SPAZIO, Esplorazione dello

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

SPAZIO, Esplorazione dello

Paolo Santini

(App. IV, III, p. 397)

La storia delle esplorazioni spaziali è piena di luci e ombre. Nell'immaginazione e nel pensiero dei pionieri (G. Tsiolkowski, H. Oberth, R.H. Goddard) i viaggi spaziali erano concepiti come finalizzati unicamente al raggiungimento e allo sbarco di esseri umani sui corpi celesti. Assai meno sentita era l'opportunità d'inviare nello s. apparecchiature automatiche, in quanto a quell'epoca la robotica, l'automazione, i sistemi di controllo erano pressoché sconosciuti. Ma anche l'utilizzazione dello s. come mezzo e/o come fine della ricerca scientifica di base, mediante l'effettuazione di misure di grandezze fisiche caratteristiche e di opportune rilevazioni, era considerata tra gli scopi prioritari da raggiungere. Da questa concezione essenzialmente umana nacque l'espressione, spesso impropria, di ''astronauta'' e derivati, che ancora perdura, e che andrebbe sostituita dalla parola ''spaziale''.

La situazione si modificò notevolmente quando W. von Braun, tra le due guerre mondiali, realizzò, nel centro di Peenemünde sul Baltico, i razzi vettori capaci d'imprimere a un corpo la velocità sufficiente a fargli compiere una missione spaziale. Von Braun continuò il suo lavoro, nell'immediato dopoguerra, negli Stati Uniti: ma i suoi razzi, che cominciavano a ricevere la denominazione di ''missili'', avevano scopi essenzialmente militari e si limitavano a voli suborbitali. Ben presto gli Stati Uniti si videro, almeno temporaneamente, sorpassati dall'Unione Sovietica che prima mise in orbita lo Sputnik (4 ottobre 1957) e poi effettuò, con Y. Gagarin, il primo volo spaziale umano (12 aprile 1961). Il primo Sputnik aveva a bordo un'apparecchiatura capace di misurare la densità atmosferica a quote elevate, ed era quindi il primo esemplare di veicolo non abitato, con sola strumentazione scientifica; bisogna dare atto ai tecnici, agli scienziati, ai politici sovietici, di non aver indietreggiato davanti a un'impresa ad altissimo rischio. Si pensi, per es., che la densità atmosferica era conosciuta solo attraverso modelli teorici e misure su razzi sonda. Ma l'impresa di Gagarin fu certo ancor più spettacolare ed ebbe un grandissimo impatto sull'opinione pubblica. Negli anni Cinquanta e Sessanta, comunque, i sovietici avevano assunto una decisa preminenza nelle imprese spaziali, realizzando missioni quali la circumnavigazione della Luna e la ripresa fotografica della faccia nascosta, e il raggiungimento di Marte e di Venere da parte di equipaggiamenti scientifici. E anche dopo Gagarin molti furono i loro successi, che fanno ormai parte della storia dello spazio.

Sempre primi i sovietici, quindi, all'inizio dell'era spaziale, mentre agli statunitensi toccò il ruolo di inseguitori; per cui, tra le due grandi potenze, s'ingaggiò una vera e propria ''gara spaziale''. Von Braun poté, dopo una serie di vicissitudini politiche, dire di aver portato a compimento le sue idee, con la realizzazione del progetto Apollo, impostato in maniera specifica sulla partecipazione umana. Sostanzialmente, alla fine degli anni Sessanta, gli statunitensi sembravano voler privilegiare le missioni umane, o manned, al contrario dei sovietici che apparivano più orientati verso l'impiego di apparecchiature automatiche. Subentrò però nell'opinione pubblica americana un senso di appagamento e di stanchezza a fronte del gravoso impegno economico (si pensi che il costo totale del programma Apollo fu pari a circa metà del reddito nazionale di un paese come l'Italia dell'epoca), che aveva come contropartita l'invio sulla Luna di due, tre, al massimo dieci persone. Tuttavia era stato messo in moto un meccanismo che non si poteva fermare di colpo. Era quindi necessario escogitare qualcosa, e perciò fu inventato il programma della navetta spaziale Shuttle, che aveva, e ha, scopi essenzialmente di utilità, e furono accelerati i programmi di satelliti di applicazione: lo s. fu cioè sempre più ''commercializzato''.

Intanto nuove realtà si affiancavano alle due grandi potenze spaziali: nascevano il Giappone spaziale, la Cina spaziale, e anche altre realtà nazionali, tra cui l'Italia, nonché grosse realtà internazionali come l'ESA (European Space Agency). Gradualmente l'interesse ritornava sempre più verso missioni magari ''non abitate'', ma non più così drammaticamente costose.

La nuova ricerca spaziale. - Per molti anni l'esplorazione dello s. rimase quindi confinata alle missioni automatiche. Il drammatico incidente dello Shuttle Challenger del 1986 (v. spaziali, vettori, in questa Appendice) determinò un senso di scoramento, che contribuì ad allontanarne la ripresa. Negli anni Novanta si assiste invece a un ritorno d'interesse e di nuovo si torna a parlare e si progettano moduli abitati. Ma in primo piano sono tornate anche la ricerca, l'esplorazione del cosmo con strumentazioni le più sofisticate. Tutto ciò, certamente, sotto la spinta e il desiderio di conoscere i mondi non nostri, ma anche per le necessità dell'industria, degli enti, degli apparati. Un sistema gigantesco: un ''cavallo a cui bisogna portare biada''. E allora, come è stato detto con grande acume, "i pianeti si vendicano": a chi voleva dimenticarli per le attività redditizie, oggi, alle soglie del 2000, gli eventi stanno a ricordare il significato dell'astronautica, almeno limitata al nostro sistema solare.

Torna a proporsi così la vecchia questione: se dovranno essere gli uomini a sbarcare sui pianeti, o invece gli apparecchi costruiti dall'uomo; se cioè bisognerà puntare sui ''voli umani'' (pessima traduzione dell'inglese manned) o su quelli privi di equipaggio umano (pessima circonlocuzione di unmanned, che noi designeremo con ''missioni automatiche''). È assai difficile rispondere a una domanda come questa, che in sostanza equivale a chiedersi: perché l'esplorazione dello spazio?

L'evoluzione tecnica dell'esplorazione dello spazio. - I primi pionieri dello s., vissuti a cavallo tra Ottocento e Novecento, erano provvisti solo di solide basi teoriche, matematiche e meccaniche, ma anche di una sconfinata fiducia nei mezzi che la rivoluzione industriale avrebbe potuto fornire loro. Oggi la parola ''teorico'' può far sorridere, ed è quasi sinonimo di ''sognatore astratto''. Tutto ciò è frutto dell'ignoranza, e forse è bene ricordare che forse mai, come nella ricerca spaziale, la teoria ha previsto in modo quasi puntuale quello che poi è avvenuto. Certamente, quando si trattò di mettere in pratica le idee generali, furono necessari mezzi adeguati, insieme all'apporto di uomini come von Braun e come Gagarin, non più sognatori, ma persone ricche di buon senso e di capacità realizzatrici, e che poterono contare su supporti finanziari consistenti. Supporti quasi sempre frutto dell'iniziativa dei politici, perché se lo s. per sua natura non è ''politico'' (von Braun tenne sempre a precisare che non fu mai un nazista), esso ha bisogno della politica. È a questo punto che nacque il problema di giustificare, di trovare sbocco a un'attività giunta a maturazione dopo una lunga evoluzione. Anzitutto compiendo la scelta preliminare: missioni umane o missioni automatiche? Solo più tardi, infatti, si penserà a commercializzare lo s. con i satelliti di utilità, circostanza che ha contribuito all'evoluzione della tecnologia e della scienza spaziale.

Nelle prime missioni l'interesse maggiore fu dedicato alla cosiddetta ''carrozza'' o bus, ossia all'insieme di strutture e apparecchiature destinate al movimento del veicolo. La crescente complessità e ambizione dei sistemi di raccolta dei dati fece poi nascere una nuova tecnologia, la cosiddetta ''ingegneria del carico pagante'', in cui l'attributo di carico pagante (payload) è riferito alla strumentazione, in quanto è per soddisfare le sue esigenze che la missione è realizzata. Carico pagante, ma anche costoso e molto. Questa circostanza a sua volta ha fatto sì che il payload divenisse progressivamente più importante del bus, con la conseguenza che oggi la fisica e l'elettronica sono divenute più importanti della meccanica. Tecnologia e scienza sono comunque in continuo, costante sviluppo, e hanno raggiunto gradi di sofisticazione inimmaginabili per un non addetto ai lavori. Oggi si riesce a controllare un'apparecchiatura a miliardi di chilometri di distanza; si riesce a ricevere e a sviluppare milioni di fotografie in tempi brevissimi; si può ''ibernare'' una sonda spaziale per due o tre volte, lasciandola inattiva per anni, e risvegliandola quando occorre. Anche le precisioni richieste hanno raggiunto livelli da fantascienza: su alcuni interferometri statunitensi si richiedono precisioni di un milionesimo di millimetro.

L'esplorazione spaziale e la finanza pubblica. - Tra tutti i settori della ricerca, quello associato all'esplorazione spaziale è certamente uno dei più costosi. A parte la costruzione dei razzi vettori, le fasi di lancio e il personale addetto costituiscono un onere finanziario spesso insostenibile. Si pensi che, in alcuni casi, le agenzie spaziali rinunciano a proseguire missioni che ritengono abbiano fornito risultati sufficienti, per risparmiare le spese del personale addetto al controllo della missione stessa. Immediata conseguenza di ciò è la pratica impossibilità di effettuare missioni spaziali di un certo respiro senza l'intervento della finanza pubblica: direttamente, o attraverso agenzie nazionali, aventi appunto lo scopo di coordinare tutte le attività di una nazione; è questo il caso degli Stati Uniti con la NASA, dell'Unione Sovietica (oggi Russia), dell'Italia con l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI), della Germania (DASA), della Francia (CNES). In Europa è stata creata l'ESA, cui aderiscono le più importanti nazioni europee, che vara grossi programmi, ripartendo poi le varie commesse tra gli stati partecipanti in proporzione al rispettivo impegno economico. Altra caratteristica che va tenuta presente è quella costituita dagli effetti del fallimento di una missione. In seguito riporteremo alcuni tipici esempi, in cui il fallimento ha significato la perdita di miliardi di dollari. L'effetto naturale che esso provoca sul contribuente, anche sollecitato dai mezzi d'informazione, è quello di sentirsi defraudato; di qui il riaccendersi delle polemiche attorno a una migliore destinazione (ospedali, ambiente, case per i lavoratori, ecc.) di tanto ingenti capitali. Polemiche da cui è bene non farsi sedurre, perché la ricerca è in ogni caso un sicuro investimento.

I modi dell'esplorazione spaziale. - La pianificazione di un'esplorazione spaziale dura anni, talvolta decenni. Al riguardo bisogna fare varie distinzioni: anzitutto vi è una differenza sostanziale tra missioni orbitali e missioni transorbitali. E, ancora, è necessario distinguere tra esplorazione dello s. ed esplorazione dallo s., e poi ancora, come già detto, tra l'esplorazione umana e quella automatica.

L'esplorazione dello s. vera e propria consiste nell'atterraggio di un'apparecchiatura automatica o di un equipaggio sulla superficie di un corpo celeste, che viene esplorato con mezzi appropriati, anche con l'impiego di veicoli capaci di spostarsi sulla superficie stessa. Anche qui bisogna distinguere tra atterraggio diretto (retrorazzi o rallentamento ottenuto sfruttando l'atmosfera planetaria, se c'è) e sistema a due moduli (orbiter e lander). Questo tipo di esplorazione, praticamente cessato dal 1975, è al centro di grandi progetti futuri. L'esplorazione dallo s. si ha quando una sonda o un satellite sorvolano un corpo celeste (che può essere la Terra) e si effettuano misurazioni e rilievi del corpo da una posizione opportuna, che può essere un'orbita terrestre, oppure no. Nel primo caso è frequente la presenza umana. La tab. 1 (p. 93) indica, per gli astronauti in attività di servizio, le durate complessive di permanenza nello s., espresse in giorni (riferentesi in gran parte a soggiorni nelle stazioni spaziali). Come si vede, è nettamente prevalente la presenza sovietica, anche a livello femminile. Nella tab. 2 è invece riportato il numero totale di astronauti per ciascuna nazione, per un totale di 325 unità in 34 anni di volo spaziale manned. In questo caso è prevalente la presenza statunitense, dovuta ovviamente al maggior numero di missioni svolte. Il problema della durata dei voli è centrale dal punto di vista fisiologico e psicologico (v. anche spaziale, medicina, in questa Appendice).

Le missioni transorbitali sono di solito assai lunghe, e caratterizzate da manovre automatiche o comandate da Terra, effettuate da attuatori a loro volta azionati da propulsori ausiliari, che agiscono a mezzo di getti prodotti da combustione d'idrazina, la cui quantità va rigorosamente controllata e accuratamente risparmiata. È anche necessario procedere a una verifica continua dei dati di housekeeping, ossia delle condizioni di ambiente, in particolare per ciò che riguarda le temperature, le cui escursioni troppo pronunciate mettono a rischio le complicate e costose componenti del payload.

Le moderne conquiste spaziali: missioni tipiche. - Descriviamo ora alcune missioni tipiche di esplorazione spaziale. L'elenco è tutt'altro che esaustivo, e rispecchia la situazione al 1995: situazione che può essere (e sarà certamente) modificata dagli eventi e dalle scelte future. L'esposizione è esemplificativa e ha lo scopo di mettere in rilievo le dimensioni, le difficoltà e i risultati delle imprese spaziali.

Il Grand Tour: le sonde Voyager. - Nel 1977, in coincidenza con il secondo centenario dell'indipendenza degli Stati Uniti, avvenne il lancio di due sonde, la Voyager 1 e la Voyager 2. La loro missione, ambiziosissima, era quella di esplorare tutti i pianeti del sistema solare, e anche zone esterne a esso.

Ci limiteremo a indicare le tappe principali. La missione prevedeva il congiungimento delle due sonde gemelle nella zona degli asteroidi e una successiva fase di esplorazione comune. Per questo motivo il Voyager 1 fu lanciato il 5 settembre 1977, mentre il Voyager 2 era stato lanciato il 20 agosto. Ciascuna delle due sonde aveva un carico totale di 825 kg, parte del quale era composto da una strumentazione scientifica di bordo. È interessante indicare tale strumentazione scientifica: sistema di ripresa, spettrometro infrarosso, spettrometro ultravioletto, fotopolarimetro, radioastronomia planetaria, magnetometri, misuratori di particelle plasma e di particelle cariche a bassa energia, telescopio a raggi cosmici. La durata prevista per la missione è di 35 anni; essa dovrebbe concludersi nel 2012.

Le scoperte finora acquisite nel corso del Grand Tour sono state sensazionali. Dapprima il Voyager 2, sorvolando Giove a 645.000 km di distanza, ha rivelato l'esistenza del 14° satellite del pianeta gigante, cui fu dato il nome di Adrastea. Due anni più tardi c'è stato l'incontro con Saturno e la ripresa fotografica di alcuni suoi satelliti: alcuni già noti, altri sconosciuti. E poi, si è diretto verso Urano, per un viaggio di 4 anni e mezzo. Di questo pianeta si sapeva pochissimo, e se ne ignorava persino il periodo di rotazione. I principali risultati furono la scoperta di dieci nuovi satelliti rispetto ai cinque già noti, tutti abbastanza piccoli, alcuni dei quali tanto irregolari da far pensare agli studiosi a una serie di successive frammentazioni e ricomposizioni. Fu anche osservata la presenza di atmosfera sul pianeta da un'altezza di 71.000 km.

Il Voyager 1 giunse nelle vicinanze di Giove nel marzo 1979, cinque mesi prima della sonda gemella, e il pianeta fu osservato da una distanza minima di 280.000 km, inferiore cioè alla distanza Terra-Luna. La prima grande scoperta fu quella di un sottile anello di materia di non più di 30 km di spessore, estendentesi su un'altezza da 57.000 km al livello delle nubi: un terzo anello doveva poi essere scoperto dal Voyager 2, nel corso del sorvolo di cui si è detto. Giove entrava così a far parte del ''club dei pianeti con anello'', fondato da Urano e Saturno. Iniziava a questo punto un Grand Tour nel Grand Tour, che portava Voyager 1 a contatto dei satelliti di Giove. Tra essi Io, che si presentò come il corpo celeste forse geologicamente più attivo in tutto il sistema solare, con grande numero di vulcani i cui gas formano anelli di vapori di zolfo e ossigeno intorno all'orbita del satellite, ad altissima temperatura (si parla di 100.000°C), che producono aurore boreali nell'atmosfera di Giove. Inoltre due nuovi satelliti furono scoperti dall'analisi dei dati effettuata nel 1980, portando così il numero totale dei satelliti di Giove a 16.

Risultati non meno affascinanti furono ottenuti nel corso dell'incontro con Saturno, nel 1980, risultati che, anche in questo caso, riguardarono soprattutto i satelliti: fra questi Titano che, con i suoi 5140 km di diametro, è secondo, in tutto il sistema solare, solo a Ganimede (satellite di Giove) e possiede una fitta atmosfera. Un ulteriore fondamentale successo della sonda è stato la ripresa fotografica del sistema solare nel febbraio 1990: a quell'epoca, infatti, la maggior parte dei pianeti si trovava concentrata in una ridotta zona angolare della sfera celeste, vista dalla sonda a circa 7 miliardi di km di distanza dal Sole.

La missione Giotto. - La sonda Giotto, realizzata dall'ESA, ha costituito un classico esempio di osservazione nello spazio. Il suo scopo originario era l'osservazione da vicino, addirittura l'incontro, con la cometa di Halley, quella che accompagnò la nascita di Gesù, e che fu dipinta a Padova nella cappella degli Scrovegni dal pittore toscano: di qui il nome del progetto. Naturalmente la data della missione era fissata dalla dinamica del moto della cometa, che presentava il punto di massima vicinanza nella primavera del 1986. La sonda Giotto fu così lanciata dalla base missilistica di Kourou (Guiana Francese) il 2 luglio 1985, con un carico pagante di dieci strumenti, e messa dapprima su un'orbita geostazionaria per poi iniziare una corsa di nove mesi verso il punto d'incontro con la cometa. A causa delle condizioni assai difficili, e pressoché sconosciute, della sua missione, la sonda Giotto era stata progettata in modo da essere sufficientemente autonoma, anche se durante la sua missione fu controllata da una rete mondiale di telecomunicazioni.

Le condizioni d'incontro con la cometa di Halley rendevano necessario l'impiego di uno schermo che proteggesse la sonda dall'urto con le particelle della cometa. La velocità d'incontro era stata calcolata in circa 68 km/s, e a quelle velocità si riteneva che anche una minuscola particella avrebbe provocato danni irreparabili, tanto che la missione fu definita ''missione kamikaze''. Il momento di minima distanza Giotto-cometa fu il 13 marzo 1986, intorno a mezzanotte, a circa 140 milioni di km dalla Terra. I dati raccolti, consistenti in fotografie del corpo della cometa e particelle della sua coda, furono di grande importanza scientifica. L'esame delle condizioni della sonda dopo la missione permise di accertare che sia il bus che i payloads avevano retto magnificamente alla tempesta abbattutasi su di essi al momento dell'incontro, e che l'idrazina necessaria per le manovre era quasi intatta (60 kg su 69). Giotto era quindi disponibile per una nuova missione, che andava però definita.

Fu quindi presa una decisione apparentemente singolare: ''ibernare'' Giotto per un certo periodo, mettendo al minimo, quasi a zero, i consumi interni, e inserendo la sonda su un'orbita solare di circa dieci mesi di periodo. La nuova missione sarebbe stata indirizzata verso la cometa Grigg-Skjellerup, raggiungibile nel 1992. Così la sonda Giotto rimase a ''dormire'' quattro anni, per essere poi ''risvegliata'' nel 1990: ma, prima di riattivarla, fu necessario un completo checkup, richiesto, tra l'altro, anche dalle condizioni estreme di temperatura cui era stata assoggettata durante il sonno. Una parte della strumentazione risultava inutilizzabile, ma le condizioni delle parti totalmente o parzialmente funzionanti giustificavano il proseguimento della missione.

Per far acquisire alla sonda la nuova orbita si pensava di assisterla propulsivamente per mezzo del ''calcio'' planetario (v. navigazione: Navigazione spaziale, in questa Appendice) terrestre. La sonda sorvolò la Terra il 2 luglio 1990 a una quota di circa 22.000 km; ma il calcio planetario terrestre era troppo forte e avrebbe portato Giotto troppo lontano. Fu quindi necessario un secondo periodo d'ibernazione e successiva riattivazione, che ebbe luogo dopo circa due anni, nel maggio 1992. L'incontro con la nuova cometa destava maggiori preoccupazioni a causa del forte angolo d'attacco tra le due traiettorie sebbene, nonostante la velocità relativa fosse molto minore (14 km/s). Il punto di minima distanza dalla cometa (220 km) si verificò a più di 200 milioni di km dalla Terra. Un ulteriore checkup della sonda, a seconda missione ultimata, consigliò di non disfarsi ancora di Giotto, che fu quindi ibernata per la terza volta, in attesa di essere riattivata probabilmente nel 1999. Ognuna delle suddette fasi, descritte in modo estremamente sommario, è stata in realtà densa di difficoltà, di incognite, di complicatissime operazioni e manovre. Il tipo di tecnologia, forse tentata per la prima volta, fa meritare alla sonda Giotto un posto d'onore nella storia dell'esplorazione dello spazio.

Come abbiamo detto, i risultati conseguiti dalle missioni Giotto furono eccellenti. Essi hanno anzitutto confermato che le comete sono le vestigia di corpi primitivi, costituitisi all'atto della formazione del sistema solare, 4÷5 miliardi di anni fa. La loro costituzione appare assai più complessa di quanto si sapesse in precedenza; il nucleo ha una forma strana, a patata, dovuta a successivo accrescimento per arrivo di materiale esterno. La superficie del nucleo stesso appare estremamente oscura, dotata di un piccolissimo coefficiente di reflettività, mentre l'interno, a causa della bassissima densità, sembra costituito di ghiaccio e ossido di carbonio.

Il telescopio spaziale Hubble. - Tra tutte le scienze, l'astronomia è certamente quella che trae i più grandi benefici dall'esplorazione spaziale, perché l'assenza di atmosfera, in condizioni sia orbitali che transorbitali, elimina i disturbi associati all'atmosfera stessa, e che derivano dal suo assorbimento, dalla sua capacità di distorsione, dalla sua turbolenza. Il telescopio Hubble è uno degli esempi più imponenti di quella che abbiamo definito ''scienza dallo spazio'' (v. anche navigazione: Navigazione spaziale, in questa Appendice). Il lancio del telescopio è avvenuto il 24 aprile 1990 dalla navetta Discovery, e l'acquisizione dell'orbita (circolare bassa a 610 km) fu ottenuta il giorno seguente. La previsione della NASA per la vita orbitale ne fissò la durata in 15 anni; si prevede cioè che esso durerà in servizio fino al 2005.

Lo Hubble è senza dubbio uno dei progetti più ambiziosi e costosi della moderna tecnologia spaziale, e rappresenta certamente un gioiello d'ingegneria. Atteso nella comunità scientifica aerospaziale da molti anni, subì varie vicissitudini di carattere economico e gestionale e risentì delle conseguenze della tragedia del Challenger. Un'idea dell'importanza e della sofisticazione del progetto può essere data dal suo costo complessivo: sei miliardi di dollari rispetto ai seicento milioni previsti nel 1977. Il suo nome costituisce un riconoscimento alle ricerche e ai risultati scientifici del grande astronomo americano E.P. Hubble, che, negli anni Venti, formulò la teoria dell'espansione delle galassie, cui, come vedremo, lo stesso telescopio ha fornito notevoli contributi. La teoria di Hubble era basata su una legge di proporzionalità tra velocità di allontanamento di due galassie e loro distanza; in questo contesto, il parametro fondamentale è rappresentato dalla cosiddetta costante di Hubble, che è il rapporto (costante) tra le due grandezze. Il valore stimato da Hubble nel 1931, sulla base dei dati allora disponibili, era di 170 km/s per milione di anni-luce. Il valore accettato praticamente fino al lancio della sonda omonima era notevolmente minore, circa 15 km/s per milione di anni-luce.

Per quanto riguarda le dimensioni, la sonda raggiunge 13 m di lunghezza per un diametro massimo di 430 cm e un'apertura trasversale di 12 m, dopo il dispiegamento dei pannelli solari di energia, che possono fornire una potenza continuativa di 5 kW. Il telescopio vero e proprio ha un'apertura di 240 cm e una strumentazione che permette una risoluzione fino a un decimo di secondo. Sebbene già esistano telescopi terrestri anche molto più grandi, come quello di Monte Palomar (5 m), i loro risultati non sono competitivi con quelli dello Hubble; mentre infatti i primi non superano portate dell'ordine dei 2 miliardi di anni-luce, lo Hubble avrebbe potuto consentire portate di 10÷20 miliardi di anni-luce, riuscendo così a osservare oggetti formatisi all'inizio di quello che è ritenuto il bang iniziale. Come vedremo, questa previsione si è, almeno parzialmente, avverata. Da notare, tra i cinque strumenti principali, la presenza di una camera europea capace di distinguere oggetti alla distanza ottica di un decimo di secondo (anche se non va dimenticato che, a 10 miliardi di anni-luce, essa corrisponde a distanze di circa 5000 anni-luce), e in grado di amplificare fino a 100.000 volte la luce di un astro fino a una grandezza equivalente di 28 e più. Infine, il satellite completo pesa circa 11 t, mentre il peso del telescopio è di 828 kg.

L'inizio della vita di Hubble non fu esente da critiche e da polemiche. Tre giorni dopo il lancio si diffuse la notizia che il sistema ottico del telescopio aveva un difetto di progettazione, dal momento che presentava deformazioni elastiche diverse da quelle previste, a causa degli effetti di assenza di gravità in condizioni orbitali. Queste deformazioni, anche se minime, avrebbero avuto effetti fortemente negativi sulla precisione dei dati rilevati dal telescopio. Tale preoccupazione fu da molti ritenuta eccessiva, in quanto, essendo le immagini numeriche, attraverso un programma di calcolo sarebbe stato possibile apportare ai dati ottenuti le correzioni necessarie. Comunque, visti gli enormi costi a cui si è accennato, la circostanza minacciava di assumere contorni catastrofici. Il telescopio poteva continuare a funzionare, ma nel frattempo era necessario pensare a una missione destinata ad apportare le necessarie modifiche. Questa missione, la cui preparazione durò circa tre anni, fu compiuta da un'équipe di sette astronauti veterani a bordo della navetta Endeavour. Oltre all'ottica correttiva (COSTAR) furono montati pezzi di ricambio che non avevano funzionato bene (giroscopi, pannelli solari, una camera di ripresa). La missione costò complessivamente 700 milioni di dollari.

I risultati scientifici ottenuti dal telescopio spaziale Hubble, prima e dopo la missione di correzione, sono veramente imponenti e hanno confermato, se ce n'era bisogno, il grande vantaggio dell'astronomia dallo spazio. Le osservazioni di Giove e del suo satellite Io sono risultate un utile complemento a quelle del Voyager 1. Si sono osservate gigantesche tempeste su Saturno, provocate probabilmente da particelle materiali provenienti dai suoi satelliti. E, per la prima volta, si è riusciti a ottenere una separazione netta tra Plutone e il suo satellite Caronte, distanti tra loro solo 20.000 km. Il sistema Plutone-Caronte è del massimo interesse in astronomia, essendo l'unico sistema binario del sistema solare, oltre a quello Terra-Luna.

Ma Hubble si è rivolto anche allo s. più lontano, scoprendo un sistema binario internamente a una galassia a circa 30.000 anni-luce, e osservando galassie ancora più lontane. Ancora più sensazionali appaiono le ultime scoperte di Hubble. Ne citiamo due. La prima riguarda la prova sperimentale dell'esistenza dei buchi neri, ottenuta dopo la riparazione del telescopio. Un buco nero è nel nucleo della galassia M87 nel gruppo della Vergine; la conclusione degli scienziati nasce da una valutazione della densità del materiale intorno al nucleo stesso, soggetto a una tremenda forza gravitazionale e avente una massa valutabile a 2÷3 miliardi di volte quella del Sole, ma concentrata in una zona di un diametro paragonabile a quello del sistema solare. Meno spettacolari, ma non meno importanti, le osservazioni che hanno portato a un aggiornamento della costante di Hubble. Infatti, le misure effettuate finora, per es., con metodi Doppler, consentivano solo valutazioni relative, ed era necessario un fattore di scala, cioè una misura assoluta. Per questo era stata da tempo riconosciuta l'opportunità di ricorrere alle cosiddette ''cefeidi'', stelle a luminosità variabile periodicamente. Da tali osservazioni è possibile ricavare la distanza della stella; e per gli scopi della cosmogonia tali distanze debbono essere assai forti. Il telescopio rivolse così la sua attenzione a una dozzina di cefeidi trovate nella costellazione della Vergine, ritenute assolutamente inaccessibili anche ai più sofisticati mezzi terrestri, e ne fu dedotta una distanza di 55.000 anni-luce. Dalla velocità, nota con sicurezza, di 1300 km/s si ottenne così il nuovo valore di costante di Hubble, 24 106 km/s/anno-luce, assai superiore a quello già valutato di 15. Questo sensazionale risultato portava a stimare l'età dell'universo a 9÷10 miliardi di anni, valore sorprendente se si pensa che certe stelle sembrano, all'apparenza, assai più vecchie.

Hubble ha quindi condotto a considerare uno scenario del tutto nuovo per l'evoluzione dell'universo. Come dice efficacemente Ducrocq (1995): "faudra-t-il en effet abandonner les idées traditionnelles de l'évolution stellaire ou renoncer pour le cosmos au scénario de l'inflation regulière du ballon qui se gonfle".

La sonda Ulysses. - La sonda Ulysses è stata il primo oggetto spaziale di fabbricazione umana a esplorare la ''terza dimensione'' cosmica, cioè a muoversi al di fuori dell'eclittica, il piano nel quale sono contenute le orbite dei pianeti del Sole, e della Terra in particolare: essa deriva infatti dalla missione out of ecliptic concepita molti anni fa e progettata nel 1985.

La sonda, di fabbricazione e responsabilità europea, fu lanciata dalla NASA nell'ottobre 1990. Il lancio fu accompagnato da polemiche e proteste da parte di politici e ambientalisti; infatti il generatore della sonda, come altre sonde europee, era alimentato a plutonio a differenza dei tradizionali generatori solari. Caratteristica della sonda è la sua traiettoria o, meglio, la sua orbita solare, che si svolge in un piano a circa 82° rispetto al piano dell'eclittica. Ulysses raggiunse l'orbita di Giove nel febbraio 1992 e, con un'ardita manovra, riuscì a sfruttare il calcio planetario del pianeta gigante e a immettersi in una traiettoria ellittica avente 6,7 unità astronomiche (circa un miliardo di km) per semiasse maggiore, ed eccentricità 0,56 assai pronunciata (si ricorda che le orbite dei pianeti del sistema solare hanno eccentricità di pochi centesimi). Il periodo orbitale è di più di sei anni, ma naturalmente, come insegna la meccanica celeste, l'orbita stessa non viene percorsa a velocità uniforme, ma è alta al perigeo, più bassa all'apogeo. Tale particolarità permette di sfruttare meglio il sorvolo delle zone d'interesse, come si fa già da tempo a terra, per es., con la tecnica Molniya (v. satelliti artificiali, in questa Appendice). Comunque nel giugno 1993 la sonda conquistava il primato di latitudine rispetto all'eclittica (32°), strappandolo al Voyager. Più recentemente Ulysses ha raggiunto il nadir della sua traiettoria.

La piccola sonda europea ha già ottenuto importanti risultati scientifici. Sua missione principale è infatti la raccolta dei dati concernenti le particelle elementari nella zona solare e permette di distinguere quelle originate dal Sole stesso rispetto a quelle provenienti dagli spazi esterni, che debbono muoversi a velocità superiori a quella di fuga. Ma sono soprattutto le proprietà magnetiche del Sole quelle che interessano e che saranno misurate da Ulysses a ogni passaggio sui poli del Sole. Esse potrebbero fornire informazioni decisive sul magnetismo solare, che è ancora una grossa incognita della scienza. Anche l'analisi delle perturbazioni della sua orbita rispetto ai valori predetti dalla meccanica celeste classica, che sono assai piccole, potrà contribuire a fornire informazioni utili allo studio delle onde gravitazionali. Infine Ulysses potrà essere usato quando se ne presenti l'occasione per scopi speciali, com'è già avvenuto nel caso dell'impatto della cometa Shoemaker-Levy su Giove.

Magellan. - Questa sonda, di realizzazione NASA presso il grande complesso JPL (Jet Propulsion Laboratory, di Pasadena, California) ha avuto lo scopo di effettuare una cartografia di Venere. Il pianeta era già stato studiato abbastanza estensivamente negli anni Sessanta, a opera di sovietici e di statunitensi, che tuttavia non erano riusciti a osservarne bene la superficie esterna, né risultati migliori avevano raggiunto le osservazioni radiotelescopiche terrestri.

La sonda, dal peso complessivo di circa 3600 kg, fu lanciata il 5 maggio 1989. Magellan ebbe non pochi momenti di difficoltà nel suo viaggio di trasferimento verso il pianeta, che mettevano in continuo pericolo la riuscita della missione, del valore di mezzo miliardo di dollari. L'orbita venne comunque acquisita nell'agosto 1990 e le riprese cartografiche furono iniziate il 1° settembre dello stesso anno, tanto che già in quello stesso mese al Congresso d'Astronautica di Dresda venivano presentate alcune delle migliori foto. Vivo interesse destarono tra l'altro quelle relative a gruppi di crateri delle dimensioni di parecchie decine di km, a frastagliamenti, a canyon, nonché a pieghe parallele del terreno e fratture geologiche.

Già nel maggio 1991 Magellan aveva esaminato il 90% della superficie di Venere, dopo 3000 orbite intorno al pianeta che si presentava di color ocra nelle stupende immagini trasmesse (colore però ottenuto artificialmente secondo i precedenti risultati della sonda Venere 4) e che rivelavano asperità e monti fino a 10.000 m di altezza, con una precisione di 30 m. Successivamente, dopo la messa fuori servizio del radar ricevitore, Magellan assolse una funzione più passiva, contribuendo, attraverso lo studio delle perturbazioni della sua orbita, allo studio della distribuzione delle masse interne al pianeta. Circa due anni dopo s'iniziava una manovra di frenamento aerodinamico nell'atmosfera venusiana, abbassando l'orbita da perigeo-apogeo = 168-8451 km, con grandissima eccentricità, a 200-596 km. L'ultima fase della missione è consistita nello studio dell'alta atmosfera di Venere. A tale scopo era necessario conferire alla sonda un forte coefficiente di resistenza, ciò che venne ottenuto mediante il dispiegamento dei grossi pannelli solari. Abbassando progressivamente il perigeo dell'orbita, si giunse, nell'autunno 1994, a un valore (poco più di 130 km) di non ritorno, tale cioè che la durata del volo è di pochissimi giorni, dopo di che c'è il rientro e la distruzione della sonda.

La decisione della NASA di far rientrare Magellan aveva suscitato alcune perplessità, decisione che va tuttavia inquadrata nel contesto delle difficoltà economiche e di budget del grande ente spaziale USA: bisogna infatti considerare che tenere in vita e seguire un veicolo spaziale costa in termini di personale, di attrezzature, di spese vive, e che, con le tecnologie attuali, quattro anni di vita sono troppi per garantire un funzionamento ragionevole dei sistemi di bordo. Questa politica potrebbe divenire, in futuro, una regola per missioni intorno a corpi provvisti di atmosfera.

La sonda Clementine. - La storia di questa sonda è particolarmente interessante, non tanto per i risultati ottenuti, che pure sono stati di notevole importanza, quanto e soprattutto per le condizioni in cui la missione si è svolta. Clementine, costruita per la BMDO (Ballistic Missile Defense Organization) del Pentagono (USA), aveva come scopo principale quello di provare nuovi sensori e componenti leggeri per veicoli spaziali. Si trattava quindi di una missione ideata in ambienti militari, ma la NASA pensò di approfittare dell'occasione facendo effettuare a Clementine un'orbita polare lunare e, successivamente, facendole sorvolare un asteroide, Geographos, molto vicino alla Terra.

Anche questa missione fu preceduta da non poche polemiche, ma prese il via il giorno previsto, il 25 gennaio 1994. Il peso totale del veicolo era poco più di 400 kg e il costo raggiungeva i cento milioni di dollari: un progetto, come si vede, economico se paragonato agli altri. La manovra per la messa in orbita lunare fu abbastanza complessa, comportando una serie di stadi di trasferimento, ma la sonda comunque raggiunse in pochi giorni l'orbita polare finale (apocinzio 425 km, pericinzio 2950 km, con un periodo conseguente di circa cinque ore). La strumentazione di bordo, oltre le componenti da provare, consisteva in cinque macchine capaci di effettuare riprese in 10 gamme d'onda, con una ricchezza spettrale di immagini mai raggiunta in precedenza e, va anche aggiunto, con una particolare leggerezza della strumentazione. Speciale interesse e particolare attenzione aveva anche suscitato il sistema di compressione dei dati fotografici trasmessi a terra, compressione resasi necessaria per eliminare i dati inessenziali dai segnali inviati per l'elaborazione. Così, nelle 336 orbite lunari effettuate in poco più di due mesi, la sonda ha trasmesso più di un milione di fotografie, con una risoluzione dell'ordine di grandezza di 100 m. Un particolare interessante dell'intera operazione è che, in considerazione della speciale conformazione dell'orbita, si era pensato di accertare la presenza, o meno, di ghiaccio nelle zone della Luna permanentemente in ombra. Si tratta infatti di una vecchia questione: l'eventuale presenza di ghiaccio potrebbe derivare dall'intenso bombardamento cui la Luna è soggetta da parte di meteoriti che contengono acqua. In definitiva, Clementine ha fornito, in due mesi, molte più informazioni sulla Luna di quante non ne abbia, a suo tempo, fornito il progetto Apollo.

A causa di un cattivo funzionamento del sistema di controllo d'assetto, Clementine nell'agosto 1994 cominciò a ricevere scarsa energia dal Sole, e non poté così attivare i sistemi di controllo che avrebbero dovuto portarla su Geographos: quindi il (non voluto) calcio planetario lunare l'ha trasformata in un satellite solare.

La missione Galileo. - La sonda Galileo fu concepita per lo studio dell'atmosfera e delle caratteristiche del pianeta Giove. Il lancio subì un ritardo di due anni rispetto alla data prevista inizialmente dalla NASA, a causa del divieto di usare idrogeno liquido negli stadi superiori della navetta di lancio, divieto conseguente alla tragedia del Challenger.

Per ogni missione (v. navigazione spaziale, in questa Appendice) si ha una velocità caratteristica, corrispondente alla somma delle velocità che sono necessarie a eseguire le varie fasi. Nel caso della missione su Giove, tale velocità è di 14,2 km/s, mentre quella per Venere è di 11,3 km/s. In assenza di propulsori speciali, la velocità di Giove non è raggiungibile. Perciò era apparso necessario ricorrere alla tecnica dei calci planetari per il compimento della missione. E infatti, nel caso della Galileo, fu modificata la traiettoria di lancio diretto su Giove.

La sonda fu lanciata il 19 ottobre 1989, per una traiettoria di quattro mesi su Venere, che venne sorvolata a circa 19.000 km di quota, consentendo anche la raccolta di dati scientifici interessanti, che non costituivano certamente l'obiettivo principale di questa fase. Lo scopo, come si è detto, era quello di ricevere il calcio planetario da Venere, il che naturalmente avvenne; dopo di ciò Galileo sorvolò nuovamente la Terra il 9 dicembre 1990 allo scopo di riceverne un secondo calcio planetario, che la inserì su un'orbita con apogeo di 325 milioni di km, e periodo di due anni. Tale orbita fece penetrare la sonda nella cintura degli asteroidi, per cui Galileo fu in grado di osservarne alcuni, tra cui Gaspra, a solo un milione di chilometri di distanza. Ma la cosa non finì qui. Il 9 dicembre 1992, al compimento della sua prima rivoluzione, ritornata vicino alla Terra, la sonda ha ricevuto un ulteriore calcio planetario, che l'ha immessa su una traiettoria che porterà Galileo a Giove entro il 1995.

Uno degli aspetti più interessanti di quest'ultima fase fu il sorvolo dell'asteroide Ida, avvenuto nell'agosto 1993. Da tempo, infatti, e tuttora, lo studio degli asteroidi riveste un grande interesse in astronomia, in quanto essi si suddividono in parecchi gruppi, dallo studio comparativo di ciascuno dei quali ci si attendono importanti informazioni sulla formazione e l'evoluzione del sistema solare. La diffusione delle fotografie di Ida destò grande sensazione: si trattava di un corpo dalla stranissima forma ''patatoide'', con un grande numero di crateri sulla sua superficie. Questi crateri hanno le dimensioni più svariate, a testimoniare l'intensità del bombardamento meteorico da parte di frammenti estremamente numerosi disseminati nell'universo. Ma ancor più sensazionale è stata forse la rivelazione che Ida ha un satellite (questa scoperta deriva dall'esame delle fotografie dell'asteroide): un satellite minuscolo, forse di non più di 2 km di diametro, sulla cui origine non esiste ancora accordo tra gli studiosi. Si tratta in ogni caso di un'origine comune con il corpo principale, in quanto la cattura da parte di Ida di un corpo vagante appare impossibile in base alle leggi della meccanica del volo spaziale.

Esplorazione diretta e osservazioni dei corpi celesti. - Sin qui sono state esaminate le singole missioni più recenti, descrivendo gli obiettivi e gli scopi di ciascuna di esse. Ma avviene anche che si abbiano più missioni con lo stesso obiettivo, per es. lo studio particolare di un corpo celeste. In generale si hanno missioni di studio preliminare e preparatorio, seguite da altre specifiche e con strumentazioni e mezzi di crescente sofisticazione.

La Luna. - Com'è noto, l'ultima missione diretta sulla Luna coincise con la fine del programma Apollo. Fino a oggi non è stata più tentata alcuna missione umana, e anche l'invio di sonde direttamente sul nostro satellite è praticamente cessato. In realtà l'interesse per i voli spaziali sulla Luna non si è mai completamente sopito (si è già visto, a questo proposito, il programma Clementine), ma solo di recente si è tornato a parlare di nuovi progetti in forma concreta. Ed è solo dei programmi futuri che possiamo occuparci in questa sede. La NASA dovrà scegliere tra tre o quattro progetti per il completamento del programma Discovery, per l'esplorazione del sistema solare, e tra numerosi progetti (forse otto) relativi alla Luna. Alcuni annunci preliminari erano già stati dati in occasione del 25° anniversario dello sbarco degli astronauti dell'Apollo.

Oltre alla prosecuzione del programma Clementine, che è risultato così brillante nella sua semplicità, è stato proposto un programma assai più ambizioso, denominato ISELA, da affidare a un'impresa privata. Tale programma prevede l'atterraggio sulla Luna di otto sonde strumentate, da lanciare dal poligono russo di Baikonour, seguite da un veicolo di superficie. La NASA propone invece l'invio diretto di un telescopio a raggi ultravioletti. Molti progetti sono strutturati in forma simile: deposizione sulla Luna di strumentazione e di veicoli da adibire a locomozione e trasporto. In ciascuno di essi traspare l'intenzione, anche se non dichiarata, di costituire sulla Luna delle basi permanenti, abitate o meno. La Luna potrebbe anche costituire un'ottima base di lancio per missioni interplanetarie; infatti la velocità caratteristica, per es., per un lancio su Venere, sarebbe solo di poco superiore ai 4 km/s, a causa della massa molto minore della Luna in confronto a quella della Terra.

Anche l'Europa sta considerando con grande attenzione la possibilità di un volo lunare, che sarebbe diviso in quattro fasi successive: a) esplorazione sistematica delle risorse lunari per mezzo di sonde orbitali e/o di moduli d'atterraggio; b) installazione di stazioni robotizzate e strumenti di astronomia sulla superficie lunare; c) studio intenso e approfondito delle risorse lunari sfruttabili (grandi speranze si ripongono nella possibilità di utilizzare l'ossigeno delle rocce lunari, a fini sia ambientali che energetici); d) infine installazioni di basi abitabili sulla Luna stessa, che potrebbe presto trasformarsi in una colonia terrestre. Il progetto appare nel suo insieme assai ambizioso, per non dire futuribile. L'Europa, che dispone solo di Ariane 5, può attualmente impegnarsi solamente per la prima fase, limitandosi a inviare sonde e moduli di atterraggio nei primi anni del 21° secolo, con carichi paganti di circa 250 kg. Contemporaneamente potrebbero essere disponibili i risultati del programma MORO, una missione di sonda lunare orbitale.

Giove. - Tra gli eventi più significativi rivelati dall'esplorazione dello s. mediante veicoli spaziali automatici, va segnalato il bombardamento di Giove da parte della cometa Shoemaker nel mese di luglio 1994. Gli scienziati del Naval Research avevano messo a punto un programma di calcolo basato su quello in uso per lo studio della propagazione ondosa negli oceani, data la similitudine tra i due fenomeni. Fu la prima volta che un evento simile veniva predetto, e le previsioni teoriche furono rispettate con pochi secondi di anticipo; è questa previsione accurata che ha permesso l'osservazione di Giove da parte di sette veicoli spaziali e di un osservatorio orbitante. Le particelle impattanti, di un diametro fino a 2 μm, arrivavano sulla superficie del pianeta a velocità dell'ordine dei 60 km/s, possedendo un'energia complessiva di 6 milioni di megaton, e producendo temperature dell'ordine di grandezza di quelle esistenti sulla superficie del Sole. Le esplosioni furono rilevate con una brillanza pari a circa 50 volte quella di Giove osservato dalla superficie terrestre, sebbene la zona d'impatto fosse al di fuori del disco visibile dalla Terra.

Le osservazioni a risoluzione più alta sono dovute al telescopio Hubble, e hanno fornito informazioni preziose sulla composizione della superficie di Giove. Anche la sonda Galileo, la cui missione è principalmente dedicata all'esplorazione del sistema gioviano, è riuscita a scattare foto a lunga esposizione, sebbene la sua distanza fosse molto elevata (circa 300 milioni di km). La sonda Ulysses, che aveva appena iniziato la sua missione intorno ai poli del Sole, ha potuto rilevare emissioni radio. I risultati sono ancora assai incompleti, e particolarmente sorprendente si è rivelata la totale mancanza di acqua. Gli effetti prodotti dalle particelle sono comunque durati parecchi giorni dopo l'impatto della cometa. In particolare sarà controllato e seguito attentamente il possibile evolversi di una scia di polvere della cometa che, secondo previsioni teoriche, produrrà effetti analoghi a quelli dei rottami spaziali (v. satelliti artificiali, in questa Appendice).

Marte. - Tra i pianeti, Marte è quello che occupa un posto d'onore nell'esplorazione spaziale, sia nella fase dell'immaginazione che nell'era della conquista. Marte è non solo il più vicino, ma anche il più simile alla Terra. Per questo la sua osservazione, specialmente dopo l'invenzione del cannocchiale, è stata molto intensa, e ha portato a interpretazioni le più diverse, come quelle dei ''canali'' e delle calotte polari. Si pensi inoltre come, anche nel gergo popolare, ''marziano'' sia sinonimo di ''extraterrestre''.

Il primo veicolo spaziale statunitense su Marte fu lanciato nel 1964. Si trattava del Mariner, seguito poi da tre Mars Orbiter, il cui scopo era quello di effettuare una mappatura per quanto possibile precisa del pianeta, in vista del Viking, che seguì nel 1976. Viking fornì una larghissima messe di informazioni riguardanti la geofisica di Marte e la sua atmosfera, composta, quest'ultima, in prevalenza di anidride carbonica, con una pressione atmosferica al suolo pari a circa 1/100 di quella terrestre. Viceversa nessuna delle ricerche rivolte a scoprire tracce di vita paraterrestre dette esito positivo. Comunque anche dopo il 1976 negli Stati Uniti l'interesse per il volo su Marte non venne mai meno, sia pure a livello di studi di fattibilità. Ma un deciso avvio si ebbe nel 1989. I sovietici non mostrarono minor interesse per Marte, anche perché furono i primi nell'esplorazione del pianeta verso cui effettuarono 17 viaggi, non tutti coronati da successo; l'ultimo risale al 1988. Anche gli europei e i giapponesi sono peraltro intensamente interessati alla missione su Marte.

L'importanza di Marte per il futuro dell'esplorazione spaziale nasce da varie ragioni. Dal punto di vista scientifico, esso, come d'altronde Venere, può fornire un ottimo punto di riferimento e di confronto con la Terra, e aiutare a capire sia l'evoluzione terrestre che quella della stessa vita: sempre presente è infatti la vecchia e appassionante questione dell'esistenza attuale, o passata, della vita su Marte. Secondo molti, il pianeta avrebbe subito, nel corso di milioni di anni, catastrofici mutamenti nella sua struttura planetaria e atmosferica, che l'hanno ridotto nelle attuali condizioni che lo hanno reso per noi inabitabile. Di qui l'idea che la conoscenza dell'evoluzione di Marte potrebbe forse aiutarci a limitare i danni che quotidianamente apportiamo al nostro sistema ecologico.

Quanto alla sua esplorazione, sorge inevitabile il solito problema: se effettuare missioni umane o missioni telematiche. Per i sostenitori della prima ipotesi c'è da considerare la maggiore flessibilità dell'osservazione umana rispetto a quella automatica, come pure l'opportunità di verificare la possibilità, temporanea o permanente, di sopravvivenza umana su Marte; inoltre si fa valere la possibilità di associare al programma di esplorazione, in varie forme, tutte le nazioni del mondo, con grande vantaggio nella promozione scientifica. I sostenitori dell'ipotesi di missioni telematiche ritengono invece necessario far precedere un'intensa attività di esplorazione e di ricerca alla presa di possesso diretta, che essi ritengono non possa aver luogo prima della seconda metà del 21° secolo. Ambedue le scuole di pensiero prevedono comunque una grossa ricaduta tecnologica del programma Marte, e sostengono che valga, in ogni caso, impegnarsi nell'impresa. Per questo già da tempo negli Stati Uniti, nonché in Russia, il revival di Marte ha condotto al varo di programmi di preparazione anche se, purtroppo, non coronati da successo.

Una missione preliminare all'esplorazione diretta del pianeta era stata prevista con la sonda Mars Observer. Il lancio, previsto per il 19 agosto 1992, fu rinviato per vari motivi, compresa la presenza dell'uragano Andrew nella zona di lancio, rinvio che poneva non pochi problemi. Com'è noto, infatti, per il lancio planetario esiste una cosiddetta ''finestra di lancio'', ossia un intervallo di tempo centrato sull'istante nominalmente previsto, al di fuori del quale la posizione relativa dei pianeti è tale che la missione non è più effettuabile per motivi energetici. Nel caso del Mars Observer questa finestra si sarebbe chiusa il 13 ottobre, ma per fortuna fu possibile effettuare il lancio il 24 settembre. Si trattava di un programma assai ambizioso, destinato a fornire un gran numero di informazioni sul pianeta, che sarebbero state utilizzate per missioni ancora più ambiziose, non escluso lo sbarco di un equipaggio umano. Era previsto l'impiego della tecnica già usata per il lancio da orbita terrestre, cioè dapprima l'inserzione su un'orbita a forte eccentricità e poi la successiva circolarizzazione. Superfluo sottolineare la grande attenzione che era stata riservata al corredo di macchine fotografiche (ad altissima risoluzione), alla strumentazione a raggi infrarossi e a uno speciale gammaspettroscopio destinato ad accertare, ed eventualmente a misurare, la presenza di acqua nelle rocce marziane.

Ma la missione abortì. Improvvisamente la sonda disparve dai cieli del JPL di Pasadena, il 21 agosto 1993, proprio al momento della messa in orbita intorno al pianeta, e non si sa, a tutt'oggi, dove sia andata a finire. Questo insuccesso ebbe come ovvio grande risonanza nell'opinione pubblica americana, anche perché l'operazione era costata complessivamente circa un miliardo di dollari. Naturalmente si rese indispensabile stilare un referto di morte, pur in assenza del morto, e un'apposita commissione d'inchiesta ne attribuì le cause a difetti di progettazione e a cattiva manutenzione; l'industria costruttrice fu ovviamente posta sotto accusa ma ben presto scagionata, tanto più che la NASA aveva già pagato una rata del prezzo totale del contratto senza attendere la fine della missione.

Anche i Russi hanno da parte loro nel frattempo preparato due missioni di analisi preliminare. La prima, chiamata Mars 94, prevedeva l'impiego di due sonde, con veicolo orbitante e successivo distacco del lander, destinato ad atterrare e a esaminare il suolo, secondo una tecnica impiegata in missioni precedenti. Il lancio era previsto per il 21 ottobre 1994, sempre per i vincoli imposti dall'opportunità di raggiungere il pianeta senza grande impegno energetico alla partenza. Ma se già agli inizi del 1994, in considerazione delle difficoltà economiche del paese, le due sonde della prima missione sono state ridotte a una, anche la data del 21 ottobre è passata senza che neppure l'unica navetta prevista sia stata lanciata. Vedi tav. f.t.

Bibl.: N. Ahgold e al., Ulysses operations, in ESA Bullettin, 72 (novembre 1992); International exploration of Mars, Rapporto del Comitato IAF (International Astronautical Federation), in Acta Astronautica, 31 (1993); H.R. Nye, The Giotto extended mission, in ESA Bullettin, 73 (febbraio 1993); T.M. Foley, Comet heads for collision with Jupiter, in Aerospace America, 32, 4 (aprile 1994); M. Dornheim, Moon tests asteroid theories, in Aviation Week and Space Technology, marzo 1994; A. Ducrocq, Séduisant scénario pour Clémentine 2, in Air et Cosmos, 1485 (settembre 1994); Id., Le prodigieux ciel d'Hubble, ibid., 1508 (marzo 1995); R.M. Bonnet, European space science in retrospect and prospect, in ESA Bullettin, 81 (novembre 1995).

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