MONETA, Ernesto Teodoro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MONETA, Ernesto Teodoro

Fulvio Conti

– Terzogenito di tredici figli, nacque a Milano il 20 sett. 1833 da Carlo Aurelio e da Giuseppina Muzio. Battezzato nella parrocchia di S. Ambrogio con i nomi di Gaetano, Giovacchino, Luigi e Teodoro, fu registrato allo stato civile come Teodoro Gaetano: il nome Ernesto gli fu dato successivamente, in famiglia, per distinguerlo da un parente e da allora, nei documenti personali, figurò sempre come Ernesto Teodoro.

Il padre, la cui famiglia vantava antiche origini nobiliari, era proprietario di una fabbrica di detersivi lungo il Naviglio. Di sentimenti patriottici e repubblicani, educò i figli all’amore per la patria e nel marzo 1848 partecipò all’insurrezione milanese che dette inizio alla prima guerra d’indipendenza. Il M., che all’epoca frequentava il liceo Brera, fu anch’egli coinvolto nelle attività antiaustriache e nel 1849, prima della ripresa delle ostilità contro l’Austria, fuggì da Milano con due compagni per arruolarsi volontario nell’esercito piemontese. Il Comitato lombardo di emigrazione, al di là del Ticino, ne respinse però la richiesta, ritenendolo troppo giovane, e lo inviò alla scuola militare di Ivrea affinché potesse proseguire gli studi.

Tornato a Milano prima della fine dell’anno scolastico, il M. accantonò per qualche tempo la militanza patriottica. Dopo gli anni della giovinezza, sui quali si hanno poche notizie (si sa che coltivò la passione per il teatro scrivendo critiche e resoconti, oltre a recitare in compagnie filodrammatiche e di attori dilettanti), il M. riprese con convinzione l’impegno politico nel 1858, quando, «subito dopo l’attentato di Felice Orsini a Parigi, fondò una società segreta di giovani d’azione, della quale egli solo aveva tutti i nomi e le fila» (Appunti autobiografici,  in Ragaini, p. 114). Accantonando i propri ideali repubblicani, nel febbraio 1859, su diretta sollecitazione di G. Pallavicino, si recò a Torino e aderì alla Società nazionale italiana, il cui programma prevedeva l’unificazione nazionale sotto la dinastia dei Savoia. Per qualche tempo collaborò anche a due giornali che furono espressione della Società: L’Unità nazionale e Il Piccolo Corriere d’Italia. Nel 1859, insieme con cinque dei suoi fratelli (Eugenio, Pompeo, Epifanio, Giovanni e Agostino), si arruolò quindi come volontario nel terzo reggimento dei Cacciatori delle Alpi, comandati da G. Garibaldi. Combatté a Bormio e allo Stelvio, e alla fine della campagna gli fu offerto il grado di sottotenente, che rifiutò. Uno dei suoi fratelli, Giovanni, fu ferito, subì l’amputazione di un braccio e morì due anni dopo per le complicazioni sopravvenute.

L’anno seguente il M. seguì ancora Garibaldi in Sicilia, aggregandosi alla spedizione guidata da G. Medici e partecipando, come ufficiale di stato maggiore sotto il comando di G. Sirtori, alle battaglie in Calabria e al Volturno. Conclusa vittoriosamente la spedizione dei Mille, il M. proseguì poi la carriera militare entrando col grado di sottotenente nella brigata «Alpi» dell’esercito regolare. In tale veste, sempre agli ordini di Sirtori, combatté nella guerra contro l’Austria del 1866, che avrebbe segnato una svolta decisiva nella sua vita. Amareggiato e deluso per la sconfitta di Custoza, che rivelò l’impreparazione dell’esercito italiano e l’inadeguatezza delle sue alte gerarchie, sconvolto dal gran numero di morti e feriti, il cui sacrificio gli apparve inutile alla luce degli accordi politico-diplomatici in virtù dei quali l’Italia, nonostante gli insuccessi militari, poté ugualmente annettersi il Veneto, il M. maturò la decisione di abbandonare la carriera militare per dedicarsi al giornalismo.

L’occasione gli venne offerta dalla fondazione a Milano, nel maggio 1866, di un nuovo giornale, Il Secolo, di proprietà dell’editore Edoardo Sonzogno, che fu diretto inizialmente da E. Ferro e C. Pisani. Il M., dopo una breve collaborazione come critico teatrale, nel gennaio 1869 ne assunse la direzione, che avrebbe tenuto ininterrottamente fino al novembre 1896.

Sotto la sua guida Il Secolo divenne in poco tempo il più diffuso quotidiano italiano: nei primi anni Settanta vantava già una tiratura di 30.000 copie, che si innalzò ulteriormente dall’aprile 1875, quando Sonzogno portò a termine la fusione con la Gazzetta di Milano. Alle origini di tale successo di vendite ci fu l’innovativo taglio popolare del giornale, che si aprì ai problemi quotidiani dando ampio risalto ai fatti di cronaca, pubblicò romanzi d’appendice firmati da celebri scrittori come V. Hugo, G. Sand, G. Verne, A. Dumas, ospitò rubriche divertenti e promosse lotterie, strenne e premi riservati agli abbonati.

Della cronaca milanese, in particolare, si occupò C. Romussi, che coadiuvò strettamente il M. nella direzione del giornale e insieme con lui contribuì a definirne la linea politica. Il Secolo, che ebbe fra i suoi più assidui collaboratori anche F. Cavallotti, divenne così il portavoce della democrazia radicale lombarda e si fece promotore di un’opposizione critica e consapevole al governo della Destra storica e della Sinistra costituzionale, che assunse tinte più intransigenti dopo la svolta trasformista del 1882. Esso riuscì «a farsi largamente interprete degli interessi e delle istanze dei nuovi ceti medi della città e della campagna (professionisti, esercenti, piccoli fittavoli e proprietari-contadini) di tendenze più o meno consapevolmente democratiche, e delle frange artigiane e di proletariato urbano non ancora inquadrate nelle organizzazioni socialiste» (Castronovo, p. 79).

Il M. si riconobbe pienamente nella linea politica del giornale. Dall’originario repubblicanesimo degli anni giovanili era approdato infatti a un radicalismo moderato, che non metteva più in discussione la forma monarchica dello Stato e si batteva, all’interno del quadro istituzionale vigente, per una graduale modernizzazione dell’Italia in senso laico e progressista. Fedele alla grande tradizione democratica risorgimentale, mutuò da C. Cattaneo l’idea di una soluzione federalista, che nel quadro politico postunitario egli declinò come regionalismo, auspicando un ampio decentramento e la concessione di maggiori poteri alle amministrazioni locali.

Da G. Mazzini, oltre che da Cattaneo, derivò il convincimento che soltanto attraverso la costituzione di una federazione fra i vari Stati europei si sarebbe potuto porre fine ai secolari dissidi fra le nazioni e garantire all’Europa un futuro di pace e di prosperità. Fu questa un’idea che restò centrale nel suo pensiero politico: prima veniva il diritto di ciascun popolo a farsi nazione, a raggiungere la piena indipendenza e sovranità, e poi su quelle basi si sarebbe potuta costruire una struttura federale sovranazionale che avrebbe garantito la libertà dei singoli Stati e il raggiungimento di condizioni di maggiore democrazia e benessere. Da qui il suo convinto patriottismo, che non conobbe flessioni o tentennamenti per tutta la vita e che più avanti, quando il M. sarebbe diventato uno degli apostoli del movimento pacifista, gli avrebbe attirato l’accusa di tradire i suoi ideali cercando di tenere insieme valori inconciliabili.

Un altro elemento caratterizzante della sua visione politica e culturale fu l’anticlericalismo, che rappresentò un tratto distintivo di tutta la sinistra democratica postrisorgimentale e trovò ampio spazio sulle pagine del Secolo. Il laicismo del M. fu espressione non tanto di un sentimento antireligioso, quanto della sua profonda avversione per la Chiesa cattolica, che aveva ostacolato il raggiungimento dell’indipendenza nazionale e adesso, dopo la liberazione di Roma e la fine del potere temporale, si rifiutava di riconoscere la legittimità dello Stato italiano. Non a caso, sul finire della propria vita, quando la frattura fra Chiesa e Stato si avviò a ricomporsi e nel mondo cattolico cominciarono a diffondersi valori patriottici, l’anticlericalismo del M. si attenuò notevolmente.

Un’ultima questione su cui il M. molto insisté fin dal suo insediamento alla direzione del Secolo fu poi quella della riforma dell’esercito, un tema caro alla sinistra radicale che aveva nel proprio programma l’abolizione dell’esercito stanziale e la realizzazione della cosiddetta «nazione armata». Il M., facendo tesoro della propria esperienza militare, arrivò a sostenere qualcosa di simile, teorizzando la necessità di una drastica riduzione del periodo di ferma, da sostituire con un addestramento alle armi più breve e più intenso, rendendo obbligatoria l’iscrizione al tiro a segno e introducendo la ginnastica militare in tutte le scuole. Il nuovo esercito doveva essere perciò una struttura più agile e meno costosa, incentrata sulla figura del «cittadino-soldato», capace di difendere con efficacia il paese in caso di bisogno.

Muovendo dall’analisi dei problemi posti dagli eserciti tradizionali e guardando con amarezza all’esito sempre più cruento degli eventi bellici del suo tempo, il M. arrivò gradualmente a maturare un istintivo ripudio della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti e a cercare soluzioni alternative. In questa ricerca si trovò a condividere il percorso di uomini e associazioni che a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, in Europa e negli Stati Uniti, promossero iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi intorno al problema della pace e dei mezzi per conservarla evitando il ricorso alle armi. In tal senso, una tappa molto significativa si ebbe con il congresso di Ginevra del settembre 1867, che si concluse con la fondazione della Ligue international de la paix et de la liberté e sancì la nascita del filone «democratico» del movimento pacifista. L'assise ginevrina registrò inoltre la prima importante affermazione di un sentimento nuovo, il «patriottismo europeo», il convincimento cioè che in una Europa di nazioni finalmente libere e indipendenti non avrebbero potuto esservi più ragioni di conflitto e ogni nuova guerra sarebbe stata di fatto una guerra civile. Il M., tuttavia, guardò con scetticismo alle possibilità di riuscita del sodalizio sorto a Ginevra, il cui intransigentismo repubblicano, il fatto cioè che ponesse come «condizione sine qua non della pace lo stabilimento degli Stati Uniti d’Europa, dopo essersi costituiti tutti in altrettante Repubbliche» (Appunti autobiografici, p. 115), gli sembrava pregiudicare ogni possibilità di un più ampio proselitismo. In occasione del VI congresso della Lega, tenutosi a Lugano nel settembre 1872, il M. affermava: «La Lega della pace e della libertà, anzichè respingere, accetta e desidera l'alleanza di tutti quegli uomini liberali, che senza essere partigiani della Repubblica federativa nel momento attuale per la loro patria, sarebbero pronti a difenderla qualora ne vedessero il possibile trionfo» (Risoluzione al congresso di Lugano del 1872, ibid., pp. 134 s.).

I primi passi mossi in Italia dal movimento pacifista furono comunque assai faticosi. Si dovette aspettare il 1878 per veder nascere a Milano la Lega di libertà, fratellanza e pace, tra i cui fondatori, oltre al M., vi furono Romussi, Cristina Rossi, moglie di O. Lazzati, e alcuni elementi del locale Consolato operaio. Essa ebbe però vita breve e tormentata: dopo un paio di importanti iniziative pubbliche, due comizi tenuti a Milano nel maggio 1878 e nel maggio 1879, cominciò a languire e nel volgere di poco tempo cessò ogni attività. Il vero e proprio atto di nascita del movimento pacifista italiano si ebbe nell’aprile 1887, quando si costituì a Milano l’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale, sezione italiana dell’International Arbitration and Peace Society che era stata promossa nel 1880 a Londra da H. Pratt. Il M. fu uno degli undici fondatori della società, di cui nel 1891 divenne presidente, carica che avrebbe conservato senza interruzioni fino alla morte nel 1918. Per iniziativa del M. l’associazione milanese pubblicò dal 1890 anche un almanacco, che si chiamò inizialmente L’amico della pace e poi modificò il suo titolo in Giù le armi! (dal 1892), Bandiera bianca (dal 1900), Leggetemi (dal 1902), Pro pace (dal 1908), arrivando a una tiratura di 50.000 copie.

Nell’ultima fase della sua vita il M. si dedicò con crescente impegno alla causa del pacifismo e fece dell’Unione lombarda uno dei sodalizi più attivi in Italia e in Europa. Questo impegno si intensificò a partire dal novembre 1896, quando il M. lasciò la direzione del Secolo, che avrebbe ripreso per un brevissimo periodo nel 1898, dopo i disordini milanesi del maggio, quando l’autorità militare sospese la pubblicazione del giornale e arrestò il suo successore Romussi. Del resto, dal gennaio 1898 il M. fu molto assorbito da una nuova rivista, La vita internazionale, una rassegna quindicinale da lui fondata e diretta, che fu l’organo ufficiale dell’Unione lombarda.

Nel programma del periodico, apparso nel primo numero, si trova un chiaro compendio del concetto di pacifismo del M. e di come esso fosse declinato congiuntamente a quello di patriottismo: «Convinti che la Pace è un bisogno dei popoli – scriveva il M. –, combatteremo strenuamente coloro che tra nazione e nazione seminano odio per malanimo e per vile speculazione, ma convinti, nello stesso tempo, che la difesa, in caso di aggressione, è necessità e dovere supremo, vogliamo noi pure – in questo periodo transitorio di civiltà – che la nazione sia forte per respingere le offese straniere e che a noi la difesa nazionale sia garantita da una più stretta coordinazione tra le istituzioni civili del paese e l’educazione dell’esercito» (cit. in Combi, p. 113).

Il suo pacifismo si distingueva dunque da quello assoluto e incondizionato delle peace societies di natura religiosa e contemplava il concetto della «guerra giusta»: tale era quella – come affermò nel maggio 1889 nella relazione di apertura al I  Congresso nazionale della pace tenutosi a Roma – che si doveva combattere per difendere la patria da un attacco nemico, per conquistare l’indipendenza nazionale, per abbattere una tirannia e instaurare un sistema democratico. Riformista pragmatico e concreto, il M. appoggiò quel filone del movimento pacifista che si batteva per raggiungere obbiettivi possibili, come il contemporaneo e graduale disarmo di tutti gli Stati e l’istituzione di una Suprema corte di arbitrato per dirimere i conflitti internazionali. Quest’ultima richiesta – dopo la famosa sentenza del 1872 che risolse il «conflitto dell’Alabama» (la controversia insorta fra gli Stati Uniti e l’Inghilterra, accusata di aver consentito l’armamento nei propri porti della nave sudista «Alabama») – fu una delle principali rivendicazioni dei pacifisti e fu oggetto di discussione in tutti i primi congressi internazionali della pace. Il M. fu presente a quelli di Parigi (1889), Londra (1890), Roma (1891), Berna (1892), Anversa (1894) e Budapest (1896). Alcune istanze del movimento furono recepite dall’importante conferenza che si tenne a L’Aja fra il maggio e il luglio del 1899 e si concluse con l’approvazione di numerosi documenti, fra i quali una convenzione per la definizione pacifica dei conflitti internazionali.

Proprio nel periodo a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo l’impegno pacifista del M. conobbe un’ulteriore intensificazione. Dopo aver condannato la politica coloniale italiana e la guerra d’Africa, conclusa con la tragica sconfitta di Adua nel 1896, negli anni seguenti protestò contro l’invasione della Cina, rivolse un appello alle società inglesi per la pace con i Boeri, organizzò iniziative a favore della Macedonia e dell’Armenia. Nominato nel 1903 corrispondente per l’Italia dell’Istituto internazionale per la pace che era stato istituito a Monaco, nel maggio 1904 presiedette il congresso nazionale della pace di Torino. Sempre nel 1904 intervenne al congresso universale della pace di Boston, dove fu eletto vicepresidente, e nel 1905 a quello di Lucerna. Nel settembre 1906 fu il principale animatore del XV congresso universale della pace che si tenne a Milano (città di cui fu consigliere comunale dal 1905 al 1910) e nel settembre 1907, dopo aver partecipato al XVI congresso di Monaco, fu presente al congresso nazionale di Perugia che deliberò la costituzione della Federazione delle società italiane della pace, del cui comitato direttivo fu nominato presidente.

Il premio Nobel per la pace, che gli venne conferito il 10 dic. 1907 insieme con il giurista francese Louis Renault, rappresentò il degno coronamento di questo attivismo e la definitiva consacrazione del M. come padre del pacifismo italiano. Nell’agosto 1909 si recò a Cristiania (l’odierna Oslo), dove nell’Istituto Nobel per la pace pronunciò un discorso, La pace e il diritto nella tradizione italiana, che ripropose poco dopo al XVIII congresso universale di Stoccolma. Il M. compendiò in questo intervento, che fu subito dato alle stampe (Milano 1909) ed ebbe larga diffusione, il contributo dato dall’Italia allo sviluppo dell’ideale della pace e ribadì i suoi ragionamenti intorno alla necessità di coniugare pacifismo e patriottismo. Di lì a poco, però, la guerra di Libia e poi il primo conflitto mondiale avrebbero evidenziato la difficoltà di tenere insieme posizioni così antinomiche, lacerando il fronte del pacifismo italiano ed esponendo il M. alle critiche e agli attacchi del movimento per la pace internazionale.

In effetti il M., fin dall’ottobre 1911, si dichiarò apertamente a favore della penetrazione italiana in Tripolitania, da lui ritenuta legittima in quanto impresa di civilizzazione, che avrebbe rafforzato il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, favorendo al tempo stesso il consolidamento della pace europea.

«Le imprese, anche armate, a scopo di civilizzazione – scrisse in un articolo apparso il 20 dic. 1911 – non possono essere giudicate alla stessa stregua delle guerre tra nazioni già completamente civili. […]. Noi lo abbiamo detto e più volte ripetuto, distinguiamo tra pace con i popoli civili e pace con genti barbare e semi-barbare. Se la verità della Pace è in marcia e nessuna forza può arrestarla, un’altra verità è altrettanto incontestabile ed è la fatale sottomissione dei popoli ancor barbari ai popoli civili» (cit. in Ragaini, p. 98).

Questa linea, che fu fatta propria dall’Unione lombarda, fu aspramente contestata da altri esponenti del pacifismo italiano, come E. Giretti, A. Ghisleri ed E. Bignami, che al congresso universale di Ginevra del 1912 sconfessarono il M. e promossero poi un’autonoma Federazione italiana per la pace e l’arbitrato, che ebbe vita breve. Alcuni pacifisti europei chiesero addirittura che fosse ritirato al M. il premio Nobel assegnatogli quattro anni prima.

La frattura in seno al pacifismo democratico italiano si ricompose dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, quando la comune scelta interventista segnò il riavvicinamento al M. di Giretti. Il M. infatti, che per decenni si era dichiarato favorevole alla permanenza dell'Italia nella Triplice Alleanza con l'Austria e la Germania e che non aveva risparmiato le critiche al movimento irredentista, dopo essersi inizialmente schierato per la neutralità, sposò in pieno le ragioni della guerra contro gli Imperi centrali e attaccò duramente i neutralisti. Il M. non modificò questa sue posizioni per tutta la durata del conflitto, sempre accompagnandole con l’auspicio che da una sconfitta degli Imperi centrali potesse scaturire «un nuovo assetto dell’Europa», in cui i diritti di ogni popolo e di ogni governo liberamente eletto fossero «non solo riconosciuti, ma efficacemente garantiti» (ibid.). L’ultimo articolo da lui pubblicato sulla Vita internazionale, il 20 genn. 1918, fu un’esaltazione del discorso tenuto dal presidente T. W. Wilson al Congresso degli Stati Uniti, nel quale si enunciava la proposta dei «14 punti» per il mantenimento della pace e la costruzione di un nuovo ordine internazionale.

Il M. morì a Milano pochi giorni dopo, il 10 febbr. 1918. Da alcuni anni una grave malattia agli occhi lo aveva costretto alla completa cecità. Nel 1875 aveva sposato Ersilia Caglio, che era prematuramente scomparsa il 2 dic. 1899, lasciandolo con i due figli Luigi ed Emilio.

Opere: un’esauriente bibliografia degli scritti del M., compresa un’ampia selezione degli articoli apparsi su giornali e periodici, è in C. Ragaini, Giù le armi! E.T. M. e il progetto di pace internazionale, Milano 1999, pp. 142-150. Fra le opere più significative si segnalano: La morte dell’Imperatore Guglielmo. L’utopia di Mazzini e la Pace, Milano 1888; Il Governo e la Nazione, ibid. 1888; Del disarmo e dei modi pratici per conseguirlo per opera dei Governi e dei Parlamenti, Città di Castello 1889; Irredentismo e gallofobia: un po’ di storia, Milano 1902; Le guerre, le insurrezioni e la pace nel secolo XIX. Compendio storico e considerazioni, I-IV, ibid. 1904-10; L’opera delle Società della pace dalla loro origine ad oggi, ibid. 1910; Patria e Umanità, ibid. 1912; L’ideale della Pace e la Patria, ibid. 1912.

Fonti e Bibl.: Ciò che è rimasto dell’archivio del M. si trova nel Museo del Risorgimento di Milano dove si conserva anche  l'Archivio Romussi con numerose lettere, scritti e documenti vari del M. (su di esso si veda: Carlo Romussi, 1847-1913. Inventario dell’archivio, a cura di S. Massari, Torino 2007, ad indicem); S. Merli, Il Secolo, in I periodici di Milano. Bibliografia e storia, I, 1866-1904, Milano 1956, pp. 11 ss.; F. Nasi, 100 anni di quotidiani milanesi, Milano 1958, pp. 24 ss.; Id., Il peso della carta: giornali e sindaci e qualche altra cosa di Milano dall’Unità al fascismo, Bologna 1966, pp. 51, 90, 117, 124; M. Combi, Ernesto Teodoro Moneta premio Nobel per la pace 1907, Milano 1968; V. Castronovo, La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Roma-Bari 1973, pp. 9, 78, 146; L. Barile, Il Secolo, 1865-1923. Storia di due generazioni della democrazia lombarda, Milano 1980, ad indicem; M. Sarfatti, La nascita del moderno pacifismo democratico ed il Congrès international de la paix di Ginevra nel 1867, Milano (1981), p. 78; F. Pieroni Bortolotti, La donna, la pace, l’Europa. L’Associazione internazionale delle donne dalle origini alla prima guerra mondiale, Milano 1985, ad indicem; G. Procacci, Premi Nobel per la pace e guerre mondiali, Milano 1989, pp. 30, 35, 47-73, 88-91, 153-158, 161; E.A. Albertoni, in Il Parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell'Italia, VIII, 1909-1914. Da Giolitti a Salandra (la Libia e l'interventismo), Milano 1990, pp. 267 s.; R. Giacomini, Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento. Ezio Bartalini e «La Pace», 1903-1915, Milano, 1990, ad ind.; S.E. Cooper, Patriotic Pacifism. Waging War on War in Europe, 1815-1914, Oxford-New York 1991, ad ind.; C. Spironelli, I fondamenti ideali e ideologici del pacifismo: ultimo sogno dell'età giolittiana, in Stato, Chiesa e società in Italia, Francia, Belgio e Spagna nei secoli XIX-XX, a cura di A.A. Mola, Foggia 1993, pp. 359-377; V. Grossi, Le pacifisme européen, 1889-1914, Bruxelles 1994, ad ind.; L. D’Angelo, Pace, liberismo e democrazia. Edoardo Giretti e il pacifismo democratico nell’Italia liberale, Milano 1995, ad ind.; U. Buse, E.T. M., 1833-1918. Leben und werk eines italienischen Pazifisten, Frankfurt a.M. 1996; S. Riva - D.F. Ronzoni, E.T. M.: un milanese per la pace, premio Nobel 1907, Missaglia 1997; C. Spironelli, Pacifismo e antimperialismo in Italia tra Otto e Novecento, in L’Italia nella crisi dei sistemi coloniali fra Otto e Novecento, a cura di A.A. Mola, Foggia 1998, pp. 162, 167-186; P. Pastena, Breve storia del pacifismo in Italia, Acireale-Roma 2005, ad ind.; F. Conti, Da Ginevra al Piave. I liberi muratori e il pacifismo democratico, in Id., Massoneria e religioni civili. Cultura laica e liturgie politiche fra XVIII e XX secolo, Bologna 2008, pp. 108, 119 s., 130; L. D'Angelo, La guerra di Libia, la prima guerra mondiale e la crisi del movimento pacifista italiano, in Le sinistre italiane tra guerra e pace (1840-1940), a cura di G.B. Furiozzi, Milano 2008, pp. 73-88.

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