ERESIA

Enciclopedia Italiana (1932)

ERESIA (fr. hérésie, sp. herejía, ted. häresie, ingl. heresy)

Giuseppe De Luca

Il termine "eresia", come il latino haeresis da cui direttamente proviene, riproduce il greco αἴρεσις, ed è legato alla sua storia. Nel greco classico, il vocabolo è tutt'altro che infrequente, ed ha le varie accezioni di "presa, scelta, elezione, inclinazione verso qualcuno o qualcosa, proposta"; nel greco alessandrino, incomincia ad applicarsi tipicamente a dottrine filosofiche, religiose, politiche, e in Giuseppe Flavio ha già un senso di "setta", sia pure senza includere condanna ufficiale o tacita disapprovazione. Nel greco del Nuovo Testamento αἴρεσις ricorre 9 volte, e 1 volta αίρετικός, sempre con esplicito e grave biasimo. Il passo di I Corinzî, XI, 19, sembra già ammettere una distinzione precisa tra eresia e scisma; e tutti gli altri passi del Nuovo Testamento dànno alla parola il significato più grave, come a cosa colpevole e la più dannosa alla comunità e ai singoli; Paolo, in Atti, XXIV, 14, respinge il titolo di "eresia" che i Giudei usavano per il cristianesimo nascente. Nella II Pietro, II, 1, i teologi cattolici riscontrano già tutti gli elementi costitutivi del concetto di eresia; interessante in proposito Atti, XX, 29-30.

Il vocabolo appare in un senso ancora più preciso nei Padri apostolici: il concetto di eresia era ormai fissato per un determinato ordine di dottrine e di conseguenze disciplinari e sociali. Ciò che rappresentava nella dottrina cristiana personali affermazioni in contrasto con l'insegnamento tradizionale della Chiesa, costituiva già un'eresia: eresia ed eretici dovevano essere nettamente respinti dalla comunione cristiana. In Tertulliano, De praescriptione, c. 6, abbiamo già una definizione di eresia. Le continue polemiche e avvisaglie contro gli eretici, così frequenti nei primi secoli, oltre allo sviluppo di particolari punti dottrinali, portarono allo sviluppo di una speciale disciplina, l'eresiologia, cioè lo studio dei rapporti della tradizione ecclesiastica con le dottrine che l'avversavano (v. eresiologia).

Si venne quindi a definire un doppio ordine di polemica cristiana; uno, contro gl'increduli e i pagani; l'altro, contro gli eretici. Così il nome e il concetto sempre più si precisavano. S. Girolamo, ripetendo l'etimologia già proposta da Tertulliano nel luogo citato αἴρεσις .... ab electione dicitur, in Patr. lat., XXVI, 417, dà come costitutivo dell'eresia l'elemento personale e nuovo, contrapposto all'elemento ecclesiastico e tradizionale. E altrove (ibid., 598) distingue: inter haeresim et schisma hoc esse arbitrantur, quod haeresis perversum dogma habeat, schisma propter episcopalem dissensionem ab Ecclesia separatur. Rimane così chiarito che nell'eresia prevale un dissenso dottrinale, nello scisma un dissenso disciplinare. Diciamo "prevale", perché nella realtà è dìfficile poter difendere un'eresia senza infrangere la disciplina, e difendere uno scisma senza compromettere la dottrina, per lo meno sulla costituzione gerarchica della Chiesa e il suo magistero.

Dai grandi dibattiti dei primi secoli, parola e concetto passarono nella dottrina e nella legislazione conciliare successive; e, dal terreno ecclesiastico, nella legislazione civile e politica dell'Impero prima, e poi degli stati romano-barbarici occidentali. Il diritto canonico e la scolastica, tanto quelli tra i secoli XI-XIV, quanto quelli successivi al concilio di Trento, ebbero speciali e ampie trattazioni sopra l'eresia.

L'eresia nella dogmatica e nella morale. - S. Tommaso, seguito da tutta la teologia cattolica, nella Summa, IIª-IIae., q. X segg. dà le basi fondamentali dell'insegnamento scolastico odierno, partendo dal concetto di "infedeltà". L'infedeltà pienamente negativa, di chi ignora la fede, o del tutto o in parte e senza sua colpa, non è vera e propria infedeltà. Per questa è necessario: conoscere la fede, impugnarla o disprezzarla. In hoc proprie perficitur ratio infidelitatis (ibidem, art. 1, in c.). Procedendo, mostra come "il dissentire, che è l'atto proprio [costitutivo] dell'infedeltà, è un atto dell'intelletto, mosso però dalla volontà, come il consentire"; e così resta fermo il carattere "intellettuale" dell'eresia, che è, secondo S. Tommaso, una specie, in senso filosofico, di infedeltà, che è il genere (ibid., art. V). S. Tommaso infatti distingue l'infedeltà di coloro che resistono alla fede "non ancora ricevuta", cioè conosciuta ma impugnata integralmente - e questa è l'infedeltà dei pagani - dall'infedeltà di coloro che l'hanno ricevuta - e questa è l'infedeltà degli eretici: costoro "professano la fede di Cristo, ma ne corrompono dei dogmi".

Dalle nozioni offerte da Tommaso, i teologi deducono la definizione di eresia. Ecco la definizione più comune, proposta da A. Michel (v. Bibl.): "È una dottrina che si oppone immediatamente, direttamente, e contradditoriamente alla verità rivelata da Dio e proposta autenticamente come tale dalla Chiesa".

Ad illustrazione basti qui accennare, che per avere un'eresia propriamente detta, occorre una dottrina che impugni una verità rivelata da Dio, e non una semplice conclusione teologica; senza valersi di un termine medio: cioè non impugnando soltanto quello che può essere più o meno strettamente connesso con una verità rivelata; contraddittoriamente, cioè non per via di sola contrarietà; infine, che la verità impugnata sia autenticamente dichiarata "rivelata da Dio" e proposta come tale dalla Chiesa. In altri termini, l'eresia respinge quella verità, sostituendo il proprio giudizio al magistero della Chiesa, nell'esame di tale verità; e per questo lato l'eresia, per la sua essenza medesima, direttamente importa un fatto antiecclesiastico, e viene a offendere la verità "divino-cattolica", come i teologi dicono. Così concepita, l'eresia, non ammette gradi; i varî gradi che le si assegnano da alcuni son fondati più sulla procedura inquisitoriale del Medioevo che non sul concetto teologico.

Dato il carattere intellettuale dell'eresia, parrebbe inammissibile una sua colpevolezza morale, se non si considerasse l'impulso che viene dalla volontà all'atto intellettuale, e l'accettazione di questo atto da parte della volontà. Nel giudizio erroneo circa la regola di fede, deliberatamente cercato e accettato, sta il peccato di eresia. Questo giudizio si può manifestare in una negazione o anche in un dubbio positivo che riduca la certezza a semplice opinione. Il dubbio negativo, che si limita a una sospensione di giudizio, è piuttosto un principio psicologico di eresia che un atto di eresia; ma il dubbio positivo, appunto perché scrolla l'adesione all'insegnamento della Chiesa (sempre in "materia" suscettibile di eresia) è già una colpa vera e propria.

L'intervento della volontà nella genesi dell'atto di eresia, e il vario grado di consapevolezza relativamente a questo atto, dànno luogo a varî e molteplici problemi. Basti notare che l'apostasia è in fondo eresia, con questo di particolare che implica una defezione totale. La "pertinacia" che inquisitori, canonisti e teologi dicono essenziale all'eresia non consiste in una ostinazione speciale, ma nella coscienza chiara e nell'animo deliberato d'impugnare una verità che si conosce rivelata e come tale proposta dalla Chiesa.

Dai precedenti apparisce che il peccato può essere cosa d'un singolo; che è considerato il più grave fra tutti i peccati d'infedeltà; e che non può essere eretico se non chi, col battesimo, sia entrato a far parte della Chiesa, cioè chi sia già un "fedele". Le molteplici conseguenze che vengono a colpire l'eretico, nei rapporti con la vita interiore cristiana e con la società ecclesiastica, vanno studiate negli autori, essendo d'una complessità che non può compendiarsi.

Sguardo storico sull'eresia nella Chiesa. - Data l'ampiezza del tema, qui non si farà che accennare ai moti ereticali maggiori, rinviando per essi alle voci relative. Potendo darsi, come si è visto, casi di eretici singoli, non si può tener conto di loro; ma solo di quelle eresie che ebbero estensione e profondità sociale nella storia della Chiesa. Inoltre, piuttosto che a un criterio puramente cronologico, che ingenererebbe confusione, sarà meglio seguire un ordine cronologico insieme e logico, cioè secondo le varie ripartizioni della dottrina cattolica. Chi volesse, in un quadro d'insieme, caratterizzare le varie epoche ereticali, potrebbe dire, genericamente, che i primi secoli cristiani ebbero eresie sulla natura di Dio, di Cristo e della Chiesa; nel primo Medioevo, orientale e occidentale, furono revocati in controversia particolari punti circa il culto, la disciplina e l'essenza dei misteri liturgici e dei sacramenti; dopo il Mille, la cristianità fu sommossa da impulsi mistici popolari con attacchi a tendenza o razionalistica o politica, che portarono poi alla secessione delle chiese protestanti; infine, nei tempi moderni, piuttosto che di eresia, si tratta di apostasia, cioè defezione totale o infedeltà vera e propria, cioè non accettazione del cristianesimo, se si eccettua il giansenismo.

I primi "eretici" che appariscono nella storia ecclesiastica, sin dai tempi della fondazione della Chiesa, sono i cosiddetti giudeo-cristiani, che volevano ritenuti nel cristianesimo non solo tutte le prescrizioni legali del giudaismo, ma anche alcuni concetti fondamentali, sul valore dell'Antica Legge, e furono i massimi oppositori di Paolo. I cosiddetti nazarei ed ebioniti sono in questa categoria. Dello gnosticismo moltissimi elementi, se non tutti, erano affatto estranei al cristianesimo; piuttosto che eresia, parrebbe da considerarsi una concezione religiosa con elementi cristiani svisati e ridotti a mere larve. Il marcionismo, che ebbe il suo nome, la sua teoria e la sua chiesa da Marcione, fu una miscela d'intellettualismo e rigorismo (il suo non fu vero gnosticismo) fondata sulla mutilazione di sacri testi, e toccò più da vicino l'organizzazione e la vita della Chiesa. Il mitraismo, il sincretismo religioso, il neoplatonismo e lo stesso manicheismo vanno considerati anch'essi non tanto come eresie, quanto come religioni o concezioni religiose per sé stanti, opposte al cristianesimo, pure avendone assimilato alcuni elementi. Sopra una base nettamente cristiana si elevò invece il montanismo, che affermando una terza e ultima rivelazione, quella dello Spirito (dopo quella del Padre nell'Antico Testamento, e del Figlio nel Nuovo Testamento), iniziò una serie di eresie che vivrà in tutto il Medioevo, si troverà rispecchiata in alcune confessioni protestantiche, e ancora oggi è viva in circoli pseudo-cristiani e piuttosto teosofici. Altra origine, prevalentemente giudaica, ebbe il millenarismo, assai diffuso anche tra gli ortodossi nei primi secoli; così pure l'encratismo, se questo non dev'essere considerato come una tendenza comune a varie eresie e in certo senso e in certa misura anche a gruppi cattolici.

Tutte codeste eresie nascono, può dirsi, in terreno religioso, e per contaminazione con altre religioni; ma lo sviluppo stesso dell'apologetica contro i pagani e i giudei e della controversia contro gli eretici, insieme col prevalere del cristianesimo in centri intellettuali e in classi colte, aprirà un'altra fonte di eresie ben altrimenti gravi e sconvolgenti: l'intellettualismo, come noi ora diremmo. Relativamente alla Trinità nacquero il modalis7no con le conseguenti colorazioni di monarchianismo e patripassanismo, difese da Prassea, da Noeto, da Sabellio e confutate da Tertulliano, Ippolito, e dai Padri del sec. IV.

Una forma particolare, ma distinta, è l'adozionismo: pure insistendo sull'unità personale di Dio, del Figlio non faceva un "modo" umano di considerare Dio, ma una creatura adottata da Dio. Con Paolo di Samosata, queste dottrine incominciarono ad avere una certa complessità, divennero un pensiero teologico, una tendenza che avrà il suo sviluppo gigantesco appresso. D'altra parte la scuola d'Alessandria, pure avendo aperto al cristianesimo una strada gloriosa negli studî, gli lasciava in eredità il cosiddetto origenismo, cioè alcune particolari dottrine non riconosciute dalla Chiesa per sue (preesistenza delle anime, apocatastasi, ecc.; v. origene), ma che fermenteranno sino a tutto il sec. VI, e, a giudizio di alcuni studiosi, formeranno, per molte parti, il sostrato di molta teologia orientale, dato che questa non ha subito, come in Occidente, una revisione a base aristotelica. La polemica per la Pasqua, lo scisma di Novaziano (e già prima le difficoltà di Ippolito), il dissenso di Cipriano, e altre controversie del genere non possono essere annoverate tra le vere e proprie eresie. Luciano di Samosata, fondando verso il 260 la scuola di Antiochia, non iniziò soltanto una corrente di esegesi biblica, ma aprì la strada a discussioni ed eresie, che giunsero assai più in là che non la scuola di Alessandria. Ario si dirà discepolo di Luciano, e non a torto: i collucianisti, cioè i discepoli di Luciano, furono gli ariani più vivi e forti.

Il sec. IV, secolo dei grandi Padri e dei massimi scrittori cristiani, è anche il secolo delle maggiori e più numerose eresie: basterà qui ricordarne i nomi: il sabellianismo nella nuova veste datagli da Fotino e da Marcello d'Ancira; l'arianesimo con la negazione della divinità del Verbo Incarnato e le sue conseguenti negazioni della divinità dello Spirito Santo (macedoniani, ecc.); l'apollinarismo; il nestorianismo; il donatismo; il pelagianismo; il priscillianismo. Come la scuola di Antiochia condusse al nestorianismo, quella di Alessandria spianò la via al monofisismo di Eutiche. Nel primo Medioevo bizantino, due altre grandi eresie, il monoteletismo e l'iconoclastia, turbarono profondamente la Chiesa. Ma le cristianità che si costituirono "a parte", come vere e proprie secessioni, basarono principalmente le ragioni della separazione o sul nestorianismo o sul monofisismo. Polemiche, come quella famosa dei Tre Capitoli, risentono più di scisma che di eresia; o piuttosto sono conseguenze di eresie maggiori: tali polemiche furono frequenti e acri. Cosl pure, si tralasciano alcune forme attenuate, facilmente riportabili a errori capitali (semi-arianesimo, semi-pelagianesimo, ecc.). Lo scisma di Fozio, almeno sugl'inizî, non coinvolse particolari affermazioni ereticali, se non per via di conseguenza.

Nel sec. IX, notevole l'adozionismo di Elipando e Felice di Urgel, notevolissimo il predestinazionismo di Gottschalk, che turbò vivamente Francia e Germania; e quantunque Giovanni Scoto Eriugena non possa in verità dirsi un eretico, certo fu uno dei maggiori responsabili di successive deviazioni razionalistiche nel pensiero teologico. Nel sec. XI, oltre i postumi dello scisma greco con Michele Cerulario, merita particolarissima attenzione la controversia eucaristica con Berengario. Ma ben altre eresie, e non d'indole meramente teologica, si venivano maturando nei primi secoli dopo il Mille: da una parte, la corrente filosofica penetrata con l'Eriugena in modo compromettente nella teologia portò al "dialetticismo" di Abelardo, al "nominalismo", e ai primi compromessi con ciò che sarà l'averroismo: questo traverserà i secoli XIV e XV per ricollegarsi poi con le prime manifestazioni in Europa di una filosofia non solo indipendente dalla teologia, ma avversa ad essa e al cristianesimo. Dall'altra parte, le condizioni politiche della Chiesa tra il feudalesimo prima e l'Impero poi, e nel periodo della riscossa delle plebi nei comuni, diedero luogo a una serie di movimenti ereticali della massima importanza; come quelli che autorizzavano la resistenza imperiale al papato, nelle varie contese, dalla lotta delle investiture a Filippo il Bello e Ludovico il Bavaro; e, molto più importanti, i cosiddetti moti popolari contro la corruzione del clero, con ritorni a forme evangeliche o, molto più frequentemente, catare ed encratistiche o manichee, che avevano traversato in centri dispersi il primo millennio cristiano, e ora davano nuovi segni di vita e rifiorivano in Occidente. Notevoli, in Oriente, i pauliciani e bogomili. I patari, risurrezione di cenacoli catari, Pietro di Bruys, Enrico di Tolosa, Éon de l'Étoile in Francia, Arnaldo da Brescia in Italia, Pietro Valdo, i Poveri lombardi, il movimento dei fraticelli intorno al francescanesimo, i riflessi degli umiliati, sono tutti movimenti tipicamente ereticali. Notevolissimi gli Albigesi. Dallo stesso terreno, ma con spiccate tendenze mistiche, il gioachimismo sorse ed ebbe seguaci innumerevoli; innumerevoli le sette iniziatiche e mistiche come i Beguardi. Tutto codesto fermento nel corso del sec. XIII venne via via sedandosi e pacificandosi. Per quanto fronteggiato dalla Chiesa, si deve dire che in realtà venne cadendo con il mutarsi delle condizioni sociali, più che per coazione e repressione ecclesiastica o civile.

Nei secoli seguenti, in parte per certe deviazioni scolastiche, in parte per il rapido costituirsi delle nuove nazionalità, nuovi moti si svilupparono non semplicemente ereticali, ma connessi con più vaste riforme soeiali. Nel sec. XIV, Wycliffe iniziò correnti di idee, sentimenti e risentimenti, che poi matureranno nel sec. XVI con le eresie protestantiche. Huss, nell'Europa centrale e poco più tardi, condusse anch'egli una campagna di rivendicazioni religiose e nazionali contro Roma e l'Impero germanico. Intanto si facevano sforzi per il ritorno dei Greci, coronati talora da brevi paci (concilî di Lione di Firenze): arricchendosi di nuove polemiche, per es. l'esicasmo. Nel sec. XV raggiunsero il loro maggiore sviluppo le cosiddette teorie conciliari, le quali, per quanto. combattute e condannate, insieme con lo scisma d'Occidente il cosiddetto Grande scisma (1378-1417), procurarono diminuzione nel prestigio del papato. Il Rinascimento, che parve rinnovare questo prestigio, si risolse in realtà in nuovo danno: dai primi del sec. XVI in poi scoppiarono in tutti i punti d'Europa le eresie che oggi chiamiamo con l'appellativo comune di protestantesimo: e già sulla metà del secolo la Germania e l'Inghilterra con tutti i paesi del Nord si erano staccate dal centro naturale della fede, Roma; la Francia gravemente sconvolta, l'Italia e specialmente la Spagna sottoposte a stretta vigilanza inquisitoriale. Nella Spagna erano ancor vivi circoli eterodossi, come alumbrados, mauriscos, ecc., che risalivano al secolo precedente. Senza seguire il movimento filosofico e scientifico che iniziatosi nel Rinascimento portò a un graduale distacco della cultura europea dal cattolicismo (non può in tal caso adoperarsi che in senso lato il termine di eresia), bisogna ricordare la grande controversia sulla grazia della fine del sec. XVI, la quale, insieme con una nuova rinascita dell'agostinianismo, preparò la via al giansenismo: in precedenza, il baianismo aveva turbato non poco le scuole, più che le masse cristiane. Le battaglie sulla morale tra probabilismo e probabiliorismo determinarono la condanna degli estremisti. Notevoli la condanna di Michele de Molinos, del quietismo con i suoi strascichi della falsa mistica. Il gallicanesimo, il regalismo, il febronianismo devono considerarsi vere eresie, data la condanna in cui incorsero. Durante tutto il sec. XIX la Chiesa ebbe a condannare varî tentativi naturalistici che s'infiltravano nell'insegnamento filosofico; ma non può dirsi sia sorta nessuna grande eresia, appunto perché l'eresia implica un rifiuto dell'autorità della Chiesa, e molta cultura contemporanea non si pone neppure il problema di questa autorità e la respinge a priori integralmente. L'indifferentismo lamennaisiano, l'ontologismo, l'hermesianismo, ecc., e le altre dottrine che poi furono condannate da Pio IX, specialmente nel Sillabo (8 dicembre 1864), e poi solennamente nel Concilio Vaticano, non hanno mai portato a vasti movimenti tipicamente ereticali. L'ultima eresia in ordine di tempo, dopo quella dei vecchi cattolici (1870), è stata il modernismo.

L'eresia come delitto e sua repressione. - Il codice di diritto canonico, can. 1325, § 2, stabilisce: "Chi, dopo ricevuto il battesimo, ritenendo il nome di cristiano nega qualcuna delle verità che si devono credere per fede divina e cattolica, o dubita di essa, è eretico; se recede totalmente dalla fede cristiana è apostata; se infine rifiuta di sottostare al romano pontefice o ricusa di aver rapporti con membri della Chiesa ad esso soggetti, è scismatico". Le pene oggi in vigore nella disciplina ecclesiastica contro gli eretici sono le seguenti: sono privati di voto elettivo nelle elezioni ecclesiastiche, quando l'eretico abbia dato il suo nome a una setta o vi abbia pubblicamente aderito (can. 167, 1, n. 4); non possono ricevere i sacramenti (can. 731, § 2); non possono essere padrini di battesimo (can. 765, n. 2), né di cresima (can. 795, n. 2); sono "irregolari per delitto" (can. 985, n. 1); sono privati, se notoriamente eretici, di sepoltura ecclesiastica (can. 1240, § 1, n. 1) e del diritto di patronato (can. 1453, § 1, e can. 1470, 1, n. 6); incorrono ipso facto nella scomunica; sono privati di beneficio, dignità, pensione, officio e qualsiasi carica; sono dichiarati "infami" e, quando sono del clero, deposti (can. 2314, § 1, n. 1, 2); né possono amministrare il sacramento dell'Ordine (can. 2372). Il "sospettato di eresia", se ammonito e punito non si emenda, incorre nelle pene dell'eretico (canoni 2315, 2316).

I trattatisti distinguono, in riguardo, fra eretico "interno" ed "esterno", secondo che ritiene in sé o manifesta ad altri le sue dottrine eretiche; l'eretico esterno è "occulto", allorché si manifesta a pochi e in segreto; è "pubblico", allorché si manifesta a un numero sufficiente di persone. Ciò posto, è naturale che, perché l'eresia sia delitto, deve rivestire un cȧrattere esterno, occulto o pubblico che sia; e ciò per la natura stessa del delitto. Un'altra distinzione della massima importanza è tra eretico "materiale" e "formale"; materiale, quando qualcuno nega o revoca in dubbio articoli di fede, senza aver coscienza di negare o mettere in dubbio un articolo di fede, o lo fa senza l'animo e senza intenzione; formale, quando c'è tutta la consapevolezza e deliberazione. Di conseguenza, soltanto in quest'ultimo caso si dà il delitto. Molteplici sono le specificazioni giuridiche in proposito; una particolare applicazione del principio è nata per i libri che la Chiesa proibisce (v. indice).

In passato la repressione degli eretici non si limitò a pene canoniche, ma giunse anche alla pena di morte, a istituzioni di tribunali speciali, a crociate contro gli eretici. I principî storico-dottrinali da aver presenti nello studio della repressione degli eretici nei secoli passati sono i seguenti. La Chiesa possiede il potere coercitivo, e non solo di coercizione morale ma anche materiale; si discute fra teologi e canonisti se questo potere si estenda sino alla pena di morte, inflitta direttamente: alcuni stanno per il sì, altri per il no. Ma che possieda questo diritto indirettamente, è tra essi pacifico. Il ius gladii, come è detto, appartiene di certo allo Stato; la Chiesa deferisce allo Stato chi a suo giudizio è eretico: e lo Stato, applicando una sua legge civile contro gli eretici, li condanna a morte. Questa la teoria, nei suoi principî; ed è possibile studiarne l'applicazione, oltre che nella legislazione canonica, nelle varie legislazioni civili, che sino a qualche secolo fa noveravano l'eresia fra i delitti.

È noto che il cristianesimo medesimo, sul principio, fu legalmente perseguito dal giudaismo in Palestina, e deferito ai poteri romani nel resto dell'Impero; nel quale periodo non era certo da pensare a un ricorso allo stato contro gli eretici. Venuta la pace, e divenuto cristiano l'Impero, tutto il sec. IV fu pieno della controversia ariana, e spesso l'Impero fu con gli Ariani, e intervenne con poteri coercitivi nella controversia. Ma un intervento, che non fosse appoggiato a interpretazioni del momento o a provvedimenti semplicemente polizieschi, ma a vere leggi, non si ebbe che con i donatisti (v. donatismo). Sono note le incertezze, in riguardo, di Agostino, prima contrario, poi, sebbene riluttante, favorevole a codesto intervento. Per il seguito e lo sviluppo di tali dottrine e dell'istituto inquisitoriale che dopo il Mille ne fu l'espressione più attiva e formidabile, v. inquisizione; v. anche setta.

Bibl.: Manuali delle varie definizioni e delle maggiori condanne, sono: H. Denzinger e C. Bannwart, Enchiridion Symbolorum, 1ª ed. 1854, 14ª e 15ª ed. Friburgo 1922; F. Cavallera, Thesaurus Doctirnae Catholicae ex documentis Magisterii Ecclesiastici, Parigi 1920: quivi son criticamente indicate le fonti autentiche del magistero ecclesiastico. Per gli autori che raccolsero in corpus le eresie, v. eresiologia. Inoltre, S. Hernant, Histoire des hérésies, Rouen 1712; G. Arnold, Unparteische Kirchen- und Ketzer-historie, Francoforte sul M. 1729; W. Walch, Entwurf einer vollständigen Geschichte der Ketzerein, Lipsia 1769; M. Menéndez y Pelayo, Historia de los heterodoxos españoles, Madrid 1918 (edizione definitiva); A. Lombard, Pauliciens, Bulgares et Bonshommes en Orient et Occident, Basilea 1870; J. Döllinger, Beiträge zur Sektengeschichte des Mittelalters, Monaco 1890; C. Cantù, Gli eretici d'Italia, Torino 1865-67; G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana, 2ª ed., Firenze (1926). Cfr. il Ketzerlexicon del Fritz, Ratisbona 1838; il Dictionnaire des hérésies di Pluquet e Claris; l'Encyclopédie théologique del Migne, XI e XII, Parigi 1847; il Dictionary of Sects, Heresies, ecc., di J. H. Blunt, Londra 1903.

Circa la trattazione dogmatica, morale e canonica: A. Michel, Hérésie, hérétique, in Dictionnarire de théologie catholique, VI, ii, coll. 2208-2257; bibliografia copiosissima in Vermeersch, La Tolérance, Parigi 1912; G. Guiraud, Inquisition, in Dictionnaire apologétique de la foi catholique, II, pp. 885-890 (importante per le fonti manoscritte che vi si elencano).

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