SCARAMPI, Enrico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCARAMPI, Enrico

Ezio Claudio Pia

– Nacque in data non conosciuta – secondo la storiografia consolidata intorno alla metà del Trecento – da Oddone, signore di Cortemilia, in uno dei castelli spettanti alla famiglia, a Cortemilia appunto, oppure a Roccaverano, località del Piemonte meridionale, oggi facenti parte rispettivamente delle province di Cuneo e Asti (Ravera, 1997, p. 226).

Membri della famiglia Scarampi sono attestati come credendari, o ufficiali del Comune di Asti, dal tardo XII secolo, nella fase che precede lo scontro con i marchesi di Monferrato (1191-1206) dal quale derivò il consolidamento territoriale dell’organismo comunale (Pia, 2006, pp. 467-512). In modo analogo ad altre schiatte della classe dirigente astigiana, gli Scarampi dal tardo Duecento operarono come uomini d’affari tra riviera ligure, area alpina, Francia, Fiandre e Germania, mentre tra XIV e XV secolo si affermarono nella penisola iberica (Castellani, 1998, pp. 16, 244, 250; Lombardi in Europa nel Medioevo, 2005, pp. 104, 193-196). Attivi presso le fiere di Champagne e quali prestatori dei Savoia, esercitarono un ruolo rilevante sul piano creditizio nel Regno di Francia, tanto da non essere coinvolti nelle persecuzioni che Filippo IV il Bello mise in atto contro i prestatori lombardi tra gli anni Ottanta del XIII secolo e il primo decennio del XIV (Sella - Vayra, 1887, pp. CCXLVIII-LIX).

La rete di rapporti politico-economici nella quale sono coinvolti gli Scarampi rivela il loro radicamento nel fronte ghibellino (Castellani, 1998, p. 266); l’emarginazione politica di questa parte, in seguito ai conflitti di fazione che interessarono Asti nel XIV secolo, potrebbe sia aver incentivato l’attività finanziaria all’estero della famiglia – è il caso nel tardo Trecento di Luchino, banchiere di Giovanni I d’Aragona (Ferrer i Mallol - Vela Aulesa, 2014-2015, pp. 301-478) – sia aver orientato alcuni membri del casato verso investimenti feudali tra Piemonte e Liguria. Scelta, quest’ultima, effettuata grazie ai proventi dell’attività creditizia e destinata ad avviare modelli di gestione politica ed economica di lunga durata, cui si lega la vicenda del ramo della famiglia al quale appartiene il vescovo Enrico.

Fu Antonio Scarampi, avo del presule, ad acquistare dai marchesi Del Carretto (1329) una serie di feudi tra Piemonte e Liguria (Torre, 2003, p. 39): un’operazione coerente con la tradizionale presenza degli Scarampi in area ligure, realizzata entro lo schieramento ghibellino al quale appartenevano i Del Carretto. Lo strutturarsi del controllo su un settore nodale per le comunicazioni tra Riviera e zona subalpina emerge nella suddivisione ereditaria del 1339 tra i figli di Antonio: Oddone – padre di Enrico – e Giacomo ebbero Cortemilia e la Valle Uzzone; Matteo e Tomeno alcuni centri della Langa, oltre a Mombercelli e Vinchio, in territorio astigiano; Giovannone, infine, Cairo e il passaggio diretto verso la Liguria (ibid.).

La sezione orientale dei feudi degli Scarampi, toccata a Oddone e Giacomo, inserì la loro signoria di valico nel sistema politico-territoriale facente capo ai marchesi di Monferrato, rappresentanti di punta del fronte ghibellino. Non risulta dunque estranea al radicamento familiare nel settore monferrino la nomina di Enrico a vescovo di Acqui, risalente agli anni dello scisma d’Occidente, ma di incerta datazione. Ascritta al 1396 (Eubel, 1913, p. 98), sarebbe retrodatabile sulla base di un atto del giugno 1383 mediante il quale il presule Enrico pose sotto la protezione di Teodoro II di Monferrato la propria persona e le località di Bistagno, Castelletto e Roncogennaro, situate nei pressi di Acqui, trattenendo per sé redditi e possessi spettanti alla chiesa acquese a Bistagno e lasciando al marchese come contropartita redditi e diritti sugli altri due centri (G.B. Moriondo, Monumenta Aquensia, 1789, col. 374).

Dal Duecento, i presuli acquesi risiedevano a Bistagno e Scarampi effettuò un ingente lascito per consentire l’edificazione di una residenza vescovile ad Acqui; provvide, inoltre, a finanziare l’ospedale di Bistagno e quello di Sant’Antonio de Balneis di Acqui (Ravera, 1997, p. 227).

I rapporti con i Monferrato comportarono un inserimento nelle dinamiche politiche dell’area subalpina centro-meridionale. In questa prospettiva va letto l’intervento di Enrico per propiziare il matrimonio tra Teodoro II e la futura beata Margherita di Savoia, volto a consolidare le relazioni tra i Monferrato e la dinastia sabauda, dopo le tensioni che avevano investito il quadro regionale con il coinvolgimento dei Visconti: si conserva una missiva del vescovo a Margherita dalla quale emerge anche il legame tra il presule e Vincenzo Ferrer, il domenicano canonizzato nel 1458 che di Margherita era consigliere spirituale (ibid., p. 228). Le nozze – stabilite nel trattato di Asti del marzo 1403 – furono celebrate nell’ottobre dello stesso anno dal vescovo Scarampi (Provero, 2008, p. 158).

Fin dal 1402, Enrico era stato trasferito da Bonifacio IX alla sede di Feltre e Belluno, città dipendenti dai Visconti: si trattava di una diocesi di media importanza, esito dell’unione – avvenuta tra fine XII e inizio XIII secolo e segnata da costanti conflittualità – degli episcopati di Feltre e Belluno, che mantenevano peraltro capitoli e mense vescovili separati (Melchiorre, 2015, pp. 19 s., 32). Scarampi, tuttavia, non prese possesso della diocesi nel 1402, verosimilmente per un ritardo nell’emissione delle bolle relative da parte della cancelleria papale, e nell’agosto 1404 Bonifacio IX lo designò nuovamente (Alpago-Novello, 1940, p. 1194).

La nomina di Enrico – contestuale a quella del suo predecessore nella diocesi veneta, Giovanni Capogalli, a vescovo di Novara – si inscrive entro una ridefinizione degli assetti diocesani legata alla politica viscontea. Capogalli, consigliere ducale, era stato infatti governatore di Pisa dal 1399 al 1401 e, a sua volta, Enrico era stato designato da Gian Galeazzo, poco prima della morte di questi (Varanini, 2011, p. XVI). D’altro canto, entro il quadro politico subalpino nel quale aveva operato fino ad allora il vescovo Enrico, all’alleanza tra Acaia e Savoia si era contrapposto lo stabilizzarsi di relazioni tra Monferrato e Visconti (Cognasso, 1960, pp. 749-753). Scarampi appare in effetti legato alla dinastia milanese e nei primi mesi del 1404 rappresentò la duchessa Caterina Visconti, insieme a Enrico Scrovegni (Varanini, 2011, p. XXI), in un’ambasceria finalizzata a staccare i Carraresi di Padova dall’alleanza con la Serenissima (Paschini, 1936, p. 357).

L’avvio dell’episcopato bellunese-feltrino di Enrico coincise quindi con la crisi dello ‘Stato’ di Gian Galeazzo, cui seguì un decennio di incertezza nella regione lombarda e nell’intera area settentrionale. Uno stato di tensione cui il vescovo non rimase estraneo, individuando anzi una chiara linea politica: già il 29 aprile 1404, Enrico, scrivendo da Venezia al podestà di Belluno, auspicava una stabilizzazione sotto il governo veneziano: «speramus quod Ill.mi Domini nostri [i Visconti] recomendabunt illas Civitates [Belluno e Feltre] ad dominationem Venetiarum» (F. Pellegrini, Documenti..., 1869, p. 268).

Il passaggio di Belluno e di Feltre alla Serenissima, nel giugno 1404, presentò ricadute anche nell’amministrazione della diocesi. Il legame di Scarampi con i Visconti motivò le proteste rivolte dai feltrini al Senato veneziano per contestarne l’elezione: fu stabilito pertanto che il presule rimanesse a Venezia, che potesse raggiungere le sedi solo con l’autorizzazione del governo veneziano e nelle more gli si garantì il godimento delle rendite connesse alla carica (Melchiorre, 2015, p. 29). Fin dal 1402 si erano succeduti provvedimenti relativi alla gestione economica della diocesi e nel marzo 1405, da Venezia, il presule concesse in affitto i redditi degli episcopati di Feltre e Belluno rispettivamente al canonico feltrino Giovanni da Foro e al decano bellunese Leonisio, riservando alla mensa vescovile i benefici relativi alle pievi di Castion e di Cadola, all’arcidiaconato di Agordo – nella diocesi di Belluno – e alle pievi di Santa Giustina e di Cesio, oltre alla chiesa dei Santi Vittore e Corona, a Feltre (Varanini, 2011, p. XXI).

La presa di possesso della diocesi fu effettuata da un procuratore di Scarampi, il sacerdote Michele ‘prior Campestrini’, il 29 agosto 1404, e segnò la rivendicazione da parte di Venezia del proprio ruolo politico: la cerimonia non fu, infatti, gestita dal capitolo, ma dal rappresentante della Serenissima, Antonio Mor. Due anni più tardi, il 28 marzo 1406, avvenne l’ingresso del vescovo a Belluno, ove fu accompagnato all’altare dal decano Leonisio e dal podestà veneziano Mor, prova dell’assestamento nelle relazioni interne alla città; quindi Enrico raggiunse Feltre ove effettuò concessioni di indulgenze e di benefici (ibid., p. XX).

L’elezione al soglio pontificio di Gregorio XII, il veneziano Angelo Correr (1406), avviò un durevole inserimento di Scarampi negli organismi della Curia papale, in una fase peraltro assai delicata per il protrarsi della divisione della cattolicità nelle due obbedienze romana e avignonese (Girgensohn, 1985). Il proposito di Gregorio XII di superare lo scisma si scontrò con una strutturale debolezza politica e gestionale e la nomina di Enrico Scarampi, nel maggio 1407, a collettore pontificio «in quibuscumque provinciis, civitatibus et diocesibus temporali dominio dilectorum filiorum Venetorum necnon Gradensi et Aquileiensi provinciis et etiam per totam Greciam et Sclavoniam» (Paschini, 1936, p. 357) costituì verosimilmente una risposta a tali criticità. Non è chiaro se – nel corso delle vicende che accompagnarono i tentativi di composizione dello scisma – il presule abbia abbracciato l’obbedienza al nuovo papa Alessandro V, eletto nel corso del concilio di Pisa nel giugno 1409, o se sia rimasto al fianco del veneziano Gregorio XII, come lascerebbe intendere l’incarico di nunzio a Venezia affidatogli da papa Correr nel marzo 1410 (Alpago-Novello, 1940, p. 1213).

Se gli uffici affidati a Scarampi in questa fase confermano il radicamento nelle dinamiche politiche veneziane, robusto rimase l’inserimento del presule nello scacchiere visconteo-monferrino, segno di una continuità rispetto al sistema di relazioni cui lo legavano sia tradizioni familiari sia rapporti definitisi nel corso del suo episcopato acquese.

Le travagliate vicende del Ducato milanese sotto il governo di Giovanni Maria Visconti determinarono la nomina di Enrico a consigliere ducale in seguito a una provvisoria pacificazione nel marzo 1409 tra i due condottieri Pandolfo Malatesta e Facino Cane: una nomina legata ai consolidati rapporti del prelato non soltanto con la Corte viscontea, ma anche con Teodoro II di Monferrato, sostenitore di Facino (Ferrero, 2014, p. 43). Con il passaggio del Visconti al partito filofrancese guidato da Malatesta, Enrico Scarampi avrebbe rafforzato il proprio sostegno a Teodoro: fu infatti il vescovo, nel dicembre 1409, ad aprire il corteo in occasione dell’ingresso trionfale di Teodoro a Genova in qualità di capitano del Popolo e nel 1413 Enrico stipulò la convenzione con i genovesi che chiuse il governo del marchese monferrino (G. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, 1975, pp. 293, 314).

Nello stesso anno anche l’imperatore Sigismondo fece ricorso alle competenze diplomatiche del vescovo, per «ardue [...] Imperii sacri legationes in partibus Italie et Lombardie» (G. Verci, Storia della Marca..., 1791, p. 62). Enrico, che fu consigliere e segretario imperiale, esercitò inoltre una costante mediazione tra le comunità di Belluno e Feltre e Sigismondo, dopo che questi nel 1414 aveva ceduto le due città al conte di Gorizia (Alpago-Novello, 1941, pp. 1249 s.). Nodale fu il ruolo del vescovo Scarampi in uno dei principali progetti dell’imperatore: il concilio di Costanza convocato nel 1414 per risolvere lo scisma d’Occidente. Di tale consesso fu membro e, dal 1417, presidente della nazione italiana; intervenne nelle discussioni relative all’eresia hussita, fu tra i delegati alla citazione di Benedetto XIII e partecipò all’elezione di Martino V, l’11 novembre 1417 (ibid., p. 1251).

Il nuovo pontefice affidò ben presto al vescovo Scarampi incarichi amministrativi nominandolo tesoriere della Camera apostolica (Paschini, 1936, p. 360); è l’avvio di un cursus honorum che si consolidò negli anni seguenti: mantenendo l’ufficio precedentemente attribuitogli, nel 1418 divenne rettore generale in temporalibus per le province di Campania, Marittima e Benevento – incarico che avrebbe conservato anche sotto il pontificato di Eugenio IV (Borgia, 1764, pp. 195, 405) – e nel 1420 fu nominato rettore generale della provincia di San Pietro in Tuscia (Paschini, 1936, p. 361). Con la scomparsa di Martino V, forse anche per l’avanzare dell’età, Enrico sembra concentrare il proprio ministero nella diocesi di Belluno-Feltre il cui territorio, dopo la parentesi imperiale, dal 1420 era tornato sotto il governo della Serenissima. La sua presenza determinò il riemergere delle pretese di primazia delle due comunità: nel 1426 i bellunesi minacciarono di deferire il presule al governo veneziano se non avesse diviso equamente la residenza tra le due città e nel 1431 richiesero il distacco da Feltre (Melchiorre, 2015, p. 33). Dopo quasi quattro lustri di iterate assenze dalla diocesi, tra gli anni Venti e Trenta si avviò una definizione delle prerogative vescovili, anche se già all’epoca di Sigismondo non erano mancate istanze relative ai diritti dell’episcopato nella gestione della giustizia penale (Alpago-Novello, 1940, p. 1214).

Sono attestate questioni relative alle decime da corrispondere al presule per il trasporto del legname attraverso il Cismon e alla spettanza della montagna Tognola, mentre nel 1435 si addivenne a una composizione con i feltrini riguardante la gestione dei feudi concessi loro dal vescovo. Sul piano amministrativo, agli ultimi anni dell’episcopato di Scarampi risale la conferma dell’avogaria dei due vescovadi alla famiglia Collalto (Alpago-Novello, 1941, pp. 1289 s.). Un lungo governo, dunque, quello di Enrico Scarampi, attraversato da spinte autonomistiche sia di parte bellunese sia di parte feltrina, nel corso del quale al travagliato assestamento politico dell’area si accompagnarono tentativi di definizione economica e circoscrizionale.

La scomparsa di questo provetto navigatore negli ambiti più vari della vita della Chiesa e degli Stati italiani fra Tre e Quattrocento, avvenuta il 29 settembre 1440 a Feltre, segnò il riaccendersi di tali linee conflittuali (Melchiorre, 2015, pp. 33-35).

Le tensioni, peraltro, non interferirono con l’affermarsi del culto locale per Enrico, definito beato – «beatus in ea regione ab omnibus censetur» secondo Ferdinando Ughelli (Italia Sacra, 1719, col. 390) – e come tale venerato, pur senza la sanzione canonica, fino alle disposizioni restrittive del vescovo Salvatore Giovanni Battista Bolognesi, a fine Ottocento (Alpago-Novello, 1941, p. 1291).

Fonti e Bibl.: F. Ughelli, Italia Sacra, IV, Venezia 1719; G.B. Moriondo, Monumenta Aquensia, I, Torino 1789; G. Verci, Storia della Marca trivigiana e Veronese, XIX, Venezia 1791; F. Pellegrini, Documenti relativi al dominio dei Visconti sopra Belluno e Feltre dal 1388 al 1404 presentati all’Istituto veneto dal cav. Cesare Cantù, Venezia 1869; G. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in RIS, XVII, 2, Bologna 1975, pp. 293, 314.

S. Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, II, Roma 1764; Q. Sella - P. Vayra, Del Codice d’Asti detto de Malabayla. Memoria di Quintino Sella, Roma 1887, pp. CCXVI-CCLXII; K. Eubel, Hierarchia catholica Medii aevi, I, Monasterii 1913; P. Paschini, Prelati e curiali di casa Scarampi, in Rivista di storia, arte e archeologia per la Provincia di Alessandria, XLV (1936), pp. 355-374; L. Alpago-Novello, E. S. vescovo di Belluno e Feltre (1404-1440), in Archivio storico di Belluno, Feltre e Cadore, XII (1940), pp. 1193-1196, 1213 s.; XIII (1941), pp. 1248-1252, 1289-1292; F. Cognasso, Amedeo VIII, duca di Savoia, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 749-753; D. Girgensohn, Venezia e il primo veneziano sulla cattedra di S. Pietro: Gregorio XII (Angelo Correr). 1406-1415, Venezia 1985; P. Ravera, I vescovi della chiesa di Acqui, Acqui Terme 1997; L. Castellani, Gli uomini d’affari astigiani. Politica e denaro tra Piemonte ed Europa, Torino 1998; A. Torre, Le terre degli Scarampi. Appunti per una lettura della Langa astigiana in età moderna, in Tra Belbo e Bormida. Luoghi e itinerari di un patrimonio culturale, a cura di E. Ragusa - A. Torre, Asti 2003, pp. 33-46; Lombardi in Europa nel Medioevo, a cura di R. Bordone - F. Spinelli, Milano 2005, passim; E.C. Pia, La sperimentazione delle forme della dipendenza: il territorio astigiano tra XII e XIII secolo, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, CIV (2006), 2, pp. 467-512; L. Provero, Margherita di Savoia-Acaia, in Dizionario biografico degli Italiani, LXX, Roma 2008, pp. 157 s.; G.M. Varanini, Nota introduttiva a I documenti di Liazaro notaio vescovile di Feltre e Belluno (1386-1422), a cura di G.M. Varanini - C. Zoldan, Roma 2011, pp. IX-XLVI; B. Ferrero, «Extensis mensis in quodam prato...». Sei lettere inedite del marchese Teodoro II di Monferrato e dei suoi familiari (1409-1417), in Monferrato. Arte e storia, XXVI (2014), pp. 37-56; M.T. Ferrer i Mallol - C. Vela Aulesa, Un mercader Italià a la cort catalano-aragonesa, in Acta historica et archaeologica mediaevalia, XXXII (2014-2015), pp. 301-478; M. Melchiorre, Vescovadi e poteri sovrani nell’alto Piave (XII-XV secolo), in Tesori d’arte nelle chiese del Bellunese. Destra Piave, a cura di L. Majoli, Belluno 2015, pp. 13-39. Ezio

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