Epidemie

Dizionario di Storia (2010)

epidemie


In senso stretto un’e. si verifica quando una malattia infettiva colpisce un gran numero di individui di una determinata popolazione in un arco di tempo molto breve. I testi antichi menzionano grandi flagelli, ma non sempre siamo in grado di capire di quali malattie si tratti. La peste che devastò Atene nel 430 a.C., che costituisce un vero e proprio archetipo storico delle e., fu forse dovuta al tifo. Il millennio medievale fu segnato da tre specie di e.: la peste, il vaiolo e la lebbra. Nel 6° sec. d.C., sotto l’imperatore Giustiniano, infierì in tutto il bacino del Mediterraneo l’e. di un morbo che era certamente la peste così come la conosciamo oggi. Dall’Asia centrale raggiunse tutto il Vicino Oriente e l’Europa, spopolando intere regioni. Infierì a ondate successive per due secoli e poi parve estinguersi. Sappiamo anche che fin dai primi secoli della nostra era si manifestò saltuariamente il vaiolo. Risalgono al Medioevo infine le prime segnalazioni di lebbra nell’Europa occidentale. L’anno 1348 vide una drammatica ricomparsa della peste nel mondo occidentale. Proveniente ancora una volta dalle steppe dell’Asia centrale, avanzò progressivamente dal Mar Nero verso la Grecia, invase la costa meridionale del Mediterraneo e approdò a Messina e a Marsiglia. Da questi porti invase tutta l’Europa fino alla Scandinavia e alla regione intorno a Mosca. In pochi decenni provocò tali danni che la popolazione dell’Europa diminuì, con molta probabilità, di circa un terzo. In seguito la peste esercitò la sua furia periodicamente per quattrocento anni. La scoperta del Nuovo Mondo da parte dell’Europa comportò un ulteriore sconvolgimento nella ripartizione delle malattie. I conquistatori portarono in America il morbillo, il vaiolo, e anche i banali microbi dei loro raffreddori e delle loro infezioni polmonari. Fu un’ecatombe, perché gli autoctoni non godevano di alcuna forma di immunità nei confronti di questi virus. Parecchie decine di milioni di amerindi scomparvero in un arco di due secoli a causa di queste e., nonché della superiorità dell’equipaggiamento degli invasori e del pessimo trattamento cui venivano sottoposti dai colonizzatori. Per contro, si ritiene che l’America abbia trasmesso al vecchio continente la sifilide. Nel 17° sec. l’Europa non conobbe nuove malattie, ma si presentarono con maggior virulenza le e. già note. La peste fu particolarmente grave nelle grandi città dell’Italia e dell’Inghilterra. Sappiamo inoltre che allora nessun Paese, nessuna provincia d’Europa sfuggì alla malaria che avrebbe cominciato a declinare solo nel 19° secolo. Contemporaneamente declinò anche il vaiolo, trattando il quale nacque la «vaccinazione», attuata per la prima volta dal medico inglese E. Jenner (1749-1823), la cui pratica conobbe un successo sempre crescente nel secolo successivo. Imperversarono invece il colera e la tubercolosi. Dall’Inghilterra la tubercolosi si diffuse nel continente europeo e soprattutto in Francia, anche a causa dello sviluppo delle città industriali in cui si ammassavano gli operai. Inoltre l’espansione coloniale fece diffondere in popolazioni «intatte» le malattie tipiche dell’Europa. L’Africa scoprì la tubercolosi, e gli abitanti degli arcipelaghi incontaminati dell’Oceano Pacifico e gli aborigeni dell’Australia furono più che decimati dall’influenza, dal morbillo, dal vaiolo e dalla difterite. Una drammatica e. d’influenza fu la cosiddetta spagnola, che nel 1918-19 uccise oltre 21 milioni di persone solo in Europa, continente già stremato dalla Prima guerra mondiale. Nell’Età contemporanea le e. possono conoscere diffusione rapidissima per la facilità e la velocità con cui gli individui si spostano anche da un continente all’altro. Rispetto al passato è tuttavia cambiato il modo in cui la società affronta gli attacchi degli agenti infettivi: le grandi organizzazioni internazionali (l’Organizzazione mondiale della sanità, OMS, i Centers for disease control and prevention, CDC) tengono sotto controllo i focolai epidemici nel mondo; inoltre, la medicina possiede oggi strumenti come gli antibiotici che, insieme alla vaccinazione e più in generale alla profilassi, hanno profondamente modificato l'impatto delle malattie infettive sulla popolazione mondiale e diminuito il rischio di epidemie. Il primo antibiotico fu individuato nel 1929 dal medico inglese A. Fleming (1881-1955) e grazie a questo tipo di farmaci, che inibiscono l’attività batterica, si possono evitare le conseguenze di gravi infezioni un tempo mortali. Tra gli agenti patogeni tuttora in grado di provocare moltissime vittime e di evocare nell’uomo paure simili a quelle prodotte dalle grandi epidemie del passato vi è il virus HIV, responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita, più nota come AIDS. Malattia infettiva virale, l’AIDS si trasmette per contatto mediante scambio di liquidi biologici e non esiste ancora una cura. Nei Paesi sviluppati si riesce a tenere abbastanza sotto controllo la diffusione dell’infezione, grazie all’informazione sui metodi per prevenire il contagio e all’impiego di farmaci in grado di rallentare il progredire della malattia, mentre, tra le popolazioni dei Paesi meno sviluppati, in alcune aree sino al 30-50% della popolazione è infettato dal virus e milioni di persone hanno perso la vita.

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