Finalita, espressione della

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

finalità, espressione della

Michele Prandi

Struttura concettuale della finalità: causa, motivo, fine

Per descrivere la relazione di finalità occorre ignorare la sua forma di espressione più nota, cioè la frase finale (➔ finali, frasi), per concentrarsi sulla sua struttura concettuale. In termini generali, le relazioni tra processi come la causa, la concessione o il fine non sono il mero contenuto di frasi subordinate, ma relazioni concettuali tra processi che ammettono diverse forme di espressione (➔ subordinate, frasi). Se le relazioni concettuali sono descritte a partire dalle frasi subordinate, si può incorrere in errori anche gravi. Da questo punto di vista, la finalità rappresenta il caso più significativo.

Partendo dall’idea che le frasi causali esprimono la relazione di causa e le finali la relazione di fine, si è finito con il focalizzare un’opposizione diretta tra causa (1) e fine (2). In realtà, tra causa e fine non c’è opposizione diretta, in quanto il fine è solo un tipo particolare di motivo dell’azione. La distinzione pertinente in termini concettuali è dunque quella tra cause come in (1) e motivi dell’azione come in (3), offuscata dalla forma di espressione (Daneš 1985):

(1) il fiume è straripato perché ha piovuto molto

(2) Giovanna si è iscritta a Lingue per diventare traduttrice

(3) Giovanni ha preso l’auto perché ha perso il treno

Le cause trovano posto nella categorizzazione spontanea degli eventi del mondo; i motivi fanno invece parte dell’universo delle azioni compiute da esseri umani liberi e responsabili, capaci di valutare e di decidere, e attribuite per analogia agli animali. Gli eventi accadono, e per questo l’espressione della causa può essere staccata dall’espressione del processo principale e reinserita tramite una frase indipendente che contiene una forma del verbo accadere e, come soggetto, una ripresa anaforica del processo antecedente: il fiume è straripato; (questo, questo fatto, Ø) è accaduto perché ha piovuto molto.

Le azioni, invece, non accadono, ma sono compiute da agenti. Per questo l’espressione del fine può essere staccata dall’espressione del processo principale e reinserita tramite una frase indipendente che contiene lo stesso soggetto dell’azione principale e una forma del predicato generico d’azione farlo: Giovanni ha preso l’auto; (Giovanni) l’ha fatto perché ha perso il treno.

A partire dalla distinzione tra cause e motivi, il fine trova posto tra i motivi: si tratta del motivo che coincide con un progetto dell’agente stesso, proiettato nel futuro.

Un’azione umana può essere motivata da un evento accaduto nel mondo esterno: Giovanni ha perso il treno, e questo lo ha portato a usare l’auto. Ovviamente, anche in questo caso la relazione non è di causa, ma di motivo, e più precisamente di motivo retrospettivo (Anscombe 1957). Tra l’evento e l’azione si incunea la decisione del soggetto, che poteva essere diversa. Come una causa, l’evento che ha spinto Giovanni verso la sua decisione precede l’azione, e ciò giustifica la forma di espressione nel periodo, simile a quella della causa. Ma l’essere umano è in grado di motivare la sua azione non solo valutando fatti accaduti nel passato, ma anche esplorando il futuro. In questo caso parliamo di motivo prospettivo.

In primo luogo, gli esseri umani fanno previsioni: per es., prevedo che domani nevicherà, e questa previsione porta alla decisione di partire in treno piuttosto che in auto. Ma, soprattutto, gli esseri umani fanno progetti per il futuro: Giovanna, per es., vuole diventare traduttrice. Questa non è una previsione, ma un progetto, ed è questo progetto che motiva l’azione di iscriversi a Lingue. La relazione che abbiamo appena descritto tra un progetto e un’azione corrisponde a quello che tradizionalmente si chiama fine.

Come la causa, anche il fine è una relazione tra due fatti reali. Una relazione finale è coerente solo se sono reali sia l’azione, sia la sua motivazione. Tuttavia, ciò che deve essere reale per motivare un’azione non è il contenuto dell’intenzione, ma l’intenzione stessa. Il fatto su cui porta l’intenzione si colloca nel mondo esterno e nel futuro: al momento della decisione e dell’azione, non si è ancora verificato, e forse non si verificherà mai. L’intenzione di raggiungere lo scopo, viceversa, si situa nel mondo interno dell’agente e precede la decisione e l’azione. Dato una frase come Giovanna si è iscritta a Lingue per diventare traduttrice, la condizione necessaria per l’instaurarsi della relazione finale non è che Giovanna diventi davvero traduttrice, ma che questa sia la sua intenzione, che la spinge a decidere e ad agire. L’intenzione, non il suo compimento, spinge all’azione. Se l’intenzione non è reale, non si ha più un motivo ma una relazione condizionale (➔ periodo ipotetico): se vuoi diventare traduttrice, iscriviti a Lingue. Se il motivo è reale ma l’azione non ha luogo, si ha una relazione concessiva (➔ concessione, espressione della): sebbene volesse diventare traduttrice, Giovanna non si è iscritta a Lingue.

Espressione del fine

Il fine è la relazione concettuale che ammette la gamma di forme di espressione di gran lunga più ampia e differenziata. Per esplorare questo repertorio di mezzi occorre partire da una premessa: sul piano concettuale, la finalità è una relazione molto complessa; di questa struttura complessa, ogni forma di espressione tende a mettere in luce alcuni aspetti e a lasciarne in ombra altri.

Mentre la causa si colloca interamente nel mondo esterno, i motivi coinvolgono il mondo interno dell’agente. Mentre i motivi retrospettivi nascono nel mondo esterno – Giovanni ha perso il treno, e questo fatto lo ha portato a prendere l’auto – i fini nascono nella mente degli agenti: Giovanna vuole diventare traduttrice, e questo progetto la spinge a iscriversi a Lingue.

Mentre la causa ha una temporalità semplice (la causa precede necessariamente l’effetto), il fine ha una temporalità complessa e stratificata, divisa tra la sfera esterna e quella interna. L’intenzione e la decisione, che appartengono alla sfera interna, provocano e dunque precedono l’azione, che si compie nel mondo esterno. Viceversa, l’eventuale realizzazione del contenuto dell’intenzione è provocata dall’azione, e dunque la segue. La sfera interna del soggetto presenta un’impressionante ricchezza di atteggiamenti e sfumature: all’intenzione, alla volontà e alla progettualità, in larga misura consapevoli, si associano i più svariati atteggiamenti emotivi orientati verso il futuro, dal desiderio alla paura, che aprono le porte dell’azione a impulsi più o meno inconsci.

Se ora collochiamo le diverse forme di espressione sullo sfondo di questo complesso sistema di concetti e relazioni, possiamo distinguere due strati di opzioni. Al primo strato appartengono le opzioni maggiori: in primo luogo, l’alternativa tra giustapposizione e frase complessa, e, all’interno di quest’ultima, l’alternativa tra forma finale e forma causale. Queste opzioni impongono alla complessa rete di relazioni prospettive diverse, intervenendo sulla struttura temporale e sull’equilibrio tra la sfera soggettiva e il mondo dell’esperienza esterna (§§ 2.1 e 2.2).

Tutte le opzioni principali possono essere arricchite nelle loro capacità espressive dall’uso di decine di nomi incapsulatori (➔ incapsulatori), che esprimono la relazione finale o direttamente, come scopo, obiettivo, o indirettamente, evocando la sfera dell’intenzione – come intenzione, proposito – o delle emozioni, come desiderio, sogno (§ 2.3).

Il periodo: forma finale e forma causale

La stessa relazione concettuale – un motivo dell’azione che coincide con il contenuto di un’intenzione dell’agente – può essere espressa in due forme molto diverse: la frase detta finale (4) e la frase detta causale (5):

(4) Giovanna si è iscritta a Lingue per diventare traduttrice

(5) Giovanna si è iscritta a Lingue perché voleva diventare traduttrice

Le due forme esprimono la stessa relazione concettuale, e si differenziano per la prospettiva che impongono alla relazione. La forma causale (5) presenta l’obiettivo che deve essere realizzato grazie all’azione come il contenuto di un’intenzione che la precede. In questo modo, l’espressione è al tempo stesso centrata sulla sfera interna del soggetto e ripiegata sul passato, in un’ottica retrospettiva. La forma finale (4), viceversa, collega direttamente l’azione al suo obiettivo, al tempo stesso collocato nel mondo esterno e proiettato nel futuro. In questo modo, la forma finale taglia fuori dall’espressione ogni riferimento al mondo interiore del soggetto, e in particolare all’intenzione e alla decisione che precedono l’azione.

Quando il fine è espresso da una frase causale, tutti i suoi momenti essenziali, soggettivi e oggettivi, passati e futuri, sono in piena luce, come in un mondo surreale senza ombre. Quando è espresso da una frase finale, invece, la struttura concettuale è in parte illuminata e in parte in ombra. Una frase complessa di forma finale può essere interpretata come espressione di un’azione finalizzata solo se le componenti concettuali in ombra (l’intenzione e la decisione del soggetto) possono essere in qualche modo reintegrate, o perché codificate come implicite, o perché inferibili dai contenuti concettuali. Questo spiega perché la forma più usata di proposizione finale, e cioè la finale di forma implicita, può esprimere contenuti dai quali la finalità è del tutto assente (➔ finali, frasi):

(6) l’auto sbandò e uscì di strada per rotolare nella scarpata.

Giustapposizione e coordinazione

Due frasi indipendenti giustapposte o coordinate sono in grado di esprimere una relazione finale solo se la frase che esprime il motivo contiene un verbo o una locuzione che si riferisce all’intenzione del soggetto o a un atteggiamento emotivo coerente, ad es. volere, avere intenzione di, desiderare:

(7) Giovanna voleva diventare traduttrice e si è iscritta a Lingue

(8) Giovanna si è iscritta a Lingue. Voleva diventare traduttrice

Come nella forma causale, l’espressione è al tempo stesso centrata sulla sfera interna del soggetto e ripiegata sul passato, in un’ottica retrospettiva.

Incapsulatori del fine

Lo studio della finalità permette di osservare in modo diretto come una e una sola relazione concettuale – il motivo dell’azione che coincide con il contenuto di un’intenzione – possa tradursi in una famiglia molto ricca di forme di espressione, e quindi di sottili variazioni semantiche. Il fattore determinante di questa ricchezza è la disponibilità di una famiglia di nomi incapsulatori che possono entrare direttamente nell’espressione della finalità, sia nel periodo, sia nella sequenza. I nomi coinvolti nell’espressione della finalità sono decine, e appartengono a tre grandi classi (Gross 2001).

Alla prima classe appartengono i nomi che proiettano il contenuto dell’intenzione nello spazio esterno, come se il fine fosse una meta metaforica che è in vista, che si può raggiungere o mancare: per es. fine, scopo, obiettivo.

I nomi delle altre due classi spostano l’attenzione dal mondo esterno, nel quale si colloca l’obiettivo dell’azione, alla sfera interna, nella quale affondano le sue radici. Nella sfera interna possiamo ulteriormente distinguere i nomi riferiti al pensiero cosciente e i nomi di sentimenti. Appartengono all’espressione del pensiero cosciente nomi come intenzione, volontà, idea, progetto, disegno, ma anche ambizione e pretesa. Appartengono alla sfera dei sentimenti nomi come desiderio, speranza, sogno, illusione e, in negativo, timore, paura.

Ognuno di questi nomi può essere usato per costruire sia una locuzione preposizionale adatta a un periodo (es. 9-14), sia una locuzione avverbiale anaforica adatta a una sequenza di frasi coordinate o giustapposte (esempi 15-19):

(9)   Giovanna si è iscritta a Lingue per diventare traduttrice

(10) Giovanna si è iscritta a Lingue con l’obiettivo di diventare traduttrice

(11) Giovanna si è iscritta a Lingue con l’intenzione di diventare traduttrice

(12) Giovanna si è iscritta a Lingue con il desiderio di diventare traduttrice

(13) Giovanna si è iscritta a Lingue con il sogno di diventare traduttrice

(14) Giovanna si è iscritta a Lingue con l’illusione di diventare traduttrice

(15) Piera voleva diventare traduttrice. Con questo obiettivo si è iscritta a Lingue

(16) Piera voleva diventare traduttrice. Con questa intenzione si è iscritta a Lingue

(17) Piera voleva diventare traduttrice. Con questo desiderio si è iscritta a Lingue

(18) Piera voleva diventare traduttrice. Con questo sogno si è iscritta a Lingue

(19) Piera voleva diventare traduttrice. Con questa illusione si è iscritta a Lingue

I nomi incapsulatori hanno due funzioni. In primo luogo, sono in grado di riequilibrare il peso relativo dell’orientamento temporale retrospettivo e prospettivo e della sfera interna ed esterna. La forma finale implicita con per, ad es., collega direttamente l’azione allo scopo, ignorando la sfera soggettiva e la dimensione retrospettiva; ma basta incorporare nella frase un nome di intenzione o di sentimento per reintegrare le due componenti:

(20) Giovanna si è iscritta a Lingue con l’intenzione / il desiderio / il sogno / l’ambizione di diventare traduttrice

In secondo luogo, i nomi incapsulatori sono in grado di introdurre sfumature semantiche molto fini nell’espressione della relazione finale.

Se un fine lo chiamiamo obiettivo, lo raffiguriamo come un punto esterno verso cui l’azione si dirige: come se fosse un bersaglio da colpire. La metafora del bersaglio è ancora viva nel francese but «bersaglio», nell’inglese goal, aim «meta, bersaglio», e nel tedesco Ziel «meta» e Zweck «destinazione, obiettivo». Se lo chiamiamo progetto, pensiamo a un piano ben definito nei dettagli. I pensieri dell’agente possono essere valutati, o addirittura censurati, da parte del parlante. Ambizione sottolinea una volontà di affermazione del soggetto, mentre pretesa implica una censura morale:

(21) Nicola si è iscritto al concorso con l’ambizione di diventare direttore

(22) Nicola ha telefonato al direttore con la pretesa di essere assunto

I sentimenti, per definizione, possono sfuggire alla consapevolezza dell’agente ma essere percepiti e valutati da un osservatore esterno. Se un fine è chiamato desiderio, si sottolinea il suo lato emotivo, magari non del tutto consapevole; se parliamo di sogno, lasciamo intendere che il progetto è poco realistico; se lo qualifichiamo come illusione, pensiamo addirittura che sia irraggiungibile:

(23) Giovanna si è iscritta al corso con il desiderio inconscio di emulare sua sorella

(24) Giovanna si è iscritta al corso con il sogno / con l’illusione di diventare ballerina.

Studi

Anscombe, Gertrude E.M. (1957), Intention, Oxford, Basil Blackwell, 1957.

Daneš, František (1985), Some remarks on causal relationships in language and text, «Recueil linguistique de Bratislava» 8, pp. 151-157.

Gross, Gaston (2001), Pour une typologie des prédicats nominaux, in Langage et référence. Mélanges offerts à Kerstin Jonasson à l’occasion de ses soixante ans, édités par H. Kronning et al., Uppsala, Uppsala University, pp. 221-230.

Prandi, Michele, Gross, Gaston & De Santis, Cristiana (2005), La finalità. Strutture concettuali e forme di espressione in italiano, Firenze, Olschki.

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