ENRICO V imperatore

Enciclopedia Italiana (1932)

ENRICO V imperatore

Giovanni Soranzo

Figlio di Enrico IV e di Berta di Savoia, nacque l'8 gennaio 1081; dopo la deposizione di Corrado, suo fratello (1098), fu designato a succedere al padre e fu incoronato ad Aquisgrana il 6 gennaio 1099 re dei Romani. Imputando al genitore le disavventure della corona, s'indusse nel 1104 a tradirlo e a forzarlo in modo brutale all'abdicazione. Divenuto re (1106), disperse con energia le sporadiche opposizioni, rivendicò di fronte alla S. Sede le medesime pretese di suo padre, pur sollecitando la venuta del papa in Germania per regolare le controversie pendenti. Poiché Pasquale II si recò invece in Francia, per avere da quel re e da quei grandi laici ed ecclesiastici l'appoggio necessario contro E., questi gli mandò suoi delegati; ma costoro trovarono terreno tutt'altro che propizio per sostenere le regie pretese; onde ogni trattativa fallì nei concilî di Châlons-sur-Marne e di Troyes, tenuti da Pasquale II (1107).

La relativa quiete della Germania, il felice esito di campagne condotte tra il 1108 e il 1110 contro gli Ungheresi, i Polacchi e i Boemi, gli permisero di tenere testa alle opposizioni in favore di Roma; mentre il vincolo di parentado stretto con Enrico I, re d'Inghilterra, del quale egli promise d'impalmare la figlia Matilde, gli assicurava un appoggio in caso di un attacco da parte della Francia, sostenitrice della causa romana. Quando apprese che anche nel Concilio lateranense del 7 marzo 1110 era stata condannata l'investitura ecclesiastica da parte dei laici, E. nella dieta di Ratisbona fece deliberare la spedizione d'Italia. Qui discese con ingenti forze verso la fine di quell'anno; solo Milano osò serrargli le porte; la contessa Matilde fu disposta con lui a un accordo, a patto di non essere costretta a portare le armi contro il papa; a Sutri egli si accordò con messi del papa, rinunciando a ogni consacrazione episcopale, mentre il papa s'impegnò di cedere al re tutti i beni e diritti, che a titolo di feudo da Carlomagno in poi erano stati dagli imperatori largiti alla Chiesa (9 febbraio 1111). Ma quando il 13 seguente in San Pietro i prelati rifiutarono di sottoscrivere la convenzione, il papa non poté mantenere il suo impegno, ed E. si ritenne disciolto dal patto di Sutri e mise innanzi le vecchie pretese. Pasquale II avendo rifiutato, egli lo fece detenere con parecchi membri del Sacro Collegio per quasi due mesi, finché ottenne quanto prima gli era stato negato, oltre alla promessa che mai sarebbe stato scomunicato. A suggello di tale accordo Enrico si fece conferire in San Pietro la corona imperiale (13 aprile 1111), consacrazione che il papa dovette rinnegare l'anno dopo nel Concilio lateranense.

Tornato in patria, dopo aver visitato a Bianello Matilde, E. fu oggetto di nuove congiure, nelle quali furono coinvolti con i Sassoni il duca Lotario, il conte palatino del Reno e molti signori e vescovi, oltre Adalberto, arcivescovo di Magonza, primate del regno. E. tenne testa validamente ai ribelli e lo costrinse a far atto di vassallaggio. In occasione delle feste per le sue nozze con Matilde d' Inghilterra (gennaio 1114), E. fece detenere Luigi, langravio di Turingia, già ribelle coi Sassoni, che era venuto a Magonza credendosi ritornato in grazia presso il re. Questa cattura proditoria occasionò una nuova insurrezione, della quale fu centro Colonia, già (1106) duramente trattata da Enrico per essere rimasta fedele al padre suo: la Sassonia, la Turingia e la Vestfalia si misero in armi contro l'imperatore, che affrontò con coraggio i ribelli ma fu vinto a Welfesholge (1115). Questa sconfitta di E. rianimò il partito papale, che esigeva riparazioni dell'ingiusto trattamento da lui usato a Pasquale II e agl'interessi della Chiesa. Già il legato pontificio, Guido, arcivescovo di Vienne, più ardito del papa, aveva pronunciata la scomunica contro l'imperatore.

A eccitare ancora di più l'attività politica di E. venne la questione dei beni della contessa Matilde, che aveva da tempo istituita sua erede universale la Chiesa Romana, senza distinzione dei beni allodiali da quelli feudali. Quando, il 24 luglio 1115, Matilde morì, E. pretese d'infirmare la validità del testamento, rivendicando a sé i beni feudali, asserendo d'essere stato istituito erede dalla defunta nel convegno con lei avuto a Bianello tre anni innanzi. Questi interessi lo spinsero in Italia; nel marzo del 1116 era già in Lombardia, dove prese possesso senza contrasto dei beni della contessa e attirò alla sua devozione parecchie comunità cittadine con largizione di privilegi e d'immunità; in Roma si trovò il mese seguente; essendo il papa coi suoi fedeli fuggito a Benevento, gli fu facile ordinare il governo romano a suo talento (aprile 1117); ma poi dovette ritirarsi per evitare il pericolo di un'epidemia. Ne approfittò il papa, per tentare il ritorno alla sua sede con l'appoggio dei Normanni; ma mentre questi battagliavano per lui nella Città Leonina, Pasquale II morì (21 gennaio 1118). A costui fu dato per successore, non senza violenti contrasti, Gelasio II di tendenze gregoriane, ma non della tempra di Gregorio VII e di Urbano II.

Il 2 marzo seguente capitò d'improvviso a Roma l'imperatore; il papa sgomento fuggì a Gaeta, sua patria. Falliti i tentativi d'un accordo, Enrico V convocò il popolo in San Pietro e fece eleggere papa l'arcivescovo di Braga in Portogallo, Maurizio Burdino, che si chiamò Gregorio VIII. In Francia, dove erano vecchi motivi d'inimicizia verso l'Impero, trovò rifugio, dopo un breve ritorno a Roma, Gelasio II, che a Vienne in un concilio ribadì le sentenze contro i vescovi scismatici, contro l'imperatore e i suoi fedeli. Quando Gelasio II venne a morte, gli fu dato per successore un Francese, il già ricordato Guido, arcivescovo di Vienne, che aveva pronunciato la scomunica contro Enrico V, mentre tutti erano intimiditi. Il nuovo papa prese il nome di Callisto II. Tuttavia in costui E. incontrò il papa della conciliazione e di conciliazione il nuovo eletto disse la prima parola. Convocò in Francia, a Reims, un concilio (20-29 ottobre 1119), cui furono invitati i rappresentanti imperiali; furono gettate le prime basi dell'accordo, che fu raggiunto soltanto due anni dopo. Certo gli eventi maturatisi in Italia per l'energia di Callisto II giovarono allo scopo: Callisto II col favore dei Normanni entrò a Roma e umiliò l'antipapa, che finì miseramente. In Germania vescovi e principi minacciarono ad E. gravi opposizioni, se non si fosse riconciliato con la Chiesa. Così si venne, prima coi colloqui di Würzburg (1121), poi con le deliberazioni dell'assemblea di Worms (settembre 1122), alla presenza del papa e dell'imperatore, al famoso concordato, per cui E. rinunciò a ogni investitura mediante l'anello e il pastorale e a qualsiasi ingerenza nelle elezioni e consacrazioni episcopali, promise la restituzione delle terre e dei diritti di collazione regia, che durante il lungo conflitto erano stati avocati all'Impero, assicurò infine la sua devozione e fedeltà alla Chiesa. Callisto II da parte sua acconsentì che le elezioni dei vescovi e degli abati in Germania si facessero, ma senza simonia e senza violenza, alla presenza dei delegati regi, affinché, in caso di dissenso, previo il consiglio del metropolita e dei suoi suffraganei, il re potesse accordare il suo appoggio al più degno e l'eletto potesse ricevere, mediante l'investitura laicale, i beni e i diritti che al re piacesse di conferire.

L'Impero aveva perduto la partita e il suo prestigio non poté non risentirne gli effetti; tuttavia se la chiesa romana sfuggì alla diretta ingerenza imperiale, non le si sottrasse la chiesa tedesca. Questa dopo tutto sente che la sua causa è intimamente legata alla corona e non crea più al sovrano serî imbarazzi. Il conflitto aveva invece messo in evidenza uno spirito d'intraprendenza insolito, che non aveva tanto motivi religiosi, quanto finalità politiche spiccate nella vicina monarchia di Francia. E. volle combatterla, assicurandosi l'appoggio del suocero, il re d'Inghilterra; ma nell'impresa oltre Reno si trovò di contro forze ingenti e bene agguerrite e dovette battere in ritirata. Poco tempo dopo E. morì ad Utrecht (23 maggio 1125). Come suo padre, fu sepolto a Spira. Per ambizione aveva umiliato il genitore e si era alleato con la Chiesa; ma fatto re ne condivise la politica. Non mancò d'energia nella lotta contro i riottosi dell'interno; ma non lasciò la Germania in pace, fece perdere alla causa dell'Impero molto terreno in Italia, specialmente nel Mezzogiorno, e per forza di circostanze s'indusse lui pure a favorire i progressi delle comunità cittadine, specie tra noi.

Bibl.: Valgono qui in parte le fonti e la bibliografia citata per E. IV; v. inoltre: E. Bernheim, Zur Geschichte des wormser Konkordats, Gottinga 1878; G. Peiser, Der deutsche Investiturstreit unter König Heinrich V. bis zu dem päpstlichen Privileg vom 13 April 1111, Berlino 1883; K. Lamprecht, Deutsche Gesch., II, Friburgo in B. 1904, pp. 379-388; A. Dahlmann-Waitz, Quellenkunde ecc., pp. 284-285; G. Meyer von Knonau, Jahrb. des deutschen Reichs unter... Heinrich V., VII, Lipsia 197-1909, p. 62 e segg.; J. Gay, Les papes du XIe siècle et la chrétienté, Parigi 1926, trad. it., Firenze 1930; H. Banniza von Bazan, Die Persönlichkeit Heinrichs V., im Urteil der Zeitgenöss. Quellen, Berlino 1927.

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