Espressione

Universo del Corpo (1999)

Espressione

Karl Grammer
Klaus Atzwanger

L'espressione è il modo in cui si manifestano esteriormente, attraverso gli atteggiamenti del volto, i gesti e il movimento dell'intero corpo, le emozioni, gli stati d'animo e anche i tratti della personalità. Le espressioni rappresentano quindi una componente fondamentale della comunicazione umana che, volontariamente o involontariamente, rende espliciti agli altri aspetti importanti della persona. La ricerca sistematica delle analogie fra tutte le forme di espressione della personalità può costituire un metodo di comprensione e di studio molto importante in semeiotica anche psicologica.

Espressione e comunicazione

La maggior parte dei comportamenti umani può essere descritta in termini di cambiamenti dinamici che avvengono sulla superficie del corpo e nella sua posizione. Ciò risulta vero per quanto riguarda le posizioni che il corpo assume in conseguenza di determinati movimenti e anche per il linguaggio e i suoi tratti prosodici, come il tono di voce, l'intensità, l'ampiezza sonora, anch'essi prodotti dinamicamente. In questa prospettiva, la comunicazione umana appare come un processo che si serve di diversi canali. Dal punto di vista funzionale, l'espressività del corpo e del volto appare legata alla comunicazione e al linguaggio e dovrebbe quindi, come la parola, essere in grado di fornire informazioni sulla personalità, l'identità sessuale, le intenzioni, le emozioni e gli stati interiori di una persona. Secondo alcuni autori, i canali di comunicazione non verbale (per es., i movimenti e i gesti) possono prevalere sul contenuto di quella verbale. È stato calcolato che circa il 7% del significato di un messaggio è convogliato dal suo contenuto, mentre il 38% deriva da indizi di prosodia vocale e ben il 55% è generato dall'impressione visiva del comportamento non verbale (Mehrabian 1972). Al contrario, altri autori ritengono che l'espressione non verbale serva unicamente a facilitare la produzione della comunicazione verbale (Wylie 1985). In ogni caso, come è stato dimostrato sperimentalmente, i movimenti del corpo sono intimamente legati ai ritmi del discorso parlato: se si fissano a mani, testa e piedi dei trasduttori elettromagnetici di movimento (che consentono la registrazione precisa della posizione e del movimento delle parti del corpo), appare evidente come i movimenti abbiano maggiore probabilità di verificarsi in occasione di interiezioni e di esitazioni nel parlare. Essi, inoltre, non appaiono distribuiti a caso durante la conversazione, ma seguono il ritmo della comunicazione verbale (Dittman-Llewellyn 1969). È importante quindi appurare quali messaggi vengano comunicati attraverso i movimenti e con quale profondità.

Espressione e movimento

Ch. Darwin fu tra i primi a descrivere le espressioni umane in The expression of emotions in man and animals (1872), in cui afferma che l'espressione delle emozioni sembra essere innata e comprensibile a prescindere dalla cultura di appartenenza (v. emozione). Darwin, che durante il suo viaggio sul brigantino Beagle (1831-36) ebbe modo di osservare membri di differenti culture in condizioni di eccitazione emotiva, individuò l'espressione di sei emozioni di base: rabbia, disgusto, paura, dolore, felicità e sorpresa. P. Ekman e W.V. Friesen (1971) hanno mostrato come immagini statiche di queste emozioni possano essere riconosciute e interpretate correttamente da individui appartenenti a culture diverse. A conclusioni analoghe è giunto anche I. Eibl-Eibesfeldt (1984) il quale, conducendo una ricerca su bambini sordi e ciechi, ha dimostrato che anche questi, pur vivendo in totale silenzio e oscurità, riescono a esprimere sui loro volti emozioni, come, per es., rabbia, felicità e paura. Si è obiettato che raramente si producono emozioni elementari, ma più frequentemente si verifica una miscela tra molti tipi diversi di emozioni e in molti contesti differenti. Per questo motivo esse vengono riconosciute con più facilità da immagini in movimento che non fisse (Bassili 1979). Infatti il movimento (per es. il gesto), che coinvolge non solo il volto ma il corpo nella sua interezza, ha un ruolo fondamentale nell'espressione delle emozioni.

Già a partire dall'inizio del 20° secolo la scuola tedesca di psicologia dell'espressione sottolineava l'importanza di valutare la qualità del movimento. Così O. Fischer (1911) introdusse un metodo oggettivo di analisi dei movimenti filmati, con misurazione in ciascun fotogramma delle coordinate delle articolazioni. Secondo A. Flach (1928), anche un gesto, così come un simbolo, è ambiguo se preso isolatamente, mentre solo la dinamica globale dei gesti è inequivocabile e convincente. Purtroppo, questo approccio oggettivo fu successivamente abbandonato a favore di un'interpretazione soggettiva dei dati misurabili. Venne ripreso cinquant'anni dopo da G. Johansson (1973) con le sue ricerche sull'interpretazione dei movimenti: queste consistevano nel filmare al buio alcuni soggetti alle cui articolazioni era stata fissata una serie di sorgenti luminose puntiformi, in modo che nel filmato fossero visibili solo dei punti bianchi in movimento; le persone cui si chiedeva di interpretare le immagini dinamiche erano in grado di riconoscere sesso, età e tipo di movimento (per es. se la persona filmata stava camminando), mentre quando le stesse immagini venivano presentate ferme, le sorgenti luminose apparivano distribuite a caso. Con esperimenti analoghi è stata dimostrata la possibilità di identificare sforzi, intenzioni e finte dai movimenti del corpo (Runeson-Frykholm 1983) ed emozioni da quelli della faccia (Bassili 1979). Il metodo ha l'inconveniente di non poter essere impiegato in situazioni di totale libertà espressiva, perché l'applicazione delle piccole sorgenti luminose e il fatto che le riprese debbano essere condotte al buio aumentano l'autoconsapevolezza dei soggetti, rendendoli coscienti delle finalità del ricercatore. Per questa ragione D.S. Berry e i suoi collaboratori (Berry et al. 1991) sono ricorsi all'uso di video quantizzati in cui, eliminata l'informazione individuale, era visibile solo il movimento di cui si chiedeva la valutazione.

Anche i risultati ottenuti in questo tipo di ricerche hanno dimostrato la possibilità del movimento in sé stesso di veicolare significato, confermando come esso rappresenti la componente base della comunicazione, a prescindere da quale sia la parte del corpo interessata nel movimento. Con indagini più recenti, K. Grammer, M. Fieder, V. Filova (1997) hanno mostrato la possibilità di decodificare il significato dei movimenti del corpo dalla semplice quantità di movimento, avvalendosi dell'analisi di immagini digitali. Così, esaminando i movimenti compiuti da alcune donne nell'atto di voltarsi indietro, questi autori sono stati in grado di risalire alle loro intenzioni, dimostrando come i movimenti espressivi siano capaci di convogliare informazioni anche sugli stati interiori della persona, e non siano solamente un segnale orientato di comunicazione. Essendo la deambulazione uno dei comportamenti evolutivi più antichi (5-10 milioni di anni), uno strumento ideale per determinare lo stato d'animo di un individuo può essere rappresentato dal modo di camminare. Fin dalle origini della psichiatria è noto che uno stato di depressione si accompagna a un rallentamento psicomotorio e questo fatto è stato provato quantitativamente grazie a una serie di ricerche dalle quali è emerso che le persone depresse, durante l'andatura normale, mostrano una minore elasticità e quindi tendono ad avere il passo 'più pesante' dei non depressi. Da tali ricerche è dunque risultato che la velocità con cui si cammina è correlata, oltre che con fattori quali la cultura, il sesso, l'età, l'altezza corporea, anche con l'umore (Atzwanger-Schmitt 1997). La velocità a cui si cammina può essere anche un mezzo per evidenziare il proprio status socioeconomico. I dati ottenuti da studi in proposito mostrano come gli uomini camminano tanto più velocemente quanto più elevato è il loro status, mentre il ritmo delle donne è indipendente da questo parametro (Schmitt-Atzwanger 1995). Anche i tratti stabili della personalità, così come gli attributi sociali, possono essere sistematicamente messi in connessione con l'espressione e quindi riconosciuti attraverso di esse. Ciò è stato dimostrato, per es., da S. Frey e J. Pool (1976): vedendole soltanto muovere, soggetti francesi, americani e tedeschi sono stati in grado di riconoscere personalità politiche delle stesse nazionalità e di attribuire loro specifici tratti di personalità.

L'interazione interpersonale

Il rapporto interattivo fra due persone può esprimersi attraverso la sincronia della parola e del movimento. Infatti, nella comunicazione con gli altri è coinvolto tutto il corpo e i modelli generati con la parola corrispondono ai movimenti che si producono contestualmente. W. Condon (1970) ha mostrato come molti esempi di sincronizzazione possono verificarsi in una mera frazione di secondo. Il corpo tende a coordinarsi non soltanto con i propri movimenti, ma anche con le espressioni verbali dell'interlocutore. Persino quando la comunicazione verbale si deteriora e il fluire del discorso si interrompe, il livello di coordinazione interpersonale continua inalterato (Rutter-Stephenson 1977). F. Bernieri e R. Rosenthal (1991) hanno messo in evidenza come in una coppia di individui interagenti ciascuno adatti il proprio comportamento per mantenere la sincronia. In questo caso il muoversi insieme rappresenta un segno di comprensione interpersonale e dell'esistenza di sentimenti positivi reciproci. K. Grammer, K. Kruck e M. Magnusson (1998) hanno sottolineato come nella determinazione di questi sentimenti positivi nelle interazioni agisca principalmente il modello ritmico dei movimenti e non il loro contenuto. In conclusione, si può dire che l'espressione sia movimento e che il movimento, e pertanto l'espressione, siano i più potenti mezzi di comunicazione di cui l'uomo disponga. Non si tratta comunque di un processo strutturato come un linguaggio: nel movimento e nell'espressione non sembrano esservi strutture accessibili, direttamente capaci di determinate impressioni. Così la comprensione dell'espressione si verifica come un'elaborazione di basso profilo e rappresenta un processo attributivo che si svolge al di fuori della sfera della coscienza. Lasciare affiorare le proprie intenzioni non costituisce sempre un vantaggio, perché aumenta le possibilità che chi riceve i segnali tenti di utilizzarli negativamente; d'altro canto, i segnali intenzionalmente ingannevoli o le bugie possono essere percepiti quasi esclusivamente sulla base di modifiche nella configurazione del movimento. P. Ekman e W.V. Friesen (1969) hanno dimostrato come, per es., i sorrisi falsi abbiano una differente configurazione rispetto a quelli autentici e tendano a verificarsi in maniera asimmetrica.

Bibliografia

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