Esantema

Universo del Corpo (1999)

Esantema

Mariapaola Lanti

Esantema (dal greco ἐξάνθημα, "efflorescenza", derivato da ἐξανθέω, "fiorire") è il nome di varie forme di eruzione cutanea che compaiono nel corso di talune malattie infettive, specie dell'infanzia, costituendone la caratteristica preminente. La classificazione delle malattie esantematiche si basa o sulla tipologia dell'esantema (eritematoso o eritematopapuloso in morbillo, scarlattina, rosolia ecc.; vescicolopapuloso in varicella, forme generalizzate di infezione da virus erpetico ecc.) o su criteri eziologici, distinguendosi pertanto virosi esantematiche, rickettsiosi esantematiche e scarlattina, che è l'unica malattia esantematica determinata dalla tossina eritrogenica prodotta dallo streptococco β-emolitico di gruppo A. Non rientrano nel gruppo delle malattie esantematiche quelle nelle quali l'esantema compare in una percentuale limitata di casi (per es. la mononucleosi infettiva) o non costituisce il sintomo principale (per es. lesioni cutanee petecchiali in alcune forme di sepsi).

sommario. 1. Lesioni cutanee. 2. Eziopatogenesi. 3. Diagnosi differenziale. 4. Scarlattina. 5. Morbillo. 6. Varicella. 7. Rosolia. 8. Altre malattie esantematiche. □ Bibliografia.

Lesioni cutanee

L'esantema consiste in un'eruzione cutanea costituita da elementi unitari che possono essere di vario tipo: macule, papule, petecchie, vescicole, bolle, pustole. La macula è una zona circoscritta di eritema che scompare alla pressione, tondeggiante, di diametro di 1-2 mm, dovuta a iperemia. La papula è un piccolo rilievo cutaneo causato da infiltrazione cellulare del derma; quando si associa all'eritema si parla di maculo-papula. Allorché è presente danno capillare con fuoriuscita di eritrociti si determina una petecchia. La vescicola è una piccola salienza della cute imputabile alla presenza di liquido formatosi per fenomeni regressivi delle cellule epidermiche, con degenerazione vacuolare e necrosi nel caso della varicella, edema intra- e intercellulare con acantolisi nella forma erpetica; per aumento di volume la vescicola può trasformarsi in bolla, per essudazione e accumulo di leucociti può divenire pustola. Questi elementi iniziali possono trasformarsi in croste, per essiccamento di siero, sangue e pus coagulati insieme a residui epiteliali e cheratinici, o in squame, a seguito di un eccessivo e imperfetto processo di corneificazione degli strati superficiali dell'epidermide con successiva desquamazione (a piccole scaglie o a grossi lembi).

Eziopatogenesi

Nelle virosi esantematiche l'ingresso del virus avviene per via respiratoria o congiuntivale; è seguito da una prima modesta viremia e, successivamente, dalla moltiplicazione a livello del sistema reticoloendoteliale, splenico, linfonodale e forse epatico. Segue una seconda viremia durante la quale il virus si diffonde per via ematogena (o libero o trasportato dalle cellule oppure grazie a entrambe queste modalità). È in questa fase, detta d'invasione, che avviene la localizzazione cutanea del virus che, o direttamente o attraverso la formazione di immunocomplessi o con altri meccanismi, determina le caratteristiche lesioni cutanee. Questa fase rappresenta l'inizio clinico della malattia. Per le rickettsiosi esantematiche l'unica differenza rispetto alle virosi è rappresentata dal fatto che la penetrazione avviene per via cutanea mediante la puntura dell'artropode vettore (v. contagio). Nella scarlattina l'eziopatogenesi è tossica, in quanto lo streptococco β-emolitico di gruppo A, agente causale della malattia, localizzato in genere a livello della faringe, elabora la tossina eritrogenica, della quale vengono prodotti tre tipi (A, B, C) caratterizzati dalla presenza di una componente comune e di componenti specifiche per ciascuno. L'esantema è la risposta dell'organismo a uno stato di ipersensibilità verso la componente comune della tossina, che si verifica in soggetti che abbiano in precedenza contratto un'infezione da streptococco β-emolitico di gruppo A e che non abbiano prodotto anticorpi verso le componenti specifiche della tossina.

Diagnosi differenziale

Le variabili da considerare al fine di diagnosticare a quale malattia addebitare la presenza di un esantema sono molteplici: anamnestiche, obiettive e di laboratorio. L'anamnesi consente di escludere, da una parte, le malattie esantematiche già sofferte dal paziente, dall'altra, l'eventuale assunzione di farmaci che possano aver determinato un esantema allergico (taluni antibiotici, barbiturici ecc.). È importante stabilire se esista la possibilità di un contatto con pazienti affetti dallo stesso tipo di esantema, precisando anche il tempo intercorso fra il contatto e la comparsa dell'eruzione. Infatti, fra le varie malattie esantematiche esistono differenze nella durata del periodo di incubazione (tempo intercorso fra il momento del contagio e comparsa dei sintomi). Di notevole rilievo è la valutazione della presenza o meno di febbre, della sua entità e dei rapporti cronologici che essa assume con la comparsa dell'esantema (la febbre può essere assente nella rosolia ed è in genere modesta nella varicella; la defervescenza in terza giornata coincide, invece, con la comparsa dell'esantema nella sesta malattia; fra l'esordio della febbre e la comparsa dell'esantema intercorrono 1-2 giorni nella scarlattina, 3-5 giorni nel morbillo, 4-7 giorni nelle rickettsiosi). In talune di queste malattie sono presenti mucositi caratteristiche che precedono l'esantema (per es., angina nella scarlattina, congiuntivite, rinite e laringite nel morbillo ecc.). Il reperto delle peculiarità dell'esantema è l'elemento obiettivo principale per la diagnosi differenziale. A tal fine è necessario valutare una serie di caratteristiche, fra le quali assumono particolare importanza la morfologia e le dimensioni dell'elemento unitario, la distribuzione topografica (a tutta la cute, alle parti scoperte o coperte ecc.), l'evoluzione cronologica e topografica (in senso centrifugo o centripeto o craniocaudale o random), l'eventuale sincronia o asincronia nell'evoluzione maturativa degli elementi unitari, l'aspetto della cute fra un elemento e l'altro (fig. 1). Infine, il ricorso a esami di laboratorio consente di aggiungere precisione e certezza alla diagnosi.

4. Scarlattina

Il nome scarlattina deriva dal colore rosso acceso (scarlatto) dell'eruzione cutanea. È una malattia infettiva acuta e contagiosa, causata da uno streptococco β-emolitico appartenente al gruppo A di Lancefield e caratterizzata da un esantema tipico per morfologia e distribuzione. È endemica con ricorrenze epidemiche, più frequenti nel periodo primaverile; colpisce soprattutto la seconda infanzia, mentre è rara nel lattante e nell'adulto. Il contagio può essere diretto da malato a sano, o indiretto, tramite biancheria o altro materiale contaminato da secrezioni o escrezioni di malati o anche di portatori sani. L'infezione penetra di solito attraverso la mucosa faringea e, dopo un breve periodo d'incubazione (2-5 giorni), in genere asintomatico, si ha la prima manifestazione clinica costituita dall'angina. A questa fase prodromica, durante la quale la contagiosità è massima, segue il periodo d'invasione, della durata di circa 24 ore, annunciato da brividi, brusca e marcata elevazione febbrile, per lo più vomito, cefalea. La lingua diviene arrossata alla punta e ai margini, patinosa al centro; i linfonodi retromascellari e laterocervicali presentano modica tumefazione. Segue poi il periodo di eruzione, con la comparsa di un enantema (intenso arrossamento e tumefazione delle fauci, emorragie puntiformi sul velo pendulo, disepitelizzazione della mucosa della lingua, la cui superficie diviene diffusamente color lampone) e di un tipico esantema (elementi puntiformi che evolvono in papule rossastre). L'esantema compare inizialmente al petto e nella parte inferiore del tronco per poi diffondersi alle superfici flessorie degli arti, alle pieghe articolari, al volto, dove risparmia la zona nasomentoniera e perilabiale, il pallore della quale contrasta con l'arrossamento delle guance (maschera scarlattinosa o segno di Filatov). L'eruzione si accentua per 2-3 giorni, poi comincia a impallidire mentre la febbre decresce e inizia la desquamazione. La terapia è chemioterapica e antibiotica. La denuncia è obbligatoria e l'isolamento deve essere mantenuto finché il processo di desquamazione cutanea non sia completamente cessato e non si sia verificata la ripetuta negatività della ricerca dello streptococco β-emolitico di gruppo A nel materiale prelevato con tampone faringeo. Questo avviene di solito entro 10-15 giorni: perciò, attualmente si tende a ridurre la durata del periodo di isolamento del malato, che, in passato, era di 40 giorni.

Morbillo

È una malattia infettiva e contagiosa, contrassegnata soprattutto da esantema ed enantema tipici; è prodotta da un virus che passa nelle secrezioni catarrali delle mucose così da essere facilmente trasmesso con l'emissione vocale, con la tosse ecc. Più difficile a verificarsi, a causa della labilità del virus, è invece il contagio indiretto, ossia per tramite di biancheria e oggetti contaminati. Dopo un'incubazione di durata variabile, ma che nel maggior numero dei casi è di 9-11 giorni, il morbillo si manifesta di solito con febbre e fenomeni irritativi e catarrali che interessano le prime vie respiratorie e la congiuntiva: starnuti, abbondante secrezione nasale, tosse, bruciore oculare, lacrimazione, fotofobia ecc. Spesso si osserva a carico della mucosa buccale, per lo più in prossimità dei premolari o dei molari inferiori, un caratteristico enantema, costituito da chiazze di arrossamento in cui si notano punticini bianchi (segno di Koplick). Successivamente compare l'esantema, che dapprima è localizzato dietro le orecchie, poi si diffonde al resto del volto, al torace, all'addome e infine agli arti. L'esantema ha forma di piccole macchie cutanee rosso chiaro, che poi si fanno rilevate e di colore più scuro, per scomparire dopo 6-7 giorni, dando luogo in genere a una poco appariscente desquamazione furfuracea della pelle.

Il morbillo è una tipica malattia dell'età scolare, pur potendo colpire i lattanti, gli adulti e perfino i vecchi. La prognosi è nella maggioranza dei casi benigna, ma possono avere carattere di estrema gravità alcune forme cliniche, che riguardano soprattutto i bambini nei primi anni di vita: la forma ipertossica, con febbre alta, delirio, stato tossico, insufficienza circolatoria; la forma emorragica, con emorragie cutanee (da cui il nome di morbillo nero), nasali, urinarie, a carico dell'apparato digerente ecc.; la forma soffocante, con disturbi respiratori imponenti seguiti talora da morte per asfissia, che si può verificare precocemente quando l'esantema è appena accennato. È questo il caso del cosiddetto morbillo 'rientrato', che ha fatto nascere l'erronea convinzione popolare secondo cui il morbillo con esantema appena accennato o addirittura assente, evento morboso poco frequente ma possibile, avrebbe carattere di particolare gravità. In alcuni casi compaiono complicanze neurologiche, fra le quali la panencefalite sclerosante subacuta, a insorgenza tardiva (anche anni) ed evoluzione fatale. Poiché non esiste una cura specifica del morbillo, il trattamento è rivolto contro i sintomi più molesti e le eventuali complicazioni (bronchite, broncopolmonite, encefalite ecc.). In convalescenza è necessario adottare misure rivolte a migliorare rapidamente le condizioni generali (razioni alimentari ben equilibrate e opportunamente ripartite; cure ricostituenti), perché il morbillo crea temporaneamente una diminuzione dei poteri di difesa generali dell'organismo (anergia) e quindi determina una certa predisposizione a contrarre altre malattie infettive. Dopo la guarigione residua uno stato di immunità quasi sempre permanente. La profilassi repressiva del morbillo richiede l'isolamento dei malati per circa 2 settimane dopo lo sfebbramento e l'allontanamento dalla collettività dei bambini non immuni che abbiano avuto contatti con morbillosi, per un periodo di 10-15 giorni dall'ultimo contatto con il malato. La profilassi preventiva può essere attuata con iniezioni di gammaglobuline o con il vaccino specifico. La vaccinazione antimorbillosa è ben tollerata e le reazioni generali raramente sono gravi.

Varicella

È una malattia infettiva da virus, acuta ed epidemica, caratterizzata da un esantema vescicoloso. L'agente eziologico è denominato herpesvirus varicellae (o virus varicella-zoster) per sottolineare l'identità eziologica tra varicella e herpes zoster, che, sostenuta in base a osservazioni epidemiologiche dal pediatra ungherese J. von Bokay sin dal 1888, è stata successivamente documentata. Il virus, il cui nucleo centrale contiene acido desossiribonucleico, con diametro di circa 1800 Å, è isolabile dal liquido contenuto nelle vescicole. La varicella, il cui periodo di incubazione è per lo più di circa 14 giorni, ha contagiosità molto elevata e conferisce immunità permanente. Talora, però, il virus permane allo stato latente nei gangli dei nervi sensitivi, rendendo possibile una riattivazione dell'infezione in forma di herpes zoster. Il contagio avviene generalmente per via respiratoria o, più raramente, per via cutanea. Il quadro clinico della malattia inizia con prodromi aspecifici (astenia, inappetenza, cefalea, dolori muscolari e della colonna vertebrale ecc.), cui fa seguito lo stadio eruttivo: comparsa di macule rosse che rapidamente si trasformano in papule, poi in vescicole (dapprima a contenuto limpido e successivamente torbido), infine in pustole e in croste che cadono, lasciando in taluni casi cicatrici. Caratteristica fondamentale dell'esantema è la comparsa a gittate successive (a differenza del vaiolo, nel quale l'eruzione è simultanea), cosicché nel periodo d'invasione si possono osservare contemporaneamente macule, papule, vescicole e pustole. La febbre, in molte forme, è pressoché assente, in altre è alta e continua. La durata del periodo eruttivo è di 8-10 giorni e le complicazioni (nefrite, encefalite) sono rare.

Rosolia

Malattia infettiva acuta esantematica, generalmente epidemica, deriva il suo nome dal colore rosaceo dell'esantema (è detta anche rubeola). È provocata da un virus specifico appartenente alla famiglia Togaviridae, reperibile nella fase prodromica e all'inizio del periodo eruttivo nelle vie aeree superiori. Il virus ha forma approssimativamente sferica e dimensioni variabili, con un diametro compreso fra 60-80 μm. È un virus a RNA relativamente instabile, esssendo inattivato facilmente dal calore e da etere, cloroformio e desossicolato di sodio, e caratterizzato da un solo tipo antigenico. La contagiosità della rosolia è limitata al breve periodo (3-4 giorni) di presenza del virus nelle vie aeree superiori: la trasmissione avviene mediante le goccioline che sono emesse con i colpi di tosse. La malattia colpisce soprattutto i bambini in età scolare, senza peraltro risparmiare gli adulti, specialmente quelli conviventi in comunità (soldati ecc.); conferisce di regola un'immunità duratura. Il periodo d'incubazione è di 12-23 giorni (in media 18); la fase prodromica, di breve durata (1-2 giorni) e spesso inavvertita, è caratterizzata da malessere, anoressia, cefalea, modeste manifestazioni catarrali delle prime vie aeree e da piccole manifestazioni petecchiali del palato molle. Compare poi l'esantema, costituito da elementi lenticolari a margini netti leggermente rilevati, di colore roseo pallido con scarsa tendenza alla confluenza. L'eruzione inizia dal viso, si estende rapidamente al tronco e agli arti, con predilezione per il lato estensorio degli stessi, e scompare in breve tempo (2-3 giorni). La desquamazione è tenue e furfuracea, e talora difficilmente rilevabile. Segno caratteristico e di notevole importanza diagnostica è la tumefazione, per lo più dolorosa, delle linfoghiandole retroauricolari e, talvolta, di quelle cervicali posteriori e occipitali. La febbre è di norma modesta e incostante; lo stato generale appare poco compromesso. Eccezionali sono le complicanze (otite media, broncopolmonite, encefalite demielinizzante). La prognosi della rosolia è di solito assolutamente benigna, purché non si tratti di gestanti nelle quali, come ha rilevato nel 1941 il medico australiano M.M. Gregg, talora l'infezione può colpire gravemente il prodotto del concepimento, determinando la cosiddetta embriopatia rubeolica, rappresentata dalla presenza di alterazioni oculari (cataratta congenita, microftalmo ecc.), cardiache (miocardite, malformazioni), acustiche (arresto di sviluppo dell'organo del Corti; sordomutismo) e cerebrali (microcefalie, ritardo mentale), isolate o in associazione. Per la prevenzione di tale grave embriopatia è consigliabile attuare la vaccinazione antirubeolica alle ragazze in età adolescenziale che non siano immuni.

Altre malattie esantematiche

a) Quarta malattia. È una malattia infettiva, epidemica, simile a una forma attenuata di scarlattina (e perciò detta anche rubeola scarlattinosa), che si manifesta con stato generale buono, modico rialzo febbrile, arrossamento della faringe, lieve esantema, desquamazione scarsa e incostante.

b) Quinta malattia. È una malattia infettiva (detta anche eritema infettivo, o megaloeritema epidemico), epidemica, esantematica, causata dal parvovirus umano B19. Dopo un'incubazione di 7-14 giorni, si manifesta con eruzione al volto (aspetto di faccia schiaffeggiata), ai glutei, alle spalle e alla superficie estensoria degli arti, di papule rilevate, spesso confluenti a formare figure irregolari di colore rossastro, che diventano violacee dopo circa 24 ore, impallidendo poi dal centro alla periferia. Manca per lo più la febbre. Dura in media una settimana; ha carattere di benignità e non richiede particolari norme profilattiche.

c) Sesta malattia. È una malattia esantematica caratteristica dell'infanzia, determinata da un virus (probabilmente un herpesvirus chiamato human herpesvirus 6); ha un'incubazione di 8-14 giorni ed è detta anche esantema critico, o febbre esantematica dei tre giorni, perché l'eruzione cutanea, che presenta un aspetto morbilliforme, si manifesta bruscamente dopo la scomparsa della febbre (che ha generalmente la durata di 3-5 giorni).

d) Rickettsiosi esantematiche. Sono malattie a diffusione epidemica o endemica in diverse parti del mondo, caratterizzate dal punto di vista clinico da febbre e dalla presenza di un esantema di tipo vescicoloso, maculopapuloso o petecchiale. Sono causate da microrganismi di piccole dimensioni, incapaci di svilupparsi al di fuori di cellule viventi, chiamati rickettsie. Queste provocano malattie infettive negli animali e occasionalmente vengono trasmesse all'uomo da alcune specie di Invertebrati ematofagi (pidocchi, pulci, zecche, acari) che fungono da vettori e talora da serbatoio. Clinicamente le rickettsiosi sono caratterizzate da una sintomatologia consistente soprattutto in disturbi nervosi e cardiovascolari, esantema e febbre; sono curabili con terapia antibiotica. Fra le numerose forme comprese in questo gruppo, si ricordano: il tifo petecchiale o epidemico o storico, trasmesso dal pidocchio e favorito da carenti condizioni igienico-sanitarie, che si manifesta con esantema di tipo petecchiale; la febbre bottonosa del Mediterraneo, presente in Italia nelle regioni centromeridionali, trasmessa dalle zecche e caratterizzata da esantema maculopapulonodulare; il tifo endemico o tifo murino, detto anche benigno perché tende a guarigione spontanea, caratterizzato da esantema di tipo maculopapuloso, talvolta petecchiale, è trasmesso all'uomo attraverso una pulce proveniente dal ratto (quando questa punge l'uomo, depone sulla sua cute rickettsie contenute nelle feci del ratto, che penetrano nell'organismo attraverso le lesioni dovute al grattamento della puntura), oppure a seguito dell'assunzione di cibo contaminato da escrementi di ratti infetti.

Bibliografia

R. Glaser, T. Gotlieb-Stematsky, Human herpesvirus infections. Clinical aspects, New York, Dekker, 1982.

G.L. Mandell, R.C. Douglas jr., J.E. Bennett, Principles and practice of infectious diseases, New York, Wiley, 1985.

Principles and practice of chemical virology, ed. A.J. Zuckerman, J.E. Banatvala, J.R. Pattison, Chichester-New York, Wiley, 1987 (trad. it. Virologia clinica, Torino, Centro Scientifico Torinese, 1988).

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