ETIMOLOGIA

Enciclopedia Italiana (1932)

ETIMOLOGIA

Benvenuto Terracini

. Voce della lingua colta, indicante "l'origine di una parola, o la derivazione di una parola da un'altra", significa inoltre la scienza che ricerca quest'origine, e significò pure quella parte della grammatica che studia le parole nella loro derivazione e nelle loro forme.

È voce ellenistica, di probabile origine stoica, giunta alle lingue moderne dalla tradizione della grammatica classica, e indicò dapprima ogni particolare ricerca sulla giustezza (ἔτυμος "vero") originaria dei vocaboli, cioè sul rapporto che corre fra la parola e la cosa designata, in cui e filosofi e grammatici cercarono conferma o esemplificazione alle loro speculazioni sull'origine e sulla natura del linguaggio. L'esempio più antico della speculazione etimologica, applicata a problemi di questo genere, ci è dato dal Cratilo; indipendentemente dai fini particolarissimi propostisi da Platone in questo dialogo, dal minore o maggior valore che egli potesse attribuire alla esemplificazione etimologica e alle opposte teorie che la ìspiravano, certamente le etimologie del Cratilo ci rappresentano, in parte almeno, una tradizione metodica già formatasi entro scuole precedenti e ci forniscono i tratti essenziali di tutta l'etimologia empirica. Un vocabolo in generale discende per derivazione o per composizione da un altro vocabolo che spiega l'essenza del suo significato: gli dei (ϑεοί) furono denominati da ϑέω ("corro") perché dapprima si adorarono gli astri; si dice ἀήρ ("aria") perché ἀεὶ ῥεῖ ("scorre sempre"). Le parole donde altre derivano si spiegano alla loro volta perché contengono elementi fonici atti a rappresentare la natura delle cose espresse: ρ il movimento, o la mobilità (ῥεῖν, κρούειν, ecc.), λ il concetto di liscio, ecc. In questi elementi di ricerca, che partono dal presupposto che la lingua sia prodotta ϕύσει, cioè secondo la natura della cosa nominata e i rapporti fra le parole non siano formali, ma sostanziali, si concreta l'illusione che le parole aiutino a conoscere la realtà: da questo punto di vista la prima parte del Cratilo prende l'aspetto di una rassegna etimologici di tutto il mondo sensibile e conoscibile, tratto che rimarrà tradizionale. Quanto di etimologico invece Platone applica al presupposto che le parole prendano il loro significato dalla convenzione e dall'uso (ϑέσει), fornisce alla ricerca elementi di tutt'altro genere: lettere, suoni primitivi possono essere stati mutati, aggiunti o tolti, soprattutto per ragioni di eufonia, o ancora l'uso può far sì che un vocabolo abbia assunto un significato opposto addirittura a quello per cui era stato foggiato, o che contenga lettere di natura opposta a quelle che doveva per natura contenere in origine; di qui un ricorrere occasionale a forme antiche della lingua o a diversità dialettali, di qui soprattutto un diffuso sentimento che vi è stato sovente un tralignamento dalla limpidezza primitiva della parola, in cui si cela un barlume di concezione del linguaggio come storia; di qui ancora una consapevolezza dell'oscurità della ricerca che sarà più o meno ostentatamente ripresa dalla tradizione di questi studî. L'etimologia nella sua tendenza naturalistica fu elaborata particolarmente dalla filosofia stoica: a questa si deve, p. es., una classificazione dei varî modi con cui la parola imita la natura - per imitazione diretta (onomatopeia) o per simbolismo fonetico, per somiglianza (crura perché ligno crucis similiora), per vicinanza (foedus a foeditate porci), per contrasto (bellum quod res bella non sit) - classificazione che unisce teoricamente l'etimologia alla semantica, che di fatto rimarranno unite, nonostante tentativi posteriori di distinguerle. La tendenza opposta venne elaborata principalmente dai grammatici alessandrini i quali, sia in quanto ponevano teoricamente che il linguaggio fosse convenzione, sia per i fini loro proprî, erano naturalmente portati a far progredire l'etimologia dal lato puramente formale, cioè ad approfondire lo studio della derivazione, che venne a confondersi con la morfologia, a stabilire canoni delle mutazioni fonetiche (πάϑη), riconducendo l'infinita materia lessicale a un certo numero di parole primitive (ἀρχαί), senza ormai troppo indugiarsi sulla prima origine di queste. Caratteristica della tendenza alessandrina è l'intento filologico, in quanto con l'etimologia si spiegassero voci rare di poeti, o voci dialettali, o più tardi si applicasse l'etimologia a questioni ortoepiche, ortografiche con intenti puristici; essa cioè veniva a confondersi con la lessicografia e praticamente, più che concettualmente, metteva in rilievo gli elementi storici insiti nella ricerca. La tendenza alessandrina, che per quanto sappiamo trovò il suo principale espositore in Filosseno (sec. I a. C.), rinata come reazione alla teoria stoica (v. analogia), subì più tardi nella Grecia stessa un tentativo di conciliazione; rielaborata dagli etimologisti bizantini (Orione, Oro [sec. V], Metodio, ecc.), insieme con materiali di grammatici e di glossatori, costituì il fondamento delle grandi compilazioni bizantine: l'Etymologicum genuinum (sec. IX), il Gudianum (sec. XI), l'Etymologicum magnum (principio del sec. XII), che è il più noto di tutti, e l'Etymologicum Symonis (sec. XII).

I due indirizzi, in parte ancora contrastanti, in parte conciliati, anche per un suo eclettico e pratico spirito contaminatorio, si ritrovano nella parte superstite del De lingua latina di M. Terenzio Varrone, principale testimonianza degli studî etimologici fioriti a Roma nel secolo di Varrone, cui si dedicarono, tra altri, Aurelio Opilio ed Elio Stilone, fonte principale di Varrone. Questi accentua senza dubbio il carattere antiquario della ricerca e i suoi contatti con la lessicografia e la glossografia, e così doveva essere del De significatione verborum di Verrio Flacco (età di Augusto), noto a noi dal compendio di Festo. Dalla leggenda dell'origine eolica dei Latini, e più dal sentimento di un influsso del greco sul latino, nella tradizione romana si sviluppa particolarmente il problema dei grecismi, sia che aprioristicamente si derivasse dal greco tutto quanto il latino, sia che, come in Varrone o in Gellio, si temperasse la teoria con una salda coscienza del sistema linguistico latino.

L'esegesi biblica portò più tardi tra i Padri della Chiesa ad accentuare, da un punto di vista essenzialmente filologico, l'esame dei grecismi e a introdurre l'interpretazione degli ebraismi, penetrati con la Bibbia, aggiungendo così nuovo materiale antiquario a quello affluito dalla tradizione classica. Dati questi caratteri fondamentali della ricerca etimologica, è naturale che sull'etimologia sia principalmente fondata una delle più note compilazioni enciclopediche della tarda latinità: Etymologiarum libri XII di Isidoro di Siviglia. Essa, insieme con la teoria della derivazione e delle forme, tratta da Prisciano, è la principale fonte degli etimologisti medievali, rappresentati particolarmente dalle grandi raccolte del sec. XII e XIII: cioè dal Glossarium di Papia, dalla Magnae Derivationes di Uguccione da Pisa (morto verso il 1210), dalla Panormia di Osberno da Glocester, dal Graecismus di Everardo da Bethune e infine dal Catholicon di Giovanni da Genova (terminato nel 1286). Intento filologico di carattere prevalentemente grammaticale ebbero poi quegli studî di lessicografia fioriti fra Arabi ed Ebrei, che, tenuto conto del peculiare carattere delle lingue semitiche, potevano ritenersi analoghi agli studî etimologici.

A partire dal sec. XVI l'etimologia si applica con più netta coscienza storica al problema delle origini delle lingue classiche e romanze ed è tanto più concreta, quanto più ristretto e noto era il campo storico al quale si applicava, come accadde per le origini dell'italiano o del francese, per le quali lingue, accanto alla derivazione dal latino, si ammetteva una più o meno larga mistione di lingue germaniche, di greco, o di provenzale per l'italiano, di celtico per il francese (P. Bembo, B. Varchi, G. Muzio, L. Castelvetro; G. Budé, J. Périon, E. Pasquier, G. G. Scaligero, G. Ménage), quando non si cercasse di far capo risolutamente all'origine ebraica (C. Gesner, P. F. Giambullari, E. Guichard). Se per solito in queste ricerche il presupposto storico indicava a priori il campo in cui cercare un'etimologia (sì che un esperto etimologo come il Ménage non dubita di ricondurre il francese bru al latino nurus, o haricot a faseolus), per la maggior attenzione rivolta ai dialetti germanici, al celtico, alle lingue slave, per un acuirsi dello spirito critico, come reazione alla tradizione biblica e classica, per la conoscenza di più remoti gruppi linguistici, a poco a poco l'indagine s'inverte, l'etimologia, di conferma, giunge a farsi anche guida all'etnografia; e sulla somiglianza, più o meno evidente, di vocaboli, si postulano parentele di lingue e di popoli. Questo indirizzo, già evidente in alcuni scritti di G. G. Leibniz (Collectanea Etymol., 1n ed., Hannover 1717), insieme con un principio di comparazione grammaticale, pervade le opere linguistico-etnografiche del sec. XVIII sino al Mithridates, ideato e iniziato (1806) da J. C. Adelung. Né la speculazione sulla natura e sull'origine del linguaggio mancò in questi secoli di ricorrere all'etimologia: due esempî particolarmente ci interessano perché ebbero notevole influsso sulla scienza del sec. XIX: quello del De Brosses (Traité de la formation méchanique des langues et des principes physiques de l'étymologie, Parigi 1765), che elaborava nuovamente la teoria dell'onomatopeia, e il riposto valore originario delle parole cercato attraverso l'etimologia dalla speculazione filosofico-poetica che fa capo al romanticismo. Infine nell'ambito ristretto della filologia classica l'etimologia fu particolarmente coltivata da G. J. Voss (Etymologicon linguae latinae, 1664) e dalla scuola olandese del sec. XVIII (J. D. van Lennep, Etymologicum l. Graecae, 1790). Così A. G. Schlegel poteva, nel corso secolare di questi studî, distinguere tre specie di etimologia: quella "filosofica", quella "grammaticale" e infine quella "storica".

Nell'etimologia empirica tenta di elevarsi a scienza quella curiosità con cui chi parla esamina la propria lingua in quanto la sua riflessione la concepisce come materia esterna e tramandata, curiosità che spinge ciascuno a domandarsi di dove vengono i vocaboli che usa, tanto più facilmente quanto questi sono meno abituali, o per sé oscuri, come p. es. i nomi proprî, la curiosità etimologica che si esercita, p. es., nel Pentateuco sui nomi di luogo e di persona, che produsse i miti etimologici, le etimologie araldiche, ecc. In realtà però, per un difetto di analisi storica della parola che l'età posteriore avrà il compito precipuo di correggere, l'etimologia empirica in questa curiosità storica proietta semplicemente il suo sentimento linguistico attuale, cioè quel giuoco di associazioni per cui in ogni istante è legata in sistema tutta la materia linguistica,in quanto essa sia sentita come cosa nostra, animata dal nostro pensiero. Essa si fonda cioè su quello che fu definito il "bisogno etimologico" per il quale nessuna parola è viva in noi e acquista il suo pieno significato per sé, ma in quanto è sentita come collegata con altre, per solito con parole che le siano più o meno vicine o per suono, o per forma, o per significato; e questo bisogno è particolarmente sensibile per le parole meno abituali. Sono ravvicinamenti che dalla saldezza di una coesione morfologica (fornaio: forno), possono giungere sino alle somiglianze più tenui di suono e di significato (come in alcune allitterazioni felix faustumque), ravvicinamenti attraverso cui il significato della parola esteticamente si crea (p. es. Ennio: cava caeli), o viene comunque sottolineato, come nei giuochi di parola (non honor sed onus), o determinato addirittura con l'aiuto di una parola abituale che può persino lasciare nella prima una sua impronta esteriore, come nei notissimi casi che vanno sotto il nome di etimologia popolare (il lat. accipiter ha la doppia per influsso di accipio; fr. chou-croute dal ted. Sauer-Kraut con immistione di chou e di croûte; it. battisuocera "fiordaliso", da battisegola, ecc.).

Ora il giuoco dell'etimologia empirica consiste precisamente nello spiegare una parola meno nota con una più nota, avente con la prima qualche analogia di significato e di suono; ed è giusta quando risponde a una connessione reale per un determinato luogo e una determinata età; p. es. la connessione varroniana di caelum e di cavus ha valore linguistico in forza dell'esempio enniano, così il nome di monte granta parei ("grande parete") che qualche ignoto cartografo del secolo scorso tradusse, cioè spiegò e collegò, con Gran Paradiso, è etimologia giusta in quanto oggi in questo nome ciascuno sente una connessione appunto con "paradiso"; l'etimologo sbaglia quando la sua elucubrazione non rappresenta in nessun modo la realtà di un sentimento linguistico. Viene di qui la maggior caratteristica dell'etimologia empirica, quella di essere cosa viva, sia in quanto si riferisca direttamente alla coscienza dei parlanti, come p. es. dove Varrone osserva come chiunque sappia interpretare rettamente composti, quali argentifodinae, sia in quanto abbia fornito dettami alla retorica classica e medievale, suggerendo accorgimenti stilistici che vanno dalla semplice figura etimologica (vivere vitam) sino a insegnare a esprimere il pieno significato di una parola per mezzo di interpretazioni: p. es. le interpretazioni dantesche di nomi proprî e, caso di vera e propria costruzione concettuale, le etimologie dei giureconsulti romani.

La linguistica comparata, svolgendo, attraverso l'ideologia romantica, il concetto di una evoluzione storica del linguaggio, viene a concepire l'etimologia come una semplice ricerca di ordine storico-genealogico. E questa assume un aspetto sperimentale, in quanto essa chiede all'analisi stessa della parola il segreto della sua vicenda storica e condanna come arbitrario il metodo empirico che fondava l'etimologia su apriorismi storici o filosofici. E se l'indagine che fa capo più direttamente alle lingue classiche si allarga impensatamente con la maggior conoscenza dell'indiano e del persiano, questo, e qualsiasi altro allargamento di possibilità comparativa, trova un freno in quanto l'indagine etimologica viene ristretta nettamente a gruppi di lingue che siano dimostrate parenti. Questo principio è enunciato dal più diretto precursore della nuova linguistica, da F. Schlegel (Uber die Sprache und Weissheit der Indier, Heidelberg 1808), il quale, più risolutamente che altri, fondando la dimostrazione della parentela fra le lingue indoeuropee sull'identità della loro morfologia, e mettendo in secondo piano le identificazioni lessicali, perché possono essere frutto di più tardi prestiti da lingua a lingua, non solo veniva a ridurre singolarmente l'importanza dell'etimologia, ma per un senso di stanchezza contro le cervellotiche elucubrazioni empiriche, la riduceva a comparazioni fra voci identiche o similissime per suono e per significato (ted. Mutter, lat. mater, ind. mātar); d'altra parte egli preconizzava un'età in cui il sezionamento degli elementi della parola, condotto razionalmente, sull'esempio dei grammatici indiani, e l'esatta conoscenza dei mutamenti di suono subiti da ciascuna delle lingue parenti, dando un valore di realtà storica a quei sezionamenti e mutamenti sino allora ammessi a capriccio, permettesse di comparare tra loro le parole nella loro fase più antica e fornisse una base sicura alle identificazioni etimologiche, là dove vicende seriori avessero turbato l'evidenza della unitaria e primitiva identità.

Ma analisi della parola e ragguagli fonetici non significano altro che tutta quanta la grammatica comparata: avvenne così che quell'etimologia che lo Schlegel per un momento aveva staccata dalla grammatica, con essa tanto pienamente si confonda che etimologia prende d'ora innanzi anche il significato generico di linguistica storica, e che il primo grande trattato etimologico della nuova scienza, le Etymologische Forschungen di A. F. Pott (1ª ed. 1833-36, 2ª ed. 1859), pur lasciando all'indagine etimologica la sua piena autonomia, contengono tanta materia grammaticale da costituire un complemento della contemporanea grammatica di F. Bopp, in quanto soprattutto stabiliscono quali decomposizioni e quali ragguagli fonetici siano sicuri, cioè comprovati da un maggior numero di esempî analoghi. Poco importano gli errori particolari: la giustezza del metodo si intuì subito là dove i ragguagli fonetici furono immediatamente potuti determinare nella loro nettezza, perché di ambito storico relativamente ristretto, come è il caso della legge di Grimm sulle mutazioni subite dalle consonanti esplosive nel gruppo germanico (per cui, p. es., l'iniziale del ted. ziehen, zwei corrisponde a un d di qualsiasi altra lingua indoeuropea: lat. duco, duo); il suo scopritore notò subito che così si apriva la via a identificare altre parole che si trovassero a presentare questa corrispondenza, donde la scoperta che l'omofonia fra due parole di lingue diverse può essere completamente casuale e diventare una pessima guida alla identificazione etimologica. Qui avviene il vero distacco dall'etimologia empirica; e, in quanto questa poggiava sul sentimento etimologico comune, l'etimologia storica viene a prescindere da esso e anzi ad esso si oppone.

Le Forschungen del Pott hanno per fine principale di dare l'elenco delle radici indoeuropee, cioè degli elementi significativi originarî sotto cui si può raggruppare ciascuna delle famiglie di parole, sviluppatesi con infinita varietà nel lessico delle lingue indoeuropee. La ricerca è quindi di un doppio ordine: non basta giustificare per mezzo di ragguagli fonetici l'identificazione, p. es., di ϑυγάτηρ e del sanscr. duhitár "figlia", ma si discute se la base di questa voce sia da identificarsi con la radice verbale duh "mungere", in quanto la figlia nella famiglia primitiva fosse designata come "la mungitrice", o con duc (oggi deuk, rappresentato dal lat. duco, got. tiuhan "tirare"), in quanto fosse "colei che è educata nella casa paterna, o condotta nella casa maritale" ed anzi si tenta ancora un'ulteriore scomposizione di questa radice. Nel qual lavorio, ridotte le parole all'aspetto primitivo, si procede a identificarle in base a somiglianze di suono e di senso assolutamente come nell'etimologia empirica; ma nuovi sono il vigore e la finezza con cui, attraverso una rigorosa identificazione fonetica, si cerca di ritrovare nella trafila delle determinazioni di significato che dànno occasione alle più impensate corse attraverso la selva dei sinonimi (πῦρ, purus, putare, putzen, ποινη, poena), le tracce dell'originario spirito creatore della parola con verosimiglianza tanto maggiore, quanto più si cerca di postulare nella preistoria trapassi analoghi a quelli realmente avvenuti nelle lingue attestate. Ma l'etimologia poteva anche essere applicata a ricostruire per mezzo del loro lessico, la cultura e la preistoria indoeuropea, inferendo anzi da particolari distribuzioni di parole (p. es. got. fiur, gr. πῦρ, opposto a ind. agní, lat. ignis) particolari contatti culturali di popoli entro l'unità indoeuropea; quest'applicazione, primamente abbozzata dal Grimm, fu tentata poi sistematicamente da G. Pictet (Les indo-européens,.... essai de paleontologie linguistique, Parigi 1859-63), tentativo interessante perché la concretezza stessa della materia, se non l'acume critico, fanno intravvedere al Pictet nuovi aspetti del problema etimologico, lo portano a un certo scetticismo sull'identificazione a oltranza delle parole e delle radici, mentre il raggruppamento stesso per materia rende più solido lo studio semantico dei sinonimi, così necessario all'etimologo, e costituisce anzi un vero e proprio trattato di semasiologia. Infine, a cominciare dal Pott e dal Grimm, si ripigliavano i campi più rischiosi dell'indagine, quelli dei nomi di persona, e in particolare dei nomi mitici, e quelli dei nomi di luogo. Già il Grimm ammoniva che il concetto di unità indoeuropea non doveva far sì che si dimenticasse l'individualità e la storia particolare di ciascun sottodialetto donde il canone, ripetutamente bandito in Italia dall'Ascoli e dal Flechia contro gli empiristi, che le etimologie vanno cercate di preferenza nei dialetti vicini piuttosto che nei lontani, e il fatto che tutte le risorse del nuovo metodo risultarono molto più proficue quando furono per la prima volta applicate, non alla preistoria, ma all'ultima storia di una lingua nota, come nell'Etym. Wörterbuch der romanischen Sprachen (1ª ed. 1843, 2ª ed. 1869) di F. Diez. Qui cessa naturalmente ogni indagine di ricostruzione primigenia; per converso nel ricondurre il materiale lessicale romanzo alla comune origine latina si distingue più accuratamente ciò che è proprio di gruppi dialettali minori, o dovuto a scambî interdialettali, e se, per reazione alle fantasticherie precedenti, si cerca a ogni costo di arrivare ad etimi latini, è tenuta largamente presente la possibilità di origine barbarica o prelatina, suggerita dall'evidenza della storia; il freno dei ragguagli fonetici, assai più facili da stabilire, è più forte che nel Pott, più esatte le distinzioni cronologiche, piü complesse e delicate le osservazioni morfologiche. Infine il Diez, dandoci nella Romanische Wortschöpfung (1875) il primo trattato di semasiologia romanza, dove, accanto alle voci ereditate dal latino o prese da altra lingua, mise in rilievo il modo in cui le lingue romanze sono venute elaborando nuovo materiale lessicale (nuca, collottola di fronte a cervix), veniva, sia pure in via puramente empirica, a porre in luce una vivace produttività lessicale delle lingue romanze, proprio sulla fine di quel periodo di studî in cui la storia linguistica era concepita come puro tralignamento di un periodo creativo ormai conchiuso.

Temprata così a nuova severità metodica, l'indagine etimologica in pochi decennî aveva ripreso tutta la sua audacia, quando successe un periodo di raccoglimento, ben rappresentato dai Grundzüge der griech. Etymologie di G. Curtius (Lipsia 1858) e dal Vergl. Wörterbuch der indog. Sprachen di A. Fick (1ª ed. 1867, 4ª ed. 1891). Il fatto di porsi, entro l'unità indoeuropea, dal punto di vista di una sola lingua, consentiva al Curtius progressi e approfondimenti analoghi a quelli che di colpo aveva raggiunti il Diez; come nel Diez, è nel Curtius assai più forte il freno dei ragguagli fonetici, egli ordina addirittura il suo materiale etimologico secondo le serie dei suoni con cui il greco corrisponde a quelli di altre lingue (in seguito a cui, p. es., contro il Pott, stacca πῦρ da ποινή), o i varî dialetti greci corrispondono tra di loro, distinguendo le corrispondenze ricche di esempî da quelle invece che ne contano pochi, e quindi etimologie facili da etimologie difficili. Per lui l'etimologia è essenzialmente l'esempio su cui si costruisce la corrispondenza, ma questa a sua volta è l'arma dell'etimologo, e il metodo gli pare tanto sicuro da augurarsi il momento in cui la conoscenza della lessicologia greca sarà tale che permetterà di costruire norme, di tipo psicologico, in cui inquadrare i mutamenti di significato e ottenere così un nuovo freno all'ipotesi etimologica. Ma questo maggior progresso conduce il Curtius a negare ogni valore di dimostrabilità all'ultima scomposizione delle radici e alle loro estreme identificazioni: nonostante sopravvivenze anche recentissime, prevale dal Curtius in poi la massima che una parola si deve identificare con un'altra nella pienezza della sua forma e nella concretezza del suo significato. A questa rinunzia non persuadevano soltanto difficoltà empiriche di dimostrazione, ma una svalutazione del concetto di radice, che nel Pott era ancora romanticamente un germe che racchiudeva in potenza tutte le forme e i significati della parola; per il Curtius e l'età sua la radice invece era poco più che una formula, il che faceva sì che egli ne concepisse il significato fondamentale come rappresentante la generalità e l'astrattezza di un concetto, e trovasse assurdo attribuire alla lingua primitiva facoltà logiche di astrazione in pieno contrasto con la ricchezza di immagini e di atteggiamenti psicologici che si venivano scoprendo nel materiale lessicale di una lingua viva, come la greca. Di qui l'ammonimento suo che nell'identificare due radici omofone bisogna tenere stretto conto del loro significato, perché l'omofonia primitiva può essere altrettanto casuale come quella storica che aveva tratto in inganno l'indagine empirica. Nel campo dell'unità indoeuropea la sicura ristrettezza di questi criterî aveva portato con lo Schleicher a ricostruire addirittura, in base alle corrispondenze fra le lingue attestate, l'aspetto fonetico e morfologico dell'unità primitiva; la ricostruzione etimologica di questa unità è tentata nell'opera del Fick; qui, p. es., in base alla corrispondenza: lat. ager, gr. ἀγρός, got. akrs, si postula l'esistenza di un agros donde queste voci discendono: la piena identità delle parole ricostruite è così strettamente cercata in una piena consonanza di significato, che manca qui ogni occasione a rinnovare gli ampî aggruppamenti del Pott; di conseguenza alla forma di discussione succede una forma apodittica che si trasmetterà a tutti i vocabolarî etimologici. Se l'indirizzo ricostruttivo dei singoli elementi delle parole si dimostrò poi caduco e i suoi risultati si ridussero a poco più di una formula, in quanto tendeva alla ricostruzione globale del lessico indoeuropco, esso ebbe il merito di dare occasione a distinzioni cronologiche e geografiche per separare ciò che poteva essere attribuito all'unità primitiva da ciò che va ascritto a questa o a quella lingua, o a gruppi di esse; il metodo ricostruttivo in quanto porta a isolare sottounità indoeuropee fu infatti fecondo, come risulta dal piano stesso delle ultime edizioni del Fick, che fa gran parte ai sottogruppi, o da quello del Trautmann che lo rinnova per il Balto-Slavo e del Muller Izn per l'unità italica (Altitalisches Wörterbuch, Gottinga 1925), e il trascurare queste distinzioni (come nel Vergil. Wörterbuch der indog. Sprachen di A. Walde, 1ª ed., postuma, Heidelberg 1930 segg.) è considerato metodo ormai superato.

Ciò che il Curtius faceva per il greco, e p. es. il Corssen e l'Ascoli per l'italico, preludeva all'aspetto che la ricerca etimologica assunse presso i neogrammatici: dato che il problema metodico da essi sollevato era quello dell'ineccepibilità delle leggi fonetiche (cioè delle norme desunte dalle corrispondenze fonetiche), l'etimologia fu sempre più strettamente legata alla ricerca di quelle ed anzi l'età dei neogrammatici passa come quella che più di ogni altra indulse all'etimologia fonetica; d'altra parte i postulati stessi della teoria neogrammatica, unitamente all'indirizzo nettamente filologico preso dalla ricerca in questo momento, influirono genericamente nel senso che la ricerca etimologica, pur conservando strettissimi gli antichi legami con la fonologia, divenisse pure una ricerca autonoma, in quanto sempre più intimamente si univa alla lessicografia. L'indagine si fa sempre più cauta e frammentaria, l'aspetto dei dizionarî etimologici muta in conseguenza: essi anzitutto, data la mole dei contributi, divengono più o meno critico-bibliografici e, riguardino una sola lingua come quello del Walde per il latino (1ª ed. Heidelberg 1907, 3ª ed., postuma, 1930 segg.), o del Boisacq per il greco (Heidelberg 1916), o un gruppo di lingue come p. es. l'Etym. Wörterbuch der romanischen Sprachen dĭ W. Meyer-Lübke (1ª ed. Heidelberg 1911, 3ª ed. 1930 segg.), il fine ricostruttivo si accompagna in essi a un interesse puramente lessicale, quando l'etimologia non sia ridotta addirittura a un discreto complemento di lessici storici, come nel Dictionnaire étym. latin del Bréal e Bally (Parigi 1886, più volte rist.), o nell'Etym. Wörterbuch der deutschen Sprache di F. Kluge (1ª ed., Strasburgo 1881-83; 11ª ed. postuma, Berlino-Lipsia 1921 segg.). Questa tendenza verso la semantica si concretò partitamente nel ripiego metodico, comune a quest'epoca, di inseguire l'individualità della parola e della sua storia, almeno nei casi in cui questa non era direttamente riducibile nello schema di una legge linguistica; così il bisogno di distinguere tra voce ereditaria e voce presa a prestito seriormente da altre lingue portò a larghi studî sugl'influssi culturali da lingua a lingua, e analogamente sui continui scambî fra lingua colta e dialetto, o su quelli interdialettali e fra strati sociali diversi; i mutamenti di significato furono esaminati e cronologicamente determinati con sempre maggior conoscenza delle varietà dialettali per le lingue vive, e con approfondita conoscenza filologica per i periodi più antichi; lo stesso studio degli elementi stranieri conduceva ad una ricerca sempre più accurata dei calchi, dei casi cioè in cui una parola eredita il significato da una voce straniera di cui è traduzione (ficatum iecur "fegato", calcato su συκωτὸν ἧπαρ); a poco a poco si venne rinunziando a classificare i trapassi di significato in categorie a imitazione delle leggi fonetiche, e li si considerarono, sia pure semplicisticamente, come la conseguenza di un mutato rapporto tra la parola e la cosa designata, donde l'interesse rinnovato per la storia delle parole in quanto rifletta quella delle cose e delle idee, interesse che tanto più fruttuosamente corregge le "etimologie da tavolino", quanto più si esercita su ambienti culturalmente remoti; donde tutto un insieme di ricerche che potremmo dire di archeologia linguistica che nel campo romanzo fan capo allo Schuchardt, per quello indoeuropeo soprattutto alla rivista Wörter und Sachen e vengono a confondersi con le rinnovate indagini sulla preistoria indoeuropea, che muovono direttamente dalla tradizione del Grimm e del Pictet. Infine il semplice intento di rendersi conto di forme aberranti portava a cercare con attenzione crescente gl'incroci, nei quali una voce esteriormente muta per influsso di un'altra e si trova così ad avere come due etimi (fragellum da flagellum incrociato con frangere), e si venne pertanto a valutare storicamente l'etimologia popolare (che dell'incrocio è un caso particolare) e con essa a tenere in maggior conto l'etimologia empirica; analogamente gli studî di semasiologia, ripresi dal Diez, attiravano sempre più l'attenzione sulle "creazioni" recenti del parlar popolare. Questi progressi, che condussero all'unanime identificazione dell'etimologia con la storia delle parole, furono conseguiti in parte come semplice perfezionamento empirico, in parte attraverso lunghe discussioni che fornirono la ragione teorica di essi e la ragione pure di quell'incertezza dimostrativa di cui la scienza etimologica non aveva cessato mai di avere coscienza. Polemizzando sul vecchio tema, se nell'identificazione etimologica conti più l'esattezza del criterio fonologico o quello semantico, lo Schuchardt soprattutto venne a dimostrare che un'astratta corrispondenza di suoni o di significato non rappresenta che una mera possibilità etimologica, e per giunta inadeguata; che la storia di una parola è qualche cosa di unico che non si può delimitare a priori; quindi per lo Schuchardt la ricerca etimologica si ridusse soprattutto ad ammassare tutte le voci analoghe per senso o per significato che si aggruppino intorno ad un concetto, cercando di eliminare le somiglianze casuali o meramente possibili, e studiare tutta la rete infinita di relazioni dimostrabili come reali in forza di particolari trapassi di significato, o di incroci fonetici che legano le une alle altre. E qualche anno più tardi, J. Gilliéron giungeva per conto suo, sempre in sede di polemica contro l'etimologia fonetica (il fr. fermer è legato a fer e non al lat. firmare; tisane a the e non a ptisana) a risultati analoghi, ancor più nettamente segnati, perché mostrò come all'infuori di ogni possibilità aprioristica si possano cogliere i legami di una parola con quelle che essa ha realmente sostituito, o con cui è stata volta a volta collegata, quelli insomma di cui è materiata la sua storia. La semasiologia in lui, da descrittiva, diviene storica, e insieme alla semantica, s'identifica definitivamente con l'etimologia; quella che fu impropriamente chiamata "creazione linguistica", non più distinta da un inesistente mantenimento puro e semplice del lessico ereditario, diviene il fulcro dell'indagine etimologica, il che implica una tendenza, opposta a quella tradizionale, di risalire il meno possibile oltre a stadî storicamente attestati. La quale tendenza tradizionale è poi tutt'altro che trascurata, anzi in questi ultimi decennî, applicata come fu a ritrovare etimi prelatini nel campo romanzo, o preindoeuropei in quello indoeuropeo, cioè in fondo alla dimostrazione di un remoto problema di parentela, ripercorre per conto suo tutte le tappe metodiche dell'indagine.

L'opporsi polemico di queste due tendenze dipende dal fatto che la linguistica attuale non ha ancora chiara coscienza che l'etimologia scientifica, ricercando quale sia la forma più antica di ciascuna parola si pone un problema fondamentalmente insolubile, in quanto per un residuo di empirismo insegue l'individualità di una parola che storicamente non esiste e invece di un etimo si trova dinnanzi ad infiniti etimi. Ma dal sovrapporsi delle due tendenze (l'esempio più completo di una ricerca etimologica in questo senso è dato dalla Généalogie des mots qui désignent l'abeille di J. Gilliéron, Parigi 1914, e il repertorio etimologico che di essa più risente è l'Etym. Wörterbuch der franz. Sprache di W. v. Wartburg, Bonn 1928 segg.) risulta l'ideale di una ricerca etimologica storicamente intesa; la quale, data una catena infinitamente estesa di parole, individuabile semplicemente per il fatto che ciascun anello di essa, in un dato momento e in un dato luogo, si è sostituito per una sorta di corrispondenza o di traduzione al seguente (cioè tanto lat. pater: it. padre, quanto lat. ensis: gladius: it. spada), consiste nel ritrovare gli etimi infinitamente variabili di ciascuno di questi anelli, cioè le voci con le quali chi parlò li sentì volta a volta collegati.

In conclusione l'etimologia nei suoi fini e nei suoi metodi non è se non un aspetto particolare della linguistica storica; come questa, ridusse il problema dell'origine filosofica della parola a quello della sua origine puramente storica, pur risentendo in sé gli effetti di una complessa speculazione filosofica che intanto era venuta trasformando il problema dell'origine del linguaggio in quello della natura sua. E le osservazioni che l'etimologia poté empiricamente compiere in questo campo, come certi particolari aspetti psicologici della semantica e della onomatopea (teoria, dal Pott allo Schuchardt, non mai abbandonata), in quanto l'uniformità di essi potesse astrattamente spiegarsi come riflesso dell'uniforme spirito umano, condussero a formulare il compito dell'etimologia anche come il compito di isolare, tra fatti linguistici che presentino somiglianze di carattere elementare, quelli che sono simili storicamente, cioè la cui somiglianza è dovuta ad una trasmissione reale, nel modo che fu sopra definito.

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