ZACCONI, Ermete

Enciclopedia Italiana (1937)

ZACCONI, Ermete


Attore italiano, nato a Montecchio di Reggio nell'Emilia il 14 settembre del 1857, da famiglia di attori. Ermete, dalla compagnia del padre Giuseppe, passò via via in quelle di Tommaso Massa, di un tal Colìa comico napoletano, di Lambertini e Majeroni, di Leopoldo Vestri, di Dominici, di Battistoni. Nel 1882 fece anche un primo, infelice tentativo di capocomicato a Cannes. Poi fu ancora con Palamidessi, con Salvinetto e Pietro Rossi, con Artale Pedretti, con Verardini; due anni (1885-1887) con Giovanni Emanuel; un anno primo attore e direttore con Casilini; tre anni primo attore con Cesare Rossi; uno con Virginia Marini; nel 1894 fu capocomico in società con Libero Pilotto; e dal 1897 in poi rimase solo, unendosi eccezionalmente con la Duse per interpretare nel 1899 La gloria e La città morta di d'Annunzio e infine nel 1922 per essere compagno alla grande attrice nel primo periodo in cui essa riapparve sulle scene (v. duse). Lo Z. ha compiuto giri artistici in tutte le più importanti città d'Europa, dell'America Meridionale e dell'Egitto, salutato fra i massimi attori del tempo suo e anche nostro: che anche oggi l'arte di questo ottantenne campione d'una vecchia razza vigoreggia potente.

Le origini d'una tale arte appartengono tuttavia, tipicamente, al periodo naturalista. Lo Z. si affermò fra i più baldi introduttori sulle scene italiane del "verismo" portato del positivismo e dello scientismo imperanti sulla fine del secolo nella vita e nell'arte europea. Al programma degli autori, di trasportare alla ribalta la cosiddetta "vita com'è" (ma difatto mostrandola nei suoi aspetti più crudi e anche ripugnanti), si accompagnò quello dei registi e degli attori, che fecero appello anche alla scienza, per rappresentare malattie, degenerazioni, follie, ecc., con una dichiarata "obiettività" (la quale difatto era denuncia d'un mondo che va male, e compiacimento nello sgradevole, nel deforme e nell'anomalo, se non nel turpe). Così la più originale rivelazione dello Z. fu negli Spettri d'Ibsen, ch'egli interpretò non come il dramma d'una madre la quale, per aver peccato contro la vita, è punita nel suo figlio nato artista ma escluso dall'arte e dall'intelligenza; bensì come una terrificante rappresentazione dei fenomeni di una paralisi progressiva, dovuta a malattia ereditaria. E a siffatti criterî di recitazione clinica, che presto stravolsero alquanto la mimica dell'attore e ne resero tremulo e convulso il gesto, lo Z. si attenne sostanzialmente anche nell'interpretare con generale successo molto repertorio classico o tradizionale: dai furori d'Otello e dalla follia senile di Re Lear agl'istrionismi del Nerone di Cossa, alla simulata idiozia del Lorenzaccio di Musset, all'impressionante suicidio del protagonista nella Morte civile di Giacometti, ecc. Ma anche di molti autori nuovi, i quali ponevano dalla scena problemi morali e sociali interessanti l'età sua, lo Z. si fece applaudito divulgatore: l'Ibsen di Un nemico del popolo, il Hauptmann di Anime solitarie e del Collega Crampton, lo Strindberg di Padre!, il Tolstoi della Potenza delle tenebre, il Bovio del Cristo alla festa di Purim, il de Curel del Nuovo idolo, il primo Molnár del Diavolo. Sennonché il suo eloquio vigoroso, il suo accento pacato, la sua dizione moltiplicatrice - seppure, in questi ultimi lustri, un poco gonfia - sono stati amati dagl'intelligenti anche in altre interpretazioni; e si sono ammirati la sua dominatrice energia nello shakespeariano Domatore della bisbetica, il suo nitido e potente realismo nei Disonesti di Rovetta, nei Tristi amori di Giacosa, nel Don Pietro Caruso di Bracco, ne Gli affari sono affari di Mirbeau, il suo suadente umorismo nel Cardinale Lambertini di Testoni, ecc.

Per l'attività cinematografica dello Z., va rammentata, in particolare, la sua partecipazione, insieme con Sacha Guitry e con altri accellenti attori, al film di quest'ultimo: Les perles de la Couronne (1937).