FUÀ, Erminia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FUÀ, Erminia

Luca Pes

, Nacque di religione ebraica e in condizioni agiate a Rovigo il 5 ott. 1834 da Marco, medico, e Geltrude Bianchi. Quando era ancora piccola, si trasferì con la famiglia a Padova. Come usava allora per le donne, ricevette l'istruzione in casa dallo zio Benedetto Fuà, ingegnere delle ferrovie, che la educò secondo il metodo Pestalozzi.

Per anni la F. si prese cura della madre ammalata, dei fratelli e delle sorelle, una delle quali morì a tredici anni di tubercolosi polmonare. A diciotto anni, mentre recitava in casa alcuni versi da lei composti, si innamorò del poeta Arnaldo Fusinato che era andato ad ascoltarla con alcuni amici. Egli la indirizzò verso le riviste femminili milanesi di A. Lampugnani, La Ricamatrice e Ore casalinghe: fu qui che pubblicò le prime poesie (Versi e fiori e Musica e poesia). Nel 1856, poiché i genitori non acconsentivano alle nozze con il Fusinato - cattolico, vedovo e in fama di scapestrato -, la F. lasciò la famiglia, andando a Venezia presso un altro zio paterno; qui si convertì al cattolicesimo e sposò Arnaldo nella chiesa di S. Salvador (6 ag. 1856). In seguito si riconciliò con i genitori.

Abitò con il marito a Castelfranco Veneto, presso la madre della prima moglie del Fusinato, che l'accolse come una figlia. Nel 1857, durante la gravidanza da cui nacque il primo figlio Gino, soffrì di tubercolosi miliare. In seguito ebbe altri due figli: Guido (1860) e Teresita (1863). Recitò come prima attrice nella compagnia teatrale della Società filodrammatica di Castelfranco diretta dal marito. Tra il 1862 e il 1864, insieme con il marito, tenne i contatti tra i comitati segreti veneti e il Comitato centrale antiaustriaco di A. Cavalletto a Torino.

Il suo ruolo fu importante: mentre il marito, sorvegliato, si lasciava vedere in giro per sviare le ricerche della polizia, la F. tesseva la fitta trama dei contatti tra Torino e i comitati veneti di cui amministrava anche le modeste risorse. Negli anni in cui rimase a Castelfranco compose poesie patriottiche come Venezia a Milano e Grido di madre dopo la pace di Villafranca (entrambe del 1859).

Quando, nel 1864, il marito, sospettato dalla polizia, dovette emigrare, la F. lo raggiunse a Firenze. Qui frequentò letterati e politici di diverso orientamento come N. Tommaseo, G. Capponi, B. Cairoli e C. Correnti, e raccolse fondi per le famiglie degli esuli. A Firenze collaborò con numerose testate femminili, tra cui La Donna, stampata a Venezia e diretta da G.A. Beccari; promosse e curò la prima edizione delle Confessioni di I. Nievo, morto durante la spedizione dei Mille e legato ai Fusinato da affettuosa amicizia.

La F. ne aveva ricevuto il manoscritto da B. Gobio Melzi e si era dedicata al compito, che risultò non facile, di farlo stampare: infine, nel 1867, trovò Le Monnier di Firenze. Anche su richiesta dell'editore, ella rivide ed emendò il testo, cambiandone il titolo in Confessioni di un ottuagenario e vi premise la propria ode In morte di Ippolito Nievo (sugli interventi della F., si veda Bolognesi, Introduzione).

Dopo il trasferimento della capitale da Firenze a Roma (1° luglio 1871), gli investimenti fatti dal Fusinato in attività edilizie nella città toscana si risolsero in forti perdite, che misero in difficoltà i due coniugi. Allora C. Correnti, ministro della Pubblica Istruzione, offrì alla F., nonostante ella non avesse titoli di studio, l'incarico di ispettore negli educandati femminili a Napoli, nell'Umbria e a Roma e provincia. La F. accettò e poco dopo si trasferì a Roma, dove abitò da sola fino al 1874, anno in cui il marito la raggiunse. Affidò i figli e affittò la casa di Firenze a una famiglia inglese. Ottenne la cattedra di lettere italiane presso la Scuola normale (1871-72) e fu la prima direttrice dell'Istituto superiore di cultura femminile alla Palombella (1873-76).

Dedicò tutto il periodo romano all'educazione delle donne. Collaborò a riviste come La Cornelia di Anna Folliero, stampata a Firenze. Scrisse le sue esperienze in un diario, pubblicato postumo. Al Congresso pedagogico di Venezia fu, unica donna, vicepresidente di una sezione (1872). Fu fondatrice e presidentessa della Società per la istruzione superiore della donna (1874-76).

Morì di tubercolosi miliare a Roma il 30 sett. 1876 dopo un viaggio in Veneto. I funerali si svolsero col concorso del Municipio romano e di numerose personalità. La Scuola superiore femminile fu a lei intitolata.

L'opera della F. va affiancata a quella di altre donne che hanno contribuito ad avviare l'istruzione pubblica femminile nel periodo postunitario, come le poetesse G. Milli ed E. Usuelli Ruzza. Tra i suoi scritti sull'educazione segnaliamo: gli Scritti educativi (Roma 1873), che raccolgono le sue conferenze alle maestre tenute a Roma nel 1871; Famiglia (Firenze 1876), che raccoglie le sue lezioni di morale tenute alla Scuola superiore femminile di Roma nel 1873; gli Scritti educativi, a cura di G. Ghivizzani (Milano 1880).

Secondo la F. la donna doveva lavorare e contribuire al bilancio familiare e, se senza famiglia, trovare una conveniente occupazione e costruirsi una dote, per non essere condannata a restare nubile oppure a sposarsi per convenienza. Per la F. l'occupazione principe per la donna era l'insegnamento, in cui essa poteva mettere a frutto la propria "tenerezza materna" e aumentare la vocazione di madre. Non era, invece, d'accordo con chi chiedeva per le donne i diritti politici: la politica, scienza fredda e ragionatrice, era per gli uomini; l'educazione "del cuore" - fatta non di regole e nozioni, ma di intuizione e sentimento - per le donne. Il Finotti sostiene che la F. fosse vicina alla pedagogia dell'autogoverno, per la quale il processo formativo va affidato all'affettività, anticipando in questo senso il pedagogismo di Cuore di E. De Amicis.

Della F. è da ricordare la relazione sugli educandati femminili di Napoli al ministro Correnti, in cui chiese che venisse dato più tempo agli studi letterari piuttosto che ai lavori manuali e che le oblate venissero sostituite da insegnanti laiche. Benché gli ambienti clericali le fossero ostili, ella non fu contraria all'abolizione dell'insegnamento religioso nelle scuole statali, allontanandosi in questo dalle posizioni di una rivista più decisamente laicista come La Donna.

Degni di ricordo sono anche alcuni suoi altri interventi in esaltazione di figure di mogli e madri. Nel 1865, per il sesto centenario dalla morte di Dante celebratosi a Firenze, scrisse una poesia dedicata a Gemma Donati, la moglie di Dante che era rimasta amorosamente nell'ombra, mentre il poeta cantava il suo amore per Beatrice. Nel 1874, per il quinto centenario dalla morte di Petrarca, all'Ateneo veneto (di cui ella era socio corrispondente), pronunciò un discorso su Laura. Sostenne che questa non era un'invenzione poetica, ma che era realmente vissuta e sposata con figli: pur amando il poeta preferì il dovere alla passione, restando fedele al marito.

Il principale suo libro di Poesie (Firenze 1874) raccoglie cronologicamente versi composti tra il 1852 e il 1873. Si tratta di versi ispirati dalla morte di un amico, dalle nozze di una compagna, dall'amore per la patria, dalle bellezze della natura. In molte viene fuori il suo ideale femminile; è il caso della Poesia della donna (1871): "Spesso, intenta ai doveri, i diritti oblia, / più che la gloria la virtù l'è cara; / Paga se le disser dopo la bara: / Ella fu buona e pia!".

La F. suscitò la simpatia delle emancipazioniste radicali, che la ritennero portavoce degli interessi delle donne, nell'espletamento dei suoi incarichi pubblici. Fu, però, con i suoi scritti e i suoi aforismi (si pensi a quelli di Strenna di mamma, un'agenda-diario con una frase al giorno e una poesia al mese, pubblicata nel 1873 a Venezia e nel 1874 a Milano) la bandiera dell'emancipazionismo moderato. La rivista La Missione della donna fondata nel 1874 a Torino da O. Saccati riportava sulla testata una sua frase: "per me l'usata e pomposa frase emancipazione della donna non può ragionevolmente significare se non che emanciparle dalla miseria e dall'ignoranza, le due fonti perenni e quasi uniche d'ogni suo più grave sconforto". Questa caratteristica di donna istruita che non rinnega il proprio ruolo nella famiglia piacque a molti uomini intellettuali del suo tempo. L'antiemancipazionista L. Fortis, manifestando antipatia per "quegli esseri neutri" che secondo lui erano le donne politiche, letterate o scienziate, disse di lei ammirato che "era pensatrice, era educatrice, ma restò sempre donna" (Villani, Appendice).

Fonti e Bibl.: M. Tabarrini, Ai lettori, in Versi di E. F. Fusinato, Firenze 1874, pp. I-XI; Q. Maddalozzo, in O. Greco, Bibliogr. femminile ital. del XIX secolo, Venezia 1875, pp. 235-254; R. Piazza, E. F. Fusinato. Commemorazione, in Atti dell'Ateneo veneto, s. 2, vol. XIV (1877), pp. 53-73; E. F. Fusinato e i suoi ricordi, a cura di P.G. Molmenti, Milano 1877; A. Pascolato, E. F. Fusinato, in Illustraz. italiana, 21 genn. 1877, p. 36; G. Giovannini Magonio, Italiane benemerite del Risorg. nazionale, Milano 1907, pp. 455-464; C. Villani, Stelle femminili. Diz. biobibliografico, Napoli-Roma-Milano 1915, pp. 285-287; Appendice, ibid. 1916, pp. 106 s.; F. Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia 1848-1892, Torino 1963, pp. 125 s., 138 s.; A. Buttafuoco, "In servitù regine". Educazione ed emancipazione nella stampa politica femminile, in L'educazione delle donne. Scuola e modelli di vita femminile nell'Italia dell'Ottocento, a cura di S. Soldani, Milano 1989, pp. 372 s., 381; S. Bolognesi, Introduzione a I. Nievo, Confessioni di un Italiano, Venezia 1990, pp. XXXII s.; M. Gorra, Ritratto di Nievo, Firenze 1991, p. 146; E. F. Fusinato, in Le stanze ritrovate. Antologia di scrittrici venete dal quattrocento al novecento, a cura di F. Finotti, Mirano-Venezia 1991, pp. 208-218; L. Urettini, La Castelfranco dei Fusinato nell'epistolario di Ippolito Nievo, in Storia e cultura, II (1992), 6, pp. 50-60; L. Gazzetta, Madre e cittadina…, in Venetica. Annuario di storia delle Venezie in età contemporanea, n.s., IX (1994), 3, pp. 149-155.

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