EQUILIBRIO

Enciclopedia Italiana (1932)

EQUILIBRIO (dal lat. aequilibrium; ted. Gleichgewicht)

Bruno FINZI
Giovanni MALQUORI
Aroldo DE TIVOLI
Federico *RAFFAELE
Vittorio CHALLIOL
Gino BORGATTA
Walter MATURI

È un concetto di origine meccanica; ma dalla meccanica è poi passato, con successive estensioni, nella fisica, nella chimica, nell'economia.

Equilibrio meccanico.

V. la voce statica (v. inoltre dinamica; elasticità); qui ci limitiamo a qualche breve cenno.

Per cominciare dal caso più semplice possibile, si consideri un corpicciuolo tanto piccolo da poter essere assimilato a un punto o, come si suol dire, un "punto materiale", e s'immagini che sia assoggettato a più forze, p. es. al peso e a varie trazioni in direzioni diverse. Si dice che il punto materiale sotto l'azione delle forze considerate "è in equilibrio" o anche che queste forze "si fanno equilibrio" o "sono equilibrate", se, qualora il punto sia inizialmente in quiete, codeste forze sono atte a mantenervelo perennemente. Di qui risulta che un punto il quale sotto l'azione di date forze rimanga in quiete è certamente in equilibrio; ma non reciprocamente, perché le forze che agiscono su di un punto possono benissimo avere l'attitudine potenziale a mantenerlo in quiete, quando esso già vi sia inizialmente, senza che il punto rimanga effettivamente immobile. Se il punto, nell'istante in cui le forze equilibrate hanno cominciato ad agire su di esso, possedeva già una certa velocità, la conserva inalterata sotto l'azione di tali forze e si muove di moto rettilineo uniforme (v. cinematica). Si può anche dire che si fanno equilibrio quelle forze che, applicate a un punto, non gl'imprimono nessuna variazione di velocità, cioè nessuna accelerazione (v. cinematica, n. 11). Affinché un punto materiale sia in equilibrio occorre e basta che sia nulla la risultante di tutte le forze agenti su di esso (cioè la somma geometrica dei vettori, che rappresentano codeste singole forze).

Tutto ciò nel caso di un punto libero di muoversi comunque nello spazio; ma può darsi che il punto sia vincolato, per es. costretto a muoversi su di una data superficie o lungo una data linea. Quando il punto sia sollecitato da forze, i vincoli esercitano su di esso certe azioni; in meccanica si ammette (v. dinamica) che tali azioni siano schematizzabili con certe forze, le quali si dicono reattive o vincolari, in contrapposto a quelle attive o direttamente applicate. Naturalmente, un punto vincolato e sollecitato è in equilibrio sempre e solo quando sia nulla la risultante delle forze attive e reattive agenti su di esso (o, se si vuole, quando la risultante delle forze attive sia uguale e opposta a quella delle forze reattive).

Si passa ai sistemi materiali quali si vogliono corpi, pensandoli, secondo la norma generale che regge la meccanica razionale, quali aggregati (discreti o continui) di punti materiali. Su ciascuno di questi punti, costituenti il corpo, bisogna pensare agenti non solo le forze attive (comprese le eventuali azioni molecolari fra particelle contigue), bensì anche le forze reattive, che schematizzano i vincoli; e il corpo è in equilibrio, se tale risulta ogni suo singolo punto sotto l'azione complessiva delle forze che agiscono su di esso.

In pratica, per riconoscere se un dato corpo, in date condizioni di sollecitazione, sia in equilibrio, si cerca di evitare l'analisi del comportamento locale (cioè punto per punto) delle varie forze, sostituendovi criterî quanto più semplici e comprensivi è possibile. Così, come conseguenze del principio generale di reazione (v. dinamica), si hanno le "condizioni cardinali dell'equilibrio" (equivalenza a zero del sistema di vettori applicati, che rappresentano le forze esterne). Queste condizioni, che sono necessarie per l'equilibrio di sistemi materiali quali si vogliono, sono anche sufficienti nel caso particolarmente interessante dei solidi. Un corpo rigido libero, che sia in quiete, vi si mantiene perennemente, quando sia assoggettato a forze esterne, aventi somma geometrica e momento nulli; ed è questo il sistema equilibrato per eccellenza.

Quanto più un sistema è vincolato, tanto meno restrittive risultano le condizioni di equilibrio; così è, in particolare, che nel caso tipico di un solido girevole intorno a un asse fisso (in cui rientrano i varî tipi di leve e la maggior parte delle bilance) basta per l'equilibrio che sia nullo il momento risultante delle forze esterne rispetto all'asse.

Più in generale, se si tien conto che, nel caso di un qualsiasi sistema vincolato, le condizioni di equilibrio implicano le forze attive, e che queste sono generalmente incognite, in quanto per lo più si conoscono per dato le modalità di realizzazione dei vincoli, non le reazioni corrispondenti, ben si comprende come si sia cercato qualche procedimento che permetta di eliminare in ogni caso, per così dire automaticamente, codeste reazioni, per quanto siano svariati e complessi i dispositivi che realizzano i vincoli. Un tale procedimento è fornito, nel caso ideale dei vincoli lisci (cioè privi di attrito), dal principio dei lavori virtuali (per cui v. statica). Qui ci limitiamo a rilevare che da codesto principio risulta che per l'equilibrio di un sistema a vincoli lisci la condizione caratteristica è che sia nullo il lavoro delle forze attive per ogni spostamento virtuale reversibile (v. cinematica, n. 39). Se esiste una funzione dello stato del corpo, la cui variazione, per qualsiasi spostamento virtuale, sia opposta al lavoro compiuto dalle forze attive, questa funzione rappresenta l'energia potenziale; quando tale variazione è nulla il corpo è in stato d'equilibrio. Così, ad es., un corpo pesante è in equilibrio nelle posizioni in cui il suo baricentro ha quota massima o minima. E la nozione di equilibrio si può illustrare con qualche altro esempio. Si consideri un corpo in movimento: in ogni istante si fanno equilibrio, in virtù dei vincoli, le forze attive e quelle d'inerzia (principio del d'Alembert). Questo principio permette d'impostare ogni problema dinamico come un problema statico (v. alembert; dinamica). Un campo sia mantenuto da cariche elettriche; esso è in equilibrio quando le forze che si destano nel campo conferiscono il ministro valore all'energia elettrica. Si abbia un sistema costituito da masse omogenee (fasi), formate da determinati componenti. Tra queste possono avvenire reazioni chimiche, scambî di calore, ecc., così da mutare la composizione di ognuna. Lo stato di ogni fase è caratterizzato dalle condizioni termiche e dalla composizione. Se il sistema è isolato, è configurazione di equilibrio quella per cui, avendo tutte le fasi la stessa temperatura, è nullo l'incremento di energia interna per ogni modificazione virtuale reversibile. Ciò comporta che in tutte le fasi si abbia la stessa pressione, e che il potenziale chimico di ogni sostanza sia lo stesso. Se il sistema, pur non essendo isolato, è a temperatura costante, sia che le forze esterne non compiano lavoro, sia che queste siano conservative, esiste una funzione dello stato del sistema (differente nei due casi) che ne esprime l'energia potenziale. Sono stati di equilibrio quelli, per cui è nulla la variazione di tale energia per ogni modificazione virtuale reversibile (v. sotto: Equilibrio chimico).

Un corpo sia in quiete in uno stato di equilibrio, e lo si sposti portandolo in un altro stato, abbastanza prossimo al precedente, compatibile coi vincoli. Se il corpo tende sempre a ritornare nello stato primitivo, l'equilibrio si dice instabile. Se, per almeno uno spostamento il corpo tende ad allontanarsi dal primitivo stato, l'equilibrio si dice indifferente, per qualsiasi spostamento, il nuovo stato è ancora di equilibrio, l'equilibrio si dice indifferente. Se esiste una energia potenziale, meccanica o termodinamica, sono stati di equilibrio stabile, oppure instabile, quelli in cui essa è minima, oppure massima. Ad es., per un solido pesante avente un punto fisso, sono posizioni di equilibrio quelle in cui il baricentro giace sulla verticale passante per il punto fisso: stabile, quando il baricentro sta sotto; instabile, quando il baricentro sta sopra al punto fisso. Se il solido è fissato nel baricentro, esso è in equilibrio indiffererente.

Talvolta si è condotti a cercare le condizioni sotto cui un corpo conserva posizione e configurazioni invariate rispetto a un riferimento, il quale si muova con legge data qualsiasi. È questo il cosiddetto equilibrio relativo; e si riconosce che affinché esso sia realizzato occorre e basta che siano equilibrate le forze agenti sul corpo e quelle di trascinamento, ad es. le forze centrifughe, se il riferimento mobile è costituito da un sistema rigido rotante.

Equilibrio chimico.

Mescolando due sostanze A e B capaci di reagire tra loro per dar luogo ad altri due prodotti C e D, si osserva che la reazione non sempre procede in modo completo, ma il processo chimico tende a uno stato di equilibrio che alle stesse condizioni di temperatura, concentrazione, pressione, è ugualmente raggiunto quando si parta dalle sostanze C e D. In ambedue i casi la reazione si arresta e i prodotti finali possono coesistere stabilmente con gli iniziali: il sistema considerato ha raggiunto l'equilibrio chimico.

Un sistema si dice in equilibrio stabile quando è in grado di sopportare entro certi limiti un'azione esterna senza perdere, al cessare di questa, la proprietà di ritornare nelle condizioni iniżiali. Ogni azione che si esplica dall'esterno deve quindi essere diminuita dal sistema; se essa rimanesse inalterata o se la sua entità aumentasse, i limiti imposti dalle condizioni del sistema sarebbero alla fine superati e l'equilibrio distrutto. I sistemi che non diminuiscono l'azione esercitata su di essi sono in falso equilibrio.

Ogni reazione chimica tende a uno stato di equilibrio. Non sempre però si raggiunge in un tempo finito l'equilibrio stabile che è caratterizzato dall'invariabilità ulteriore del sistema in funzione del tempo, bensì, a causa della piccolissima velocità di evoluzione, si stabilisce uno stato di falso equilibrio. In quel che segue sono presi in esame i soli equilibrî stabili.

C. L. Berthollet introdusse per primo (1801) la nozione di equilibrio chimico. La constatazione dell'esistenza di reazioni incomplete e l'influenza che su di esse esercita il rapporto quantitativo delle sostanze che vi prendono parte condusse poi C. M. Guldberg e P. Waage (1867) attraverso le ricerche sperimentali di L. Wilhelmy, F. Malaguti, Ch.-J. Sainte-Claire-Deville, M. Berthelot, L. Péan de Saint-Gilles e altri a formulare una legge semplice che stabilisce l'azione delle masse reagenti. La legge di azione di massa ha trovato più tardi la sua giustificazione termodinamica nei classici lavori di A. F. Horstmann, J. W. Gibbs, J. H. Van 't Hoff.

Se in un recipiente chiuso si riscaldano a una temperatura abbastanza elevata, p. es. 400°-500°, quantità equivalenti di J2 e H2, si osserva che il colore violetto dei vapori di iodio non scompare, neanche dopo un tempo molto lungo, indizio questo che la reazione è incompleta. Riscaldando d'altra parte l'HJ alla stessa temperatura, esso si decompone solo parzialmente in H2 + J2. Le due reazioni di formazione e di decomposizione dell'acido iodidrico non procedono più oltre quando in quelle determinate condizioni sperimentali si è raggiunto l'equilibrio. Così ad esempio, partendo da acido iodidrico, a 448° solo il 21,7% di esso si dissocia in H2 e J2. Alla stessa temperatura la formazione di acido iodidrico da H2 e J2 si arresta quando il miscuglio gassoso ne contiene il 78,3%.

Dato che la composizione del miscuglio gassoso all'equilibrio è la stessa partendo dalla reazione di formazione come da quella di decomposizione, dobbiamo ammettere che le due velocità di reazione, la diretta e l'inversa, siano uguali. Per indicare la reversibilità delle reazioni si usa il simbolo ⇄; nel caso precedente si avrà: H2 + J2 ⇄ 2HJ.

Il sistema considerato ha tutti i suoi costituenti allo stato gassoso: esso possiede identiche proprietà in ogni direzione. Tali sistemi si chiamano omogenei o monofasici. Riscaldiamo ora in un recipiente chiuso del carbonato di calcio. Se è stata scelta una temperatura conveniente, p. es. 850°, esso si dissocia in parte in CaO e CO2. La dissociazione è solo parziale, e la reazione si arresta quando la tensione di anidride carbonica ha raggiunto un valore determinato. Siamo in presenza anche in questo caso di una reazione di equilibrio CaCo3 ⇄ CaO + CO2. Il sistema non e più omogeneo perché vi compariscono: due solidi e un gas. I fenomeni di equilibrio chimico imteressano quindi sistemi omogenei ed eterogenei

Reazioni fra gas. - Consideriamo un miscuglio in parti equivalenti d'idrogeno (H2) e vapori di iodio (J2) contenuti in un volume unitario. Nell'unità di tempo avrà luogo un certo numero di urti fra le molecole di iodio e quelle dell'idrogeno e alcune fra esse si uniranno per formare HJ. Se la concentrazione dell'idrogeno si duplica, raddoppierà il numero di molecole d'idrogeno le quali nell'unità di tempo urteranno quelle dello iodio, e doppia sarà la quantità di acido iodidrico formata. Allo stesso risultato si arriva considerando l'aumento di concentrazione dello iodio. Se si duplicano ambedue le concentrazioni il numero degli urti sarà quadruplicato e così pure la velocità di reazione intesa come quantità di sostanza trasformata nell'unità di tempo. Se ne deduce che la velocità di reazione è proporzionale al prodotto delle concentrazioni (numero di molecole per unità di volume). Per una reazione: A + B ⇄ C + D all'equilibrio le velocità nei due sensi essendo uguali avremo: h1cAcB = h2cCcD da cui:

equazione che esprime la legge d'azione di massa.

Poiché h1 e h2 variano con la temperatura, con la temperatura cambierà anche il valore di K, per cui il rapporto delle concentrazioni è una costante solo se lo si considera a temperatura costarite.

Se diverse specie molecolari compariscono in una reazione chimica con coefficienti superiori a 1, p. es.: nA + mB = n′C + m′D, l'equazione precedente si trasforma in quella più generale:

Le reazioni fra gas possono dividersi in due classi distinte a seconda che esse importano o no variazione di volume (o di numero di molecole). Dove non si verifica variazione di volume come nella scomposizione e formazione dell'acido iodidrico 2HJ ⇄ H2 + J2, la costante della legge delle masse espressa in funzione delle concentrazioni è uguale a quella espressa in funzione delle pressioni parziali (proporzionali alle concentrazioni):

La costante può essere determinata conoscendo il grado di dissociazione x (frazione di molecola dissociata). Sia v il volume che contiene una grammo di molecola HJ e sia x il grado di dissociazione a una temperatura stabilita e costante; le concentrazioni dei costituenti il sistema all'equilibrio saranno:

Nelle reazioni gassose che appartengono alla seconda classe ha luogo variazione di volume (o di numero di molecole). Cosi p. es.:

Per queste reazioni Kp è diverso da Kc come risulta dalla seguente considerazione. Sia una reazione della prima classe:

Se consideriamo invece una reazione della seconda classe:

Il valore di Kc si ricava in questo secondo caso conoscendo il grado di dissociazione x e il volume totale del miscuglio gassoso all'equilibrio.

La costante di equilibrio può essere espressa in funzione del rapporto fra le concentrazioni, in molecole per litro [Kc], fra le pressioni parziali [Kp], fra i volumi o le frazioni molecolari, cioè il numero di grammo-molecole di un costituente del sistema diviso per il numero totale di grammo-molecole di tutti i costituenti [Kv]. Per le reazioni della seconda classe i valori di Kc, Kp, Kv differiscono, e fra di loro intercorrono le seguenti relazioni: Kp = Kc (RT)n = KvPn dove P è la pressione totale del sistema all'equilibrìo; n la differenza fra i numeri di molecole dei due membri dell'equazione di reazione. Esempî:

Kc, Kp, Kv, a una data temperatura non dipendono, come si è visto, dalla pressione se n = 0 (reazioni della prima classe),; se n ≠ 0 (reazioni della seconda classe), Kp, è indipendente dalla pressione totale di equilibrio mentre non lo è Kv. Per le reazioni della seconda classe la dissociazione aumenta quindi con il diminuire della pressione. Ciò è mostrato dai seguenti risultati che si riferiscono alla reazione: N2O4 ⇄ 2NO2 a 49°,7.

Nelle precedenti considerazioni si è ammesso che i costituenti debbono seguire le leggi dei gas perfetti. Questa ammissione non è esatta, e per sistemi sottoposti a fortissime pressioni conduce a risultati assai discordanti dall'esperienza. Tuttavia l'errore sperimentale che importa l'ordinaria misura degli equilibrî a pressioni non elevate è maggiore di quello che si commette considerando i costituenti come gas perfetti.

Per la dimostrazione termodinamica della legge delle masse occorre tener presente che qualsiasi trasformazione isotermica e reversibile fornisce una determinata quantità di lavoro che dipende esclusivamente dagli stati iniziale e finale (v. termodinamica). Sia contenuto in un opportuno recipiente (v. affinità) il miscuglio H2 + J2 ⇄ 2HJ all'equilibrio. Le concentrazioni dei costituenti sono cH2, cJ2, cHJ. Supponiamo di poter introdurre in questo recipiente in modo reversibile e isotermicamente una molecola di H2 e una di J2 e di poter togliere contemporaneamente e nella stessa maniera due molecole di HJ. È evidente che il rapporto delle concentrazioni nel miscuglio all'equilibrio rimarrà invariato. Lo iodio e l'idrogeno provengono da recipienti dove la concentrazione è supposta unitaria, l'acido iodidrico è immesso in un recipiente pure a concentrazione unitaria. I serbatoi sono così capaci che la concentrazione non è variata per aggiunta o scomparsa delle quantità necessarie all'operazione. Il lavoro massimo ottenibile nel passaggio isotermico e reversibile di una molecola di H2 dalla concentrazione unitaria a quella cH2, di equilibrio è:

analogamente per J2 abbiamo:

e per 2HJ:

Il lavoro totale risulta dalla somma dei singoli cn.T lavori parziali:

Il valore di L è indipendente dal rapporto quantitativo delle sostanze reagenti, e dipende esclusivamente dalle concentrazioni iniziali e di equilibrio per cui, R e T costanti:

Resta così giustificata termodinamicamente la legge di azione di massa che avevamo dedotta in principio per mezzo di considerazioni cinetiche.

La costante di equilibrio varia con la temperatura e la relazione che stabilisce la sua dipendenza dalla temperatura è la seguente:

dove Qp è la tonalità termica della reazione a pressione costante, Qv quella a volume costante. La variazione della costante di equilibrio con la temperatura è prevista da un principio generale (principio di Le Chatelier) secondo il quale se si esercita uno sforzo sopra un sistema in equilibrio, il sistema reagisce subendo una trasformazione che tende ad annullare l'azione dello sforzo. Così se si riscalda a volume costante un sistema in equilibrio chimico, lo spostamento ha luogo nella direzione secondo la quale la reazione avviene con assorbimento di calore. Abbiamo visto con l'aiuto della legge delle masse l'influenza della pressione su reazioni che avvengono con variazione di volume: ad es. la diminuzione di pressione favorisce la dissociazione. Il principio di Le Chatelier permette di arrivare alla stessa conclusione in quanto se si comprime un sistema in equilibrio a temperatura costante lo spostamento deve avvenire nella direzione secondo la quale la reazione è accompagnata da diminuzione di volume.

Nella reazione di sintesi dell'ammoniaca. N2 + 3H2 ⇄ 2NH2 + Q la concentrazione di ammoniaca all'equilibrio aumenta con l'innalzarsi della pressione perché la combinazione dell'N2 con l'H2 avviene con diminuzione di volume, e diminuisce con il crescere della temperatura a causa dell'esotermicità della reazione.

Le condizioni più opportune per conseguire la sintesi ricordata sono quindi: pressione elevata e bassa temperatura. Sennonché, diminuendo la temperatura, la velocità di reazione, per il prevalere di forti resistenze passive, diviene così piccola che è impossibile raggiungere rendimenti pratici. Occorre pertanto accelerare la reazione mediante l'uso di catalizzatori (v. catalisi). L'effetto del catalizzatore è reso evidente dalla fig. 1 dove sono riportate la curva del rendimento di equilibrio e quella del rendimento pratico ottenibile con l'impiego del catalizzatore.

L'ossidazione dell'anidride solforosa è una reazione esotermica: 2SO2 + O2 ⇄ 2SO3 + Q. L'equilibrio è spostato a sinistra da un aumento di temperatura mentre un aumento di pressione favorisce la formazione di SO3 a causa della contrazione di volume che ha luogo nell'ossidazione.

Nel caso invece della reazione endotermica: N2 + O2 ⇄ 2NO − Q l'innalzamento della temperatura sposta l'equilibrio nel senso di una maggiore stabilità dell'NO, come mostrano i risultati seguenti:

Iieazioni fra gas e solidi o Liquidi. - Se invece di una o più specie molecolari gassose, compariscono nello spazio occupato dai gas anche dei solidi o dei liquidi (sistema eterogeneo), dato che le pressioni parziali di queste sostanze condensate sono fissate dalla temperatura alla quale il sistema è considerato, la costante di equilibrio si semplifica. Per esempio: CaCO3 ⇄ CaO + CO2. Ammettendo che nella fase gassosa oltre l'anidride carbonica siano presenti vapori di CaO e di CaCO3 avremo:

in presenza dei solidi, p CaO e p CaCO3 sono costanti a determinata temperatura; ne risulta che la tensione di anidride carbonica è costante; p CO2 prende il nome di tensione di dissociazione.

Esempî di reazioni: solido = solido + gas sono i seguenti:

Per mezzo della legge di azione di massa si possono definire le condizioni di equilibrio anche in altri tipi di sistema eterogeneo, così per la reazione: Fe3O4 + 4H2 ⇄ 3 Fe + 4H2O:

Le pFe e pFe3O4, non possono assumere valori arbitrarî ma risultano fissate dalla temperatura. Variabili saranno solo pH2O e pH2; il loro rapporto, che definisce le condizioni di equilibrio del sistema, risulta invece costante a temperatura costante.

In un sistema eterogeneo si distinguono parti fisicamente e chimicamente omogenee e meccanicamente separabili le une dalle altre: sono le cosiddette fasi. La coesistenza di fasi diverse e quindi l'equilibrio fra di esse è stabilita dalla regola delle fasi.

La termodinamica permette con questa regola di definire le condizioni di equilibrio nei sistemi eterogenei in genere (v. termodinamica) e numerose sue applicazioni (leghe metalliche, soluzioni sature, ecc.) sono descritte in voci separate; detta regola si applica pertanto agli equilibrî chimici in sistema eterogeneo. Nei sistemi: solidi + gas considerati in precedenza, l'equilibrio è indipendente dalle masse assolute o dal rapporto fra le fasi. Ciò significa che p. es. nel sistema CaCO3 ⇄ CaO + CO2 all'equilibrio, la tensione di CO2, che abbiamo visto con la legge delle masse esser fissa a temperatura costante, non dipende dai rapporti:

Se dal sistema CaCO3 ⇄ CaO + CO2 all'equilibrio si toglie a temperatura costante CO2, nuovo CaCO3 si scompone per ristabilire il valore costante della tensione. Quando con le successive estrazioni tutto il CaCO3 si è decomposto, la tensione diminuisce: è cambiata quindi la natura del sistema. Questo comportamento è esattamente previsto dalla regola delle fasi. Essa si enuncia con la seguente relazione: n + 2 − f = v, dove n è il numero dei componenti indipendenti, cioè il più piccolo numero dei costituenti, variabili indipendentemente, a mezzo dei quali la composizione di ciascuna fase può essere espressa sotto forma di una equazione chimica; f il numero delle fasi; v il numero dei gradi di libertà o varianza del sistema, intendendo con questo il numero dei fattori variabili: temperatura, pressione, concentrazioni dei componenti, che debbono essere arbitrariamente fissati affinché lo stato di equilibrio sia perfettamente determinato.

Nel caso dell'equilibrio: CaCO3 ⇄ CaO + CO2 il sistema presenta 3 fasi: 2 solidi (CaO e CaCO3) e un gas (CO2), 2 componenti indipendenti, quindi ha un sol grado di libertà: è monovariante. Ciò vuol dire che per ogni temperatura c'è un solo valore di tensione che permette la coesistenza delle tre fasi: CaCO3, CaO, CO2.

Estraendo dal sistema anidride carbonica, si ristabilisce il valore della tensione di equilibrio finché le tre fasi coesistono; diminuisce però la quantità di CaCO3 nel miscuglio dei solidi, e quando con successive estrazioni di CO2 sparisce la fase CaCO3 il sistema acquista due gradi di libertà (bivariante). A questo punto CaO e CO2 possono coesistere per quel valore fissato della temperatura e per diversi valori di pressione (inferiori a quella di equilibrio). Le tensioni di equilibrio della reazione CaCO3 ⇄ CaO + CO2 a diverse temperature sono riportate nella fig. 2.

Lungo la curva il sistema è monovariante, al di sopra o al disotto bivariante. Per mezzo dei cambiamenti di varianza che il sistema solídi-gas subisce in una demolizione isotermica si possono indivíduare i campi di esistenza dei solidi che si originano nella scomposizione. Ad esempio CuSO4•5H2O si disidrata completamente passando per altri idiati oiù poveri d'acqua: CuSO4•3H2O e CuSO4•H2O. Se del CuSO4•5H2O è posto in un recipiente chiuso mantenuto a temperatura costante, si scompone in parte in CuSO4•3HO2 e quando la tensione del vapore ha ragg unto il valore che compete all'equilibrio CuSO4•5H2O ⇄ CuSO4•3H2O + 2H2O la decomposizione si arresta: il sistema è monovariante (due solidi e il vapore). Estraendo del vapore la tensione rimane costante finché esiste CuSO4•5H2O; quando questa fase scompare il sistema aumenta di un grado di libertà; si può estrarne del vapore, la tensione non rimane più costante, ma diminuisce, mentre è costante la composizione del solido. La tensione diminuisce con le successive estrazioni finché non torna di nuovo costante. Nella demolizione isotermica, raggiunto questo nuovo valoie di tensione, si è iniziata la scomposizione del CuSO4•3H2O ed è comparsa una nuova fase: CuSO4•H2O; il sistema è ritornato monovariante. Simile andamento presenta l'ulteriore disidratazione, come è indicato nella fig. 3, dove in ordinate sono riportate le tensioni di vapore, in ascisse le composizioni delle fasi solide. Le considerazioni svolte per i sistemi: solido = solido + gas valgono per i sistemi solido A + gas = solido B + gas. Il diagramma della fig. definisce le condizioni di equilibrio nel sistema: Fe, O, H. L'equilibrio nelle possibili reazioni:

è determinato a temperatura costante per ognuna di esse dal rapporto

nella fase gassosa.

Fissata la pressione, lungo le curve del diagramma il sistema è monovariante finché due fasi solide coesistono con la fase gassosa. Nel loro punto di incontro tre fasi solide coesistono con il gas: il sistema perde il suo grado di libertà e diventa invariante. L'invarianza significa che le due variabili: temperatura e rapporto

sono bloccate, cioè le tre fasi solide e la fase gas possono coesistere solo per quel valore di temperatura e quel valore di

Calcolo degli equilibrî chimici. - 1. Calcolo indiretto. - In un recipiente scaldato a temperatura costante siano in equilibrio CO, CO2, H2, H2O, O2. Sono possibili le seguenti reazioni:

note le costanti di equilibrio delle prime due si può da esse dedurre il valore di quella della terza. Infatti:

Calcolo degli equnibrî con l'equazione dell'isocora. - Conosciuta la tonalità termica della reazione si calcola K a partire da un valore K′ a una temperatura diversa da quella che interessa.

Dalle relazioni:

integrate si ricava:

dove la costante è Kc se per Q si assume Qc Kp se si assume Qp. Nell'integrazione si ammette che Q rimanga costante fra T1 e T2 (v. termocnimica). Quindi i valori iicavabili con l'applicazione dell'equazione precedente sono tanto più esatti quanto più piccolo è l'intervallo di temperatura entro il quale si considera la variazione di K. La dipendenza di Q dalla temperatura è legata alla conoscenza dei calori specifici dei differenti corpi che prendono parte alla reazione e alla loro variazione con la temperatura. La funzione è del tipo seguente: QT = Q0 + αT + βT2 + γT3 + ...

In base a essa, dalla formula:

si ricava integrando:

Per ottenere la costante di integrdzione I occorre un vilore di K a una temperatura qualsiasi.

Calcolo degli equilibrî con la formula di Nernst. - La formua dedotta in base al teorema di Nernst (v. termodinamica; affinità), permette di fare il calcolo degli equilibrî indipendentemente dalla conoscenza di K a una temperatura T. La costante d'integrazione dell'equazione precedente non dipende che dalla natura dei gas che prendono parte alla reazione e si può determinare facendo la somma algebrica delle costanti chimiche convenzionali di ogni singolo gas. Le costanti chimiche convenzionali sono calcolate una volta per tutte, sia teoricamente, sia con i valori delle tensioni di vapore dei gas condensati.

Per diversi gas e vapori esse sono riportate nella tabella seguente:

È possibile in tal modo calcolare a priori la costante di equilibrio conoscendo soltanto certe proprietà fisiche (calori specifici, tensioni di vapore) e la tonalità termica della reazione a una temperatura qualunque. Il lavoro dell'atomistica moderna è rivolto a determinare i valori di Q0 dei calori specifici, delle costanti chimiche. Il calcolo dei calori specifici a partire dalle proprietà atomiche è completamente risolto oltre che per i gas, per i corpi solidi, e le costanti chimiche convenzionali si possono calcolare teoricamente per mezzo della termodinamica e della teoria cinetica. La conoscenza di Qa implica, come si è visto, quella della tonalità termica a una temperatura qualsiasi. Si può oggi, in alcuni casi, ricavare quella grandezza senza bisogno di ricorrere a nessuna operazione chimica. Supponiamo di voler determinaie il calore di formazione dell'acido cloridrico a partire dagli elementi: Cl2 + H2 = 2HCl. Immaginiamo che la reazione si produca in diversi stadî: dissociazione delle molecole di idrogeno e di cloro in atomi, trasformazione degli atomi in ioni, e finalmente ricombinazione degli ioni in molecole

Il calore di formazione dell'acido cloridrico resta determinato se si conoscono: i calori di dissociazione delle molecole in atomi, il calore di ionizzazione degli atomi Cl e H, e quello delle molecole di acido cloridrico. Queste grandezze si possono valutare separatamente e quindi con misure puramente fsiche arrivare al calore di reazione senza ricorrere a una determinazione termochimica. L'equazione di Nernst è la seguente e vale per sistemi omogenei ed eterogenei:

Ai fini dei calcoli pratici il termine in T2 è generalmente trascurato.

Q0 è la tonalità termica della reazione allo zero assoluto; può essere determinata per estrapolazione partendo da grandezze ottenute a temperature accessibili;

Σn la differenza fra i numeri delle sole molecole gassose del primo e secondo membro dell'equazione chimica;

Σn β si ricava dalla somma algebrica dei coefficienti di temperatura dei calori specifici di tutti i reagenti condensati e gassosi in base all'equazione:

Σn C la somma algebrica delle costanti chimiche. Nell'applicazione dell'equazione di Nernst è utile osservare le seguenti prescrizioni: la reazione deve essere scritta nel senso dell'esotermicità a destra; per le somme algebriche delle molecole gassose, delle costanti chimiche, dei calori a pressione costante si assumono positivi i termini a sinistra, negativi quelli a destra. Nell'espressione di Kp figurano a numeratore i costituenti di sinistra. Esempi:

Oltre alla formula precedente una formula ridotta è sovente applicata nei calcoli degli equilibrî chimici:

dove Q è la tonalità termica della reazione a temperatura ordinaria; Σn e ΣnC conservano lo stesso significato che hanno nell'equazione generale.

Esempî:

Calcolo della costante di equilibrio a partire da misure di forza elettromotrice di una pila a gas. - Questo metodo può essere utilizzato per studiare a temperatura ordinaria reazioni che è impossibile realizzare direttamente.

Si voglia p. es. misurare la dissociazione dell'acido bromidrico a 30°. Si costruisce una pila reversibile (v. elettrochimica) nella quale la reazione generatrice della corrente è precisamente la reazione in esame. Nel caso nostro la disposizione della pila è la seguente: Pt / soluzione HBr + Br2 / soluzione HBr / H2; la forza elettromotrice è:

dove K è la costante di equilibrio cercata, pH2 rappresenta la pressione dell'H2 sopra la soluzione; pHBr, e pBr2, le piessioni parziali del bromo e dell'acido bromidrico che possono essere opportunamenta determinate. Il metodo è esatto solo se la pila è perfettamente reversibile e se la reazione che ha luogo è nettamente definita. Quando non si verificano queste condizioni esso non si può applicare. Non si può p. es. calcolare la costante di dissociazione dell'acqua con misure d: forza elettromotrice della pila a gas tonante perché l'elettrodo a ossigeno si ricopre probabilmente di uno strato di ossido di platino.

Determinazione sperimentale degli equilibrî chimici nei sistemi gassosi. - La determinazione delle costanti di equilibrio fondata sull'analisi del miscuglio con gli ordinarî metodi chimici si può raggiungere solo se è possibile temprare rapidamente il sistema senza sensibile spostamento dell'equilibrio. Per es. nel caso della scomposizione dell'acido iodidrico, l'equilibrio che è raggiunto in poche ore a 500° richiede parecchi mesi per essere raggiunto a 200°; si possono quindi a mezzo della tempra far permanere a temperatura ordinaria quelle concentrazioni di equilibrio che si erano stabilite alla temperatura di esperienza. L'equilibrio è effettivamente raggiunto quando la composizione del miscuglio gassoso a partire dalla reazione diretta come dall'inversa è costante in funzione del tempo (fig. 5). Il metodo precedente non è di applicazione generale e il suo uso dipende dalla velocità con la quale è possibile temprare il sistema. Nella scomposizione dell'acqua 2H2O ⇄ 2H2 + O2, quantità apprezzabili di prodotti di dissociazione si formano solo a temperature alle quali è impossibile raffreddare così rapidamente il recipiente che contiene il miscuglio in modo da impedire la ricombinazione. Si è cercato di aumentare la velocità di tempra con il dispositivo del tubo caldo-freddo di Sainte-Claire-Deville (fig. 6). Esso consiste in due tubi concentrici; nell'intercapedine fluisce il gas scaldato alla temperatura voluta. Una corrente d'acqua che scorre nel tubo interno forato, raffredda e asporta parte del miscuglio. In un altro dispositivo il gas arriva alla camera di reazione opportunamente scaldata, e ne esce per un capillare raffreddato. Il raffreddamento del gas si compie in un tempo brevissimo.

Dove non è possibile temprare è necessario ricorrere a metodi fisici. Si possono seguire a temperatura costante le modificazioni nella composizione del miscuglio e valutarne l'entità, seguendo le variazioni di pressione o di densità, di color, di conducibilità termica, di indice di rifrazione.

Consideriamo per esempio la reazione: N2O4 ⇄ 2NO2. Sia D la densità teorica corrispondente alla formula N2O4. Se x è il grado di dissociazione, il miscuglio all'equilibrio contiene 1 − x + 2x = 1 + x molecole; d è la densità misurata inferiore alla teorica; dalla relazione

è possibile risalire a x.

Un apparecchio che serve alla determinazione delle pressioni di equilibrio a temperature elevate e per gas che attaccano il mercurio e altri liquidi manometrici è il manometro a spirale di quarzo di Bodenstein (figura 7). La spirale comunica con la camera di reazione e le sue deformazioni seguono le variazioni di pressione. Le deformazioni sono opportunamente ampliate e apprezzate per mezzo di un sistema ottico.

Quando la reazione non è accompagnata da variazione di volume e la tempra non è possibile, si ricorre all'apprezzamento di altre proprietà del sistema. Nella reazione: Fe3O1 + 4H2 ⇄ 3Fe + 4H2O all'equilibrio. se s'impone al sistema una tensione di vapo1e fissa facendo comunicare la camera di reazione con un recipiente che contiene dell'acqua a temperatura inferiore a quella ambiente, si può dalla pressione totale pH2O + pH2 sottraendo la tensione costante del vapore, ottenere la pressione paiziale dell'idrogeno e quindi il rappotto:

(fig. 8).

La fig. 9 riproduce l'apparecchio adoperato da Löwenstein per lo studio della dissociazione del vapor d'acqua. Del vapore è scaldato in una camera di reazione che contiene un'ampolla di platino dove si è fatto il vuoto. Attraverso le pareti dell'ampolla si diffonde l'idrogeno e il manometro ad essa collegato segna la pressione parziale di questo gas nel miscuglio all'equilibrio. Nella fig. 10 è riprodotto un dispositivo usato per lo studio dell'equilibrio di riduzione degli ossidi del ferro a mezzo dell'ossido di carbonio. Nella determinazione dell'equilibrio è stata utilizzata con successo l'analisi interferometrica dei gas. Le figg. 11, 12, 13 si riferiscono ad alcuni fra i più comuni apparecchi usati per la misura delle tensioni di dissociazione.

L'equilibrio nelle miacele liquide e nelle soluzioni. - Con la legge di azione di massa si sono stabilite le costanti d'equilibrio per reazioni fra gas e per sistemi eterogenei tipo: solido = solido + gas e solido A + gas = solido B + gas. Dobbiamo ora prendere in considerazione altri sistemi nei quali detta legge è applicata con successo per raggiungere gli stessi fini. La differenza fra miscugli liquidi e soluzioni si riferisce alla quantità relativa dei costituenti il sistema: miscuglio liquido è un sistema omogeneo dove non c'è eccesso di un costituente di fronte agli altri; nelle soluzioni (sistemi omogenei) invece il solvente è in eccesso rispetto al soluto (gas, liquido, solido). In questi sistemi le reazioni possono aver luogo fra molecole e particelle elettrizzate o ioni (atomi o radicali carichi di elettricità). Gli ioni si riscontrano nelle soluzioni acquose di elettroliti, esistono anche in soluzioni non acquose benché in numero molto più limitato, e se portano carica positiva si chiamano cationi, se negativa anioni. Come esempî di equilibrio nei miscugli liquidi, servono le seguenti reazioni:

La costante di equilibrio per la seconda reazione è:

Se si aveva inizialmente un grammo-molecola di acido acetico e m grammo-molecole di alcool, e se x è il numero di grammo-molecole di acetato di etile all'equilibrio:

Le sostanze che in soluzione sono capaci di dissociarsi in ioni prendono il norne di elettroliti. A seconda del grado di dissociazione essi si distinguono in elettroliti forti e deboli. Consideriamo un grammo-molecola di una sostanza AB capace di scindersi in due ioni A′ e B. disciolta in v litri di soluzione. In seno alla soluzione si determina un equilibrio fra parte indissociata e prodotti della dissociazione e se α è il grado di dissociazione (frazione di molecola dissociata) la costante di equilibrio assumerà alla temperatura stabilita il valore:

Nell'ipotesi che il grado di dissociazione sia uguale al coefficiente di conducibilità (v. elettrochimica; soluzione):

L'equazione precedente è l'espressione della legge di diluizione di Ostwald e fa vedere che la conducibilità λv degli elettroliti varia con la diluizione nel senso della legge delle masse. La legge di diluizione è valida solo per gli elettroliti deboli per i quali può assumersi:

per gli elettroliti forti, dove questa uguaglianza non sussiste, essa è in difetto.

I valori di K caratterizzano il comportamento degli acidi e delle basi deholi. La concentrazione idrogenionica che si assume come misura dell'acidità della soluzione può essere dedoita da K.

L'acqua pura conduce, sebbene debolmente, la corrente elettrica. Essa deve questa sua proprietà alla dissociazione H2O ⇄ H. + OH′.

La costante di equilibrio dell'acqua si può ricavare conoscendone il grado di dissociazione (per es. con misure di conducibilità):

Assumendo costante a tutte le temperature la concentrazione delle molecole di acqua non dissociate (grandissima rispetto a quella dei prodotti di dissociazione) si ottiene una nuova grandezza chiamata prodotto ionico dell'acqua, il cui valore è PH2O = K • CH2O = 0,61.10-14.

La concentrazione degli ioni idrogeno e degli ioni ossidrile nell'acqua pura sarà uguale a √PH2O. La costanza del prodotto ionico mostra che un aumento negli ioni H. provoca una diminuzioni negli ioni OH′ e viceversa. Le soluzioni acquose contengono ioni idrogeno e ioni ossidrile in equilibrio con le molecole d'acqua indissociate. È neutra una soluzione nella quale le due concentrazioni degli ioni H. e OH′ sono uguali, acida se prevale cH., alcalina nel caso contrario. L'acidità o l'alcalinità di una soluzione è misurata dalla sua concentrazione idrogenionica. Si usa da tempo esprimere questo valore a mezzo del logaritmo decimale negativo della concentrazione degli ioni H. : pH = − logcH.

Se a una soluzione di acetato sodico (fortemente dissociato) e d'acido acetico (poco dissociato) si aggiunge acido cloridrico (fortemente dissociato), considerando i seguenti schemi: CH3COOH ⇄ CH3COO′ + H., CH3COONa ⇄ CHCOO′ + Na., HCl ⇄ H. + Cl′ avremo che gli ioni H. dell'acido aggiunto si combinano con i gruppi CH3COO′ per formare acido acetico poco dissociato per cui il pH della soluzione non è modificato dall'aggiunta dell'acido Queste miscele di acidi o basi deboli con loro sali molto dissociati hanno la proprietà di opporsi (entro certi limiti) alle variazioni nella concentrazione degli ioni idrogeno che potrebbero essere dovute a cause esterne, e prendono il nome di soluzioni tampone. È facile vedere come le soluzioni tampone hanno la proprietà di mantenere praticamente costante la loro acidità attuale durante la diluizione, contrariamente all'ordinario comportamento degli acidi e delle basi. La parziale dissociazione dell'acqua offre il modo d'interpretare il fenomeno d'idrolisi (v. idrolisi). Mentre un sale formato da un acido forte e una base forte come p. es. NaCl presenta la stessa neutralità dell'acqua pura, le soluzioni dei sali provenienti da un acido forte e una base debole o base forte e acido debole, accusano reazione acida nel primo caso (SnCl4, AlCl3, ecc.), alcalina nel secondo (CH3COONa, NaCN, ecc.). La reazione d'idrolisi è schematizzata nella maniera seguente: AB + H2O ⇄ AH + BOH.

Secondo la dissociabilità dell'acido rispetto a quella della base si avranno le reazioni acida o alcalina della soluzione. Una soluzione di acetato sodico presenta reazione alcalina. Dal punto di vista della legge delle masse il processo d'idrolisi: (Na. + CH3COO′ + H2O = CH2COOH + Na. + OH′) ammette due condizioni di equilibrio: cH. cOH′ = PH20,

dovendo avere lo stesso valore nelle due espressioni:

equazione che corrisponde all'equilibrio idrolitico: CH3COO′ + H2O ⇄ CH3COOH + OH′. Essendo cCH3COOH = cOH′ si avrà: cOH′ =

Queste considerazioni servono per chiarire il comportamento degli indicatori. Un indicatore è una sostanza colorante, acido o base debole, che possiede la proprietà di cambiare di colore secondo la concentrazione idrogenionica delle soluzioni alle quali è aggiunto. Ce ne serviamo ordinariamente per la determinazione dell'acidità attuale dei liquidi e per le titolazioni acidimetriche (v. chimica analitica). Questi acidi o basi deboli con altre basi o acidi formano sali fortemente dissociati; il meccanismo della loro azione è in relazione con la variazione del grado di dissociazione con la concentrazione degli ioni H.. Per es. per un indicatore acido AH si trovano sempre nella soluzione l'acido non dissociato e il suo anione; la legge delle masse stabilisce la seguente relazione: AH ⇄ A′ + H. da cui

se la colorazione dell'anione è diversa da quella dell'acido non dissociato o viceversa, la tonalità del colore della soluzione varia con la concentrazione idrogenionica. Il colore di transizione (viraggio) si manifesta quando si ha uguaglianza nella concentrazione dell'anione e della parte non ionizzata: cH. = K; in altre parole il viraggio caratterizza per ogni indicatore quella concentrazione di ioni idrogeno che è uguale alla sua costante di dissociazione. Quanto più il cambiamento di colore è sensibile alle variazioni della concentrazione degli ioni idrogeno, tanto migliore sarà l'indicatore.

Elettroliti anfoteri. - Sono anfoteri gli elettroliti che contengono contemporaneamente nella loro molecola gruppi basici e acidi. Un esempio è dato dall'idrato: Al(OH)3; esso con acidi forti funziona da base, con le basi forti da acido. La dissociazione acida e basica può rappresentarsi con i seguenti schemi: Al(OH)3 ⇄ AlO3‴ + 3H., Al(OH)3 ⇄ Al... + 3(OH)′. Con soluzioni a pH 〈 10 dà origine a cationi Al..., con quelle a pH > 13 si formano gli anioni AlO3‴. Fra questi valori si trova il punto isoelettrico nel quale figurano quantitä uguali dei due ioni; l'ipotetico sale Al•AlO3 (= Al2O3) accusa un minimo di solubilità e non può essere disciolto né con acidi né con alcali.

Per trovare il punto isoelettrico occorre conoscere le costanti di dissociazione acida e basica dell'aníolite. Indicandole con Ka e Kb e con A, A.c A′a rispettivamente le molecole non dissociate, i cationi e gli anioni, dalle relazioni:

si ottiene assumendo cA′α = cA.c (punto isoelettrico):

La nozione di punto isoelettrico ha oggi capitale importanza nel frazionamento e nella purificazione delle proteine.

Sistemi solidi-liquido. - La legge delle masse permette, come nel caso dei sistemi gas-solidi, di definire le condizioni di equilibrio nei sistemi eterogenei tipo solidi-liquido. Consideriamo la reazione fra solfato potassico in soluzione acquosa e BaCO3.

essa può scriversi: BaCO3 + SO4″ ⇄ BaSO4 + CO3

In presenza dei due solidi, siccome la loro solubilità è fissata dalla temperatura alla quale si considera la reazione, avremo che la costante

definisce le condizioni di equilibrio del sistema.

Nella reazione:

la precipitazione del solido ha luogo quando Ag. e Cl′ s'incontrano al di sopra di una determinata concentrazione che dipende dalla solubilità (quantità di sostanza in 100 gr. di soluzione) del solido in questione. La soluzione satura di AgCl contiene molecole indissociate di AgCl in equilibrio con i prodotti della dissociazione:

da cui per la legge delle masse:

In presenza del solido essendo costante il valore di cAgCl:

Il prodotto delle concentrazioni ioniche si chiama prodotto ionico o prodotto di solubilità. Per i sali difficilmente solubili come AgCl se si tien conto della loro dissociazione completa avremo, indicando con c la concentrazione in AgCl della soluzione: cAg. cCl′ = c e P = c2.

La costanza del prodotto di solubilità quale si rileva dalla legge delle masse permette di prevedere l'influenza che sulla solubilità di un sale ha l'aggiunta di un elettrolito a ione comune. Se a una soluzione satura di CH3COOAg si aggiunge AgNO3 la solubilità diminuisce; del solido precipita perché costante è il valore di PAgCOOH3 ed è aumenta con l'aggiunta di AgNO3 la concentrazione di Ag.. Aggiungendo HCl gassoso a una soluzione di NaCl si separa il sale solido, a una soluzione di AlCl3 si separa AlCl3•6H2O.

Questi criterî, basati sulla legge delle masse, si applicano a numerosi casi di chimica analitica, a es. nella formazione e nella dissoluzione dei solfuri precipitati con l'idrogeno solforato al II gruppo (v. chimica analitica). L'idrogeno solforato è un acido debolissimo; in soluzione esso si dissocia dando ioni S″. La presenza di un acido forte, come per es. HCl, porta alla retrocessione della dissociazione, e se la piccola quantità dei rimanenti ioni S″ è tale che il prodotto della loro concentrazione per quella degli ioni del metallo è superiore al prodotto di solubilità del solfuro, si ha precipitazione (solfuri di Ag, Sb, Sn, Pb, Cu, Bi, Hg, Cd). Quando il prodotto di solubilità non è raggiunto, la precipitazione non ha luogo (solfuri di Ni, Co, Zn, Mn, Fe). Si raggiunge in quest'ultimo caso il prodotto di solubilità addizionando la soluzione neutralizzata di (NH4)2S fortemente dissociato.

Il prodotto di solubilità non rimane effettivamente costante con il variare della concentrazione ionica. Se tutti gli ioni fossero ugualmente attivi nel determinare questo valore, esso dovrebbe essere indipendente dalla concentrazione ionica, come vuole la legge delle masse. Se varia, e se si vuol mantenere la validità della legge, significa che solo frazioni delle concentrazioni ioniche sono attive nel determinare il prodotto di solubilità. Per cui l'espressione del prodotto ionico può scriversi più esattamente nel caso di un elettrolito AB: (cAfa)•(cBfb) = PAB.

Le grandezze fa e fb prendono il nome di coefficienti di attività e si possono definire come quelle frazioni per le quali occorre moltiplicare le concentrazioni ioniche, presupponendo la dissociazione completa, affinché sia valida la legge delle masse (v. soluzione).

Legce delle masse e attività. - La legge delle masse come è stata interpretata e applicata in precedenza considera gas perfetti e soluzioni ideali. Le discordanze con questa ammissione, tenui per gli equilibrî gassosi a moderate pressioni, sono notevolissime per le soluzioni reali. Nella reazione: aA + bB••• = cC + dD••• A, B, C, D possono esseregas, sostanze disciolte, liquidi e solidi. Il criterio termodinamico dell'equilibrio in qualsiasi processo a temperatura costante è che sia nulla la vaiiazione di energia libera del sistema. All'equilibrio la somma delle energie] ibere mo] ecolari di A e di B deve essere perciò uguale a quella di C e D: aFA + bFB ... =cFC + dFD...

Dalla relazione: FA =RT log aA + cA, dove FA è l'energia libera molecolare della sostanza A, aA l'attività (per le soluzioni di elettroliti, ammettendo la dissociazione completa: aA = fa × conc. ionica), cA una costante che può essere definita arbitrariamente, si ricava

Le entità del primo membro di questa equazione sono delle costanti; quindi, fissata la temperatura,

Ka è la costante di equilibrio espressa in funzione delle attività delle sostanze reagenti. L'espressione precedente differisce da quella della legge delle masse in quanto vi figurano le attività al posto delle concentrazioni. Si può quindi definire l'attività di una sostanza come quella concentrazione fittizia che sostituita alla concentrazione reale nella legge delle masse fornisce un valore costante di K. Nei sistemi gassosi l'attività di ogni singolo costituente s'identifica approssimativamente con la sua pressione. Nelle soluzioni reali l'attività differisce dalla concentrazione e le differenze si accentuano con l'aumentare di questa (v. soluzione).

La teoria della dissociazione elettrolitica, che conduce all'applicazione della legge di azione di massa agli equilibrî: parte indissociata ⇄ ioni, ha permesso di schematizzare con grande chiarezza tutto un assieme di proprietà osmotiche ed elettriche delle soluzioni, e di fenomeni che interessano la chimica pratica e in particolare la chimica analitica. Il collegamento è soddisfacente solo dal lato qualitativo, mentre a un esame quantitativo più approfondito esso si è mostrato in difetto. Con la moderna teoria elettrostatica degli elettroliti (al criterio dell'equilibrio chimico si sostituisce quello dell'equilibrio elettrostatico) molte delle eccezioni alla teoria classica della dissociazione elettrolitica vengono chiarite (v. elettrochimica; soluzione).

Principio di ripartizione - Il principio di ripartizione si può enunciare nella maniera seguente: sussiste a temperatura costante un rapporto costante tra le concentrazioni di una sostanza che si distribuisce fra due fasi, quando nella distribuzione essa mantenga inalterata la propria grandezza molecolare. Nel caso di un gas che si ripartisce fra un liquido e lo spazio circostante, si stabilisce un equilibrio statistico caratterizzato dall'uguaglianza del numero delle molecole di gas che, nell'unità di tempo, passa dal liquido allo spazio gassoso e viceversa. Se si raddoppia la pressione, raddoppierà il numero delle molecole che, nell'unità di tempo, entrano nel liquido, e raggiunto il nuovo equilibrio, altrettante molecole dovranno passare dal liquido al gas. Deve quindi duplicarsi la concentrazione del gas disciolto. La legge di Henry (v. soluzione) secondo la quale se un corpo possiede lo stesso peso molecolare allo stato gassoso e in soluzione, la pressione parziale nel vapore in equilibrio è proporzionale alla sua concentrazione nella soluzione, rientra nel principio di ripartizione. Considerando un miscuglio gassoso, la solubilità di ciascuno dei costituenti è indipendente dalla pressione totale e dipende solo dalla pressione parziale di quel costituente. La ripartizione non è quindi influenzata dalla presenza dei compagni (sempre che non si verifichi variazione nella grandezza molecolare). Il principio di ripartizione è di applicazione generale. Oltre al caso ricordato lo si applica per es. alla distribuzione di una sostanza fra due solventi non miscibili. Lo iodio si ripartisce fra l'acqua e il solfuro di carbonio; indicando con c1 la concentrazione nell'un solvente, con c2 quella nell'altro, avremo a temperatura costante:

indipendentemente dalla quantità totale di sostanza che si è distribuita nelle due fasi.

Se la grandezza molecolare non rimane inalterata per effetto di associazione o dissociazione, le relazioni precedenti non si applicano più che a una certa parte della sostanza distribuita e precisamente a quella parte che è in equilibrio con i prodotti di associazione o di dissociazione. Combinando la legge delle masse con il principio di ripartizione si ricavano pertanto delle relazioni che l'esperienza ha confermato in molti casi.

Nella dissoluzione, a temperatura costante, di un gas la cui grandezza molecolare nella fase gas è doppia di quella nella fase soluzione, potremo supporre l'esistenza in soluzione di un equilibrio: X2 ⇄ 2X; la cui costante è:

La concentrazione di X2 non dissociato è fissata dal principio di ripartizione in base al valore della pressione:

Si ricava da queste due relazioni che la concentrazione del gas dissociato è proporzionale alla radice quadrata della pressione. Nel caso inverso, cioè nel raddoppiamento della grandezza molecolare in soluzione, si ha invece proporzionalità con il quadrato della pressione.

Bibl.: F. Pollitzer, Die Berechnung chemischer Affinitäten nach dem Nernstschen Wärmetheorem, Stoccarda 1912; W. McLewis, A System of Physical Chemistry, 2ª ed., Londra 1919; W. Nernst, Theoretische Chemie, 11ª-15ª ed., Stoccarda 1925; H. S. Tavlor, A Treatise on Physical Chemistry, New York, 1925; G. Chaudron, Déterm. des équil. chim. dans les systèmes gazeux, in Bull. Soc. chim. de France, 4ª s., XXXVII (1925), p. 657 segg.; P. Job, Les méthodes physiques appliqués a la chimie, Parigi 1926; J. Eggert, Trattato di chimica-fisica ed elettrochimica (trad. ital. di G. Castelfranchi), Milano 1931.

Equilibrio radioattivo.

Si dice che una sostanza radioattiva è in equilibrio con un suo prodotto, quando da un certo tempo in poi il rapporto fra le quantità delle due sostanze rimane sensibilmente costante.

Per rendere conto del come si raggiunga questo equilibrio bisogna ricordare come gli atomi delle sostanze radioattive vadano spontaneamente e casualmente soggetti alla disintegrazione radioattiva, disintegrazione che procede più o meno rapidamente, variando da sostanza a sostanza la percentuale degli atomi che in ogni secondo si disgregano. Si dà il nome di costante radioattiva al numero λ che misura questa percentuale, così che dicendo p. es. che per l'emanazione (v.) del radio λ è 2.10-6, intendiamo dire che in ogni secondo si trasformano i due milionesimi dei suoi atomi. Per esprimere anche, in modo forse più semplice, la maggiore o minore rapidità con la quale una sostanza radioattiva si disgrega, si può definire il periodo di trasformazione, che è il tempo T che occorre perché la metà della sostanza si trasformi. Tra λ e T è facile mostrare che passa la relazione λ = 0,693/T. Il periodo di trasformazione varia enormemente da sostanza a sostanza: può essere per alcune di frazioni di secondo e per altre di milioni d'anni. Ciò premesso, supponiamo di avere una data quantità di una sostanza a periodo lunghissimo, che dia luogo a un'altra a periodo breve, come per es. il radio (T = 1700 anni) e la sua emanazione (T = giorni 3,85); cominciamo ad asportare l'emanazione che il radio contiene, il che è facile perché essendo l'emanazione un gas, basta scaldare il radio perché questo se ne liberi quasi completamente. Ciò fatto, rinchiudiamo il radio così disemanato in un recipiente.

Il radio durante un tempo limitato, p. es. qualche giorno, dato il suo grande periodo di trasformazione, rimane praticamente in quantità costante e perciò del pari rimane costante la sua produzione di emanazione, in modo che se questa non fosse radioattiva andrebbe costantemente aumentando. La disintegrazione peraltro ostacola quest'aumento continuo; infatti in un primo tempo, finché l'emanazione prodotta è poca, la frazione degli atomi che si trasforma ogni secondo è rappresentata da un numero piccolo rispetto a quello degli atomi di emanazione che il radio produce in pari tempo: perciò la produzione essendo maggiore della distruzione permette all'emanazione di accumularsi; da un certo tempo in poi si perviene a una condizione di equilibrio, perché la quantità dell'emanazione accumulata è tale, che in ogni secondo il numero dei suoi atomi che si disgrega eguaglia quello degli atomi di emanazione che il radio produce. Da quel momento in poi si dice che si è raggiunto l'equilibrio radioattivo. Analogamente a quanto si è detto per il radio e la sua emanazione, avviene per altre sostanze radioattive e i loro prodotti, purché il periodo della sostanza primitiva sia molto grande rispetto a quello del prodotto; diversamente non si può considerare costante per un certo tempo la formazione del prodotto e perciò non si può raggiungere un equilibrio con la sua distribuzione.

Equilibrio biologico.

Ogni essere vivente tanto nel suo mondo interno quanto nel suo mondo esterno si trova in uno stato di continua variazione. Un animale o una pianta, dall'istante della sua comparsa nel mondo fino a quello della sua morte, passa in ogni istante attraverso continui processi costruttivi e distruttivi, progressivi e regressivi, sicché può ben dirsi che non è mai proprio simile a sé stesso in due istanti successivi. Talvolta questi mutamenti sono più o meno appariscenti, ma spesso, e in generale per un periodo di tempo più o meno lungo, sembra che l'essere non muti. Ci colpisce lo svilupparsi del feto, il crescere del bambino, la trasformazione che si compie passando dall'adolescenza alla pubertà; durante ciascuno di questi periodi, permane una certa stabilità, che raggiunge il suo massimo nell'età adulta, finché non cominciano poi a spuntare i primi sintomi della vecchiaia. Ma sotto quest'apparente stabilità si celano molteplici processi continui di disgregazione e di rifacimento. Vi è sì un equilibrio, ma un equilibrio instabile, un continuo succedersi di stati d'equilibrio, di durata ora brevissima, ora più o meno lunga. Tuttavia perché un organismo svolga normalmente la sua vita, è necessario che si conservi sempre una data misura in queste oscillazioni più o meno ampie; se certi limiti sono oltrepassati, giustamente si parla di squilibrio; si tratta allora di una più o meno profonda alterazione di questo o quel processo vitale. Infatti, nell'organismo sano tutte le parti (organi, tessuti, elementi istologici, liquidi organici ecc.), funzionano in perfetta coordinazione, così da cooperare, ciascuna con la sua vita particolare ma entro limiti ben definiti, alla vita totale dell'organismo; se una parte funziona per eccesso o per difetto, ecco turbato l'equilibrio, sia temporaneamente, se lo scompenso è riparabile, sia definitivamente, se lo squilibrio è troppo forte.

Similmente, ogni essere vivente, nell'ambiente in cui vive, rappresenta un elemento della vita della comunità vegetale e animale in cui si trova; e necessariamente entra in continue, molteplici e più o meno dirette relazioni con gli altri esseri del medesimo ambiente biologico, relazioni ora antagonistiche, ora mutualistiche, le quali continuamente ne favoriscono o ne minacciano il benessere o addirittura l'esistenza. Si stabilisce così un equilibrio biologico, che apparentemente si conserva per un periodo di tempo più o meno lungo, in un dato ambiente. Ma anche in questo caso l'apparente stabilità è il risultato di continue mutazioni, di continui spostamenti di numero fra i varî componenti dell'ambiente. Il numero degli erbivori e quello dei carnivori, p. es., d'una data località rimane, generalmente a lungo, presso a poco costante; ma ciò avviene in conseguenza d'una continua oscillazione numerica per la quale, aumentando per poco di numero i carnivori, aumenta la distruzione degli erbivori da parte di quelli; ma non appena gli erbivori diminuiscono oltre una certa misura, i carnivori per scarsezza d'alimento vanno a poco a poco scemando di numero. Lo stesso si dica delle relazioni fra parassiti e ospiti. Le oscillazioni divengono anche più numerose e complesse, se si prendono a considerare, anziché due varie categorie di esseri, parassiti di parassiti, piante necessarie alla vita degli erbivori e concorrenza fra speiie più o meno affini o distanti di piante e d'animali. Ma da questi continui spostamenti e oscillazioni nasce uno stato d'equilibrio che può durare più o meno a lungo; sempre che non intervenga un avvenimento fuori della norma, che lo turbi profondamente, sia definitivamente, sia per un tempo limitato, in capo al quale il primitivo equilibrio torni a ristabilirsi. Parallelamente si mantengono gli stati d'equilibrio nell'intimo di ciascun organismo e nell'insieme di esseri conviventi in un dato ambiente biologico.

Equilibrio fisiologico.

Per il mantenimento dell'equilibrio, cioè per la conservazione della corretta posizione del corpo nello spazio, e per il ricupero di questa posizione, quando il corpo ne sia stato allontanato da cause perturbatrici, è necessario il normale funzionamento d'un apparato molto complesso. Esso consta essenzialmente di vie nervose centripete (sensitive e sensoriali), di vie centrifughe, e di centri nervosi intercalati. I principali apparati periferici che hanno l'ufficio di rilevare la posizione dei varî segmenti del corpo, sono: l'organo vestibolare (adibito al senso dell'atteggiamento del capo nello spazio); gli organi cenestesici profondi dei muscoli e delle ossa, preposti al senso di posizione delle membra, del collo e del tronco; l'apparato visivo; l'apparato uditivo propriamente detto.

Fra i centri i principali sono: i centri midollari riflessi, specie del segmento midollare alto, i centri della branca vestibolare del nervo acustico (nuclei: interno, di Deiters, di Bechterew), i centri pontini (substantia reticularis pontis) e mesencefalici. Questi ultimi hanno una particolare importanza, perché a essi sono specialmente affidati il mantenimento della posizione normale del corpo e il ricupero di essa, quando sia perduta per cause estrinseche: queste funzioni s'esplicano per virtù di particolari riflessi, studiati da R. Magnus e A. De Kleijn; i due descritti ora sono rispettivamente il riflesso di staticità e quello di raddrizzamento: la loro sede pare si possa fissare nel mesencefalo. Lo studio di questi riflessi è stato iniziato assai recentemente ed è avviato, per quello che riguarda l'uomo, su un numero ancora scarso di esperienze. Finalmente, un organo le cui lesioni possono provocare disturbi dell'equilibrio è il cervelletto, del quale non bisogna comunque dimenticare le importanti connessioni col mesencefalo (via cerebello-rubrica, per il peduncolo cerebellare superiore). I principali segni morbosi cerebellari legati con la funzione dell'equilibrio sono: l'atassia (disordini dell'equilibrio nella stazione eretta e nell'andatura); l'asinergia (disordine nella coordinazione dei movimenti complessi); la dismetria (mancanza dell'esatta misura dei movimenti, sia nello spazio che nel tempo); la lateropulsione e la deviazione nella marcia. Anche i centri della corteccia cerebrale, e precisamente quelli del lobo parietale, destinati al senso di posizione delle membra, hanno parte nel complesso sistema dell'equilibrio. Le connessioni nervose che uniscono il cervelletto al mesencefalo, la corteccia cerebrale al mesencefalo e al ponte, questi ultimi ai nuclei dei nervi cranici e al midollo, sono le principali vie efferenti necessarie all'esplicazione della funzione dell'equilibrio.

Equilibrio economico.

L'evoluzione subita dal concetto di equilibrio nell'economia politica riassume lo sviluppo e i progressi essenziali di questa disciplina come scienza. Con maggiore o minore precisione, tale concetto si è generalmente desunto dalla meccanica, per quanto il parallelismo fra economia e meccanica sia stato messo in rilievo solo da autori recenti. Equilibrio economico può genericamente definirsi "la posizione alla quale tende un individuo o un complesso d'individui che agiscono in modo economico, razionale; nella quale si arresterebbe indefinitamente se nessuna delle condizioni e forze che sull'individuo (o sul complesso) agiscono, si modificasse; verso la quale cercherebbe di ritornare se ne fosse allontanato da una qualche causa speciale o temporanea, che in seguito si eliminasse". L'equilibrio economico viene altrimenti definito con l'enunciazione delle condizioni che assicurano, dati certi punti di partenza (disponibilità di beni, stato della tecnica, gusti individuali, ecc.), il massimo di utilità soggettiva a un individuo o complesso d'individui che agiscano conformemente al postulato edonistico.

Non sempre eli economisti hanno enunciato in modo chiaro questo concetto; e ad ogni modo hanno dato ad esso contenuto diverso. Il fenomeno che ha originariamente portato all'idea di equilibrio è quello dello scamhio; punto di partenza delle teorie dell'economia pura è stata l'ipotesi del baratto fra due soggetti economici: la posizione di equilibrio è raggiunta quando si verifica un rapporto di scambio tale da rendere eguali la domanda e l'offerta di un bene, e gli scambisti non hanno convenienza a modificare ulteriormente il prezzo, le quantità domandate e offerte, fino a che non si modificano i bisogni o i costi di produzione. Questa nozione è già implicita in A. Smith (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations. I, cap. 7° e IV, cap. 3°): nel primo punto indica la situazione di equilibrio cui, data libertà di produzione e scambio, tende il prezzo di un bene economico (prezzo naturale eguale al prezzo di mercato) e le circostanze (aumento dell'offerta sulla domanda o viceversa) che possono allontanare il prezzo di mercato da questa situazione. Nel secondo, accenna all'equilibrio (balance) fra prodotto nazionale e consumo, e alle conseguenze che gli squilibrî in questo campo hanno sulla prosperità o decadenza economica di una nazione. La nozione di equilibrio vi si delinea in modo abbastanza preciso, per quanto il contenuto oggettivo sia diverso da quello che lo Smith le attribuiva (la situazione di equilibrio non è data dal coincidere del prezzo di mercato col prezzo naturale, ma dalla proprietà che il prezzo di mercato ha di rendere eguali la quantità domandata e la quantità offerta). La stessa nozione è, in modo più nebuloso, al fondo di altre teorie dello Smith; per cui può dirsi che nella sua opera incominci a delinearsi quella che si è poi definita la teoria degli equibri parziali (determinazione delle condizioni di equilibrio per singoli gruppi di fattori economici, trascurando i rapporti che legano fra loro tutti i gruppi del mercato). Nel successivo sviluppo della scienza, le teorie degli equilibrî parziali predominano, fino a L. Walras e v. Pareto, in due correnti dottrinali: quella degli economisti i quali considerano i rapporti economici come rapporti semplici di causa ed effetto, e prescindono dall'uso di strumenti matematici di espressione e deduzione; e quella degli economisti i quali vedono in essi un sistema più o meno esteso di mutue dipendenze o interdipendenze, e ricorrono al linguaggio matematico che solo consente di esprimere con maggiore approssimazione e rigore questo tipo di rapporti.

Ambedue le correnti e a maggior ragione la successiva teoria dell'equilibrio economico generale, partono da un presupposto fondamentale: che le azioni di cui si considerano o ipotetizzano i risultati siano rigorosamente logico-economiche, cioè "logicamente indirizzate a soddisfare il massimo dei gusti o bisogni soggettivi compatibile con gli ostacoli e le condizioni dell'ambiente, in modo che scopi economici soggettivi e risultati concreti approssimativamente concordino". Questa forza o proprietà economica delle azioni umane è uno dei fattori che concorrono a determinare la vita sociale concreta; ma è stata, per un processo di astrazione comune a tutte le scienze logico-sperimentali, separata dagli altri fattori per poterla più rigorosamente studiare nelle sue leggi. È un modello teorico dell'attività umana, pur contribuendo, in diverse proporzioni, a determinare tutti i fenomeni economici, nel senso che non è quasi mai l'unica determinante dei fatti economici concreti.

Le azioni economiche hanno la proprietà di essere logiche; il che consente di dedurne, dati certi punti di partenza, le leggi in via teorica, anche quando non è possibile conoscerle e seguirle con l'osservazione. In questa proprietà sta la ragione dell'uso della matematica nell'economia, nonché dell'analogia di questa con la meccanica. Il parallelo fra i due sistemi si conserva in tutto lo sviluppo della teoria. Lo studio del fenomeno meccanico si compie mediante due approssimazioni, che costituiscono la meccanica razionale e la meccanica applicata; quello del fenomeno economico si compie con l'economia pura, o razionale, che studia le proprietà e le leggi generali dell'attività economica logica, e con l'economia applicata, che studia le approssimazioni mediante le quali il modello teorico si adatta al fenomeno concreto; le manifestazioni storiche alle quali la proprietà economica (applicandosi a dati di fatto, a punti di partenza mutevoli; combinandosi con le altre forze sociali) ha dato e dà luogo. La meccanica razionale comprende la cinematica, la statica e la dinamica; così l'economia pura (a prescindere dalla cinematica economica che potrebbe limitarsi a studiare le variazioni della ricchezza adoperando i soli concetti di ricchezza e di tempo, ma che può comprendersi, allo stato attuale della scienza, nella dinamica economica) si scinde in statica economica (diretta a determinare le condizioni generali che dànno luogo a una data posizione di equilibrio stabile) e dinamica economica (che studia le leggi generali delle variazioni o movimenti della ricchezza).

Il postulato sovra enunciato delimita la nozione e i caratteri dell'equilibrio economico: 1. l'equilibrio costituisce una posizione teorica che solo una collettività di homines œconomici raggiungerebbe, date certe condizioni iniziali e costanti dei gusti; disponibilità di beni; tecnica produttiva; regime giuridico; 2. ma nello stesso tempo costituisce una posizione virtuale alla quale effettivamente tendono, in ogni momento, i mercati concreti, in quanto e nei limiti in cui in essi agisce la forza economica.

Ipotesi fondamentale nella teoria dell'equilibrio è che le funzioni esprimenti le ofelimità individuali e i vincoli (leggi della tecnica, ordinamento giuridico) non variino col tempo. Nella realtà storica questi dati si modificano, si può dire, continuamente; e così pure i gusti, in quanto variano l'ammontare, la composizione della popolazione, le quantità e specie dei suoi bisogni, l'estensione e l'importanza che la proprietà economica ha nel complesso dei fattori della vita sociale. Il fenomeno concreto è perciò essenzialmente dinamico, perché nessuna società storica, anche la più semplice e meno mutevole, è esente da variazioni in tutte o in parte delle condizioni determinanti la vita della ricchezza. Anche se la proprietà economica degli atti umani rimane rigorosamente uniforme, si verificano continui movimenti nei prezzi dei beni, nelle quantità prodotte, consumate, scambiate, nell'ammontare e nella distribuzione dei redditi, nei saggi d'interesse. Ciò per due gruppi di cause: 1. perché si modificano, indipendentemente dal ragionamento economico, i dati di fatto cui questo si applica; 2. perché intervengono nel determinare le azioni umane impulsi e forze extraeconomiche, i cui effetti obbligano in seguito a modificare l'attività economica. I fenomeni della popolazione dipendono da cause fisiologiche, morali, sociali, oltreché economiche; i fenomeni della finanza pubblica e della politica economica, da fattori e condizioni politiche estranee al ragionamento edonistico; le variazioni della moda, le invenzioni, i perfezionamenti tecnici, hanno origini e sono regolati da leggi diverse da quelle economiche; ma tutti questi fenomeni si ripercuotono direttamente sui rapporti fra l'uomo e la rìcchezza, obbligando l'aggregato, mentre è in via di raggiungere una data posizione di equilibrio, a cercare nuovi adattamenti e a dirigersi verso una nuova posizione di massimo utile. Si parla comunemente di progresso economico e decadenza economica, mentre per sole cause economiche tali movimenti sociali non si verificherebbero: se l'umanità fosse costituita di puri homines oeconomici e le condizioni di fatto (bisogni, tecnica) cui la proprietà economica si applica si conservassero immutate, la società si manterrebbe indefinitamente in una situazione di equilibrio statico.

La nozione teorica dell'equilibrio economico non trova corrispondenza nella realtà storica, in cui la vita economica appare soggetta a un continuo e generale dinamismo. Essa tuttavia rappresenta una necessità dell'indagine: il pensiero umano, di fronte a una data situazione del mercato, si pone anzitutto il problema: quali sono le cause, le leggi, i rapporti che determinano e spiegano questa situazione? Problema che attraverso l'analisi scientifica, si trasforma nel seguente: date le condizioni di fatto esistenti nel momento osservato, a quale posizione durevole giungerebbe il mercato, se non si modificassero dette condizioni". A meno di limitarsi a un'osservazione affatto empirica dei movimenti concreti degli aggregati economici, senza analizzarne le determinanti e relative uniformità generali, prima di stabilire le leggi secondo le quali il mercato passa nei successivi momenti t0, t1, t2,... tn dalla posizione E0 alla posizione E1, da questa a E2,... En, (ossia determinare come variano in funzione del tempo le condizioni di fatto cui si applica il criterio economico), era necessario stabilire le leggi secondo le quali il mercato giunge a una qualsiasi di queste posizioni, supponendo invariate le condizioni suddette. Per un'altra ragione gli economisti hanno approfondito e definito anzitutto la teoria dell'equilibrio statico, mentre la dinamica è ai suoi primi tentativi e sviluppi: per la assai minore difficoltà tecnica della teoria statica e il maggior rigore dei risultati che con essa si potevano ottenere. Gli economisti hanno, esponendo la teoria dell'equilibrio, avvertito il suo carattere ideale e di prima approssimazione: scrive A. Marshall "La teoria statica dell'equilibrio è solo un'introduzione agli studî economici"; "i problemi economici sono presentati imperfettamente quando vengono trattati come problemi di equilibrio statico e non d'incremento organico". La teoria dell'equilibrio è però riuscita a definire proprietà del fenomeno concreto (ad es., interdipendenza dei suoi dati e delle loro variazioni) indispensabili nell'interpretazione dei movimenti della ricchezza e nella definizione delle leggi della dinamica. La distinzione fra i problemi dell'equilibrio e quelli del movimento economico è spesso imprecisa nelle teorie che si sono limitate alla ricerca di rapporti di causa ed effetto, e che investono gran parte della letteratura della scuola classica e postclassica. In esse si alterna lo studio di problemi di equilibrio statico, di equilibrî successivi, e della dinamica economica propriamente detta, in genere senza avvertirne di volta in volta la diversità di presupposti, metodi e natura.

I problemi di equilibrio parziale più frequente oggetto d'indagine, sono quelli relativi alla determinazione del valore e prezzo dei beni, valore e distribuzione della moneta, rapporti di scambio internazionale, determinazione del livello dei salarî, del tasso dei profitti e interesse del capitale. Si trattano questi problemi come problemi di equilibrio, senza rilevare le mutue dipendenze che ne costituiscono il connotato fondamentale. Così J. Stuart Mill, dopo aver avvertito che il prezzo dipende dalla domanda e a sua volta la domanda dipende dal prezzo, risolve il problema: "in tutte le cose che ammettono un aumento indefinito, solo la domanda e l'offerta determinano le alterazioni del valore durante un periodo che non può sorpassare la lunghezza del tempo necessario a mutare l'offerta.... La domanda e l'offerta tendono sempre ad equilibrarsi, ma la condizione di equilibrio stabile è che le cose si barattino reciprocamente in ragione della loro spesa di produzione". L'esatto concetto di equilibrio si perde nella ricerca di quale sia l'antecedente diretto e necessario ossia la "causa" (se il costo di produzione, o la domanda, o l'offerta, o il prezzo) in rapporti fra elementi che mutuamente si determinano.

Dai problemi di equilibrio statico non si distinguono ancora nettamente, in questa fase, quelli degli equilibrî successivi (discontinui); tale il fenomeno della rendita, che deriva dal passaggio da una situazione del mercato a una diversa situazione (non si verificherebbe se restasse immutata la posizione del mercato). Neppure è nettamente rilevata la fondamentale differenza che con quella dell'equilibrio presentano le teorie le quali riassumono certi movimenti dell'aggregato sociale in forma generica ed empirica (tendenza storica della rendita fondiaria ad aumentare, tendenza storica dei profitti al minimo, ecc.). Nella teoria degli equilibrî parziali le conclusioni costituiscono deduzioni rigorose dalla premessa economica; nelle leggi dinamiche suaccennate invece si raccolgono in modo sommario risultati eterogenei di forze sociologiche in concreto prevalenti su quella economica: il valore scientifico della teoria dipende in questo caso esclusivamente dal rigore e dall'approssimazione delle osservazioni induttive.

La teoria degli equilibrî parziali incomincia a tener conto delle mutue dipendenze negli scrittori dell'economia matematica. Anche studiosi non matematici hanno intraveduto il fatto dell'interdipendenza e si sono sforzati di tenerne conto nella definizione dell'equilibrio (esempio: F. Ferrara e T. Martello, con la teoria del prezzo determinato dal costo di riproduzione o sostituzione); ma nell'economia matematica questi rapporti trovano la loro naturale e più rigorosa espressione. Naturalmente non tutta l'economia matematica è teoria degli equilibrî parziali basata sulla mutua dipendenza dei fattori: ad es., in due memorie di W. Whewell, mentre si riconosce che i problemi del prezzo, del salario, del profitto, della ripartizione del capitale nei varî impieghi, sono problemi di equilibrio e che tale equilibrio non si consegue in pratica giammai ("il postulato dell'equilibrio è introdotto nei nostri calcoli mercé il provvedimento di porre gli altri postulati in forma di equazioni; i valori delle quantità implicatevi sono, con questo mezzo, determinati secondo le condizioni di equilibrio sopra stabilite") non si fa che ridurre in forma algebrica nozioni allora correnti nell'economia classica.

La teoria scientifica degli equilibrî parziali si definisce con A. Cournot per il caso di monopolio. La quantità di una merce annualmente vendibile è una funzione decrescente del prezzo (funzione continua in un mercato molto numeroso) e può esprimersi con una curva continua tracciata portando sull'asse orizzontale di un sistema cartesiano i prezzi e su quello delle ordinate le quantità. Data la curva della domanda, il punto di equilibrio è perfettamente determinato: supponendo inesistenti i costi, esso è definito dal punto in cui il triangolo che con l'asse delle ascisse fanno il raggio vettore e la tangente della curva, è isoscele (massimo utile netto globale del monopolista). Il Cournot definiva le vicine posizioni di equilibrio nelle ipotesi di un'imposta fissa e di un'imposta proporzionale al prezzo di vendita. Detta teoria si definisce poi con H. H. Gossen per quanto riguarda l'equilibrio fra gl'impulsi cui dànno luogo i bisogni e i sacrifici imposti dal lavoro: non si considerano prezzi e baratti di beni e individui diversi, ma solo i fattori psicologici fondamentali dell'attività economica. La decrescenza dei godimenti man mano che questi si prolungano o si ripetono, l'incremento della sofferenza del lavoro quanto più si protrae, portano necessariamente a un rigoroso equilibrio che si esprime graficamente per ogni bene con l'intersezione di una curva decrescente (quella del piacere procurato dal consumo del bene) e di una curva crescente (quella della pena del lavoro occorrente a produrlo). Su questo equilibrio fondamentale si potranno innestare quelli relativi agli scambî, ai prezzi e loro mutue dipendenze con le utilità e i costi.

Alla vecchia ricerca della causa del valore dei beni si sostituisce quindi quella di un sistema di equazioni in cui i prezzi dei beni o le quantità scambiate figurano come incognite, mentre le utilità soggettive dei beni barattati e le quantità inizialmente possedute dagli scambisti si considerano note. Questa nozione è stabilita, a poca distanza di tempo e, secondo le loro dichiarazioni, indipendentemente, da tre autori: J. S. Jevons, L. Walras, K. Menger. Nelle condizioni determinanti l'equilibrio assume importanza essenziale l'utilità marginale, il cui andamento si riflette su quello della domanda; ma l'utilità (come in passato la domanda) non deve considerarsi causa del rapporto di scambio, ma solo un dato del problema di cui il valore è un'incognita. Se due individui o gruppi posseggono inizialmente, il primo la quantità a del bene A, il secondo la quantità b del bene B, scambiandosi i due prodotti, dopo lo scambio il primo possiede a − x di A, e y di B; il secondo x di A, e b y di B. Supponendo che i due beni possano scambiarsi per variazioni infinitesime e si indichino con f1 (a); f2 (a); F1 (b); F2 (b) le utilità marginali di A e di B per prim0 e secondo, l'equilibrio è raggiunto quando si verificano le due uguaglianze (sufficienti a definire le incognite y e x)

Questa legge regola non solo gli scambî dei beni materiali, ma quelli del lavoro umano, dei capitali e la distribuzione del reddito fra i diversi impieghi. Ogni individuo tende a impiegare il proprio reddito in modo da ricavarne, dato un certo sistema di bisogni e di prezzi, la maggior somma possibile d'utilità soggettiva. Esprimendo con f1 (a), f1 (b)... f1 (m); f2 (a)... f2 (m)...; fu (m), le utilità marginali dei beni a, b, c, ... m, per gli individui 1, 2,... n; con pa, pb, ... pm i prezzi; la posizione di equilibrio nella distribuzione dei redditi individuali è raggiunta quando si verificano le seguenti uguaglianze:

I prezzi di tutte le merci vengono espressi nella merce m, e si suppongono dati le utilità individuali, i prezzi (in regime di concorrenza, identici, per ogni merce, in tutto il mercato) e le quantità iniziali di moneta (m). Si stabiliva in questo modo un sistema di mutue dipendenze fra utilità soggettive, quantità consumate e prezzi di tutte le merci; ma si trascurava il fatto che le utilità marginali di ciascuna merce in ciascun individuo non dipendono soltanto dalla quantità della merce cui si riferiscono, ma anche da quella di tutte le altre.

La teoria degli equilibrî parziali ha assunto nella successiva letteratura estensione sempre maggiore: a) in quanto si definiscono le condizioni d'equilibrio per nuove categorie di dati e si giunge a maggiori particolari sulla forma delle funzioni che vi figurano; b) perché si mettono in rilievo i vincoli di mutua dipendenza fra nuovi, più numerosi gruppi di fattori, già trattati come indipendenti. Fra le opere che maggiormente contribuirono al primo compito vanno ricordate quelle di M. Pantaleoni, F. Y. Edgeworth, E. Barone, R. Auspitz e R. Lieben (v. per tutte queste opere la bibliografia).

Estendono invece l'indagine delle mutue dipendenze (trascurando i contributi di minor importanza) I. Fisher e A. Marshall. Il Fisher riespone le condizioni determinanti l'equilibrio dei prezzi di m beni, prima supponendo che l'utilità d'ogni bene dipenda solo dalla quantità di questo bene; poi, che tale utilità sia in funzione delle quantità di tutti i beni, servendosi, nel primo caso, d'un geniale modello idrostatico e nel secondo, delle linee di indifferenza delle scelte (linee che collegano le combinazioni fra due, o più beni, egualmente utili per il consumatore) che, introdotte dall'Edgeworth, sono state più tardi usate da V. Pareto per rappresentare il sistema dei bisogni d'una collettività, prescindendo dalla misurazione dell'utilità soggettiva. Il Fisher ha poi analizzato l'equilibrio degli scambî dei beni nel tempo e del mercato capitalistico, le condizioni dell'equilibrio monetario, riassumendole nella nota formula

e studiandone gli equilibrî dinamici in funzione del tempo, con una ingegnosa esemplificazione meccanica.

La teoria degli equilibrî parziali acquista la massima estensione nel Marshall che, rielaborando con grande finezza e immensa cultura i problemi esaminati dalla scuola classica e dagli edonisti-matematici, ha precisato le condizioni di molti equilibrî particolari (domande di beni complementari, succedanei; offerte di beni a costi congiunti; equilibrî stabili e instabili negli scambî internazionali), riavvicinando la teoria sintetica alla realtà (equilibrî in lunghi e brevi periodi).

Già L. Walras aveva avvertito che le condizioni dell'equilibrio non debbono limitarsi a stabilire i vincoli reciproci fra utilità marginali, prezzi, quantità domandate di tutti i beni; ma abbracciano il risparmio e quindi il saggio d'interesse, le offerte, domande e prezzi dei servigi produttori. Tutti i fattori del mercato sono fra loro legati; la determinazione d'un gruppo avviene in funzione di quella degli altri. Il Walras giungeva così alla concezione dell'equilibrio generale, fissandone le equazioni nell'ip0tesi di libera concorrenza. Le equazioni walrasiane indicavano, sommariamente, le seguenti condizioni: 1. ogni individuo vende servizî produttivi e compra beni di consumo; la somma di numerario ricavata dalla vendita, meno la somma che spende, è uguale al suo risparmio; 2. il massimo di soddisfazione è da ogni individuo raggiunto quando la rarità (utilità marginale) di ciascun bene di consumo, divisa pel rispettivo prezzo, e la disutilità finale d'ogni servizio produttivo costoso, divisa per il prezzo del rispettivo servizio, dànno lo stesso quoziente. Supposti noti i prezzi dei consumi e dei servizî produttivi, queste equazioni consentono di determinare le domande individuali dei servizî produttivi e di risparmio; 3. nei bilanci dell'imprenditore, il prezzo di ogni prodotto è uguale al costo di produzione. Note le quantità dei fattori produttivi e i prezzi dei servizî, la spesa di produzione resta perfettamente determinata; 4. queste ultime equazioni consentono di esprimere i prezzi dei beni di consumo in funzione dei prezzi dei servizî e del saggio d'interesse; e di esprimere i prezzi dei servizî di capitali non prodotti e il saggio d'interesse. Le domande collettive di servizî di capitali non prodotti e di risparmio, si rappresentano in funzione dei prezzi dei servizî di fattori non prodotti e del saggio d'interesse. Supponendo noti e invariabili i coefficienti di produzione, anche le domande di risparmio e di servizî da parte degl'imprenditori si rappresentano in funzione di tali prezzi. L'equilibrio sarà determinato quando i prezzi risultano tali da uguagliare la domanda collettiva di ciascun servizio e di risparmio con la rispettiva offerta.

Questa rappresentazione dell'equilibrio generale nell'ipotesi di libera concorrenza veniva ripresa e sviluppata da Vilfredo Pareto anzitutto nel Corso di economia politica. In esso, oltre a prospettare l'utilità marginale funzione della quantità consumata di tutti i beni e a perfezionare le ipotesi relative ai coefficienti di produzione, si stabilivano le equazioni dell'equilibrio generale nell'ipotesi del monopolio e di fenomeni di rendita (correttamente considerati effetto del passaggio da un equilibrio a un altro). Nel Manuale di economia politica (1906) l'intiera teoria dell'equilibrio veniva riveduta ed espressa in forma più generale. Non hanno ragion d'essere differenze sostanziali fra produzione, distribuzione, consumo, scambio. I problemi economici possono ricondursi al contrasto fra soggetti economici, ciascuno dei quali è mosso dai proprî gusti. L'azione dei soggetti sotto l'impulso dei gusti è sottoposta a vincoli (limitazione dei beni, costo di produzione e stato della tecnica, regime giuridico). L'economia pura è costituita dallo studio sintetico dei gusti; degli ostacoli che ad essi si oppongono; delle configurazioni d'equilibrio che nascono dal contrasto fra le azioni derivanti dai gusti e le reazioni prodotte dagli ostacoli. Il problema dell'equilibrio economico consiste nello stabilire tante uguaglianze o equazioni quante sono le incognite. I gusti (determinabili in via induttiva con lo studio delle scelte e rappresentati con le linee d'indifferenza e preferenza e le funzioni indici d'utilità od ofelimità), gli ostacoli, le condizioni della tecnica, l'ordinamento giuridico, si considerano come quantità note. Sono incognite le quantità scambiate e i prezzi (ipotesi della libera concorrenza e di prezzi costanti). La formulazione definitiva è stata data nell'appendice del Manuale e nell'articolo Économie mathématique (1911). Il sistema economico può scindersi in due: un sistema di equazioni, che lascia indeterminato un certo numero di incognite (sistema dello scambio, relativamente al quale si trattano i casi di libera concorrenza, a prezzi costanti o a prezzi variabili; monopolio d'un individuo e una merce monopolizzata; monopolio di due individui e una merce monopolizzata; monopolio di due individui e due merci), un secondo sistema, che lascia indeterminate altre incognite (sistema della produzione, monopolio, regime collettivistico, con prezzi costanti o variabili, con coefficienti di produzione fissi e variabili). I due sistemi si considerano separatamente, ma sono legati da equazioni che valgono solo al punto d'equilibrio. In questa formulazione la teoria dell'equilibrio statico raggiungeva il maggior grado di generalità, definendo cioè le proprietà più generali dell'attività umana dedotta dai due presupposti della perfetta logica edonista e della stabilità delle condizioni iniziali (gusti e ostacoli).

Nella recente letteratura scientifica la teoria dell'equilibrio si ricollega a due ordini di ricerche: 1. lo studio dell'equilibrio generale della società, di cui il fenomeno economico è parte; 2. lo studio della dinamica economica, tenendo conto, sia pure in modo limitato, del sistema di mutue dipendenze. Fra i contributi più notevoli al primo ordine d'indagini va rilevato il Trattato di sociologia generale del Pareto; al secondo, i lavori di H. L. Moore, C. F. Roos, L. Amoroso.

Bibl.: J. Stuart Mill, Principles of P. E., Londra 1848; n. ed. 1926; W. Whewell, Mathematical exposition of some doctrines of political economy, Cambridge 1829-31; A. Cournot, Recherches sur les principes mathématiques de la théorie des richesses, Parigi 1838; H. H. Gossen, Entwickelung der Gesetze des menschlichen Verkehrs, Braunschweig 1854; W. S. Jevons, Theory of P. E., Londra 1871; L. Walras, Élém. d'écon. pol. pure, Losanna 1874; K. Menger, Grundsätze der Volkswirthschaftslehre, Vienna 1871; M. Pantaleoni, Principi di economia pura, Firenze 1889; id., Scritti vari di economia, Palermo 1904, 1909; Roma 1910; id., Erotemi di economia, Bari 1925; F. Y. Edgeworth, Mathematical Psychichs, Londra 1881; id., Theory of international values, Londra 1894; E. Barone, in Giornale degli economisti, 1894-98; id., Principii di econ. pol., Roma 1913; R. Auspitz e R. Lieben, Untersuchungen über die Theorie des Preises, Lipsia 1889; I. Fisher, Mathematical investigations in the theorie of value and prices, New Haven 1892; id., Nature of capital and income, New York 1905; id., The Rate of Interest, New York 1907; id., The Purchasing Power of Money, New York 1913; A. Marshall, Principles of Ec., Londra 1891; id., Money Credit and Commerce, Londra 1923; V. Pareto, Cours d'économie politique, Losanna 1896-97; id., Manuale di econ. pol., Milano 1906; appendice, Parigi 1909; id., Économie mathématique, Parigi 1911; id. Trattato di sociologia generale, Firenze 1916; C. F. Roos, A dinamic theory of economics, Chicago 1927; id., Generalized Lagrange problems in the calculus of variations, Chicago 1928; H. L. Moore, Synthetic Economics, New York 1928; L. Amoroso, Lezioni di economia matematica, Bologna 1921; id., Le equazioni differenziali della dinamica economica, in Giornale degli economisti, 1929.

Equilibrio politico.

Il principio d'equilibrio è un canone fondamentale di politica empirica, che forma, diremmo quasi, la spina dorsale della storia della diplomazia moderna. Consiste nell'equilibrare o nel riequilibrare le forze delle grandi potenze in tal modo che la bilancia politica non trabocchi decisamente in favore d'una di esse e nell'impedire con tutti i mezzi il formarsi d'un impero universale. Il principio d'equilibrio è limitato, quindi, sostanzialmente alle grandi potenze, e gli stati minori, se pure talvolta hanno trovato modo di avvantaggiarsene, più spesso ne sono state vittime: le spartizioni della Polonia, le riduzioni degli staterelli dell'Impero germanico, la semplificazione sempre più notevole della carta geografico-politica dell'Europa si sono fatte sempre in nome di quel principio.

Metodo più che dottrina determinata, estremamente duttile e flessibile, il principio d'equilibrio si è adattato a tutti i climi storici: nato in Italia nel sec. XV, si estese in Europa nel sec. XVI e dall'Europ9 nel mondo nei secoli XIX e XX con le contese coloniali, con la politica degli stati sud-americani verso gli Stati Uniti e con quella degli Stati Uniti verso il Giappone; si è alleato con le più diverse teorie: dottrine dello stato patrimoniale, della tolleranza religiosa, della legittimità, delle nazionalità, dell'autodecisione dei popoli; si è servito di tutti i mezzi: guerre di coalizione, alleanze e intese, compensi e sfere di influenza, spartizioni e integrità degli stati deboli e interventi e non interventi nella loro vita interna. Troppo trasmutabile, troppo aristocratico, non può divenire, come talvolta s'è tentato ingegnosamente, norma giuridica, chiave di volta del diritto internazionale. Esso è un principio politico e trova la sua giustificazione storica nell'assicurare il libero sviluppo delle grandi formazioni politiche capaci di vita autonoma e consapevoli di sé stesse, in quel concetto che un tempo si chiamava libertà d'Italia o libertà d'Europa. Al principio d'equilibrio si deve - nel senso relativo col quale si può intendere il concetto di causa in storia - la fisionomia originale della civiltà moderna, d'una civiltà unitaria o tendenzialmente unitaria, ma creata da più stati o nazioni e vivacemente articolata nelle sue parti vitali. Dalle esigenze dell'equilibrio, che postulano la necessità di una continua sorveglianza dei varî stati tra loro e d'un sempre più vasto e complicato sistema di contrappesi, deriva infine, prima in Italia, quindi in Europa e nel mondo, la diplomazia moderna, fondata sullo stabilizzarsi e sul moltiplicarsi delle relazioni diplomatiche.

Bibl.: E. Nys, La Théorie de l'équilibre européen, in Revue de droit international et de législation comparée, 1893, pp. 34-57; V. Donnadieu, Essai sur la théorie de l'équilibre, Parigi 1900; Ch. Dupuis, Le principe d'équilibre et le concert européen, Parigi 1909.

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