Epigenetica

Lessico del XXI Secolo (2012)

epigenetica


epigenètica s. f. – Settore della genetica che studia l’insieme delle attività cellulari preposte a modulare l’espressione del DNA (e che quindi concorrono a determinare il fenotipo) senza provocare mutazioni nei geni (ossia senza interferire con il genotipo). In questo inizio di 21° sec., dalla ricerca arrivano numerose conferme del ruolo fondamentale rivestito dall’e. nell’attività di regolazione di processi essenziali come la trascrizione del DNA, l’espressione genica, lo sviluppo embrionale, ecc. In questa attività riveste un ruolo determinante la cromatina.

Regolazione della cromatina. – Il ripiegamento della cromatina è un parametro importante per la modulazione dell’espressione genica: se la cromatina è ripiegata più strettamente in una conformazione chiusa, la trascrizione può risultare difficoltosa o impossibile; se la cromatina si trova in una conformazione aperta, essa diventa più facilmente accessibile ai fattori di trascrizione e alla RNA-polimerasi. Un importante meccanismo che regola l’interconversione tra la conformazione chiusa e quella aperta della cromatina è l’acetilazione degli istoni. L’acetilazione, eliminando la carica positiva sui residui dell’aminoacido lisina nelle proteine istoniche, diminuisce la loro interazione con il DNA, carico negativamente. Si è osservato che l’acetilazione si verifica negli istoni situati nelle zone di DNA attivamente trascritto e rende più efficiente il legame del DNA con i fattori di trascrizione. Altri processi potrebbero tuttavia avere un ruolo nelle modificazioni strutturali della cromatina durante l’attivazione o la repressione genica, quali, per es., la regolazione dell’attività dell’istone H1 che ha un ruolo cruciale nella formazione della fibra di 30 nm della cromatina. Nelle cellule eucariotiche, inoltre, esiste un gruppo diversificato di proteine non istoniche, dette proteine del gruppo ad alta mobilità, che sono relativamente abbondanti e hanno la capacità di legarsi al DNA; si ipotizza un loro coinvolgimento nella modificazione della conformazione della cromatina.

Modelli di controllo epigenetico. – Alcuni modelli di controllo epigenetico di geni, che elenchiamo di seguito, possono contribuire alla comprensione del fenomeno.

Effetto di posizione. Si parla di effetto di posizione quando l’attività di un gene dipende dalla posizione che esso occupa nel genoma. Nel lievito Saccharomyces cerevisiae, per es., se alcuni geni sono spostati dalla localizzazione originaria del genoma e riposizionati vicino ai telomeri, la loro trascrizione viene spenta anche se la cellula contiene tutte le proteine necessarie perché essa possa verificarsi.

Geni polycomb. In Drosophila melanogaster sono stati identificati geni chiamati polycomb (Pc) che, se mutati, non permettono l’espressione di alcuni geni omeotici coinvolti nello sviluppo dell’insetto. Le proteine codificate da Pc costituiscono un complesso, chiamato Pc-G (polycomb-group), formato da più subunità che sono in grado di inibire l’espressione di specifici geni bersaglio inducendo la formazione di tratti di cromatina silente.

Compensazione di dosaggio e imprinting genomico. Queste due forme di regolazione dell’espressione dei geni vengono considerate esempi di eredità epigenetica, ossia di un modello di eredità non mendeliana nel quale una modificazione di un gene o di un cromosoma può alterarne l’espressione senza che le conseguenze di questo evento permangano nelle successive generazioni. Queste modificazioni epigenetiche, pur influenzando il fenotipo dell’individuo, non si mantengono nel corso delle successive generazioni; nel momento della produzione dei gameti, infatti, il gene si può riattivare e rimanere poi operativo per tutta la vita in un discendente che lo erediti in questa forma. La compensazione di dosaggio indica il fenomeno per cui il livello di espressione di molti geni localizzati sui cromosomi sessuali è quasi lo stesso in entrambi i sessi, anche se i maschi e le femmine hanno un differente corredo di cromosomi sessuali. Per fare in modo che, nelle femmine, i geni legati al cromosoma X abbiano lo stesso livello di espressione rispetto ai maschi, anche se i maschi hanno un cromosoma X in meno, le strategie nelle varie specie sono diverse. In Drosophila, i prodotti dei geni legati al cromosoma X nel maschio sono espressi in quantità doppia. Nei Mammiferi (topo, uomo) si è evoluto un meccanismo mediante il quale uno dei due cromosomi X della femmina viene quasi completamente inattivato in modo permanente. Nell’embrione umano l’inattivazione si verifica allo stadio di blastocisti quando l’embrione è costituito da circa 200-400 cellule. L’altro esempio di eredità epigenetica, l’imprinting genetico o genomico, riguarda alcuni geni autosomici, il cui livello di espressione viene modificato durante la formazione dei gameti. Le cellule somatiche dello zigote serbano la memoria delle modificazioni avvenute in uno dei gameti parentali e sono pertanto marcate (imprinted). L’imprinting condiziona l’espressione del gene paterno o materno in quell’individuo, ma non nei discendenti. Sulla base dei principi mendeliani, dato che ciascun genitore fornisce alla progenie metà del numero dei cromosomi, si è creduto per lungo tempo che entrambi i genitori fornissero un uguale contributo genetico, ossia che l’espressione di un certo carattere non dipendesse dal sesso del genitore dal quale esso derivava. Studi alla fine del 20° sec. hanno dimostrato che alcuni geni, o tratti di cromosomi, sono invece imprinted, per cui alleli ereditati dal padre sono espressi in maniera diversa da quelli corrispondenti ereditati dalla madre. Prove convincenti dell’imprinting genetico derivano dagli studi delle prime fasi di sviluppo degli embrioni murini. Poiché nelle cellule uovo fecondate di topo è facile distinguere il pronucleo maschile da quello femminile, sperimentalmente si può rimuovere uno dei due pronuclei, per es. quello paterno, e se ne può inserire un altro di origine materna. Si formano così embrioni con genomi solo materni, detti ginogenetici, che si accrescono più o meno regolarmente per un certo tempo senza sviluppare però le strutture extraembrionali. Se sono presenti invece due genomi paterni, l’embrione (androgenetico) non si forma, anche se vi sono le membrane extraembrionali. Dal momento che nessuna di queste situazioni è compatibile con uno sviluppo embrionale e fetale normale, risulta evidente che i due genomi danno contributi necessari e funzionalmente distinti all’embriogenesi. Numerose evidenze dimostrano che l’espressione differenziale dei geni nel fenomeno dell’imprinting è collegata alla metilazione del DNA, causa di inattivazione della trascrizione durante la gametogenesi maschile e femminile. In modelli sperimentali, quali topi transgenici in cui è stata inattivata la DNA-metiltransferasi, si è osservata la morte precoce degli embrioni in conseguenza della riduzione del 95% della metilazione. Questo esperimento, pur essendo molto significativo, non dimostra tuttavia se la metilazione sia la causa dell’imprinting o se mantenga semplicemente lo stato imprinted del gene una volta che il fenomeno si sia verificato. Tratti di genoma suscettibili di imprinting possiedono un centro di inattivazione che durante la maturazione delle cellule germinali agisce attraverso una metilazione di dinucleotidi CpG (citosina-p-guanina, ove p indica un legame fosfodiesterico); sotto l’influsso del centro di inattivazione viene modificato un intero tratto di cromatina, con il risultato che il dispositivo di trascrizione non ha più accesso ai geni interessati, come avviene nella regione di controllo di locus (LCR, Locus control region) della famiglia genica delle globine; non si sa tuttavia come il centro di inattivazione possa influenzare la struttura di un lungo tratto di cromatina. L’imprinting è presente nei Mammiferi ma non negli altri Vertebrati e ci si domanda pertanto quale possa essere il suo vantaggio evolutivo. Probabilmente, sia il controllo della crescita del feto sia le relazioni materno-fetali sono stati le forze selettive che hanno agito sull’instaurarsi dell’imprinting nei Mammiferi, lo sviluppo dei quali è essenzialmente caratterizzato dalla presenza della placenta, che permette le interazioni fra l’embrione e la madre. Particolarmente interessanti sono le analogie che l’imprinting presenta con l’inattivazione del cromosoma X: il meccanismo inattiva uno dei due cromosomi di una cellula diploide; l’inattivazione avviene specificamente nel cromosoma X paterno a livello del tessuto placentare ed è invece casuale nei tessuti embrionali; il prodotto di XIST, un gene coinvolto nell’inattivazione del cromosoma X, e il prodotto di alcuni geni coinvolti nell’imprinting del topo, è un RNA non codificante che esplica la sua azione sui geni localizzati sullo stesso cromosoma; la metilazione, essenziale per l’imprinting, è anche il meccanismo che regola l’espressione di XIST.