EQUAZIONI

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

EQUAZIONI (XIV, p. 132)

Francesco G. TRICOMI

Daremo qui di seguito una rapida visione sintetica dei principalissimi progressi conseguiti nell'ultimo trentennio e dei nuovi punti di vista affermatisi in quei vitali rami dell'analisi matematica dominati dal concetto di "equazione" e, più precisamente, nei campi seguenti: 1) equazioni algebriche e sistemi di esse; 2) equazioni differenziali ordinarie; 3) equazioni a derivate parziali; 4) equazioni integrali.

1. Equazioni algebriche e sistemi di esse. - In questo campo, nell'ultimo trentennio si sono registrati progressi soprattutto nei metodi di risoluzione numerica dei problemi di maggior interesse applicativo e, specialmente, dei sistemi di molte e. lineari a più incognite, che s'incontrano in applicazioni di grande importanza pratica. Nello studio dei sistemi lineari (di n equazioni ad n incognite) è ormai molto in uso la notazione matriciale (cfr. matrice, XXII, p. 572), che permette, fra l'altro, una scrittura assai abbreviata. Così il sistema

detti x e b i vettori a n dimensioni (XXXV, p. 278) aventi rispettivamente per componenti x1, x2, ..., xn e b1, b2, ..., bn ed A l'omografia vettoriale corrispondente alla matrice [ars], può brevemente scriversi

Inoltre questa notazione rende particolarmente perspicue alcune trasformazioni. Per esempio, per trasformare il sistema [1] alla maniera di Gauss non v'è che da applicare ad ambo i membri della [2] l'omografia Ā corrispondente alla matrice trasposta [asr]. Invero il nuovo sistema così ottenuto:

scritto nella maniera consueta, per la regola di moltiplicazione delle matrici, prende l'aspetto:

ed è appunto il trasformato gaussiano del sistema [1].

Poiché la risoluzione numerica dei sistemi del tipo [1] coi metodi classici (formule di Cramer, metodo di sostituzione, ecc.) diventa praticamente impossibile quando n è maggiore di 4 o 5, mentre i problemi applicativi cui si è più sopra accennato conducono anche a sistemi di centinaia di e., in questi ultimi tempi si sono avute molte ricerche dirette a facilitare la risoluzione di sistemi siffatti con l'ausilio delle moderne calcolatrici elettroniche, che trovano in ciò una delle loro più importanti applicazioni. Inoltre vi sono anche macchine analogiche appositamente studiate per la risoluzione diretta di sistemi del tipo [1], ma l'approssimazione da esse fornite è generalmente modesta.

Fra i metodi di risoluzione numerica dei sistemi del tipo [1] ha prevalente importanza quello di T. Banachiewicz (1938), che riesce a ricondurre il sistema [1] a più sistemi a scala (di risoluzione immediata), cioè aventi come matrice dei coefficienti delle matrici triangolari (inferiori o superiori), vale a dire delle matrici in cui tutti gli elementi al di sopra (risp. al di sotto) della diagonale principale sono nulli.

Questo metodo è fondato anzitutto sull'osservazione che, se vale la relazione matriciale

dove [crs] è una qualsiasi matrice quadrata a determinante non nullo; il sistema [1] e quello analogo coi coefficienti ar′s e i termini noti br′ risultano equivalenti in virtù delle uguaglianze

(e delle analoghe in cui le veci dei due sistemi sono invertite e la matrice [crs] è sostituita dalla sua inversa) che immediatamente discendono dalla regola di moltiplicazione delle matrici.

In secondo luogo, ci si avvale del fatto che la decomposizione [4] della matrice a primo membro è sempre possibile (e in modo unico) imponendo le restrizioni che la matrice [crs] sia una matrice triangolare inferiore, e quella delle [ar′s] sia una matrice triangolare superiore, avente inoltre tutti gli elementi principali uguali a −1; ciò che permette di sostituire al sistema dato il sistema

la cui risoluzione (cominciando dal basso) è immediata. Per di più accade che i calcoli necessarî per la determinazione effettiva delle ar′s e delle br′ (nonché delle crs) richiedono sì la risoluzione di altri sistemi di e. lineari a molte incognite, ma si tratta sempre di sistemi a scala, immediatamente risolubili in modo analogo a quello ora accennato pel sistema [5].

Precisamente si trova (sempre per la regola di moltiplicazione delle matrici) che - detto m un qualsiasi intero positivo minore di n - se si sono già determinate le ar′s, br′, cr′s, con indici non superiori ad m, la determinazione delle analoghe quantità immediatamente successive, cioè con indici non superiori ad m + 1, si effettua risolvendo anzitutto, uno dopo l'altro, i due sistemi a scala

e servendosi poi delle formule esplicite

Varî accorgimenti, su cui non è qui il luogo di soffermarsi, facilitano la programmazione dei successivi calcoli e il loro controllo, passo per passo.

Lo spazio non consente di accennare ad altri metodi per la risoluzione dei sistemi del tipo [1], che possono rivelarsi più utili in particolari casi, per esempio il procedimento di approssimazioni successive di R. V. Southwell ("the worst first": "cominciare dal peggio") che, presentato in un primo tempo con sole giustificazioni sperimentali, è stato poi dimostrato convergente da G. Temple (1939), nell'ipotesi che il sistema di partenza sia stato posto sotto la forma gaussiana [3].

2. Equazioni differenziali ordinarie. - La teoria delle e. differenziali ordinarie (e relativi sistemi) ha subìto dal principio di questo secolo una profonda trasformazione, accentuatasi in questi ultimi anni, che ha portato ad abbandonare quasi completamente i precedenti, spesso poco fruttuosi tentativi di "ridurre alle quadrature" certe classi, che si cercava di rendere le più ampie possibili, di date e. differenziali. Oggi si tende invece a "leggere" direttamente. sull'e. le principali proprietà qualitative delle sue soluzioni (o integrali che dir si voglia) e a sviluppare dei metodi efficienti per il calcolo numerico degli integrali soddisfacenti, oltre all'e., a certe condizioni accessorie.

Lasciando da parte la seconda questione - che costituisce uno degli scopi essenziali della moderna analisi numerica (v. numerici, calcoli, in questa App.) - si osservi in primo luogo che le ricerche del primo tipo possono farsi risalire ai varî metodi (delle approssimazioni successive, delle maggioranti, ecc.) escogitati per dimostrare il fondamentale teorema di esistenza ed unicità delle e. differenziali ordinarie, cioè - ponendoci nelle condizioni più semplici possibili - che, sotto certe ipotesi per la funzione f(x, y), esiste uno ed un solo integrale y = ϕ(x) dell'e. differenziale

soddisfacente alla condizione iniziale ϕ(x0) = y0.

Un risultato classico (Peano, 1886) in questo indirizzo è che per l'esistenza (ma non, in generale, per l'unicità) dell'integrale in parola è sufficiente che la funzione f(x, y) sia "continua" nell'intorno del punto P0 ≡ (x0, y0); mentre per l'unicità non basta più la continuità e si deve aggiungere, per esempio, l'ipotesi che la funzione f, pensata come funzione di y, soddisfi alla cosiddetta condizione di Lipschitz, cioè che esista una costante positiva A tale da aversi sempre (nell'intorno di P0)

Il teorema si estende facilmente alle e. di ordine superiore (risolute rispetto alla derivata di ordine più alto) e, più generalmente, ai sistemi differenziali normali di ordine n, cioè ai sistemi della forma

dove y1, y2, ..., yn sono n funzioni incognite della variabile x; sistemi che, usando della precedente notazione vettoriale-matriciale, possono più concisamente scriversi

intendendo che f(x, y) denoti un vettore dipendente (in modo noto) dallo scalare x e dal vettore incognito y. In particolare un sistema lineare (omogeneo) puo scriversi

essendo Ax un'omografia vettoriale dipendente (in generale) da x, cioè corrispondente ad una matrice [ars(x)] ad elementi funzioni di x.

Fino a pochi anni or sono, solo per questi sistemi lineari si riusciva ad andare considerevolmente più in là dell'accennato teorema di esistenza ed unicità. Ora invece, sotto la spinta potente della meccanica non lineare (di capitale importanza in questi tempi di automazione), si cominciano a studiare anche sistemi ed e. non lineari, che però offrono difficoltà enormemente maggiori di quelli lineari, perfino nel caso, relativamente semplice, della famosa "equazione di van der Pol", che è basilare nella moderna elettronica.

Per farsi un'idea di tali difficoltà basti considerare che solo in questi ultimi anni (I. G. Petrovski e E. M. Landis, 1955) si è potuto finalmente stabilire che il numero massimo (effettivamente raggiunto) dei "cicli limiti" (cioè, essenzialmente, delle soluzioni rappresentate da curve chiuse) di un sistema differenziale della forma

dove P e Q denotano due polinomî di secondo grado in x e y, è, sotto certe condizioni, tre. Se però P e Q, pur essendo sempre dei polinomî, sono di grado superiore al 2°, il numero massimo dei cicli limiti possibili non è ancora esattamente conosciuto.

Più antiche e più avanzate sono invece le ricerche sui punti singolari di un sistema del tipo [8], cioè sui punti in cui P e Q (non più necessariamente polinomî) si annullano entrambi; per esempio, supponendo che uno di tali punti sia l'origine O e che possa porsi

dove A, B, C, D denotano certe costanti (non tutte nulle) mentre i puntini denotano dei termini meno importanti (in un senso ben precisato) di quelli esplicitamente scritti. Già J.-H. Poincaré (1881) e Bendixson (1901) trovarono che, purché sia ADBC≠0, le curve integrali del sistema non possono dar luogo (nell'intorno di O) che a quattro configurazioni ben determinate, cui si associano i nomi di nodo, colle, fuoco e centro. Se però è ADBC=0, possono anche aversi configurazioni del tutto diverse (promontorio, colle stretto, ecc.) e solo molto recentemente (K. A. Keil e, indipendentemente, A. F. Andreev, 1955) si è cominciato a veder chiaro in questo caso. Per questo e altro può utilmente consultarsi il recente libro di G. Sansone e R. Conti cit. nella Bibliografia.

Nel campo lineare, in questi ultimi anni si sono sviluppati specialmente "studî asintotici", cioè ricerche tendenti a determinare a priori il comportamento degli integrali di una data equazione (o di alcuni di essi) quando tende all'infinito (poniamo) la variabile indipendente o qualche parametro figurante nei coefficienti dell'e. o nelle condizioni accessorie, ecc.

Un tipico problema di questo tipo è lo studio del comportamento degli integrali dell'e. lineare del second'ordine

al tendere a + ∞ del parametro λ. Se ci troviamo in un intervallo in cui sia sempre r(x) > 0 oppure r(x) 〈 0, la risposta al quesito è ben facile e nota da tempo: si ha comportamento oscillatorio nel primo caso (con onde tanto più corte quanto più λ è grande) e comportamento monotòno nel secondo caso. Invece, se l'intervallo contiene un punto "di transizione", attraversando il quale cambia il segno di r(x), le cose sono un po' più complicate e solo di recente si è cominciato a vederci chiaro. Si può utilmente consultare al riguardo un rapporto di A. Erdélyi nei rendiconti del Congresso internazionale dei matematici di Amsterdam (1954) e i libri cit. nella Bibliografia.

3. Equazioni a derivate parziali. - Ancor più che nella teoria delle e. differenziali ordinarie, in quella delle e. a derivate parziali, già da molti decennî sono stati quasi completamente abbandonati i tentativi di ottenere "integrali generali" (contenenti una o più funzioni arbitrarie e consimili). Invero si constatò che, anche quando, con più o meno fatica, si riusciva a trovare integrali siffatti, non era raro il caso che essi si rivelassero di ben scarsa utilità per la risoluzione degli effettivi problemi sorgenti dalle applicazioni che, di regola, accanto ad un'e. a derivate parziali, pongono certe condizioni accessorie (condizioni "al contorno" e simili) che debbono essere simultaneamente soddisfatte. Si è così gradualmente imposta la necessità di considerare fin dal principio l'e. più certe condizioni accessorie e, in primo luogo, di decidere quali condizioni di questo genere siano atte a individuare una (o più) determinate soluzioni dell'e., fra le infinite che essa possiede.

In connessione con ciò si è rivelata di basilare importanza una classificazione in varî tipi delle e. a derivate parziali d'ordine superiore al primo (quelle di prim'ordine hanno scarse applicazioni fisiche) che riesce particolarmente semplice e perspicua nel caso di e. "semilineari" di second'ordine in due variabili indipendenti, cioè nel caso di e. della forma:

Considerato che l'e. differenziale delle caratteristiche della [10], d'importanza fondamentale, è

si vede che, nel campo reale (che è quello che interessa principalmente la fisica), sono da distinguere quattro casi a seconda del segno del discriminante:

cioè secondoché, nella regione considerata del piano (x, y), a) è sempre D 〈 0, b) è sempre D > 0, c) D è identicamente nullo, d) D cambia di segno nella regione considerata.

a) Se è sempre D 〈 0, nella regione considerata non ci sono caratteristiche reali e l'e. si dice di tipo ellittico. Le e. di tipo ellittico, di cui è prototipo la celebre equazione di Laplace

dominano, dal punto di vista fisico, i fenomeni di livellamento (Ausgleichvorgänge) e di equilibrio (termico, elettrico, ecc.) nonché i movimenti di fluidi a velocità minori di quella del suono. In connessione con ciò accade che, di regola, le loro soluzioni sono almeno altrettanto "regolari" quanto i coefficienti dell'equazione. In particolare le funzioni armoniche - cioè le soluzioni continue dell'equazione di Laplace (i cui coefficienti sono costanti) - sono tutte funzioni analitiche, cioè funzioni (indefinitamente derivabili) rappresentabili mediante le loro serie di Taylor.

Quanto alle condizioni accessorie atte a determinare univocamente una soluzione "regolare" di un'e. di 2° ordine di tipo ellittico, ne fornisce un tipico esempio il fatto che, salvo casi eccezionalissimi, il "problema di Dirichlet" per le funzioni armoniche ha una ed una sola soluzione. Accade cioè che (salvo in casi del tutto eccezionali) esiste una ed una sola funzione armonica in un dominio (cioè in una certa regione del piano) assumente assegnati valori sul contorno di questo.

La dimostrazione dell'unicità è molto facile ma invece quella dell'esistenza è piuttosto ardua e - soprattutto nel caso dell'equazione di Laplace in tre o più variabili - solo in questi ultimi anni si è potuto conseguire in modo del tutto soddisfacente, cioè senza eccessive complicazioni e senza condizioni inutilmente restrittive per la frontiera del dominio e i valori assegnati su di essa.

Fervono tuttora gli studî per estendere risultati di questo genere ad e. di tipo ellittico più generali di quella di Laplace - anche di ordine (necessariamente pari) superiore al secondo - e questioni connesse, per es. limitazioni a priori dei valori assoluti delle soluzioni, in base ad analoghe limitazioni per i coefficienti dell'e. e le funzioni che figurano nelle condizioni al contorno, ecc.

b) Se, nella regione che si considera, è sempre D > 0, per ciascun punto di essa passano due caratteristiche reali e l'e. si dice di tipo iperbolico.

Le e. iperboliche hanno come prototipo l'equazione delle onde: Δ2u−α2utt = 0, essendo α2 una costante, che, nel caso più semplice possibile (u dipendente, oltre che dal tempo t, da una sola coordinata spaziale x) si scrive

Dal punto di vista fisico, tali e. dominano i fenomeni di propagazione; come, nel caso della [11], appare ben chiaro osservando che essa si può soddisfare ponendo

dove Φ denota una funzione arbitraria del suo argomento: t − αx.

Invero, in un fenomeno dominato dalla [12], quello che avviene (cioè il valore di u) al tempo t1 all'ascissa x1 è lo stesso di quello che avviene al tempo t2 all'ascissa x2, purché sia t1 − αx1 = t2 t2 − αx2, cioè sia

Si ha dunque una propagazione di onde con la velocità 1/α.

Considerato però che la [11] può anche soddisfarsi con una funzione arbitraria di t + αx, o con una somma di una funzione siffatta e una del tipo [12], le cose non sono sempre tanto semplici come nel caso precedente e lo studio delle e. iperboliche - pur essendo, in generale, più facile di quello delle e. di tipo ellittico - non si esaurisce sempre con mezzi così elementari.

Quanto alle condizioni accessorie atte ad individuare una soluzione di un'e. di tipo iperbolico (di 2° ordine, in due variabili indipendenti), esse sono alquanto diverse da quelle valide per le e. di tipo ellittico e presentano una maggiore varietà. Un esempio tipico di esse è: dare le "condizioni di Cauchy" (cioè la funzione e una delle sue derivate prime) su di un arco di curva che non sia una caratteristica e sia incontrato da ciascuna di queste in uno ed un sol punto.

c) Le e. di tipo parabolico, per cui è D ⊄ 0, dominano i fenomeni di diffusione (del calore o di altro) e sono caratterizzate dal fatto che, per ciascun punto della regione del piano che si considera, passa una sola caratteristica (doppia). Il prototipo di esse e la più importante è l'e. del calore (in due variabili):

che, a differenza delle precedenti, non resta invariata cambiando segno ad una delle variabili, cioè cambiando t in − t. A ciò corrisponde, dal punto di vista fisico, il fatto importantissimo che i corrispondenti fenomeni hanno carattere di irreversibilità, cioè che, ad esempio, il calore può passare da un corpo caldo ad un corpo freddo ma non viceversa.

L'e. del calore [13] (e sue generalizzazioni con più di due variabili) ha, fra l'altro, un ruolo importante nella progettazione delle dighe, ché, contrariamente a quello che si potrebbe credere a priori, gli sbalzi di temperatura possono creare in queste sforzi interni anche maggiori di quelli provocati, per es., dalla variabilità del livello dell'acqua nel bacino di ritenuta.

d) Diciamo infine poche parole sulle e. di tipo misto, in cui il discriminante D cambia di segno nella regione considerata e, corrispondentemente, le caratteristiche sono in parte reali e in parte immaginarie.

Il prototipo di queste e. - il cui studio è cominciato solo nel 1921 - è l'e. di Tricomi:

(ellittica nel semipiano y > 0 ed iperbolica nel semipiano y 〈 0) che domina (in prima approssimazione) i fenomeni dell'aerodinamica transonica, in cui si raggiunge e sorpassa la velocità del suono (nell'aria circa 1200 km/h), cioè i fenomeni del cosiddetto "muro del suono". Lo studio di tali fenomeni è però ancora assai incompleto e, in ispecie, non è ancora ben chiaro se nel flusso transonico attorno ad un ostacolo (per es. l'ala di un aereo) debbano necessariamente o no presentarsi delle discontinuità: le cosiddette "onde d'urto", che si presentano abitualmente nei casi concreti.

4. Equazioni integrali. - Accanto alle e. differenziali, hanno notevole importanza in analisi le e. integrali, in cui la funzione incognita figura anche sotto il segno d'integrazione. La più semplice ed importante di tali e. è l'equazione di Fredholm di seconda specie:

dove ϕ è la funzione incognita, che si presenta in svariati problemi.

Gli studî più recenti su tale e. (e sua generalizzazione in più variabili) mirano soprattutto ad allargare il più possibile il campo di validità di tre celebri teoremi per essa stabiliti dal Fredholm nel 1900, nell'ipotesi che il nucleo K (x, y) fosse continuo; considerato che, non di rado, le applicazioni conducono ad e. del tipo [15] con nuclei non limitati.

Tali teoremi da cui, fra l'altro, discende l'importantissimo principio dell'alternativa (l'e. [15] è risolubile "qualunque" sia f(x), allora e solo allora che la corrispondente e. omogenea, cioè quella in cui è f ⊄ o, ha soltanto la soluzione banale ϕ ⊄ 0), possono attualmente ritenersi validi sotto la poco restrittiva ipotesi che il nucleo K sia "a quadrato sommabile", cioè esista (almeno nel senso di Lebesgue, vedi XIX, p. 370, n. 22) l'integrale doppio

Altre moderne ricerche riguardano certe classi di e. "non lineari" del tipo

(A. Hammerstein, 1930) ed e. "singolari", per es. equazioni del tipo

dove l'asterisco denota il valor principale dell'integrale secondo Cauchy (T. Carleman, 1922). Recentemente queste ultime e. (e più generali) sono state studiate specialmente da A. Zygmund e dalla scuola russa (N. I. Muschelišvili e coll.) a partire dal 1934.

Bibl.: E. Bodewig, Matrix Calculus, 2ª ed., Amsterdam 1959; C. Lanczos, Applied analysis, New York 1956; E. Kamke, Differentialgleichtungen. Lösungsmethoden und Lösungen, I, Lipsia 1943; F. G. Tricomi, Equazioni differenziali, 2ª ed., Torino 1953; G. Sansone e R. Conti, Equazioni differenziali non lineari, Roma 1956; S. Lefschetz, Differential equations: Geometric Theory, New York 1957; C. Miranda, Equazioni alle derivate parziali di tipo ellittico, Berlino 1955; F. G. Tricomi, Equazioni a derivate parziali, Roma 1957; R. Sauer, Anfangswertprobleme bei partiellen Differentialgleichungen, 2ª ed., Berlino 1958; F. G. Tricomi, Integral equations, New York 1957; id., ed. litografica in lingua italiana, Torino 1958; S. G. Mikhlin, Integral equations and their applications etc., Londra 1957.

TAG

Equazioni alle derivate parziali

Condizione di lipschitz

Equazione di fredholm

Sistemi differenziali

Problema di dirichlet