Estetica

Enciclopedia Dantesca (1970)

estetica

Rosario Assunto

Diciamo e. di D. tutto l'insieme delle concezioni sul bello e sull'arte enunciate da D. stesso, oppure operanti all'interno della sua produzione e ricostruibili in maniera esplicita mediante apposita ricerca, in quanto si configurino come pura teoresi, e sia possibile distinguerle da quegli ideali e programmi operativi la cui esposizione, implicita o esplicita, può essere ricostruita come la poetica di Dante (v. poetica). Proprio per distinguere le concezioni teoriche da quelle semplicemente programmatiche, adoperiamo per designare queste ultime il vocabolo ‛ poetica ' mentre definiamo e. le prime, sottolineando così la legittimità di una ricerca che agli scrittori, agli artisti, ai poeti chiede delle definizioni categoriche assimilabili a quelle fornite dai filosofi, rispetto alle quali la loro importanza teoretica e storica non è minore; e ricorriamo, adoperandolo retrospettivamente proprio come è invalso l'uso di adoperarlo retrospettivamente nella storia della filosofia propriamente detta, al vocabolo e.: questo solo nell'età moderna, a partire dal 1750, e in relazione alla tendenza a identificare la categoria del bello e quella dell'arte, fondandole entrambe su premesse gnoseologistiche, viene impiegato per designare la teoria filosofica del bello (che in antico era una parte della metafisica) e quella dell'arte, che dalla metafisica del bello era in antico separata, collegandosi piuttosto con l'epistemologia, la tecnologia, la retorica, secondo i diversi significati che venivano attribuiti al vocabolo arte.

Anche nel pensiero di D., come in tutta la cultura della quale egli partecipava, i problemi del bello e quelli dell'arte erano rigorosamente distinti; e il concetto stesso di arte aveva un'estensione maggiore e un valore diverso da quello che ad esso attribuisce non soltanto l'e. filosofica, ma anche la coscienza comune dell'età moderna, mentre il bello era una categoria predicabile di tutto ciò che è: della produzione umana come della natura (anzi della natura prima che della produzione umana, essendo il produrre dell'uomo modellato sulla creatività divina) come anche del soprannaturale. Arte, infatti, significa per D. così scienza (per esempio in Pg IV 79-80, dove arte è definita l'astronomia, una delle arti del Quadrivio, secondo la classificazione che la cultura medievale aveva ereditata dal De Nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella; o in Pd XII 137-138, dove arte, sempre liberale, cioè scienza, è la grammatica, prima arte del Trivio; e si veda in Cv II XII e XIII l'esposizione del sistema delle arti liberali in una sua fondazione metafisico-cosmologica che lo collega all'ordine dei cieli e alla gerarchia degli angeli), come anche quella che noi diciamo tecnica, produttività fabbrile che dà forma a una materia: cioè l'arte meccanica in quanto diversa dall'arte liberale, che non è operosità fabbrile ma conoscenza (con valore addirittura peggiorativo, questo concetto dell'arte meccanica è presente in Pd XVI 49-51, dove artista, cioè artigiano, è detto il cittadino d'infimo rango; inversamente, fabbro nel senso di artefice d'opera d'arte, nel caso specifico, scultore, in Pg X 99): e in questo senso il concetto di arte lo troviamo teorizzato, per esempio, in Mn II II. Riferibile all'esercizio delle arti liberali come a quello delle arti meccaniche è il concetto di arte come abilità, perizia, accortezza, risultante da altri passi delle opere di Dante. Per indicare la regola di quello che si fa (e si veda Tomm. Sum. theol. I II 57 3), il vocabolo ars lo troviamo in VE II IX 4-5 Tota igitur, scilicet ars cantionis, circa tria videtur consistere: primo circa cantus divisionem, secundo circa partium habitudinem, tertio circa numerum carminum et sillabarum. De rithimo vero mentionem non facimus, quia de propria cantionis arte non est. Licet enim in qualibet stantia rithimos innovare et eosdem reiterare ad libitum...

L'ars di cui D. parla in questa sua pagina è l'arte, cioè la tecnica compositiva, con le sue regole e i suoi dettami, di quella particolare produzione poetica che è la canzone, in un altro capitolo dello stesso libro definita factio rethorica musicaque poita (VE II IV 2), e in un altro ancora (VIII 6) actio completa dictantis verba modulationi armonizata. L'arte del poeta è dunque un'attività produttiva (fabricatio verborum armonizatorum) che quanto alla sua materia è soggetta alle regole di due arti liberali, rispettivamente del Trivio e del Quadrivio: la retorica e la musica; mentre il significato, anzi i significati, di cui è portatrice sono: il significato filosofico (senso allegorico); il significato etico (senso morale); il significato soteriologico (senso anagogico): rispetto ai quali il senso letterale è materia di cui essi sono forma, secondo che si legge nell'esposizione contenuta in Cv II I 2 ss. le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi...

Possiamo dunque ricostruire una teoria della poesia come discorso avente più significati: e questo di, avere più significati (polisemia) è uno degli aspetti per cui la poesia, così come D. la concepisce e la pratica, si differenzia da quelli che, con terminologia moderna, possiamo chiamare il discorso ordinario e il discorso scientifico, i quali hanno un solo significato, quello letterale. Un altro aspetto che differenzia la poesia dal discorso ordinario e dal discorso scientifico è la fabricatio verborum armonizatorum, o, come si legge nel Convivio (I VII 14), l'essere, la poesia, cosa per legame musaico armonizzata; e proprio in questo essere cosa per legame musaico armonizzata consiste la bellezza della poesia: bellezza che è altro rispetto alla sentenza, cioè al significato (anche letterale), perché all'unità dei quattro significati la bellezza proviene dall'essere tale unità esposta musicalmente (fictio rethorica musicaque poita), e cioè modellata, nella sua materia verbale, di cui i vari significati sono forma (con ciò sia cosa che la litterale sentenza sempre sia subietto e materia de l'altre, massimamente de l'allegorica, Cv II I 11), secondo la definizione della bellezza che si legge in I V 13-14 Quella cosa dice l'uomo essere bella cui le parti debitamente si rispondono, per che de la loro armonia resulta piacimento. Onde pare l'uomo essere bello, quando le sue membra debitamente si rispondono; e dicemo bello lo canto, quando le voci di quello, secondo debito de l'arte, sono intra sé rispondenti. Dunque quello sermone è più bello ne lo quale più debitamente si rispondono [le parole...].

Rispondenza reciproca delle parti costitutive della poesia non è però semplice rispondenza musicale delle parole prese nel loro elemento sensuale, perché questa non sarebbe fabricatio verborum armonizatorum ma modulatio, simile a quella di chi ottiene suoni da uno strumento: Ad quod dicimus, quod nunquam modulatio dicitur cantio, sed sonus, vel tonus, vel nota, vel melos. Nullus enim tibicen, vel organista, vel citharoedus melodiam suam cantionem vocat, nisi in quantum nupta est alicui cantioni; sed armonizantes verba opera sua cantiones vocant... (VE II VIII 5). Quello che distingue la poesia dalla musica, è che la bellezza della prima è dovuta al fatto che in essa debitamente si rispondono le parole non solo dal punto di vista musicale, che riguarda il loro lato sensibile (...nam sensuale quid est, in quantum sonus est..., VE I III 3), ma anche come debita rispondenza di ciò che le parole significano (...rationale vero, in quantum aliquid significare videtur ad placitum, III 3), e anzi come debita rispondenza dei quattro diversi significati; e rispondenza della loro unità (fictio rethorica) con l'armonia musicale che è debita rispondenza reciproca delle parole in quanto suoni. E l'esperienza di quella che oggi possiamo chiamare la fruizione della poesia (alla lettura come all'ascolto: et etiam talia verba in cartulis absque prolatore iacentia cantiones vocamus..., VE II VIII 5), viene descritta in più luoghi, soprattutto nella seconda cantica: ‛ Amor che ne la mente mi ragiona ' / cominciò elli allor sì dolcemente, / che la dolcezza ancor dentro mi suona. / Lo mio maestro e io e quella gente / ch'eran con lui parevan sì contenti, / come a nessun toccasse altro la mente. / Noi eravam tutti fissi e attenti... (Pg II 112-118); ‛ Te lucis ante ' sì devotamente / le uscìo di bocca e con sì dolci note, / che fece me a me uscir di mente (VIII 13-15). E all'esperienza della fruizione artistica, nel suo aspetto più generale, comprensivo della lettura come dell'osservazione (per il godimento nella visione di opere d'arte figurativa, si veda Pg X 97-99 e 103-104) come dell'ascolto, può essere riferito quello che D. dice nella terzina di Pg IV 7-9, dopo avere ascoltato, nel canto precedente, il racconto di Manfredi: E però, quando s'ode cosa o vede / che tegna forte a sé l'anima volta, / vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede.

Lo stesso concetto, con particolare riferimento alla musica, troviamo in Cv II XIII 24 la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì è l'anima intera, quando l'ode, e la virtù di tutti quasi corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono. E questo vale così per la musica vocale (ne le parole armonizzate e ne li canti), la cui bellezza nasce dall'appropriata relazione tra suono e parola, come nella musica puramente strumentale, la modulatio: che è bella per l'appropriata reciproca relazione dei suoni. E un riferimento all'esperienza della visione del bello, in quanto essa distoglie da ogni altra cura, possiamo ricavarlo dall'ultimo canto del Paradiso: Così la mente mia, tutta sospesa, / mirava fissa, immobile e attenta, / e sempre di mirar faceasi accesa. / A quella luce cotal si diventa, / che volgersi da lei per altro aspetto / è impossibil che mai si consenta (Pd XXXIII 97-102).

La visione, qui, è la visione di Dio: una visione nella quale diventa oggetto di godimento, diciamo pure, estetico, quello che nel mondo è difficoltosa cognizione ragionativa (Nel suo profondo vidi che s'interna, / legato con amore in un volume, / ciò che per l'universo si squaderna: / sustanze e accidenti e lor costume / quasi conflati insieme, per tal modo / che ciò ch'i' dico è un semplice lume. / La forma universal di questo nodo / credo ch'i' vidi, perché più di largo, / dicendo questo, mi sento ch'i' godo, Pd XXXIII 85-93); e il bene nella sua assolutezza si tramuta nel bello, giacché nella visione il volere trova completo appagamento, diventando contemplazione pura: però che 'l ben, ch'è del volere obietto, / tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella / è defettivo ciò ch'è lì perfetto (Pd XXXIII 103-105. E si veda il passo di Tommaso in Sum. theol. I II 27 1 ad 3 " pulchrum est idem bono, sola ratione differens. Cum enim bonum sit quod omnia appetunt, de ratione boni est quod in eo quietetur appetitus... Unde et illi sensus praecipue respiciunt pulchrum, qui maxime cognoscitivi sunt, scilicet visus et auditus rationi deservientes: dicimus enim pulchra visibilia et pulchros sonos. In sensibilibus autem aliorum sensuum, non utimur nomine pulchritudinis: non enim dicimus pulchros sapores aut odores. Et sic patet quod pulchrum addit supra bonum, quemdam ordinem ad vim cognoscitivam: ita quod bonum dicatur id quod simpliciter complacet appetitui, pulchrum autem dicatur id cuius ipsa apprehensio placet ").

La visione che D. riferisce nell'ultimo canto della Commedia, è godimento del Vero in sé stesso e del Bene in sé stesso, diventati sensibili a una vista purificata dalla mondanità. È, cioè, il modello assoluto di ogni visione estetica, anzi di ogni esperienza estetica possibile, ivi compresa la lettura: il cui godimento è analogo a quello della visione e dell'ascolto; che quando sono visione e ascolto di opere umane, sempre si modellano sulla visione e sull'ascolto delle opere create da Dio (mentre quelle dell'uomo non sono creazione, ma semplice produzione artificiale; e su Dio come artista supremo, si veda Pg X 94-96), così come il godimento della bellezza dei prodotti umani è modellato su quello della bellezza naturale (creata da Dio): il quale godimento, a sua volta, non altro è se non una pallida anticipazione del godimento oltremondano, quello della visione diretta di Dio. Questa visione diretta, D. ha l'orgoglio di averla sperimentata da vivo, per riferirne agli uomini del suo tempo e ai posteri (Pd XXXIII 67-75); e il suo resoconto, egli stesso lo dichiara (vv. 58-63), non può non essere approssimativo, com'è sempre la descrizione di ogni visione che ci ha procurato un godimento estetico: di cui altro non rimane se non nel core il dolce che nacque da essa (e anche questo tema, dell'ineffabilità del piacere estetico, e quindi dell'impossibilità di una vera e propria critica giudicativa, era comune alla cultura medievale).

Da Dio, Bellezza assoluta perché è l'assoluto Vero (in quanto tale, visibile sia pure con una vista non carnale) e l'assoluto Bene, che essendo assoluto è oggetto di contemplazione e non di desiderio, ha dunque origine ogni bellezza: così la bellezza della creazione che è opera di Dio artefice, come le bellezze del mondo, che sono opera della natura, artefice a sua volta (v., per es., Pd XXV 71; e sui concetti di ‛ Deus artifex ' e ‛ Natura artifex ' nella cultura medievale, cfr. Curtius, excursus XXI; De Bruyne, III 230 ss. e passim; Glunz, pp. 175 ss.); come pure la bellezza delle opere artificiali umane: siano esse opere di arte liberale, come le composizioni poetiche e musicali, siano esse manufatti di arte meccanica, quali le opere dei pittori e degli scultori. Nella produzione degli artisti, però, D. vede qualcosa di più che la semplice imitazione della creatività divina e dell'operare della Natura artefice. È nota l'interpretazione che dell'e. dantesca fu proposta a suo tempo dal Glunz, in parte rovesciando l'interpretazione del Seiferth, il quale aveva riferito anche alla Vita Nuova la concezione della poesia come psicoterapia, valevole sicuramente per la Commedia. Secondo il Glunz, anche la Commedia, anzi soprattutto la Commedia, è stata concepita e redatta come un poema " al centro del quale sta l'anima del poeta, e la sua peculiare esperienza personale ": sicché proprio con la Commedia la poesia si sarebbe costituita come creazione, nel senso moderno. In realtà, senza distinguere, a questo proposito, tra poesia e arti plastiche, è presente in tutta l'opera di D. una consapevolezza della personalità del poeta e dell'artefice (sebbene, presso gli artefici manuali, il merito stia più nell'esecuzione che non nell'ideazione) che autorizza l'artefice a pretendere alla gloria (Pg XI 74-99) allo stesso titolo dei poeti, degli uomini di guerra e dei capiparte.

Il concetto psicoterapeutico e quello personalistico della poesia sono peraltro entrambi operanti in quel canto trentesimoterzo del Paradiso che possiamo leggere anche come un'esposizione indiretta dei principi fondamentali dell'e. dantesca nei suoi tre momenti: quello relativo al godimento (vv. 91-105), quello relativo alla critica, e all'impossibilità in cui essa si trova di verbalizzare in maniera compiuta il godimento estetico (vv. 55-66; 105-108) e quello, infine, relativo alla missione del poeta. L'orgoglio personale di D. coincide infatti con la sua aspirazione a comunicare agli uomini, nella bellezza della propria opera, almeno un presentimento della felicità che viene dal contemplare Dio nella sua gloria: O somma luce che tanto ti levi / da' concetti mortali, a la mia mente / ripresta un poco di quel che parevi, / e fa la lingua mia tanto possente, / ch'una favilla sol de la tua gloria / possa lasciare a la futura gente; / ché, per tornare alquanto a mia memoria / e per sonare un poco in questi versi, / più si conceperà di tua vittoria (vv. 67-76). E sarà proprio la bellezza che il poeta ha saputo produrre nei modi diversi in cui essa appare secondo le tre cantiche, a esercitare sugli uomini quella funzione soteriologica che D. attribuisce alla poesia come tale, e che del resto era comune a tutte le arti, secondo l'e. medievale: a fondamento della quale, anche in D. sta il platonismo cristianizzato dello pseudo-Dionigi, che nel secolo XII l'abate Suger aveva compendiato nei versi dedicatori della basilica di Saint-Denis: " Nobile claret opus, sed opus quod nobile claret / Clarificet mentes, ut eant per lumina vera / Ad verum lumen, ubi Christus ianua vera ".

Bibl. - K. Vossler, Die Göttliche Komödie Entwicklungsgeschichte und Erklärung, Heidelberg, I 1907 (trad. ital. La D.C. studiata nella sua genesi e interpretata, Bari 1909); seconda ediz., completamente rifatta: Heidelberg 1925 (trad. ital. I, Bari 1927); W. Seiferth, Zur Kunstlehre Dantes, in " Archiv für Kulturgeschichte " XVII (1927); E. Auerbach, D. als Dichter der irdischen Welt, Berlino 1929 (trad. ital. Studi su D., Milano 1963); J. Von Schlosser, Poesia e arte figurativa nel Trecento, in " La critica d'arte " III (1938); T.S. Eliot, D., trad. ital. Modena 1942; E. De Bruyne, Études d'esthétique médiévale, Bruges 1946 (manca una trattazione specifica dell'estetica di D., alla quale l'A. fa cenno saltuariamente, nel corso dell'esposizione di dottrine alle quali il pensiero estetico di D. più o meno direttamente si riallaccia); B. Nardi, D. e la cultura medievale, Bari 19492; É. Gilson, D. et la Philosophie, Parigi 1953; E.R. Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Berna 19542, cap. XVII; R. Guardini, Das Licht bei D., Monaco 1956 (in: Münchener Universitätsreden n.s., 16); H. Friedrich, D., Wiesbaden 1956; R. Montano, Suggerimenti per una lettura di D., Napoli 1956, 51 ss. (D. e l'estetica gotica); J. Von Schlosser, La letteratura artistica, Firenze 19562 (III: Teoria e pratica nel trecento toscano. 1. Sulla dottrina artistica di D.; principalmente per la teoria e la critica delle arti figurative); U. Leo, Sehen und Wirklichkeit bei D., Francoforte sul M. 1957; R. Guardini, Landschaft der Ewigkeit, ibid 1958; A. Parronchi, La perspettiva dantesca, in " Studi d. " XXXVI (1959) 5-103; F. Schneider, D. - Sein Leben und sein Werk, Weimar 19605 (III: Entwicklung und Bildung, Verhältnis zur Kunst, 38 ss.); B. Nardi, Dal ‛ Convivio ' alla ‛ Commedia ', Roma 1960 (I: Le rime filosofiche e il ‛ Convivio ' nello sviluppo dell'arte e del pensiero di D.; II: Dal ‛ Convivio ' alla ‛ Commedia '; fondamentali, per una ricostruzione dello svolgimento dell'estetica dantesca, i capp. XII-XIV); R. Assunto, La critica d'arte nel pensiero medioevale, Milano 1961, 259 ss. (Concetto dell'arte e ideali estetici in D., con riferimento alla teoria e critica delle arti figurative); H. H. Glunz, Die literarästhetik des europäischen Mittelalters, Francoforte sul M. 19632, 406-504); J. Arthos, D. Michelangelo and Milton, Londra 1963 (sull'estetica del sublime in D.); M. Petrucciani, D. e le poetiche contemporanee, in Studi in onore di A. Schiaffini, Roma 1965, II 865-872; T. Spoerri, Dantes letzter Gesang, in " Merkur " XIX (1965); G. Fallani, La poetica dantesca e le arti. Unità e diversità, Firenze 1965; E. Guidubaldi, D. europeo, I, ibid 1965, 143-256.