ENRICO I re di Germania

Enciclopedia Italiana (1932)

ENRICO I re di Germania

Giovanni Soranzo

Detto più tardi l'Uccellatore per una falsa tradizione, era figlio di Ottone l'illustre, duca di Sassonia e poi sovrano di Germania; nacque nell'876. Esordì combattendo a lungo contro gli Slavi dell'Elba, ribelli al padre suo, e contro gli Ungari da quelli richiesti d'aiuto (906); alla morte del padre prestò man forte con Carlo il Semplice, re di Francia, ad Arnolfo duca di Baviera e ai duchi di Svevia Ercangero e Bertoldo contro Corrado I, re di Germania, perché questi aveva rifiutato di confermargli l'intero retaggio amministrato dal padre. Ma, grazie all'intervento di papa Giovanni X, si riunì un concilio a Hohenaltheim (20 settembre 916), alla presenza di Pietro, vescovo di Orte, legato pontificio, e i ribelli furono invitati a sottomettersi. E. vi aderì, chiese perdono e l'ottenne, forse previa promessa d'essere indicato come successore al trono di Germania. Questo infatti avvenne, quando il 23 dicembre 918 Corrado morì ed Eberardo, fratello del defunto, sacrificò la propria ambizione e riconobbe il nuovo re.

Con E. s'inizia la dinastia di Sassonia. Egli saliva al trono con propositi magnanimi: anzitutto di restaurare il prestigio monarchico di contro ai principi e signori riottosi. Marciò prima contro Burcardo, duca di Svevia, che giudicò prudente sottomettersi (919); ottenuto questo intento, passò senz'altro in Baviera, per costringere anche quel duca, Arnolfo, a riconoscersi vassallo, e lo assediò in Ratisbona (921); ciò bastò per far piegare anche questo ribelle. Con siffatto energico procedere E. intimò obbedienza ad altri minori ribelli e, data pace al suo regno, volle regolare la partita contro il re dei Franchi di là dal Reno, cioè contro Carlo il Semplice, che a Corrado I aveva strappato la Lorena, e poi contro Ugo, re di Francia, a quello succeduto, che tale regione non volle lasciarsi strappare. Grazie alle discordie intestine, che agitavano il regno di Francia, E. ebbe facile giuoco, più che con la forza delle armi, con le arti della politica, di far valere i diritti di antico o di recente acquisiti sulla Lorena, convalidati poi dal matrimonio di sua figlia Gerberga col potente duca di Lorena Gisilberto e in effetto Gisilberto gli prestò, nel 925, giuramento di fedeltà. Ma nella Germania si rovesciavano ancora una volta, nel 924, gli Ungari. E, forse perché non aveva mezzi sufficienti, non s'impegnò risolutamente nella lotta; ma, avuto nelle sue mani un influente capo di quei barbari, del prigioniero si valse per trattare con quelli e concludere intanto una tregua di nove anni, periodo di tempo che gli permetteva di organizzare le forze dello stato e prendere contro i temuti nemici piena vittoria. La tregua tuttavia portava l'onere di un annuo compenso ai barbari. Primo compito di E. fu di fortezze a tutela delle più importanti vie di accesso alla Germania; mentre l'opportunità di tenere allenati i suoi soldati ai disagi della guerra gli veniva offerta dalle frequenti imprese contro gli Slavi dell'Elba, che costituivano un continuo pericolo per l'incolumità delle popolazioni tedesche. Tali imprese dovevano assicurargli di fronte ai barbari la linea dell'Elba e del quadrilatero boemo; ed egli si rese così tributarî gli Obotriti, i Wilzi, gli Evelidi, i Dalamanci, i Boemi e i Redari. Ad assicurarsi ancor più la devozione e la fedeltà dei sudditi e soprattutto per aver la necessaria collaborazione dei vescovi e del clero, Enrico I, dietro consiglio di Ildeberto arcivescovo di Colonia, convocò il 1° giugno o luglio 932 un concilio a Erfurt, a cui convennero oltre ai prelati di tutta la Germania anche numerosi grandi laici; dalle deliberazioni ivi prese sembrerebbe che non si sia trattato che d'interessi ecclesiastici, ma la stretta relazione di tempo del concilio con la forte campagna contro i Magiari dell'anno appresso lascia agevolmente intendere lo scopo anche politico della convocazione di Erfurt. E. cominciò col rifiutare agl'inviati magiari, mandati come il solito a riscuoterlo, l'annuo tributo; il rifiuto provocò la rappresaglia consueta dei barbari, l'invasione delle terre tedesche e prima della Turingia. E. fronteggiò i barbari e, quando l'occasione gli si presentò propizia, a Riade sull'Unstrutt li assalì con forte impeto, ne invase gli accampamenti, recando tra quelli la strage (marzo 933). La bella vittoria assicurò pace alla Germania per qualche tempo: E. fu salutato padre della patria, signore e imperatore; i pochi che in terra tedesca ritenevano di non riconoscere la sua supremazia furono domati; ultimo il re dei Danesi, Cnuba, pagano, che soleva mandare i suoi a far bottino sulle terre della Frisia, fu da E. vinto, costretto a ricevere il battesimo e a pagare annuo tributo. Fatto così sovrano assoluto di tutta la Germania, egli deliberò di recarsi a Roma per accordarsi col papa o comunque per farsi conferire la corona imperiale, ma dovette rinunciare a questo suo intento, perché sorpreso da grave malattia. Prima però di morire, poté convocare i grandi del regno e con loro plauso designò come suo erede e successore il figlio primogenito Ottone, cui lasciò un forte retaggio e preparò saldi fondamenti alla restaurazione dell'Impero. Taluno negò allo spirito realista di E. siffatto sogno di universale dominio, che l'esperienza sembrava dimostrare superato; ma il concetto d'una monarchia unitaria nel mondo cristiano già romano era sempre riguardato come necessario elemento all'unità della Chiesa cattolica né E. seppe sottrarsi a quel fascino di universale potenza. E. morì a Memleben il 26 luglio 936 e fu sepolto a Quedlinburg.

Bibl.: Widukindi res gestae saxonicae, ed. G. Waitz, in Monumenta Germaniae Historica, SS., III, Hannover-Berlino 1826, pp. 425-437; Die Urkunde des deutschen Königs Heinrich I, a cura di T. Sickel, in Mon. Germ. hist., Diplomata, I, Hannover 1879-84, pp. 39-79; G. Waitz, Jahrbücher des deutschen Reiches unter König H., I, 3ª ed., Lipsia 1885; Cfr. K. Lamprecht, Deutsche Geschichte, 3ª ed., Friburgo in B. 1904, II, p. 125 seg.; Dahlmann-Waitz, Quellenkunde, ecc., 7ª ed., Lipsia 1906, p. 277; J. Hefele-H. Leclercq, Histoire des Conciles, IV, ii, Parigi 1911, p. 754.

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