Estetica

Enciclopedia del Novecento III Supplemento (2004)

Estetica

Elio Matassi

di Elio Matassi

Estetica

sommario: 1. Estetica e filosofia dell'arte. 2. Estetica e compensazione. 3. Estetica e senso comune. 4. Estetica ed epistemologia. 5. L'estetica oltre l'estetica. □ Bibliografia.

1. Estetica e filosofia dell'arte

Il grande tema dell'estetica contemporanea degli ultimi trent'anni sta nella netta presa di distanza da una linea interpretativa dell'estetica come filosofia dell'arte. Il luogo teoreticamente paradigmatico inverso a tale presa di distanza può essere localizzato nell'Introduzione alle lezioni di estetica di Hegel, dove, invece, a essere oggetto di polemica era la dizione stessa di 'estetica', che letteralmente stava a indicare il versante meramente ricettivo, vincolato alla sensibilità e agli effetti che su tale sfera proiettava una qualsiasi opera d'arte. Secondo tale impostazione non interessava l'opera d'arte in sé, ma ciò che essa era in grado di suscitare. Per tale ragione Hegel sceglie consapevolmente non la parola 'estetica', ma quella che gli appare più compatibile con il suo progetto, ossia 'callistica', filosofia dell'arte o della 'bella arte', data la compenetrazione stringente tra arte e bellezza. Una via che non viene ripudiata neppure in alcune delle tendenze dominanti dell'estetica novecentesca più recente. Si pensi, per esempio, a come larghissima parte dell'estetica anglo-americana, e non solo quella di più stretta osservanza analitica, abbia inteso la propria specifica vocazione come filosofia della critica d'arte. Si pensi ancora all'esito estremo di tutta l'estetica strutturalistica, caratterizzato dall'estetica dell'opera d'arte, e a come tale assunto continui a essere valido per molte delle tendenze successive, dalla 'estetica della ricezione' all'ermeneutica, allo stesso decostruzionismo che, in estetica, è stato in larga misura prospettato come decostruzione del discorso critico sulle arti.

Negare, pertanto, come di fatto avviene negli orientamenti più avvertiti dell'estetica contemporanea, la riducibilità dell'estetica alla filosofia dell'arte o, secondo l'accezione ridondante di Hegel, della 'bella arte', significa prendere consapevolmente congedo anche dall'estetica più recente per ricollegarsi piuttosto ad alcuni punti cruciali della sua storia, riattualizzando quelle possibilità già sottese alla denominazione stessa della disciplina, appunto, 'estetica'. Non è quindi da considerarsi casuale se quella presa di distanza si ispiri esplicitamente al carattere vincolante dell'espressione 'estetica'. Mentre Konrad Fiedler, Max Dessoir e Emil Utizt insistono nel rivendicare l'irriducibilità della filosofia dell'arte all'estetica - perché quest'ultima si rivolge indifferentemente alla natura e all'arte, e il suo valore di riferimento è quello della bellezza, che non può essere assunto negli stessi termini dall'arte - le tendenze estreme della riflessione estetica contemporanea postulano, di contro, un ritorno al primato dell'estetica intesa nell'accezione specifica di scienza della sensibilità, e un ritorno a valori che erano stati pesantemente trascurati. Si pensi al caso saliente della bellezza naturale, che tanti problemi teorici aveva generato, ma anche ad altri esempi: l'estetizzazione globale, l'impatto estetico dei media, il rapporto con le tradizioni locali in un mondo dominato da processi di globalizzazione. L'estetica da disciplina 'speciale' e 'settoriale' diventa una teoria della conoscenza generale, se non addirittura la visione del mondo moderno. L'estetica dilata i suoi confini a partire dalla decostruzione di quello che viene considerato il comparto teorico di riferimento: la kantiana Critica della facoltà di giudizio, dove paradossalmente appare solo l'aggettivo 'estetico', mentre il sostantivo 'estetica' figura un'unica volta. Il primo problema posto da tale decostruzione sta nelle prospettive teoricamente contrapposte con le quali viene argomentata.

2. Estetica e compensazione

Nella contemporaneità la presa di posizione più radicalmente avversa alla Critica della facoltà di giudizio viene sviluppata nelle lezioni filosofiche sull'estetica tenute a Münster da Joachim Ritter; una eco profonda di tali suggestioni si può ritrovare nella voce Estetica da lui stesa per il lessico filosofico e nel saggio dedicato al paesaggio, come nell'articolo di Odo Marquard (v., 1989), il più brillante degli allievi di Ritter, sulla svolta kantiana in direzione dell'estetico. Nella Critica della facoltà di giudizio, per tali autori (ai quali ci si riferisce in genere come 'circolo di Münster'), si assiste per la prima volta nella storia del pensiero moderno all'assunzione dell'estetica come filosofia fondamentale. Una svolta che può essere sintetizzata dal programma seguente: con l'estetica e quella che viene definita 'arte estetica' l'arte viene interpretata per capire non solo l'arte, bensì anche il mondo, come l'artista, a sua volta, non viene interpretato per capire l'artista, bensì l'uomo. La mediazione estetica diventa in tal modo imprescindibile per il moderno, anche se si tratta di un'imprescindibilità rischiosa e problematica. Marquard radicalizza ulteriormente tale prospettiva: la svolta verso l'estetica non è se non la conseguenza necessaria dell'impotenza della ragione trascendentale. Se quest'ultima si configura come scissione tra ragione esatta e ragione morale, tra teoria dei mezzi e teoria dei fini, se in se stessa non riuscirà a trovare una forma plausibile di composizione, la mediazione sarà rinvenuta nella cosiddetta ragione indiretta, una forma di sublimazione dell'impotenza sostanziale che caratterizza la ragione trascendentale. La via della ragione indiretta è anche la via verso l'estetico, che gli esponenti del trascendentalismo tematizzano in maniera diversa. Kant, ad esempio, avrebbe indagato il garante di questa forma estetica della ragione indiretta: il giudizio estetico, la facoltà di giudicare il bello. E il bello 'piace'; da cui, come conseguenza immediata, il gusto è un organo di piacere o dispiacere.

Su tale fondamento viene costruito il piacere estetico, che finisce per trascendere la sua origine sensibile, attingendo in tal modo l'intelligibile. Quando l'intellegibile, ossia la ragione e il suo scopo finale, è incapace di darsi da sé contenuto e realtà, si affida al gusto; quando, invece, non riesce a determinarsi e a realizzarsi, ricorre all'arte, alla 'bella arte' o arte del genio. Questa arte del genio non 'determina' alla maniera della metafisica o dell'interpretazione del mondo, e ancora non 'realizza' alla maniera della filosofia della storia, o della trasformazione del mondo, della realizzazione consueta; essa invece si presenta alternativamente come trasformazione in luogo dell'interpretazione o, viceversa, come interpretazione in luogo della trasformazione. Il momento del 'ricordo' o della 'realizzazione' avviene piuttosto per il fatto che in questo caso l'intellegibile conferisce senso o, in altri termini, simbolizza. Genio e gusto diventano in tal modo facoltà di simbolizzazione. Un'ipotesi sviluppata da Kant nel celebre paragrafo 59 della Critica della facoltà di giudizio, Della bellezza come simbolo della moralità, che rappresenta in maniera paradigmatica ed eminente il nucleo più profondo dell'estetica trascendentale kantiana, il cui preannuncio si può rintracciare nella topica del giudizio pratico puro. La sensibilizzazione della ragione morale è una forma di conferimento di senso, ossia, in altri termini, diviene 'simbolo'. In tale processo di simbolizzazione è implicita un'ambiguità: si tratta di una forma più sottile di determinazione ed elaborazione o di una compensazione, di una sublimazione? Lo Stato razionale e la condizione cosmopolitica vengono fondati o piuttosto rimossi per sempre? E ancora, la bella arte è l'espressione massimale o piuttosto il necrologio della ragione politica? Compete all'estetico il trionfo o piuttosto la resa definitiva della vocazione storica? Il bello come simbolo del bene morale è di stimolo allo sviluppo o piuttosto testimonia la sua impossibilità? La filosofia dell'arte è di ausilio o di impedimento al passaggio dalla filosofia trascendentale alla filosofia della storia? Costituisce un preannunzio della filosofia della storia in fieri o piuttosto la compensazione della filosofia della storia ormai venuta meno? In ultima analisi, l'estetico deve essere considerato premessa o surrogato di una filosofia della storia? Sono tutti interrogativi che rimangono ambiguamente sospesi alla prospettiva trascendentale kantiana, dove possono coesistere in maniera autosufficiente la ragione scientifica e quella morale, la metafisica come la filosofia della storia e l'estetica.

L'interrogativo, formulato drasticamente - se l'estetica sia strumento o compensazione della filosofia della storia - non viene compiutamente sciolto neppure nel contesto teorico fichtiano, rimanendo in Fichte la prospettiva estetica ancora subordinata. Il punto di vista di Schelling è invece parzialmente diverso: all'interrogativo consueto, se l'estetica debba essere considerata strumento o compensazione della storia, strumento o compensazione della filosofia della storia, Schelling risponde in maniera univoca. La sua prospettiva, coerentemente con l'approfondimento di alcune istanze della Critica della facoltà di giudizio, si muove in una direzione precisa: l'estetica viene a svolgere sempre un ruolo compensativo rispetto alla storia. Alla filosofia schellinghiana è intrinseca la vocazione al pessimismo storico. La storia compresa sotto la formula del progresso infinito non viene più celebrata come occasione privilegiata di un'attività senza soste quanto, piuttosto, come terreno in cui si rispecchia l'assenza del fine ultimo. La definizione politica della storia è divenuta una speranza frustrata, priva di avvenire. In tal modo alla dimensione politica subentra quella estetica. La storia viene giustificata quale fenomeno estetico e, in quanto tale, non è più la storia miserabile e prosaica della realtà, ma una storia più vera caratterizzata da una sintesi autentica tra il reale e l'ideale, la cui testimonianza più elevata è offerta dall'arte. Storia e arte vengono poste da Schelling sullo stesso piano; di conseguenza, filosofia della storia ed estetica della storia finiscono per confondersi: l'estetica in talmodo assume il ruolo della filosofia della storia. Non la storia, ma l'estetica realizza la storia stessa, nel diventare la compensazione teorica dell'intrinseca inadeguatezza del concetto trascendentale di storia. Riassumendo tutta l'analisi di Marquard rispetto ai tre grandi autori del trascendentalismo (Kant, Fichte, Schelling), si può affermare conclusivamente: Kant sviluppa l'estetica in una relazione indeterminata con la filosofia della storia o, più precisamente, con il movimento dei fini storici della filosofia trascendentale proprio nell'aspetto in cui essa si mostra più carente. Fichte, d'altro canto, considera, in maniera conseguente, l'estetica come lo strumento di tale movimento, da cui la perdita di rilievo dell'estetico. Schelling, invece, prospetta l'estetica in modo esplicitamente consapevole come compensazione di tale movimento, facendo acquisire a questa dimensione uno statuto di eccezionalità. Il passaggio teorico che s'intravede da Kant a Schelling manifesta comunque una corrispondenza diretta tra distacco dalla filosofia della storia e assunzione privilegiata del punto di vista estetico. L'attenzione sistematica nei riguardi dell'estetico diventa complementare a una filosofia della storia cui è stata sottratta la storia, la vocazione specifica della filosofia trascendentale.

Tanto più il pensiero trascendentale si allontana dalla storia, quanto più si avvicina all'estetica. Un processo che, rovesciando i consueti parametri di riferimento, finisce coll'attribuire all'arte non più una funzione estetica e, di converso, all'estetica un ruolo in cui l'arte e la realtà circostante vengono contemplate dal di fuori. Un processo condensato dalla formula, 'estetica e anestetica', che sottende una teoria della compensazione dell'estetica: la percezione e la creazione estetica, come, del resto, la fede o la pratica religiosa o la coscienza morale dell'individuo, hanno la funzione di compensare e contrastare la tendenza della società moderna alla socializzazione e destoricizzazione dell'uomo. L'estetizzazione dell'arte viene così a compensare il moderno disincanto del mondo: il fenomeno dell'estetizzazione in quanto tale è tipicamente moderno. Nel mondo antico vi era coincidenza immediata fra bellezza e sfera dell'esistere. In base a tale coincidenza filosofia del bello e filosofia dell'arte stavano a rappresentare livelli di individuazione completamente diversi. Nel mondo moderno accade invece l'inverso: venuta meno l'equiparazione immediata di bellezza e sfera del sussistere, oggetto di altre forme di sapere tecnico-sperimentale, diviene scontata quella tra filosofia del bello e filosofia dell'arte. Tanto più si riduce lo spazio del bello nella sfera dell'essere, quanto più si amplia quello dell'arte, della filosofia dell'arte. L'estetizzazione dell'arte, l'arte estetica, la riduzione dell'estetico entro i limiti dell'arte bella, con l'esclusione conseguente della bellezza naturale, accompagnano e scandiscono questa fase del moderno caratterizzata dalla caduta della dimensione escatologica. L'estetica si dilata fino a coincidere con l'arte bella anche se la sua funzionalità, rovesciandosi compensativamente, diviene 'puro anestetico' nel senso più letterale dell'espressione.

3. Estetica e senso comune

Un settore importante del pensiero estetico contemporaneo, pur partendo dallo stesso riferimento condiviso dal circolo di Münster, La critica della facoltà di giudizio, arriva a conclusioni diametralmente opposte. La dilatazione del ruolo e dei confini dell'estetica non comporta alcun effetto compensativo; anzi, l'estetica diviene il luogo teorico entro cui poter ripensare l'insieme della dottrina della conoscenza. Wolfram Hogrebe e la scuola di Erlangen arrivano a concepire la sfera estetica come centrale per i concetti di verità e di comunità. Il punto di partenza è rappresentato da quanto argomentato da Kant sin dal paragrafo 21, Se si possa presupporre con ragione un senso comune: l'esistenza di un senso comune deve, nella stessa accezione della doverosità morale, essere presunta per non cadere nello scetticismo; conoscenze e giudizi, insieme alla convinzione che li accompagna, devono poter essere comunicati universalmente - un'affermazione compiutamente commensurabile a un paradigma di verità costruito e verificato trascendentalmente. Il criterio stesso della verità sta, pertanto, nella corrispondenza trascendentale stabilitasi tra la comunità dei soggetti mediante il poter comunicare universalmente. Ancora nel paragrafo 40 della terza Critica, Del gusto come una specie di sensus communis, Kant rafforza ulteriormente in direzione 'comunitaria' la valenza innovativa del primato del senso comune, che non può essere interpretato in maniera angusta come qualcosa di comune a ogni singolo, ma, più radicalmente, come presupposto in tutti gli uomini. Il senso comune viene a rappresentare un senso effettivamente comunitario non tanto come espressione di una comunità già data, ma più programmaticamente come esigenza di una comunità da realizzare. La misura di tale realizzazione è affidata in maniera eminente all'estetica.

Sul valore plurale, pluralistico della dimensione estetica aveva insistito lo stesso Kant nella Nota generale all'esposizione dei giudizi riflettenti estetici, dove si rivendica esplicitamente il valore pluralistico e non meramente egoistico del giudizio di gusto. È in gioco, in questo caso, la struttura stessa del paradigma-soggettività, che non può essere inteso in maniera estrinseca come mera identità seriale, semplice giustapposizione spaziale di soggetti collocati contiguamente l'uno accanto all'altro, ma piuttosto in modo autenticamente comunitaristico - l'unità di misura di ciò che è comune va considerata a partire dall'interiorità di ogni soggetto e non dalla co-appartenenza dei soggetti medesimi. Non risulta azzardato evincere che, mentre il soggetto trascendentale dell'esperienza teoretica è l'io e dell'esperienza etica il sé, quello trascendentale dell'esperienza estetica è, invece, il noi, la comunità concepita nella maniera più elevata, la comunità estetica come comunità normativa per eccellenza. Verità e comunità ritrovano la propria definizione e realizzazione ottimale solo in sede estetica. Non si tratta dell'unica possibilità teorica offerta dall'estetica. Per esempio, nei lavori di Günther Buck, condivisi da H. Robert Jauss, la possibilità di estensione dell'ambito estetico in sede etica è molto ampia. Basti ripensare a quanto argomenta Kant nella parte conclusiva del paragrafo 32 della terza Critica, Prima peculiarità del giudizio di gusto, a proposito della differenza sottile che intercorre tra imitazione libera e imitazione semplicemente passiva. Per Jauss tale formulazione riesce a colmare lo scarto tra giudizio estetico e prassi morale, approfondendo il passaggio dall'identificazione estetica a quella morale: comprendere qualcosa in quanto 'esemplare' significa necessariamente escludere il meccanismo dell'imitazione passiva per privilegiare il "seguire liberi e secondo ragione". La prestazione peculiare del paradigma dell'esemplare, in ambito estetico e morale, sta nell'infrangere lo schema elementare di 'regola' e 'caso specifico', in quanto il modello cui l'esemplare rinvia è 'indeterminato', è una mera potenzialità che viene rideterminata da ogni nuova concretizzazione; in virtù di tale peculiarità nella sfera della ragion pratica l'esemplare può, attraverso la rappresentazione vivente dei principî morali, superare l'oggettivazione estetica della moralità. La conclusione radicale è che il giudizio riflettente attraverso l''esemplare' può gettare un ponte fra ragione teoretica e pratica, fra ambito estetico e morale, una prospettiva verso cui si sono mossi gli allievi più spregiudicati di Jauss, come Martin Seel.

4. Estetica ed epistemologia

La decostruzione del comparto teorico della terza Critica kantiana ha avuto, in modo particolare, nella cultura filosofica ed estetica italiana contemporanea, un interlocutore importante in Emilio Garroni, che ha approfondito tale direzione di ricerca nella sua trilogia Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla 'Critica della facoltà di giudizio', Senso e paradosso. L'estetica, filosofia non speciale, Estetica. Uno sguardo-attraverso. Se i circuiti mediatico-culturali contemporanei promuovono forme di 'cerebralismo' filosofico in cui l'esercizio critico viene inteso come soppressione di tutte le differenze, ossia come parusia, come reductio ad unum di uno stesso identicum di partenza, riappropriazione dell'eterno destino dell'universo, Garroni dimostra invece, in maniera inequivoca, quale sia il segreto profondo della 'critica', del criticismo che proprio nella terza Critica kantiana ritrova il punto di maggiore rielaborazione teorica. Anche in questo caso, come in Ritter, in Marquard e nel circolo di Münster, vi è una dilatazione-generalizzazione dei confini dell'estetica, sia pur con esiti inversi: l'estetica non come deriva compensativa del moderno ma come principio trascendentale che connota altri territori, diversi da quelli delle specifiche opere d'arte, come il linguaggio, la conoscenza, l'esperienza in genere. Non si tratta in alcun modo di una forzatura sostenere che quella di Garroni rappresenta il contraltare, la prospettiva diametralmente inversa a quella argomentata da Marquard e dal circolo di Münster. La tesi portata avanti con rigore e convinzione sta nel riconoscere che l'estetica non può essere confusa, com'è avvenuto di frequente, con una filosofia dell'arte il cui oggetto specifico sia il bello o l'arte bella, ma che si tratta piuttosto della filosofia in genere, il cui compimento critico, attraverso una riflessione estetica, ritrova nel bello e nell'arte bella solo un referente esemplare e non un oggetto epistemico specifico e speciale. L'estetica come 'riflessione estetica' non finalizzata a istituire una disciplina settoriale con oggetti corrispondenti ad hoc, le opere d'arte. La linea strategica all'interno della quale si muove Garroni era già stata tendenzialmente, anche se ancora parzialmente, anticipata dall'esponente dell'ultima generazione della scuola di Marburg, Ernst Cassirer. Quest'ultimo aveva impostato il problema interpretativo della terza critica kantiana in termini epistemologici, riaffermando il valore dell'estetica per tutto il problema della conoscenza. In Vita e dottrina di Kant, infatti, il problema interpretativo e sistematico della terza Critica non viene considerato alla luce delle prime due 'critiche', bensì rispetto al problema essenziale, quello tipicamente aristotelico della teleologia quale problema della genesi del concetto, che non deriva da una sintesi empirica, ma presume, teleologicamente appunto, un modello. Il problema veramente centrale è quello del giudizio, non quello dell'arte e della storia. Una prospettiva completamente diversa da quella del suo maestro Hermann Cohen, che nella Fondazione kantiana dell'estetica risolve il problema, in conformità con la sua impostazione fondazional-deduzionistica, con la ricerca del factum specifico della terza Critica, individuato nell'arte, nell'opera d'arte. Garroni, parallelamente ma indipendentemente da Wolfram Hogrebe, insiste sulla rilevanza epistemologica e sull'universalizzazione del principio del 'senso comune' per tutte le operazioni cognitive. Muovendosi tra Kant e Wittgenstein, Garroni arriva a proporre un'estetica che coincide con una teoria della conoscenza connotata da un imprescindibile imprimatur estetico: "La soggettività della conformità a scopi, il 'semplicemente soggettivo' della rappresentazione qui finalmente fondato transcendentalmente, è quindi aspetto indissociabile dal concreto dell'esperienza e della stessa conoscenza, diciamo, 'soggettivo-oggettiva', e rappresenta infine, nel nostro trovarci nel mondo, il sentimento della riflessione e della comprensione all'interno dello stesso concreto soggettivo-oggettivo senza cui non si darebbe conoscenza, né esperienza di nessun tipo" (v. Garroni, 1999, p. LXXVIII). Un imprimatur estetico che connota anche ciò che Kant stesso chiamò una volta Antropologia trascendentalis, assimilabile a una sorta di 'Critica della comune ragione umana', il cui statuto trascendentale non può tuttavia essere esplicitato proprio perché tale ragione comune è condizione della possibilità della stessa ragione pura, la sua pietra di paragone. E ancora una volta viene ricordato correttamente che il sensus communis aestheticus, principio di tale facoltà, che rappresenta trascendentalmente la soggettività e su cui si fonda la conformità a scopi, funge da paradigma cui associare strettamente il cosiddetto sensus communis logicus. Il valore epistemologicamente centrale dell'estetico, del giudizio estetico, del senso comune declinato esteticamente è in tal modo assicurato.

5. L'estetica oltre l'estetica

La formula 'l'estetica oltre l'estetica', ossia attribuire all'estetica un significato transartistico, il filo conduttore del pensiero estetico contemporaneo, è stata avanzata problematicamente da Wolfgang Welsch. Una formula esplicabile con quanto contemplato da Wittgenstein nel paragrafo 115 delle Ricerche filosofiche: "Un'immagine ci teneva prigionieri. E non potevamo venirne fuori, perché giaceva nel nostro linguaggio, e questo sembrava ripertecela inesorabilmente" (v. Wittgenstein, 1953; tr. it., p. 67). Ma come abbiamo già argomentato rispetto ad alcune delle tendenze dominanti dell'estetica contemporanea, vi sono ottime ragioni per sottrarsi all'equazione estetica-arte, estetica-arte bella o, ancora nei termini di Wittgenstein, per "indicare alla mosca la via d'uscita dalla trappola" (ibid., p. 137). Uno dei problemi, infatti, dell'estetica tradizionale (filosofia dell'arte) è quello di essere incapace di giustificare l'opera d'arte nella sua singolarità e di ricorrere, pertanto, a un paradigma universale ed eterno. Caso esemplare è quello della Filosofia dell'arte di Schelling, in cui si dichiara che una filosofia dell'arte deve occuparsi soltanto dell'"arte in quanto arte" e non della sua empiricità, una strategia metodica irrisa da Robert Musil, secondo il quale si tratta sostanzialmente di un'estetica in cerca del mattone universale buono per ogni opera d'arte e adatto a sostenere l'intero edificio dell'estetica. Di qui l'esigenza di allargare i confini dell'estetico e di pensare a un'estetica oltre l'estetica, che non potrà più prescindere dall'estetizzazione ormai globale e non solo nell'accezione 'ideologica' del circolo di Münster, ma anche in quella più sociologicamente diffusa nella contemporaneità, a tal punto da far nascere un vero e proprio homo aestheticus. È indispensabile riconfigurare, rifondandolo, lo statuto dell'aisthesis, che non potrà più limitarsi a una difesa autarchica dei propri confini, ma dovrà contemplare l'attraversamento e il coinvolgimento di un gran numero di discipline come la filosofia, la sociologia, la storia dell'arte, la storia della musica, la psicologia, l'antropologia e le neuroscienze. L'aisthesis fornirà la cornice generale dell'orizzonte di riferimento, e per quanto l'arte sia ancora importante non sarà che uno dei suoi molteplici campi d'indagine. Il disegno teorico di uno status dell'estetica dovrà dunque essere contemporaneamente transdisciplinare e transartistico.

Questa nozione allargata e arricchita di estetica presenta indubbi vantaggi rispetto anche all'ermeneusi delle singole opere d'arte. In un universo che ha messo in discussione il primato della visione e, specularmente, quello dell'occhio, che ha alimentato sinestesie, integrazioni, interazioni, che ha riabilitato il ruolo dell'ascolto, che ha di fatto annullato la distanza estrinseca che separa il suono dall'immagine e viceversa, che è arrivato a una concezione non patrimoniale del rapporto intrattenuto da spazio e tempo con le arti (mettendo fortemente in discussione l'impianto lessinghiano del Laocoonte), un universo dunque condizionato da una multipercettività, è necessario costruire un nuovo Laocoonte, una nuova stratificazione delle arti non più ancorata alle consuete gerarchie e distinzioni. Il grande progetto di un'estetica oltre l'estetica non è quello di una deriva consapevole verso il sociologico, verso la volgarizzazione della bellezza, ma ha riflessi costruttivi nei confronti della stessa ermeneusi della singola opera d'arte, che può essere decostruita per il suo appello alla multipercettività solo da un rinnovato canone estetico improntato alla trasversalità e alla transdisciplinarietà. Un'estetica oltre l'estetica focalizzata sul ruolo estensivo dell'aisthesis può dar luogo a una comprensione dell'arte assai più ricca ed esaustiva di quella che sia mai stata concessa in passato da un'estetica (filosofia dell'arte) esclusivamente concentrata sull'oggetto artistico. L'estetica oltre l'estetica è una formula vantaggiosa non solo per la comprensione della realtà, ma anche per una comprensione finalmente adeguata dell'arte stessa.

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