. Fermi, Atomi in famiglia, Milano 1954), in cui descrive con penetrante percezione la vita privata del marito. 1 coniugi ebbero due figli: Giulio e Nella.

Nel 1929 Mussolini nominò il F. accademico d'Italia. È più che probabile che Corbino abbia avuto influenza su questa nomina che collocava tra le celebrità nazionali il giovane F., fino ad allora noto solo ai fisici. Inoltre gli accademici ricevevano una pensione, per cui il F. poté lasciare il lavoro al Consiglio nazionale delle ricerche e all'Enciclopedia Italiana, cui si era dedicato da tempo, soprattutto per arrotondare lo stipendio. Peraltro egli era estraneo ad interessi di potere accademico e solo più tardi acquistò influenza sulla scelta dei professori e su altre questioni amministrative, da cui seguirono effetti durevoli e benefici che contribuirono potentemente alla rinascita della fisica in Italia.

Il Rasetti, dopo il suo soggiorno del 1929 a Pasadena, era ritornato entusiasta dagli Stati Uniti e ne aveva parlato a lungo, tanto che il F. decise di andarci nel 1930, recandosi a una scuola estiva della University of Michigan ad Ann Arbor. Si trovò benissimo e da allora in poi ne divenne uno dei regolari docenti estendendo, più tardi, le sue visite ad altre università, soprattutto alla Columbia University di New York.

In questo periodo la meccanica quantistica aveva risolto, almeno in linea di principio, i problemi della fisica atomica. Il nucleo atomico sembrava di conseguenza l'ovvio soggetto della fisica dell'avvenire che sarebbe quindi stata la fisica nucleare. Se si voleva restare all'avanguardia della scienza bisognava entrare nel nuovo mondo. Le idee del F. si riflettono in un importante discorso pronunziato da Corbino il 21 sett. 1929 alla riunione della Società italiana per il progresso delle scienze (Atti d. Soc. ital. p. il progresso delle scienze, XVIII[1929], p. 157). Come primo passo e come anello di congiunzione tra la fisica atornica, e quella nucleare il F. eseguì uno studio sulle strutture iperfini (E. Fermi, Suimomenti magnetici dei nuclei atomici, in Note e mem., pp. 336-348; Sulla teoria delle strutture iperfini, ibid., pp. 514-534), a cui invitò a collaborare anche Segrè.

Intanto procedeva anche la preparazione di esperimenti nucleari in cui Rasetti ebbe una parte di primo piano. Rasetti andò a Berlino da Lise Meitner a imparare tecniche di radioattività e costruì a Roma vari strumenti necessari per ricerche sui nuclei. Nella stessa epoca, ma a distanza di tempo da Rasetti, Segrè andò da P. Zeeman ad Amsterdam e da O. Stern ad Amburgo e Amaldi da P. Debye a Lipsia. Anche Majorana passò un periodo da Heisenberg a Lipsia e da N. H. Bohr a Copenaghen.

Nel 1932 la scoperta del neutrone da parte di J. Chadwick iniziò una nuova epoca della fisica nucleare. Neutroni e protoni furono riconosciuti come i componenti dei nuclei e il paradosso dell'azoto fu risolto. Si acutizzarono d'altra parte le difficoltà per la teoria del decadimento beta.

Nell'ottobre del 1933 ebbe luogo a Bruxelles uno storico congresso di fisica finanziato dalla Fondazione Solvay, dedicato ai nuclei. Il F. era l'unico italiano presente. C'erano da discutere le recenti grandi scoperte sperimentali: il neutrone, il positrone, il momento magnetico anomalo del protone, i nuovi acceleratori. Inoltre sembrava che nel decadimento beta venissero meno la conservazione dell'energia e dell'impulso, nonché altre regole fondamentali di meccanica quantistica. Per alleviare queste ultime difficoltà W. Pauli aveva postulato fin dal 1930 l'esistenza di una particella di massa nulla, senza carica elettrica e di spin 1/2. Una tale particella era naturalmente di difficilissima osservazione. Nel parlarne a Roma veniva usato il termina "neutrino", per distinguerla dal neutrone che era tutt'altra cosa: essenzialmente un protone neutro. Il nome neutrino è restato nell'uso comune internazionale.

Finito il congresso, il F. tornò a Roma e nei mesi successivi elaborò la teoria del decadimento beta (E. Fermi, Tentativo di una teoria dei raggi beta, ibid., pp. 559-574). Questo lavoro, che si riallaccia a quelli sull'elettrodinamica quantistica, è, a giudizio dell'autore, il suo capolavoro teorico. In esso si introduce una nuova forza della natura, "l'interazione debole o di Fermi", caratterizzata da una nuova costante universale. La relatività permette solo 5 forme di interazione o loro combinazioni; il F., per semplificare ne scelse immediatamente una, quella vettoriale, che si rivelò quella giusta. Fino alla scoperta della non conservazione della parità nel 1957, non vi furono aggiunte importanti ai suoi risultati. Circa 50 anni dopo, l'interazione del F. è stata posta in relazione con l'elettromagnetismo in una sintesi superiore. Tuttavia la costante delle interazioni deboli, in una forma o nell'altra, deve sempre essere introdotta dall'esperienza. Il lavoro del F. sui raggi beta aprì nuovi orizzonti alla fisica teorica e ne resta una delle pietre miliari.

Nel febbraio del 1934 i coniugi Joliot-Curie annunziarono che elementi comuni come il fosforo, bombardati con particelle alfa, davano luogo a nuovi isotopi radioattivi che emettevano positroni. Era una grande scoperta che impressionò tutti i fisici e che, congiunta a quella antecedente del neutrone e a quelle seguenti, dei neutroni lenti e della fissione nucleare, doveva avere anche conseguenze storiche per l'umanità.

Appena giunse a Roma la notizia del lavoro dei Joliot-Curie, il F. pensò che i neutroni sarebbero stati proiettili assai più efficaci delle particelle alfa e cominciò una serie di esperimenti in proposito, usando, come sorgenti dei neutroni, misture di berillio e radon, quest'ultimo fornito dal proL G. C. Trabacchi. Il F. cominciò a bombardare tutti gli elementi in ordine di numero atomico crescente. I primi bersagli dettero risultati negativi; il fluoro fu il primo, elemento a mostrare una radioattività provocata dai neutroni (per un breve riassunto storico del lavoro sui neutroni cfr. E. Fermi Radioattività provocata dal bombardamento dei neutroni, ibid., pp. 645-648).

Il F. invitò Amaldi, Rasetti e Segrè a collaborare con lui nella vasta ricerca che si apriva. Oscar D'Agostino, chimico, per un breve periodo borsista nel laboratorio di Maria Curie, fu invitato poco dopo a collaborare per la parte chimica. Seguì una rapida serie di importanti risultati, tra cui la scoperta di una trentina di nuove forme radioattive di elementi comuni. Alcuni di questi isotopi, come, per citarne uno solo, il P32, hanno trovato in seguito applicazioni importantissime, soprattutto in biologia.

Nel marzo del 1933 bombardarono per la prima volta l'uranio e il torio. Si ebbero subito risultati assai complessi e di difficile interpretazione. Oggi è evidente che essi erano dovuti alla fissione del nucleo, ossia alla divisione del nucleo pesante in due frammenti di massa non molto diversa, nonché alla formazione di elementi transuranici, ossia con numero atomico superiore a 92. 1 risultati della fissione sfuggivano completamente; si credette invece di aver trovato elementi transuranici, che viceversa erano prodotti di fissione. Il F., sia pure molto prudentemente, annunziò la scoperta dei transuranici (Possible production of elements of atomic number higlier than 92, ibid., pp. 748-750) nel giugno del 1934.

Nell'autunno dello stesso anno una serie di osservazioni, alcune delle quali accidentali, portarono alla scoperta dei neutroni lenti (E. Fermi-E. Amaldi-B. Pontecorvo-F. Rasetti-E. Segrè, Azione di sostanze idrogenate sulla radioattività provocata da neutroni, ibid., pp. 757 s., 759 s.), una ricerca a cui participò anche Bruno Pontecorvo, che nel frattempo era stato cooptato nel gruppo. I neutroni lenti sono neutroni che per urti elastici successivi con nuclei leggeri, soprattutto idrogeno, perdono energia cinetica e in molti casi finiscono col raggiungere solo la velocità termica. Tali neutroni possono essere efficacissimi per produrre reazioni nucleari, da cui la loro importanza. La scoperta dei neutroni lenti è la massima scoperta sperimentale del gruppo di Roma. Essa ha grandiose applicazioni pratiche ed è un ingrediente essenziale per la liberazione dell'energia nucleare. Per consiglio di Corbino, che ne intravvide immediatamente l'importanza industriale, fu subito brevettata.

I problemi aperti dalla scoperta dei neutroni lenti assorbirono successivamente tutta l'attività del gruppo che abbandonò lo studio dei fenomeni connessi con l'uranio tanto più che Otto Halin e Lise Meitner a Berlino e i coniugi Joliot-Curie a Parigi, tutti eccellenti radiochimici, si dedicarono all'impresa. Dopo curiose e complicate vicende di molteplici errori (come la ripetizione da parte dei Tedeschi dell'errore commesso dal gruppo romano della "scoperta" degli elementi transuranici), essa sfociò negli ultimi giorni del 1938 nella scoperta della fissione nucleare da parte di O. Hahn e F. Strassmann.

Il lavoro intensissimo del gruppo romano sui neutroni proseguì per tutto l'anno accademico 1934-35. Nell'autunno del 1935 cominciarono a sorgere difficoltà causate dall'aggravarsi della situazione politica mondiale. Si sapeva che Hitler era una minaccia incombente sui destini dell'Europa; la guerra di Etiopia e poi quella di Spagna erano fonte di preoccupazione. D'Agostino abbandonò il gruppo e si dedicò a lavori di chimica industriale, Rasetti si recò in America, Pontecorvo a Parigi, Segrè andò come professore a Palenno e il F. rimase a Roma con Amaldi.

I due proseguirono lo studio sui neutroni lenti e le loro interazioni. Riuscirono così a stabilire che vi erano gruppi di neutroni di varie velocità e che questi avevano sezioni d'urto per cattura o coefficienti di assorbimento eccezionalmente grandi per certi nuclei. Il fenomeno della risonanza nucleare divenne importantissimo in successivi sviluppi della fisica nucleare (E. Amaldi-E. Fermi, Sopra l'assorbimento e la diffusione dei neutroni lenti, ibid., pp. 841-891).

Inoltre Amaldi e il F. proseguirono lo studio dettagliato, sia teorico sia sperimentale, del fenomeno del rallentamento dei neutroni e il F. scrisse in proposito un lavoro teorico (E. Amaldi-E. Fermi, On the motion of neutrons in hydrogenous substances, ibid., pp. 980-1016), che conteneva molte delle idee fisiche e dei metodi matematici che dovevano formare la base della teoria dei reattori nucleari. A quell'epoca il F. inventò anche il cosiddetto metodo di Montecarlo per l'analisi di fenomeni statistici, su cui però non pubblicò nulla. Solo molti anni dopo, a Los Alamos, quando il metodo si usava su larga scala con l'aiuto dei primi computers, egli parlò della sua invenzione romana.

Il 23 genn. 1937 il Corbino morì per una violenta polmonite e il Lo Surdo, che per anni aveva osteggiato il F., gli successe come direttore dell'istituto di fisica. Nello stesso periodo l'istituto stesso si trasferì dalla vecchia sede di via Panisperna alla nuova città universitaria. Per ottenere una sorgente di neutroni più intensa di quelle naturali, usate fino ad allora, il F., Rasetti e Amaldi, con l'aiuto di Trabacchi, costruirono un piccolo tubo acceleratore a 2 Mev con deutoni urtanti deutoni: ma prima che l'apparecchio cominciasse a funzionare il F. emigrò negli Stati Uniti. Poco dopo Amaldi vinse un concorso universitario e fu chiamato a Roma, un fatto che ebbe più tardi importanti benefiche conseguenze per la fisica italiana.

Ormai il periodo romano del F. volgeva alla fine. Da anni egli aveva stabilito legami con i fisici d'Oltreoceano e nel corso delle sue visite aveva maturato viva simpatia per gli Stati Uniti e ricevuto offerte per prestigiose cattedre. Non aveva ancora accettato perché la moglie e i giovani colleghi lo avevano dissuaso. Le nuove obbrobriose leggi razziali lo decisero a emigrare.

Nel settembre del 1938 Bohr informò segretamente il F. che gli sarebbe stato conferito il premio Nobel per quell'anno, ed egli decise di proseguire per gli Stati Uniti dopo le cerimonie di Stoccolma (E. Fermi, Artificial radioactivity produced by neutron bombardment, ibid., pp. 1037-1043) accettando un'offerta della Columbia University di New York.

Il 2 genn. 1939 la famiglia Fermi sbarcò a New York, ed egli disse: "Abbiamo fondato il ramo americano della famiglia Fermi" (cfr. L. Fermi, Atomi in famiglia, p. 153). Lasciatasi l'Italia dietro le spalle, il F. cominciò un processo consapevole di americanizzazione, prendendo lezioni per migliorare la sua pronuncia dell'inglese e cercando di approfondire la conoscenza del costume americano.

Mentre il F. riceveva il premio Nobel a Stoccolma, Halin e Strassmann, a Berlino, scoprivano la fissione nucleare. La notizia si propagò rapidamente e Bohr, che ne aveva avuto sentore anche prima della pubblicazione, la portò negli Stati Uniti ai primi di gennaio del 1939.

La fissione nucleare aveva alcune palesi conseguenze. I due frammenti del nucleo di uranio contenevano troppi neutroni rispetto ai protoni per essere stabili. Quindi trasformavano neutroni in protoni per decadimento beta. Potevano però forse anche emettere neutroni liberi. Se ciò avveniva abbastanza frequentemente, i neutroni secondari potevano servire a produrre altre fissioni e si apriva la via a una reazione a catena e alla liberazione della energia nucleare.

Queste idee non erano particolarmente peregrine e certo vennero in mente a molti fisici: per es. F. Joliot a Parigi, Flügge a Berlino, L. Szilard a New York le formularono esplicitamente o presero brevetti in proposito. Tra l'idea e la realizzazione c'era però un abisso. Il F. attaccò il problema con tutto il suo caratteristico vigore, aiutato da colleghi della Columbia University e in primo luogo dall'allora studente H. L. Anderson, che divenne suo costante collaboratore. Al principio c'erano problemi di fisica da risolvere, come per es. verificare quantitativamente la emissione dei neutroni liberi, trovare un rallentatore (moderatore) di neutroni diverso dall'idrogeno che assorbiva troppi neutroni, studiare gli assorbimenti per risonanza e così via. Il F. affrontò sperimentalmente tutta questa problematica (E. Fermi e altri, The fission of uranium, in Note e memorie, II, Roma 1965) pp. 2-4; Neutron production and absorbtion in uranium, ibid., pp. 11-14; Production and absorption of slow neutrons by carbon, ibid., pp. 32-40, ecc.) con vari collaboratori, tra cui Anderson, B. T. Feld, G. L. Weil, W. H. Zinn, A. M. Weinberg. La sua profonda conoscenza della teoria combinata con l'eccezionale abilità sperimentale gli permise di raccogliere rapidamente risultati importanti e affidabili.

Procedette quindi alla costruzione di un reattore nucleare, trasformandosi in un eccezionale ingegnere. L'impresa fu iniziata dai fisici, privatamente; il governo ne fu avvertito fin dalla primavera del 1939, e dette modesti sussidi, che crebbero col tempo. Forse il F. inizialmente pensava di ripetere. su scala più ampia un lavoro come quello di Roma. Certo non previde che l'impresa avrebbe richiesto i mezzi materiali ed umani che alla fine furono necessari.

L'organizzazione scientifica della ricerca diretta a realizzare il reattore nucleare o pila è un modello impareggiabile: la sequenza logica delle esperienze, la valutazione dei risultati, il loro sfruttamento in successione sono resi evidenti da uno studio dei lavori (E. Fermi, Some remarks on the production of energy by a chain reaction in uranium, ibid., pp. 86-90; The projected experiment at Argonne Forest and the reproduction factor in metal piles, ibid., pp. 243-47, ecc.) che stabilisce i fondamenti scientifici dei reattori nucleari. Il F. scelse come combustibile l'uranio naturale e come moderatore la grafite. Questi non sono i soli materiali possibili, ma la loro scelta probabilmente fu influenzata anche dal desiderio del F. di essere indipendente da altri progetti, come la produzione di acqua pesante o la separazione di isotopi dell'uranio. Egli infatti preferiva sfruttare fino all'ultimo neutrone prodotto, ma essere padrone del campo, anziché dipendente tecnologicamente da altri.

Il 1º sett. 1939, con l'attacco tedesco alla Polonia, era cominciata la seconda guerra mondiale. Le intenzioni di Hitler erano palesi, almeno agli europei rifugiati in America, e molti sapevano che una vittoria tedesca sarebbe stata una catastrofe senza pari per la civiltà. Forse era possibile costruire una bomba atomica di influenza decisiva per l'esito della guerra: era quindi necessario che Hitler non fosse il primo ad averla. Questo semplice imperativo fu fondamentale per mobilitare in modo impareggiabile molti scienziati che si consacrarono anima e corpo all'impresa.

Alla fine del 1940 il F. si pose il problema della possibilità dell'impiego del plutonio di massa 239 come combustibile nucleare. A tale scopo era necessario che esso fosse fissionabile dai neutroni lenti e avesse anche altre proprietà nucleari favorevoli. Nei primi mesi del 1941 J. W. Kennedy, G. T. Scaborg e A. C. Wahl a Berkeley, usando materiale prodotto col ciclotrone, insieme con Segrè prepararono e studiarono il Pu239 stabilendo che esso poteva servire come combustibile nucleare. Così la produzione del Pu239 dava una motivazione potente alla pila, che sarebbe diventata una sorgente di materiale usabile per una bomba atomica.

L'attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dic. 1941 e la successiva dichiarazione di guerra dell'Italia agli Stati Uniti misero il F. nella categoria degli "stranieri nemici", ma, a parte alcune difficoltà secondarie, egli conservò la parte preminente che aveva acquistato nelle ricerche nucleari.

Nel settembre 1942 tutte le attività nucleari vennero assunte dal governo che, per gestirle, costituì un ente, il Manhattan District e ad esso prepose il gen. L. R. Groves. Poco dopo il governo fondò un laboratorio con il compito di costruire una bomba atomica, cosa peraltro allora di fattibilità incerta. Il laboratorio prese il nome di Los Alamos, dalla località dove era situato, un altipiano non lontano da Santa Fe nel Nuovo Messico. J. R. Oppenheimer, un noto fisico teorico che aveva insegnato a Berkeley, ne assunse la direzione. Il F. divenne subito consulente importante, pur rimanendo a Chicago a finire la costruzione del reattore. Grandi reattori nucleari avrebbero poi dovuto generare quantità di plutonio sufficienti per costruire bombe. In parallelo si svolgeva la produzione di un altro esplosivo nucleare, l'U235, che si trova in natura, ma deve essere separato dall'assai più abbondante U238 con processi difficili e dispendiosi.

Il 2 dic. 1942 il primo reattore nucleare, costruito dal gruppo del F. nei locali sottostanti uno stadio della University of Chicago, entrò in funzione; era la prima volta che l'uomo liberava l'energia nucleare su scala macroscopica (E. Fermi, Work carried out by the physics division, ibid., pp. 270 s.; The development of the first chain reaction pil, ibid., pp. 542-49).

Poco dopo il F. con la famiglia si trasferi a Los Alamos, pur mantenendo stretti contatti con gli impianti industriali a Hanford nello Stato di Washington, dove la Du Pont costruiva reattori di produzione del plutonio.

A Los Alamos in quell'epoca c'era una costellazione di fisici e matematici tra cui Bolir col figlio Aage, G. I. Taylor, J. von Neumann, I. I. Rabi, J. Chadwick, E. Teller e ben sette futuri premi Nobel per la fisica (L. Alvarez, H. Bethe, F. Bloch, O. Chamberlain, R. Feynman, Ed. McMillan, E. Segrè). Il F. ebbe una parte centrale nella vita del laboratorio e servì come consulente per ogni sorta di problemi: in particolare si interessò vivamente agli studi iniziali sui calcolatori elettronici e ad un piccolo reattore ad uranio arricchito e acqua bollente e tenne perfino corsi di lezioni, che più tardi divennero la base della ingegneria nucleare (E. Fermi, Acourse in neutron physics, ibid., pp. 440-541). Partecipò anche alla sperimentazione della prima bomba ad Alamogordo, il 15 luglio 1945.

In quel periodo il governo statunitense, per prepararsi al futuro aperto dalla liberazione della energia atomica, nominò un comitato di studio in proposito. Questo comitato formò una commissione consultiva composta di E. O. Lawrence, J. R. Oppenheimer, A. H. Compton e il F. sull'uso della bomba atomica. La storia particolareggiata di quel comitato è complicata e la conclusione dei suoi lavori, peraltro solo consultiva, fu di usare la bomba senza preavviso sul Giappone, come poi il presidente H. Truman ordinò di fare (cfr. Rhodes). L'uso della bomba ha dato luogo a innumerevoli dibattiti. Ai più, allora, la decisione sembrava incontrovertibile: le bombe sul Giappone posero fine alla seconda guerra mondiale. Il F. si stabilì alla University of Chicago che costruì per lui un nuovo istituto di scienze nucleari.

Mentre questo era in costruzione, F. lavorò con una pila posta nel laboratorio delle Argonne, presso Chicago, iniziando vari capitoli della fisica dei neutroni (E. Fermi, The transmission of slow neutrons through microcrystalline materials, ibid., pp. 569-77; Phase of neutron scattering. ibid., pp. 578-82; Interference phenomena of slow neutrons, ibid., pp. 583-601, etc.). Egli però già pensava di lasciare il campo della fisica nucleare che considerava matura e volgersi a quello nascente della fisica delle particelle. Era una decisione analoga a quella per cui verso il 1930 era passato dalla fisica atomica a quella nucleare. Aspettando che a Chicago fosse costruito un acceleratore adeguato, si dedicò a studi teorici. Importanti sono i lavori sui raggi cosmici e sui mesoni (E. Fermi, The decay of negative mesotrons in matter, ibid., pp. 615 ss.; On the onkin of the cosmic radiation, ibid., pp. 656-66; High energy nuclear events, ibid., pp. 790-803).

Il F. tornò in Italia per la prima volta nel 1949 e tenne un corso di lezioni tra l'altro sui progressi fatti dalla fisica durante la guerra (E. Fermi, Conferenze di fisica atomica, ibid., pp. 684-788); in tale occasione conobbe giovani studiosi della nuova generazione italiana, per i quali egli era ormai una figura leggendaria.

Intanto a Chicago procedeva la costruzione di un acceleratore capace di produrre mesoni: il F. partecipò attivamente all'impresa, fino al punto di costruime alcune parti con le proprie mani. La macchina cominciò a funzionare nel 1951. Il F., Anderson, D. E. Nagle e vari studenti iniziarono uno studio dell'urto pione-protone e pione-deuterone. Gli esperimenti, accuratamente analizzati con l'aiuto dei nuovi calcolatori di Los Alamos, fornirono la prova della prima risonanza tra pione e nucleone e servirono a confermare l'importanza centrale dello spin isotopico (E. Fermi, Total cross section of negative pions in hydrogen, ibid., pp. 836-43, ecc.).

Nel dopoguerra il F. continuò ad andare spesso a Los Alamos durante l'estate. Era particolarmente attratto dai calcolatori, con cui fece alcune importanti ricerche che hanno avuto vasto seguito (E. Fermi e altri, Studies of non linear problems, ibid., pp. 978-88).

Nel dopoguerra il governo statunitense lo chiamò come consulente in numerose occasioni. Egli considerava il servizio pubblico come un dovere, ma non ambiva a posizioni di potere. Inoltre, mentre ben conosceva le sue capacità scientifiche, non si considerava particolarmente dotato come politico o come amministratore. Con questo spirito partecipò ai lavori dell'importante General Advisory Committee dell'Atomic Energy Commission, allora presieduto da Oppenheimer. Questo comitato fu chiamato a dare un parere sulla costruzione della bomba a idrogeno, e unanimemente dette parere contrario per ragioni tecniche. In una relazione di minoranza il F. e I. I. Rabi alle ragioni tecniche aggiunsero motivi politici e morali. Posteriori invenzioni di S. M. Ulani ed E. Teller cambiarono la situazione tecnica e il presidente H. Truman, alla fine di gennaio del 1950, decise di procedere con la costruzione. In questa situazione si ebbe quindi la rimozione di Oppenheimer da ogni posizione di fiducia da parte del governo e, nel 1954, fu avviata un'inchiesta in cui egli fu giudicato un "security risk". Il F., chiamato a testimoniare davanti all'apposita commissione, parlò brevemente in favore di Oppenheimer (cfr. United States Atomic Energy Commission, In the matter of J. R. Oppenheitner, Washington 1954, pp. 394-98).

Nel 1954 il F. si recò di nuovo in Italia, dove tenne un corso sui mesoni (E. Fermi, Lectures on pions and nucleons, ibid., pp. 1004-76). Era chiaro che non stava bene; tornato a Chicago, i medici diagnosticarono un cancro allo stomaco.

Affrontò le sofferenze e la morte con socratico coraggio. Morì a Chicago il 29 nov. 1954, poco dopo aver compiuto i cinquantatré anni, ed è lì sepolto.

Il governo statunitense istituì un importante premio a lui intitolato per lavori scientifici e tecnici relativi all'energia atomica; uno dei massimi laboratori di fisica delle particelle, nei pressi di Chicago, porta il suo nome. Un elenco delle accademie di cui fu membro e di onori e premi ricevuti aggiungerebbe ben poco a quanto già detto.

Un giudizio storico definitivo sull'opera scientifica del F. è ancora prematuro. Sebbene sia tra i protagonisti della fisica del secolo XX non fece scoperte rivoluzionarie, come Einstein o M. Planck nella fisica teorica o come E. Rutherford nella fisica sperimentale; nessuno però dopo J. C. Maxwell ha spaziato universalmente come lui. L'influenza della sua attività, in Italia come negli Stati Uniti, è tuttora presente e attiva.

Del F. ricordiamo: Note e memorie, a cura di E. Segrè, I, Roma 1962; II, ibid. 1965. Quest'opera, fondamentale per qualunque studio sul F., contiene anche una bibliografia completa dei suoi lavori scientifici. Sono conservate presso la Regenstein Library a Chicago la maggior parte delle carte del Fermi. Alcune sono depositate a Roma presso l'Accademia dei XL.

Il F., a differenza di altri grandi fisici a lui contemporanei, unì nell'attività di ricerca le più ampie ed approfondite conoscenze teoriche alle competenze e capacità di un ottimo fisico sperimentale; in questo senso fu considerato "l'ultimo fisico nella tradizione dei grandi del 19º secolo" (E. Segrè, in E. Fermi, Note e memorie, I, p. XLII) e "l'ultima persona che conosceva tutta la fisica del suo tempo" (E. Segrè, intervista in G. Holton, F.'s group..., p. 157).

È significativo che tale ampiezza di conoscenze e di competenze si sia potuta realizzare nel F., il quale - come è stato riconosciuto - sia per suo gusto personale, sia per la situazione arretrata della fisica teorica in Italia negli anni della sua formazione, fu essenzialmente un autodidatta. Egli si formò infatti a contatto diretto con i classici della fisica e attraverso la personale lettura dei grandi contributi alla fisica a lui contemporanei a livello mondiale, di cui venne via via a conoscenza negli anni della sua formazione (E. Segrè, E. F. fisico, pp. 3-24; G. Holton, p. 160). Vista sotto l'aspetto di un'indipendenza culturale rispetto alla situazione della ricerca e dell'università nell'Italia del suo tempo, questa singolarità di formazione del F. rappresentò d'altra parte un fattore che favorì la sua accettazione da parte degli esponenti più notevoli della fisica matematica, come V. Volterra, T. Levi-Civita e G. Castelnuovo da una parte e, dall'altra, dei migliori rappresentanti della fisica sperimentale, quali A. Bartoli, L. Puccianti, A. Garbasso, O.M. Corbino. Ai loro occhi infatti il F. appariva come la persona che, proprio per le sue doti originali e la sua piena autonomia scientifica, poteva costituire il punto di riferimento e la maggiore speranza per uno sviluppo innovativo della fisica italiana, come appunto recita la motivazione dell'attribuzione a lui della prima cattedra di fisica teorica italiana nel 1926 (E. Segrè, E. F. fisico, p. 44).

Si può dunque comprendere come l'opera del F., pur situandosi in senso lato nella tradizione di una fisica italiana che aveva raggiunto anche in tempi recenti, dopo la morte di A. Righi, un buon livello di ricerca nel campo sperimentale, non ne rappresenta in senso stretto la continuazione, ponendosi come una svolta significativa sia per i grandi contributi sia per stile e programma di ricerca (G. Holton, pp. 174 ss.).

Né, d'altra parte, la sua opera si può considerare come la continuazione, per il metodo o per i contenuti, della pur illustre tradizione della fisica matematica. I più affidabili giudizi sul suo stile di ricerca sono, anzi, concordi nel sottolinearne l'originalità e la diversità sia rispetto alla tradizione italiana, sia anche nei riguardi dei contributi che proprio in quegli anni la teoria dei quanti riceveva da parte dei suoi padri fondatori: N. Bohr, W. Heisenberg, P. A. M. Dirac, W. Pauli (E. Amaldi, Introduction a Proceedings of the International Symposium on Niels Bohr, in Rivista di storia della scienza, II (1985), passim;E. Segrè, E. F. fisico, p. 31; G. Holton, pp. 160 ss.).

Ciò che contribuiva a caratterizzare lo stile della ricerca del F. era, tra l'altro, la sua straordinaria capacità di ordinare la totalità delle conoscenze fisiche nell'ambito di pochissimi principi in forma di casi esemplari. Come un grande artigiano che sa usare a fondo i propri strumenti, aveva la capacità di adeguarli alle situazioni particolari, trovando sempre una soluzione concreta ai problemi spesso imprevisti che via via si presentavano, anche attraverso ingegnosi stratagemmi (F. Rasetti, in G. Holton, pp. 160 s.). Con un taccuino contenente pochi essenziali principî, dati, formule fondamentali e applicazioni esemplari - che egli considerava alla stregua di una vera e propria "memoria artificiale" di supporto, fornita perfino di un indice generale per una più rapida consultazione, negli ultimi anni della sua vita - il F. si orientava infatti con sicurezza nei campi più nuovi e diversi (E. Segrè, E. F. fisico, p. 176). Èin questo senso che il suo atteggiamento viene considerato positivista e pragmatico (G. Holton, p. 188).

Molti sono d'altra parte i riferimenti alle sue eccezionali attitudini didattiche, come la capacità di sintetizzare ed esporre con ordine e chiarezza principi e corollari, semplificando nelle lezioni anche problemi complessi, che egli andava pensando ad alta voce, in una sintesi fra una lezione agli studenti o agli assistenti e un vero e proprio processo di autoeducazione (G. Holton, p. 160; E. Segrè, E. F. fisico, p. 50).

Le doti didattiche del F. trovarono modo di esprimersi anche nelle voci Atomo. Elettrone, Elettro, Meccanica statistica ed altre da lui compilate per l'Enciclopedia Italiana. IlF. fece infatti parte della sezione di scienze dell'Enciclopedia Italiana dal 1925 al 1938, anno della sua partenza dall'Italia, in un primo tempo, dal 1925 al 1929 quale redattore e coordinatore dell'area scientifica poi, nel 1932, succedendo a M. La Rosa, quale direttore della sezione di fisica. Nella compilazione delle voci più significative si notano chiarezza e stringatezza nella presentazione della nuova fisica, allora ai suoi esordi, e un'attenzione precipua agli esperimenti e alla loro interpretazione in termini quantistici; in particolare alla fine della voce Atomo (vol. V), la meccanica ondulatoria viene introdotta nei termini di Schrödinger, poi rimasti classici, del parallelismo ottica geometrica-ottica ondulatoria.

Era inoltre proprio del F. il metodo di accostarsi alle teorie matematiche più o meno astratte su cui si muoveva ormai prevalentemente la nuova fisica teorica: padroneggiava con piena sicurezza i più astratti algoritmi, sia individuando subito la formulazione teorica e lo strumento matematico più adatti per interpretare una situazione sperimentale sia riuscendo a prevedere, ed eventualmente a realizzare in concreto, conseguenze sperimentali anche inedite delle più astratte formulazioni teoriche (E. Segrè, E. F. fisico, pp. 53 ss.; G. Holton, pp. 162 ss.).

Si realizzavano così, ma su un piano caratteristico del F. e suo specifico - a volte di non immediata comprensione negli ambienti internazionali (E. Amaldi, Personal notes, p. 342; G. Holton, pp. 62s.) -, una certa continuità della tradizione della fisica matematica italiana e una convergenza della stessa verso aspetti più propri della nuova indagine fisica, che all'estero, e specialmente in Germania, si era già imposta nella fisica teorica.

Con la formulazione della statistica che porta il suo nome (1926), ma detta anche di Fermi-Dirac, egli diede il suo contributo più importante all'assetto statistico della teoria dei quanti, culminante proprio in quegli anni nella meccanica quantistica di Heisenberg e Bohr. Questa richiedeva appunto l'applicazione ai sistemi atomici di regole statistiche diverse da quelle della meccanica statistica classica di J. K. Maxwell e L. Boltzmann, valida invece per i sistemi classici. Essenzialmente, a differenza delle particelle classiche, i componenti dei sistemi atomici e nucleari non sono più pensabili non solo come indipendenti, ma neppure come distinguibili tra loro. Rispetto alle particelle sottostanti alla statistica quantistica di Bose-Einstein, formulata in precedenza (i "bosoni", come i nuclei d'elio, i fotoni, ecc.), la nuova statistica di Fermi-Dirac introduce anzi un ulteriore vincolo reciproco tra gli oggetti studiati, consistente appunto nel principio di esclusione di Pauli, che delimita il numero di occupazione di uno stesso stato quantico da parte di quelle particelle identiche (come gli elettroni e i protoni) che sono detti d'ora in poi "fermioni" proprio in omaggio a Fermi.

La teoria del decadimento beta (1933) e la scoperta dell'effetto paraffina e il suo inquadramento nella teoria dei neutroni lenti (1934-35) rappresentano, per comune riconoscimento, i contributi fondamentali del F. alla fisica del nostro secolo (E. Segrè, E. F. fisico, pp. 74 s., 77, 88 s. E Amaldi, Personal notes..., pp. 307 s.) e il maggiore coronamento del suo stile personale e del metodo di ricerca del suo gruppo (G. Holton, pp. 192, 194). Infatti questi contributi non riguardavano soltanto l'inquadramento di fenomeni noti, ma anche di nuovi effetti e, nel caso dell'effetto paraffma, la teoria di un effetto autonomamente scoperto e non solo non previsto, ma in qualche modo in contrasto con quelle che sembravano le più ragionevoli previsioni delle teorie correnti, per cui la sezione d'urto avrebbe dovuto crescere e non diminuire con la velocità delle particelle proiettili (E. Segrè parla in proposito degli effetti "miracolosi" del filtraggio della paraffina, cfr. G. Holton, p. 156).

L'articolo sul decadimento beta è giudicato da Weisskopf "uno scritto fantastico, che ... si pone come un monumento all'intuizione di Fermi ... che sta in disparte rispetto al resto della fisica nucleare, perché riguarda la creazione di particelle" (in G. Holton, p. 169). La teoria utilizzava per la prima volta in modo creativo l'idea del neutrino di Pauli e degli operatori di creazione e distruzione di particelle (F. Rasetti, in E. F., Note e mem., I, p. 539), mediante il metodo di Dirac-Jordan-Klein della seconda quantizzazione dei campi. È stato giudicato come uno dei pochi esempi di teoria rimasta valida dopo venticinque anni di sviluppo rivoluzionario della fisica nucleare (ibid.).

Il commento degli studiosi e dello stesso F. sulla possibile logica della scoperta dell'effetto paraffina oscilla fra l'individuazione di un'improvvisa e per molti aspetti casuale intuizione da parte del suo autore (specie il F. nella conversazione con S. C. Chandrasekhar, in G. Holton, pp. 155 s.) e la concatenazione logica di osservazioni e teorie analoghe a quella in gioco, quali la variazione nel conteggio nelle vicinanze del bordo del tavolo di legno del laboratorio, l'articolo del F. sull'effetto degli elettroni lenti, ecc. (ibid., pp. 173 s., 190). In ogni caso al carattere di imprevisto della scoperta fa contrasto l'accurata preparazione del gruppo dei collaboratori, i "ragazzi" di via Panisperna, il loro appassionato interesse, la loro ambizione di figurare nel contesto internazionale insieme coi loro collega e maestro, la saggezza nell'organizzazione del lavoro di gruppo e nella divisione dei compiti (E. Segrè, E. F. fisico, pp. 75 ss., G. Holton, p. 171). Da parte di eminenti fisici è stata addirittura evidenziata l'apparente irragionevolezza e perfino assurdità della teoria del rallentamento, dato lo stato allora approssimato ed incompleto della teoria della sezione d'urto per collisioni nucleari (O. R. Frisch, in G. Holton, p. 171; S. Flugge, ibid., p. 173), sOttolineando così la genialità nell'affrontare una teoria dell'effetto e della risonanza della sezione d'urto che, anche se approssimata, doveva in seguito avere sostanziale conferma nella teoria della sezione d'urto totale per cattura fotomagnetica dei neutroni (S. Flugge).

La teoria dei neutroni lenti - vero e proprio punto culminante della ricerca fisica del F. per le conseguenze di vastissima portata che ebbe su molteplici piani, teorico, sperimentale ed applicativo - rappresenta comunque la dimostrazione della capacità della teoria dei quanti, sia nella forma della meccanica ondulatoria (teoria delle risonanze e della lunghezza di diffusione dei neutroni), sia in quella della trattazione statistica dei dati (il cosiddetto "metodo di Montecarlo" escogitato a tale scopo dallo stesso F.: E. Segrè, E. F. fisico, p. 89), di inquadrare e sviluppare ulteriormente le conoscenze sui nuovi fenomeni della radioattività artificiale o indotta, che O. M. Corbino in un famoso discorso del 1929 aveva indicato come il primo tra "i nuovi compiti della fisica sperimentale" (ibid., pp. 65 ss.).

Per quanto riguarda infine il contenuto complessivo della ricerca del F. nella fisica del nucleo, vari autori (ibid.) sottolineano il coraggio e l'estemporaneità della scelta di abbandonare la fisica atomica, in cui il personale dell'istituto aveva raggiunto un buon livello di attività di ricerca, per addentrarsi nel campo ancora teoreticamente quasi vergine della fisica del nucleo, decisione maturata in modo autonomo specialmente dopo la pubblicazione dei risultati sulla radioattività indotta dei coniugi Curie, anche se, come si è visto, sostenuta con forza dall'ambizioso e politicamente accorto programma di Corbino. Il F. aveva la cultura e i mezzi intellettuali più adatti per conquistare il campo e i risultati quindi non si fecero attendere.

Un aspetto caratteristico dello stile del F. è inoltre riscontrabile nel suo atteggiamento nei confronti della meccanica quantistica. Essa era vista infatti come strumento di soluzione dei problemi, accettato senza esitazione per la sua efficacia, ma senza che egli ritenesse necessario proporre quadri interpretativi metateorici che si rifacessero, a seconda dei casi, al contesto concettuale classico o a nuovi contesti chiamati a sostituirlo, a differenza di quanto avveniva invece allora sopratutto tra i fisici teorici tedeschi, creatori e critici della teoria, come Bohr, Heisenberg, E. Schroedinger, Einstein, Pauli, Jordan. Ciò può spiegare il suo mancato fattivo inserimento nell'ambiente della fisica continentale in occasione della sua prima borsa di studio all'estero, pur nella stima che egli seppe raccogliere fra alcuni dei maggiori teorici dell'epoca (ibid., p. 31).

Nell'ambiente scientifico nazionale, alle perplessità proprie della generazione di illustri matematici e fisici matematici già citati, come Castelnuovo, davanti al rovesciamento delle idee della fisica classica, il F. opponeva un atteggiamento descrittivo e operativo allo scopo di chiarire alcuni punti controversi della teoria e rendeme più agevole la comprensione e l'uso (ibid., pp. 64 s.). Negli ultimi anni espresse alcuni dubbi sull'interpretazione ortodossa della fisica dei quanti che tuttavia non intaccavano minimamente il suo uso operativo, la sua struttura matematica e sperimentale, ma solo la sua astratta comprensione filosofica. Amava dire che quando anche si fosse compreso fisicamente il mondo mediante la fisica, non avremmo ancora capito nulla di noi stessi (ibid., p. 180). Ciò comunque non riguardava affatto il suo atteggiamento essenzialmente praginatico e "positivista", anche se non nel senso dell'adesiope ad un particolare indirizzo filosofico nelle questioni di fisica (E. Persico, Rec. a E. Fermi, Collected papers, in The Scientific American, CCVII[1962], p. 183).

La sua ormai cimentata capacità di intravvedere le direzioni più feconde verso cui si avviava la ricerca unita ad una viva curiosità verso il nuovo, l'atteggiamento pragmatico lo portarono a spostarsi senza esitazione negli ultimi anni della vita, essendo professore a Chicago, dalla fisica nucleare a quella delle particelle, allorché vide che si erano qui create migliori opportunità di sviluppo teoriche e sperimentali con la nascita dei primi acceleratori e la piena maturità ormai raggiunta dallo studio della radiazione cosmica (E. Segrè, E. F. fisico, pp. 169 s.). A tale decisione non fu comunque estraneo anche un certo senso di personale insofferenza del F., persona di forte indipendenza di giudizio, nei confronti dei pesanti controlli e della segretezza cui la ricerca nucleare era vincolata negli Stati Uniti per i suoi usi militari (ibid., pp. 161-69). Negli stessi anni la curiosità scientifica e il forte talento sia per la manipolazione tecnica sia per il calcolo matematico portarono il F. a scoprire anche l'utilità dei nuovi strumenti elettronici di calcolo per la soluzione di problemi di alta complessità, manualmente non risolubili, in particolare problemi di meccanica classica non lineare. Egli quindi intuì le straordinarie potenzialità di tale approccio, allora appena al suo inizio, che è diventato ormai uno dei più seguiti e fecondi della ricerca scientifica contemporanea (E. Fermi, Note e mem., II, pp. 977-88).

L'organizzazione della ricerca in Roma nel periodo delle maggiori scoperte è considerata come il capolavoro del genio organizzativo dei F., tanto più che la situazione in Italia per un'innovazione della ricerca si presentava oggettivamente difficile, anche per l'ostilità di circoli accademici (G. Holton, p. 179), pur tenendo conto dell'aiuto indispensabile di Corbino.

Come mostra chiaramente Holton (pp. 192 s., 194 s.), il F., che ha inaugurato nuovi indirizzi di ricerca fisica a livello mondiale e ha creato in Italia, attraverso i suoi allievi, la tradizione stessa della fisica contemporanea, rappresenta comunque una figura di transizione, dunque di particolare complessità. Da un lato egli, come si è visto, era ancora legato ad una dimensione "artigianale" e personale della ricerca scientifica, vista come un'impresa a misura d'uomo, anche per i costi limitati che essa comportava. Come dice Segrè, "era un tipo diverso di fisica. Era fatta su pochi banchi di lavoro, con spago e ceralacca, era estremamente semplice, costava molto poco" (cfr. G. Holton, p. 194). E d'altra parte - è sempre Segrè a ricordarlo - "Fermi non era un promotore di grandi imprese scientifiche e non aveva né il temperamento né l'interesse necessari per mettere in piedi una grande organizzazione, raccogliere i fondi e fare le mille altre cose indispensabili per l'attività dei grossi gruppi che divennero poi comuni nella fisica, ma sapeva infondere un entusiasmo straordinario in tutti coloro che venivano in contatto con lui per motivi scientifici ... tecnici, meccanici, fisici, amministratori" (E. Segrè, E. F. fisico, pp. 105 s.). Il F. era infatti capace di unificare come pochi gli sforzi di piccoli gruppi di persone diverse, con competenze anche diverse, intorno a problemi cruciali della fisica, inaugurando cosi quel "gioco di squadra" che è stato da allora in poi la forma più corrente di ricerca in fisica. I lavori del gruppo di Roma negli anni Trenta sono stati in particolare i primi lavori di fisica ad essere firmati normalmente da più di tre autori (G. Holton, pp. 173 s.).

Tuttavia il coordinamento, l'affiatamento e l'intesa che il F. con il suo carisma riusciva a stabilire nel gruppo erano basati su uno stretto rapporto personale, perfino familiare (G. Holton, p. 192), che, con l'aumento delle dimensioni dei gruppi, non sarebbe stato più possibile in seguito. L'efficienza del gruppo del F. come tale sarebbe comunque diminuita immediatamente in proporzione all'ampliamento di questo, essendo appunto basata interamente sul rapporto personale tra i membri (ibid., p. 190). Questa dipendenza da elementi personali e contingenti piuttosto che da stabili assetti istituzionali, con quel che di arbitrario e precario essa inevitabilmente comportava, e in particolare la protezione di Corbino, un'autorità del regime fascista, da un lato consentì nel caso specifico uno sviluppo straordinario in un unico settore scientifico come la fisica nucleare che, in assenza di tali circostanze favorevoli, difficilmente si sarebbe potuto verificare in un paese scientificamente arretrato quale era allora in sostanza l'Italia (ibid., p. 196), dall'altro ne costituì anche la debolezza. Mentre la ricerca fisica acquisiva negli Stati Uniti un nuovo assetto istituzionale stabile con il progetto "Manhattan" e la nascita della "big science", in Italia, con la scomparsa di Corbino, le difficoltà per il gruppo fecero si che esso non potesse raccogliere appieno il frutto delle proprie ricerche con la scoperta della fissione nucleare, e il F. stesso fu costretto ad emigrare negli Stati Uniti per motivi esterni alla scienza.

Il prevalere di fattori ideologici e l'assenza di una visione capace di cogliere le prospettive più ampie dello sviluppo scientifico e le connessioni tra i settori di base e applicativi della ricerca, e non arbitraria e personalistica, impedirono infatti nel caso del F. (come peraltro in quello dei fisici nucleari tedeschi, F. Strassmann, O. Halin, L. Meitner, la cui scoperta della fissione non fu sfruttata dal regime nazista) quella stabilizzazione della ricerca del gruppo che neppure Corbino aveva potuto peraltro realizzare, pur essendo egli più di altri consapevole delle prospettive e delle interconnessioni della ricerca (a lui si deve ad esempio che la scoperta dei neutroni lenti fosse coperta subito da brevetto per tutte le sue possibili applicazioni; E. Segrè, E. F. fisico, pp. 86 ss.).

Fu quindi certamente merito soprattutto di E. Amaldi se la ricerca, sia pure in tono minore (in particolare il progetto di un acceleratore da installare presso l'Istituto superiore di Sanità non ebbe seguito), continuò in Italia durante la guerra, conservando, per lo sforzo di pochi, le premesse gettate dal F., per poi infine stabilizzarsi nel dopoguerra in un nuovo più moderno assetto istituzionale, sulla base di quell'entusiasmo per la fisica che il F. aveva saputo comunque così efficacemente seminare in Italia.

Fonti e Bibl.: L. Fermi, Atomi in famiglia, Milano 1954; E. Amaldi, From the discovery of the neutron to the discovery of nuclear fission, in Physics Reports, III (1984), pp. 1-319; E. Segrè, E. F. fisico, Bologna 1987. Memorial Symposium in honor of E. F., in Review of modern physics, XXVIII (1955), contiene importanti articoli commemorativi scritti da allievi e colleghi. Tra i numerosissimi libri dedicati alla storia della bomba atomica cfr. R. Rhodes, The making of the atomic bomb, New York 1986, che contiene anche un'estesa bibliografia; E. Segrè, Personaggi e scoperte nella fisica contemporanea, Milano 1976; H. F. York, The advisors: Oppenheimer, Teller and the superbomb, San Francisco 1976. Cfr. inoltre G. Persico, rec. a E. Fermi, Collected papers, in The Scientific American, CCVII (1962), 5, pp. 181-87; E. Amaldi. Personal notes on neutron work in Rome, in History of the twentieth century physics, New York 1977, pp. 294-351; G. Holton, F.'s group and the recaptureof Italy's place in physics, in Id., Scientific imagination, Cambridge, Mass., 1978, pp. 155-198;C. Tarsitani, La fisica italiana fra vecchio e nuovo. Orso Mario Corbino e la nascita del gruppo Fermi, in La ristrutturazione delle scienze tra le due guerre mondiali, I, L'Europa, Roma 1984, pp. 323-346; E. Amaldi, Introd. a Proceed. of the Int. Symp. on N. Bohr, in Riv. di st. della scienza, II (1985), pp. 341-56; B. Pontecorvo, E. F., Pordenone 1993;S. D'Agostino-A. Rossi, E. F. e l'origine della fisica teorica in Italia, in Atti del XIV e XV Congresso nazionale di storia della fisica, Lecce 1995, pp. 417-25.

S. D'Agostino-A. Rossi

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