ESODO

Enciclopedia Italiana (1932)

ESODO (gr. ἔξοδος "uscita")

Leone Tondelli

È il secondo libro della Bibbia e del Pentateuco. Comincia col narrare le vicende dell'uscita del popolo ebraico dall'Egitto: donde il nome del libro nei Settanta e nella Volgata. È denso nella prima parte di racconti soprannaturali, quali i miracoli noti sotto il nome di "piaghe d'Egitto" (VII, 14-XIII, 16), il passaggio del Mar Rosso (XIII, 17-XV, 21), la pioggia di manna, l'apparizione divina a Mosè sul Sinai e la consegna del Decalogo. Ma il libro è anche ricco d'insegnamenti, istituzioni e leggi svariate, che formano il contenuto principale della seconda parte. Viene narrata nell'Esodo la storia di Mosè: la sua vocazione a condottiero e legislatore del popolo: la rivelazione ch'egli ebbe del nome sotto cui Dio doveva essere adorato dal popolo ebraico, Jahvè e il suo significato in rapporto alla natura divina. Fra Jahvè e Israele si forma una specie di "alleanza", di cui figurano come patti il Decalogo, un breve codice civile detto "dell'alleanza", e un'altra serie di leggi ed esposizioni legali relative al culto nel deserto, completato poi nel libro seguente, il Levitico. Troviamo così nell'Esodo l'istituzione della Pasqua, degli Azimi, dell'ofterta dei primogeniti a Dio, ecc.; istituti fondamentali per la nazione ebraica.

La scuola del Graf e del Wellhausen, che delineò la teoria tutt'oggi prevalente nella critica indipendente sul sorgere della letteratura biblica e sullo sviluppo storico del popolo ebraico, ridusse al minimo il valore storico dell'Esodo. Fu portata anche nell'Esodo la discriminazione delle fonti del Pentateuco. Il Decalogo (v.) venne attribuito al periodo profetico (sec. VIII-VI): pure ai Profeti si dovrebbe l'idea della divinità nettamente spirituale e monoteistica presentata nell'Esodo come la rivelazione fondamentale concessa a Mosè e da lui portata a fulcro di tutta la legislazione ebraica. A Mosè venne persino negata la redazione del Codice dell'alleanza (XXI-XXIII), dichiarata posteriore alla divisione delle tribù ebraiche nei due regni detti di Giuda e d' Israele. Di modo che a Mosè nulla apparterrebbe dell'amplissima opera legislativa a lui attribuita nella tradizione biblica. Nella ricostruzione storica tentata dalla stessa scuola, tribù nomadi disseminate nel Negeb e nella penisola sinaitica o più vastamente disperse nei deserti dell'Arabia settentrionale, prive di cultura e di coesione, avrebbero raggiunto una prima unificazione con Mosè, e l'accoglimento per opera sua d'un unico Dio (di cui le origini e il culto si dovrebbero piuttosto ricercare ad Ain-Qādes che sul Sinai) doveva ancora cementarle in modo da renderle atte alla conquista graduale della terra di Canaan.

Questa teoria, basata su uno studio di critica letteraria della legge mosaica, era però anteriore alla scoperta dell'abbondantissima letteratura giuridica degli antichi popoli orientali (Babilonesi, Assiri, Hittiti, Sumeri) con la quale la legislazione ebraica mostra paralleli profondi di concezioni come di forme. Il confronto costringe a modificazioni sostanziali delle ideate ricostruzioni dello sviluppo legislativo ebraico. È ad esempio un'idea fondamentale del Wellhausen che la legislazione ebraica avesse origine sacerdotale: ora presso gli altri popoli confinanti ciò non ha parallelo per le leggi civili ma solo per gli usi cultuali. D'altra parte una cultura sviluppata si è riscontrata nel periodo dell'Esodo, non solo nell'Egitto, sede d'una civiltà fra le più antiche, ma altresì nella penisola sinaitica e in territorî arabi, come presso i Sabei e Minei o nella terra di Canaan. Saggi inattesi sono le iscrizioni di Byblos (primo quarto del sec. XIII a. C.) e quelle anteriori ritrovate sul Sinai, le più antiche fra quante sono note in caratteri alfabetici.

Per la storicità complessiva dei racconti dell'Esodo si notino i seguenti fatti: a) la schiavitù e l'uscita miracolosa dall'Egitto hanno avuta una risonanza larghissima nella letteratura ebraica. Oltre al canto conservato nell'Esodo, indubbiamente eseguito a cori come appare dal ritornello (XV,1-20), vi sono molti componimenti poetici e salmi che esaltano l'avvenimento (Is., XLIII, 16; LI, 10; Salm., LXVI, 6; LXXVIII, 13; CVI, 9; CXIV, 3). Ora è inverosimile che tanta parte della letteratura nazionale lavori sul vuoto; b) Mosè emerge dalla storia d' Israele come formatore dell'unità nazionale mediante decisive direttive religiose e civili: tutta la legislazione ebraica è a lui attribuita; c) le leggi del Pentateuco riportano ancora frequentemente, a cominciare dal Decalogo, nella redazione del Deuteronomio, come motivo per una fedele obbedienza a Dio, il ricordo della schiavitù egiziana e della meravigliosa liberazione, mentre nelle leggi che sono giudicate più tardive e posteriori all'esilio non si accenna mai alle deportazioni in Assiria o in Caldea, cominciate su larga scala prima della caduta di Samaria (anno 722); d) infine e soprattutto la meravigliosa liberazione dalla schiavitù egiziana ebbe un'influenza preponderante nel culto ebraico. La Pasqua, la più solenne festività nazionale, non ne era che una vivida commemorazione. Se essa segnava anche l'inizio della primavera e della mietitura, tali significati naturalistici erano passati in seconda linea. I genitori ebraici dovevano spiegare annualmente ai loro figli il significato dei riti espressivi che si celebravano. Ai fatti dell'Esodo si riconnette pure l'uso dei pani azimi e l'offerta dei primogeniti. Il rimpatrio dalla cattività babilonese non ha creato nulla che possa stare al paragone. Occorre che fatti grandiosi abbiano segnato quell'alba del popolo ebraico.

Nell'Esodo sono riportati o citati documenti che mostrano un carattere arcaico: il Decalogo, il Cantico di Mosè (XV, 2-18) e di Maria sorella di Aronne (XV, 21), uno scritto riferito a Mosè (XVII, 14), narrante la vittoria sugli Amaleciti. S'accenna ugualmente a monumenti eretti; un altare a Jahvè in Nissi nella valle di Raphidim (XVII, 15): altro altare costruito di 12 pietre sul Sinai (XXIV, 4). Giudicare come libere invenzioni di un tardo redattore questi monumenti è pericoloso, come è stato dimostrato dal rinvenimento recentissimo, dovuto al P. Tonneau (in Rev. Biblique, XXXV, 1926, pp. 98-109), dell'altare di Giosuè sul monte Ebal, pure costruito in colossali pietre gregge. Soprattutto un netto carattere arcaico mostra il Codice dell'alleanza (XXI-XXIII, 33, o 13 secondo alcuni critici). Tutti s'accordano nell'affermare che esso costituisce la più antica legislazione ebraica e che deve computarsi tra i documenti più importanti per le origini ebraiche.

Le sue "regole di giustizia" (XXI, 1) formano un completo codice religioso, civile e penale. Le leggi convengono a una società poco sviluppata. Gli uomini si dividono in liberi e servi: questi però se sono ebrei rimangono in servitù sei anni e al settimo devono venire liberati gratuitamente, a meno che non preferiscano aggregarsi in perpetuo alla casa in cui si trovano. Il maltrattamento dello schiavo è punito, ma con minor rigore di quello usato contro i liberi. Nessun accenno ad altre classi, quali re o ufficiali regi, sacerdoti, i cui diritti e doveri occupano invece vasta parte del codice di Hammurabi. La giustizia viene amministrata da "uomini di Dio". È difficile quindi aggiudicarne le origini al periodo del regno. È contemplato invero il caso del bue che cozza o che cade nella cisterna: ciò che suppone la vita sedentaria piuttosto che la vita nomade; ma le decisioni relative potevano derivare dai costumi aviti della terra d'Egitto o dalle coltivazioni parziali di terreno attorno ad ‛Ain-Qādes. Allo stesso codice, o allo stesso stadio della legislazione ebraica devono pure appartenere le prescrizioni cultuali incuneate tra il Decalogo e il Codice, secondo le quali l'altare deve essere di terra, o se di pietre, di pietre non tagliate. L'altare si ergerà "in ogni luogo ove sarà fatta memoria del mio nome" (XX, 22-26). Tali prescrizioni sono ovviamente anteriori alla costruzione del tempio di Salomone. Tutto considerato, il Codice va attribuito al periodo anteriore al costituirsi di un regno in Israele. E allora conviene attribuirlo a Mosè stesso, poiché la sua attribuzione a lui rappresenta un minimo indispensabile per una qualsiasi spiegazione della tradizione ebraica sull'attività legislativa di Mosè.

Itinerario ed epoca dell'Esodo. - Lo scavo del canale di Suez ha illuminato i problemi dell'antichità geologica delle singole parti dell'istmo. Un tempo il Mar Rosso si spingeva assai più al nord che non al presente, invadendo i Laghi Amari e il lago et-Timsāḥ. Ma al periodo dell'Esodo il lago et-Timsāḥ ne era indubbiamente separato: e i Laghi Amari raggiungevano il mare mediante un canale largo in alcuni punti sino a due chilometri, mentre si restringeva in altri sino a permettere un passaggio a guado. In questi punti l'Egitto aveva costruito dei forti di confine come quello di Ahū Ḥaṣā. Una tradizione cristiana (Eteria, sec. IV) poneva il passaggio a Klysma (la località dove sorge oggi Suez): ma si conviene oggi dai più nel collocare il passaggio miracoloso degli Ebrei più a nord, nei terreni lagunosi tra il Mar Rosso e i Laghi Amari. Elementi naturali quali "il gagliardo scirocco che risospinse il mare tutta la notte, rendendolo asciutto" (Es., XIV, 21) favorirono gli Ebrei e contrariarono gli Egiziani (Es., XIV, 27): ma supera un'interpretazione naturalistica il loro intervento al momento opportuno e la loro straordinaria intensità. La condizione e i fenomeni naturali dell'istmo, come l'alta marea, dovevano essere ben noti a Egizî ed Ebrei: e non si può quindi spiegare con essi la fede ebraica in uno strepitoso miracolo né la stoltezza degli Egiziani nel perseguire in condizioni disastrose i fuggenti.

L'epoca pure è discussa. Giuseppe Flavio identifica l'Esodo con la cacciata degli Hyksos (1580 a. C.). Attualmente due tesi si contrappongono. Alcuni identificano il Faraone oppressore con Tutmosi III (1501-1447) e con Amenophis II (1447-1420) il Faraone che mandò le sue truppe a inseguire gli Ebrei nel Mar Rosso; altri vi sostituiscono Ramses II (1300-1233?) e Merneptah. A favore della prima tesi militano le più recenti scoperte. Nelle tavolette scoperte a Tell el-‛Amārnah tra il 1887 e il 1888 e risalenti al 1400 circa a. C. si menzionano dei Ḫabiru, che invadono le terre palestinesi. Essi sono ricomparsi in testi hittiti di Boğazköi: ed è per lo meno probabile che vadano identificati con gli Ebrei. In secondo luogo una stele di Merneptah scoperta a Tebe nel 1895 annovera già Israele tra i popoli palestinesi: "Israele è distrutto, non ha più da seminare". Gli Ebrei avevano quindi cominciata la conquista di Canaan e vi s'erano insediati avanti Merneptah.

Bibl.: I commenti patristici come i moderni si estendono per lo più a tutto il Pentateuco e sotto questa voce saranno meglio indicati. Notevoli fra i commenti patristici: Origene, In Exodum (Patr. gr., XII), pp. 263-306; nell'epoca moderna V. M. Orsini (papa Benedetto XIII), Lezioni scritturali sovra il sagro libro dell'Esodo, voll. 2, Roma 1724; fra i recenti: F. de Hummelauer, Commentarius in Exodum-Leviticum, Parigi 1897; J. Weiss, Das Buch Exodus, Graz 1911; A. Dillmann, Die Bücher Exodus und Leviticus, 3ª ed., Lipsia 1897; H. Holzinger, Exodus, Friburgo in B. 1900; A. H. McNeile, The Book of Exodus, Edimburgo 1911; H. I. Grimmelsman, The Book of Exodus, Cincinnati 1927; B. Ubach, L'exode-El Levitic, Monast. de Monserrat 1927. Interessanti per l'Esodo sono gli studî sulla persona di Mosé (v.), quali Nikel, Moses und sein Werk, Friburgo in B. 1883; H. Gressmann, Moses und seine Zeit, Gottinga 1913. - Per le vicende della liberazione d'Israele, v. A. Mallon, Les Hébreux en Égypte, Roma 1921; K. Miketta, Der Pharao des Auszuges, Friburgo in B. 1903; J. S. Griffits, The Exodus in the Light of Archaeology, Londra 1923. - Lo studio geologico dell'istmo è stato ripreso da Cl. Bourdon, Anciens canaux, anciens sites et port de Suez, Cairo 1925. Le antiche tradizioni ed esegesi rabbiniche sulle leggi del Pentateuco, in M. J. bin Gorion, Sinai und Garizim, Berlino 1926.

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