Erbicida

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Sostanza chimica (anche detta diserbante) usata per l’eliminazione delle erbe infestanti o nocive. La maggior parte degli e. è impiegata in agricoltura per proteggere i raccolti; il 20-25% della produzione serve per liberare dalle erbe ferrovie, strade, zone industriali ecc. A livello mondiale circa il 45% della spesa sostenuta dagli agricoltori per l’acquisto di fitofarmaci è destinato agli erbicidi. Il loro consumo è concentrato per circa il 70% in Europa e America Settentrionale e interessa principalmente le grandi colture erbacee. In Italia la superficie interessata al diserbo chimico è prossima ai 5 milioni di ettari.

Tipologie di e. e loro impiego

Gli e. si classificano in totali o selettivi, a seconda che distruggano tutte o solo alcune delle erbe che crescono sulla superficie trattata. Spesso gli e. si suddividono in base al momento nel quale vengono applicati nel terreno: presemina, prenascita e postnascita; nel primo caso vengono applicati nel terreno prima della semina (prevengono la germinazione dei semi delle erbe), nel secondo caso vengono immessi nel terreno dopo la semina, ma prima della germinazione delle varie colture (in questo caso gli e. agiscono sulle erbe appena germogliate, che si trovano in condizioni particolarmente sensibili all’azione dell’e. anche in piccole dosi); nel terzo caso vengono applicati sulle foglie delle erbe dopo il loro sviluppo (in questo caso l’agricoltore ha il vantaggio di poter osservare quali sono le erbe infestanti che deve eliminare e può così scegliere un e. selettivo).

Gli e. di più antico impiego sono rappresentati da composti inorganici (arseniti, arsenati, cloruri, sali di boro, sali di rame, acido solforico a opportuna concentrazione ecc.). La scoperta di prodotti organici sintetici dotati di un’attività e di una specificità molto elevata ha determinato la grande diffusione, a partire dagli anni 1940, dell’uso agricolo degli erbicidi. Il primo e. sintetico di largo impiego è stato l’acido 2,4-diclorofenossiacetico (o 2,4-D), introdotto in commercio nel 1945 circa, seguito nel 1948 dall’acido 2,4,5-triclorofenossiacetico (o 2,4,5-T), più attivo del 2,4-D, ma il cui impiego è stato sospeso o vietato in molti paesi perché nel prodotto commerciale è stata riscontrata la presenza di diossina. Dopo gli e. del tipo fenossiacetico altri ne sono stati studiati e applicati: uree sostituite, carbammati, acidi alifatici clorurati, derivati clorurati dell’acido benzoico, dinitroaniline sostituite ecc. In particolare, ha trovato larga diffusione il derivato dall’urea 3-p-clorofenil-1,1-dimetilurea, che può agire su tutte le erbe della superficie trattata (e. totale) e, pertanto, è suscettibile di essere usato come sterilizzante del suolo di aree urbane (diserbatura integrale) e anche a scopo bellico. Notevole impiego hanno trovato anche le triazine simmetriche (per es., la 4,6-bis-etilammino-2-cloro-1,3,5-triazina o simazina). Esiste in commercio un gruppo di composti chimici protettori o antidoti degli e. che hanno il compito di proteggere i raccolti dall’azione dannosa che gli e. possono esercitare su di essi. Anche le auxine, fattori di accrescimento dei vegetali, a elevata concentrazione possono invertire la loro azione ed essere impiegate come erbicidi.

Meccanismi di azione degli e. e impatto ambientale

Gli e. agiscono secondo meccanismi molto complessi, che determinano una serie di lesioni biochimiche: inibizione della fotosintesi, alterazione dei processi di crescita e in particolare della biosintesi proteica, inibizione della respirazione e della fosforilazione ossidativa. Nel caso di applicazione fogliare la tossicità dipende anche dalla quantità di e. che rimane aderente alle foglie: in questi casi l’uso di emulsioni oleose o l’aggiunta di sostanze tensioattive possono influire profondamente sulla selettività del trattamento in quanto modificano le capacità del prodotto applicato. Spesso, poi, a complicare l’interpretazione dei meccanismi d’azione degli e. e a renderne talvolta discutibile l’impiego, interviene la formazione di veleni secondari, che amplificano gli effetti di un e. diventando così i veri responsabili delle manifestazioni tossiche: per es., le triazine bloccano la fase luminosa della fotosintesi impedendo la riduzione dello ione nitrato che conseguentemente si accumula fino a concentrazioni tossiche.

Il rapido metabolismo della maggior parte dei principi attivi all’interno delle piante e la loro bassa tossicità (con poche eccezioni, come i sali del diidropiridopirazinidio e i nitrofenoli) rendono di scarsa rilevanza il problema della persistenza dei residui di e. nei prodotti raccolti: maggiore interesse riveste, invece, la persistenza degli e. nel terreno in relazione anche all’eventuale interferenza con colture successive. È stato dimostrato, in particolare, come il contenuto di humus nel terreno sia utile per assorbire gli e. (evitando la percolazione in falda) e per ottenere la loro degradazione biologica. Il passaggio degli e. dal terreno al ciclo biologico (falde acquifere, alimenti ecc.) ha stimolato la ricerca per la messa a punto di metodi affidabili di determinazione degli e., per lo più basati su tecniche cromatografiche.

Se da un lato l’impiego degli e. è stato di fondamentale importanza per il raggiungimento di elevati rendimenti nelle moderne coltivazioni agricole, dall’altro lato un uso incontrollato degli e. può variare profondamente l’habitat naturale, con pericolo di estinzione delle specie rare, sterilizzazione del terreno, migrazione di animali verso i centri urbani. Si è cercato pertanto di utilizzare nella lotta contro le erbe infestanti i mezzi biologici ( bioerbicidi). Inizialmente sono stati impiegati gli insetti, in seguito sono stati presi in considerazione altri agenti, quali funghi, batteri, virus e nematodi.

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