ETIOPIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

ETIOPIA (XIV, p. 459; App. II, 1, p. 881; III, 1, p. 578)

Lanfranco Ricci

Popolazione. - Secondo rilevamenti eseguiti per mezzo di campioni, la popolazione etiopica nel 1968 doveva ammontare a circa 22.078.274 abitanti delle zone rurali e a circa 4.000.000 di abitanti nei centri urbani, con un totale complessivo di circa 26.000.000; come aumento annuale si indica la cifra del 2,2%, che, nel 1971, avrebbe portato il totale della popolazione a circa 28 milioni; ma si tratta di cifre assai presuntive. La densità media della popolazione viene calcolata a 22 ab. per km2, con variazioni locali, per es. 6,6 per km2 nel Bale (Etiopia del sud-ovest) e poi 67,9% nello Scioa (regione al centro, anche politico, del paese, dove ha sede la capitale, Addìs Abebà), dati da riferire anche essi al 1972.

Un fenomeno connesso con lo sviluppo delle regioni industriali e con la maggiore attività commerciale dei centri abitati più importanti è l'accentuarsi dell'inurbamento della popolazione più povera proveniente dalla campagna, la quale affluisce là dove si profilano speranze di migliore sussistenza. Dal 1942 al 1972, un periodo dunque di 30 anni, alcuni centri sono aumentati dal 2000% al 4000%, altri dal 1500% al 2000%, ecc. Per la capitale, Addìs Abebà, tale aumento può calcolarsi dal. 300% al 900% (popolaz. al 1938, circa 90.000; al 1966, circa 644.000; al 1970, circa 800.000). Il fenomeno aveva cominciato a manifestarsi durante l'occupazione italiana; dopo la guerra 1940-41, ha ripreso intensamente.

Spostamenti interni di popolazione, in parte ragguardevoli, sono stati causati da calamità naturali, siccità e conseguenti carestie, che hanno ripetutamente colpito alcune regioni, con tragiche conseguenze di mortalità, e principalmente il Wallò e il Tigrài (anni 1958-59, 1965-66, 1973-74).

Condizioni economiche. - Molti fattori si oppongono ancora allo sviluppo del paese. Anzitutto quello delle comunicazioni terrestri. Nonostante la costituzione, nel 1951, di un'Azienda imperiale per le grandi strade di comunicazione (in inglese: Imperial Highway Authority, sigla IHA), operante con prestiti della Banca internazionale di ricostruzione e sviluppo e dell'Ufficio per le strade pubbliche degli SUA, oltre che con contributi del governo etiopico, nel 1972 esisteva solo una percentuale di 1 km di strada per tutte le stagioni su ogni 170 km2, senza contare che degli 8000 km complessivi di tali strade solo un terzo è asfaltato, mentre alcune parti, anche importanti, sono in cattivo stato di manutenzione; si calcola, quindi, che il 58% della superficie etiopica, 01/2 della popolazione, sia lontana più di 30 km da qualsiasi strada di comunicazione, sia essa interstagionale o solo stagionale ("pista"). D'altra parte, la conformazione geografica del paese, con i suoi grandi dislivelli e il grande ammasso montagnoso centrale, e le tipiche condizioni climatiche incidono fortemente sui costi di costruzione e sulla manutentenzione. Recentissima (1974) l'apertura della strada Awàš-Tendahò, di 303 km, che congiunge il porto di Assàb, sul Mar Rosso, con l'Etiopia sud-orientale e sud-occidentale: di vitale importanza commerciale e geografica.

La stessa carenza va notata per le fonti di energia. L'Etiopia è potenzialmente ricca di fonti di energia idroelettrica, ma questa ricchezza deve ancora essere messa a frutto, anche se in questo ultimo ventennio la produzione elettrica si sia notevolmente accresciuta. Per l'Etiopia (qui distinta dall'Eritrea), dai 33 milioni circa di kWh nel 1955/56 essa è salita, soprattutto dopo la costruzione della diga di Qoqà (sul corso medio del fiume Awàš) nel 1959-60, a circa 229 milioni di kWh nel 1966-67, in buona parte costituita da idroelettricità, che nella produzione totale dello stesso periodo (1966-67) rappresentava il 71,4% (kWh 210.256.000 su complessivi kWh 294.493.000, il rimanente essendo rappresentato da elettricità di origine termica); di detto totale, poi, il 64,3% circa era prodotto nella zona di Addìs Abebà, il 22,3% circa in Eritrea (con esclusione del porto di Assàb, alimentato dalla produzione interna dell'Etiopia) e il restante 13,4% circa in altre parti del paese. Il maggiore sfruttamento attuale è quello delle acque del fiume Awàš, che nel 1966-67 produceva il 90% dell'energia idroelettrica di tutto il paese, rifornendo non solo la capitale Addìs Abebà, ma anche centri urbani più a Est, e cioè Haràr e Dirrè Dawà, e a Ovest (Addìs Alèm). Nonostante ciò, si considera che la presente produzione di energia idroelettrica costituisca meno della metà dello 1% del potenziale totale dell'Etiopia.

Altri fattori ancora si aggiungono al quadro negativo su accennato: l'organizzazione della proprietà terriera, legata a una economia tradizionale di sussistenza, basata sullo sfruttamento del lavoro agricolo dipendente da parte dei proprietari (detentori del 70% delle terre), e quindi la mancanza di un'agricoltura razionale e avanzata; il basso reddito procapite degli abitanti (uno dei più bassi di tutta l'Africa), significante l'assenza di una struttura economica dinamica; infine la mancanza di materie prime. Tutte cause che a loro volta spiegano il basso investimento industriale nel paese e l'assai lento progresso economico, se paragonato al potenziale produttivo del paese stesso e al progresso di altre nazioni africane.

A parte la provincia dell'Eritrea, comunque, soprattutto dopo il 1960 si è registrato un processo di sviluppo nel campo agricolo e industriale.

Nel settore agricolo si sono costituite aziende che, con il concorso di capitali e tecnica stranieri, hanno avviato una coltivazione razionale e meccanizzata, la maggiore parte di esse nella valle del fiume Awàš, ricadenti sotto la guida dell'Ente per la valle dell'Awàš (in inglese: Awash Valley Authority - sigla AVA), istituito nel 1962 dallo stato etiopico per lo sviluppo agricolo e industriale della regione fluviale. Si aggiungono progetti sperimentali di iniziativa governativa, con la partecipazione di capitale e tecnica esteri anche essi, aventi di mira lo sviluppo di organizzazione e tecniche agricole, con impiego di mezzi meccanizzati, su lotti di coltivazione più o meno estesi, facendo intervenire anche l'assistenza creditizia, come: il Complesso di Sviluppo Agricolo del Cilalo, nella provincia degli Arusi, iniziato nel 1968 con il concorso finanziario svedese; l'analogo Complesso di Sviluppo Agricolo del Walamo, successivo al precedente e cominciato nel 1970, con ampio concorso finanziario della Banca Mondiale; il Piano con limite minimo di partecipanti, che deve raggiungere i 10.000 agricoltori in ciascuna area prescelta (in inglese: Minimum Package Programme), organizzato con fondi finanziari svedesi, danesi, dell'Ente per lo Sviluppo Internazionale (AID) degli Stati Uniti d'America, della Banca Mondiale e della FAO, iniziato nel 1971, con l'intento di provvedere all'incremento e miglioramento della produzione degli agricoltori più poveri; l'appoderamento di Setit Humera, ai confini settentrionali con il Sudan, che assorbe anche lavoratori stagionali (circa 50.000), provenienti da aree povere del Tigrai e dell'Eritrea, e qualche altro minore. L'impiego di mezzi meccanizzati in questi comprensori agricoli ha fatto crescere la richiesta di macchinario agricolo, le cui importazioni sono fortemente aumentate. Egualmente alto, in corrispondenza, l'incremento nella richiesta di fertilizzanti.

Tuttavia i progetti suindicati hanno dato luogo a non pochi inconvenienti nella loro applicazione, primo fra tutti quello di non riuscire, assai spesso, a favore degli agricoltori fittavoli, per i quali si è giunti in più casi a una espulsione dalle terre lavorate, con conseguenze negative di ordine sociale. Nonostante le iniziative su accennate, poi, non sembra che l'area assoggettata a coltivazione con tecniche commerciali europee superi il milione di ettari e occupi più di 500.000 lavoratori agricoli, tra stanziali e stagionali, che è certamente nulla in confronto alle possibilità potenziali del paese.

L'agricoltura rappresenta circa il 60% del prodotto lordo nazionale e il primo posto per la esportazione, la quale, a sua volta, poggia ancora oggi, come maggiore merce di lucro, sul caffè, il cui continuo e remunerativo assorbimento sul mercato estero (il 70% o più va al mercato degli Stati Uniti d'America, a cui è legato come mercato di sbocco) ha fatto accrescere continuamente la sua coltivazione (ma nel 1973 la sua incidenza sul valore totale delle esportazioni era scesa al disotto del 50%, con prospettive meno incoraggianti per il futuro, per ragioni di mercato). Si può, così, meglio valutare il peso della arretratezza dello sviluppo agricolo sul progresso totale dell'E., e meglio comprendere come il tasso di sviluppo generale di questa sia tanto ridotto, dal momento che l'agricoltura non presenta un accrescimento annuo superiore al 2%, anche se, presa in senso globale, la produzione agricola possa avere avuto un aumento del 30% circa tra il 1959 e il 1969 e un aumento dell'8% circa per produzioni singole nello stesso periodo. Nullo si può dire che sia ancora l'apporto dell'allevamento del bestiame, che pure viene indicato come uno dei grandi potenziali di sviluppo per il commercio e l'industria derivata (nel 1972 si calcolava che il valore attuale di mercato del bestiame etiopico fosse di circa 2 miliardi di dollari etiopici, pari a circa 500 miliardi di lire, con una perdita annuale per malattie di circa 120 milioni di dollari etiopici, pari a circa 30 miliardi di lire); finora non si è pervenuti a razionali allevamenti di consistenza significativa per l'economia.

Concordemente si afferma che il ristagno dell'economia etiopica è dovuto alla scarsa attenzione che il governo ha dedicato finora a concreti ed efficaci provvedimenti, per mezzo dei quali l'economia agricola locale possa esser fatta debitamente progredire. Senza ampia e organica riforma dell'agricoltura ogni piano per l'industrializzazione del paese non può approdare a risultati tangibili.

A questi problemi di ordine politico-sociale si aggiunge un fattore negativo di ordine naturale, assai preoccupante per il rendimento agricolo del territorio, rappresentato dalla forte erosione del suolo fertile a causa delle caratteristiche geografiche del paese e delle precipitazioni piovose violente, a cui si aggiunge la distruzione del manto vegetale da parte degli abitanti. Ricerche specifiche hanno accertato che nell'altipiano etiopico (occupante circa il 40% di tutta la superficie dell'Etiopia) vi sia annualmente una perdita di circa 2000 tonnellate di materiale per ogni km2 di suolo.

Come si è detto, legata all'agricoltura, e poi anche alle ricerche di giacimenti minerari, è lo sviluppo dell'industria. Per la parte maggiore essa è infatti connessa alla produzione agricola, rappresentata come è, essenzialmente, dall'industria tessile (di cui il complesso più grande finora è un cotonificio sito in Asmara) e da quella alimentare. Assai più ridotto è lo sviluppo industriale in relazione all'estrazione di minerali, per mancanza ancora di uno studio adeguato del sottosuolo. L'industria mineraria più redditizia è ancora l'estrazione dell'oro (le cui statistiche di produzione non sono facilmente determinabili); nel 1972 fu scoperto (da una società giapponese) un notevole giacimento di rame, zinco e altri minerali in Eritrea (località di Debarwà, Addì Nafàs); grandi depositi di potassio si trovano in Dancalia, ma non sono sfruttati per mancanza di vie di comunicazione e di energia industriale (dati riferentisi al 1972). Sul piano della industrializzazione va ricordata la raffineria di olio minerale in Assàb, sul Mar Rosso, costruita con il concorso di capitale e tecnici dell'Unione Sovietica e in funzione dal 1966. Si stanno intanto cercando altre risorse minerali per la produzione di energia, e specialmente petrolio, per il quale ultimo i saggi di prospezione si stanno svolgendo nella regione dell'Ogadèn (la regione di confine contesa con la Somalia), dove si cominciò a lavorare nel 1969 e dove sembra esistere anche gas naturale, oltre al petrolio, e sulle coste del Mar Rosso e nell'arcipelago delle isole Dahlak (nello stesso mare), dove si lavora dal 1963 con prospettive incoraggianti, sebbene nulla di preciso ancora si sappia sui risultati concreti.

Le industrie sono raggruppate in massima parte intorno a tre centri urbani (227 sulle 248 che nel 1972 apparivano operanti), i quali costituiscono come il nucleo di tre zone industriali: Asmarà (la più antica e, ancora recentemente, la più importante zona industriale), Addìs Abebà e Dirrè Dawà, che sono anche, i primi due, centri politici di massimo peso. Ciò si deve a fattori precisi: pluralità di vie di comunicazione (strade nazionali su più direttrici importanti, aeroporti), disponibilità di energia elettrica, altri impianti di infrastrutture, e, per Asmarà, l'essere il punto di convergenza del traffico del porto di Massaua. Nonostante quanto finora accennato, la produzione industriale, anche se nel 1972 mostrava un accrescimento annuo del 15%, ha un posto di scarso valore nell'economia del paese: costituisce solo il 2,5% del prodotto lordo nazionale, e il 5% delle esportazioni, con un impiego di manodopera dell'1% del totale della popolazione (il 37,8% occupato nelle industrie alimentari e il 32,8% in quelle tessili), con un totale di 60/70 mila lavoratori per tutti i settori industriali (inclusi il minerario e l'elettrico); cifre irrisorie come si vede (i dati si riferiscono al 1972). I lavoratori dell'industria ricevevano, fino a ora, un compenso medio annuo procapite di 760 dollari etiopici, vale a dire 63 dollari etiopici al mese, non dovendosi dimenticare, tuttavia, che il trattamento economico degl'impiegati era superiore nettamente rispetto a quello del lavoratore semplice, il quale, però, costituisce la massa preponderante dei dipendenti dell'industria, e riceve mensilmente dai 30 ai 40 dollari etiopici, o anche meno di un dollaro giornaliero quando si trattava, come era spesso il caso, di mano d'opera non qualificata (dati al 1972, ma valevoli anche al 1975; il dollaro etiopico nel 1972 valeva circa Lit. 250 al cambio ufficiale).

Per affrontare i problemi posti dallo sviluppo del paese il governo ha elaborato tre piani quinquennali di programmi economici-finanziari (1957-58/1961-62, 1962-63/1966-67, 1968-69/1972-73), ma la situazione reale ha messo in stridente contrasto i programmi con le effettive mete raggiunte. Il nuovo governo militare, instaurato nel settembre 1974, sembra essere deciso a tagliare alla radice, drasticamente, le cause più vistose che sono alla base del ritardato progresso dell'Etiopia. Per alcune di tali decisioni riguardanti il mondo agricolo etiopico v. oltre, al paragrafo Storia.

Bibl.: C. Troll, Die Kulturgeographische Stellung und Eigenart des Hochlandes von Äthiopien zwischen dem Orient und Äquatorialafrika, in Atti del Convegno Internazionale di Studi Etiopici, Roma 1960; H. P. Huffnagel, Agriculture in Ethiopia, FAO, Roma 1961; G. C. Last, The geography of Ethiopia, in Ethiopian Observer (Addìs Abebà), VI (1962), n. 2; H. S. Mann e J. C. D. Lawrance, F. A. O. Land Policy Project (Ethiopia), FAO, Addìs Abebà 1964 (ciclostilato); J. S. Dugdale, Ethiopian climates and vegetation: the state of our present knowledge, in Journal of Semitic Studies, IX, i, Manchester 1964; H. S. Mann, Land tenure in Chore (Shoa) - A Pilot study, Addìs Abebà 1965; A. Zekarias, Land tenure in Eritrea (Ethiopia), Addìs Abebà 1966; G. Last, Ethiopia - The Present state of geographical research, with special reference to problems of economic and social development, in Proceedings of the Third International Conference of Ethiopian studies, Addìs Abebà 1966; R. J. Horvath, The process of urban agglomeration in Ethiopia, in Journal of Ethiopian Studies, VIII, 2, Addìs Abebà 1970; Mesfin W.-Mariam, An introductory geography of Ethiopia, Addìs Abebà 1972; R. L. Donahue, Ethiopia - taxonomy, cartography and ecology of soils, East Lansing 1972; Alula Abate, The growth and development of small and medium sized Ketema settlements in the Harar Highlands, in Atti del IV Congresso Internazionale di Studi Etiopici, Roma 1974.

Storia (XIV, p. 470; v. africa orientale italiana, App. II, 1, p. 85). - Dopo il 1960, il sovrano Ḫāyla Sellāsē, ristabilito il potere, non poté ignorare la nuova atmosfera politica creatasi dopo il tentativo di rovesciamento del suo governo. D'altra parte, anche dopo il 1960 continuarono gli attacchi, sia pure clandestini e cautamente anonimi, contro sovrano e governo da lui capeggiato, e più volte (1961, 1962, 1964, 1966) complotti diversi venivano scoperti e sventati. Intanto, a esprimere vivace disapprovazione e opposizione alla ristabilita linea politica seguita dal sovrano, si era aggiunto apertamente un nuovo settore della vita pubblica, il più libero, relativamente, a dare voce ai propri atteggiamenti; gli studenti dell'università di Addìs Abebà, creata ufficialmente nel 1961 (con la riunione in essa dei precedenti Colleges universitari), i quali, entrati nella vita politica del paese con le manifestazioni in appoggio del colpo di stato del 1960, hanno continuato, per tutto il periodo 1961-1974, a esprimere, con assembramenti e manifestazioni concrete di forza, sboccate anche in disordini violenti con vittime, la propria opposizione sia al governo interno dell'università sia all'azione generale di governo del paese (spesso la prima offrendo occasione per la seconda). L'elemento studentesco, così agendo, rivelava l'influenza, senza dubbio anche diretta, di idee e movimenti del mondo europeo e di quello africano, risvegliatosi sotto l'esempio del primo. Agli studenti universitari si aggiunsero anche quelli delle scuole medie, e il governo a più riprese fu costretto a drastiche misure coercitive e repressive, tra cui anche la chiusura prolungata delle scuole. Agli studenti universitari in patria facevano eco, con eguale spirito e con maggiore franchezza di espressione, le unioni degli studenti etiopici universitari in Europa e negli Stati Uniti d'America. Si ebbe l'impressione, a metà decennio 1960-1970, che gli studenti etiopici all'estero, almeno, si preparassero ad essere l'avanguardia di una rivoluzione socialista.

Nell'intento di venire incontro cautamente alle esigenze di rinnovamento fattesi avanti in modo così drammatico, il sovrano Hāyla Sellāsē, a parte l'adesione al miglioramento economico reclamato dalle forze armate promosse alcune innovazioni formali. Una disposizione di concessione di autonomia all'amministrazione locale delle province, concepita nel 1962 e ripresa nel 1966, fu in questo stesso anno respinta per azione del parlamento. Nello stesso anno 1966 il sovrano emendava la vigente costituzione del 1955, per quanto riguardava i compiti del governo, rendendolo più autonomo e indipendente; ma il provvedimento rimase in superficie. Si cercò anche di affrontare la spinosissima questione della riforma agraria, reclamata pure dagli esperti stranieri come l'unica misura atta ad avviare seriamente l'E. sulla via del progresso economico e sociale. L'eliminazione del sistema tradizionale, che tornava solo a sfruttamento del fittavolo agricoltore, era già stata uno dei cardini della riforma a cui miravano gli autori del colpo di stato del 1960. Alcune delle agitazioni degli studenti universitari di Addìs Abebà erano appunto dirette a reclamare un radicale mutamento nel regime terriero. Nel 1966, e poi di nuovo nel 1968, fu presentato al parlamento un progetto di legge che avrebbe dovuto modificare decisamente i rapporti fra proprietario terriero e fittavolo, con disposizioni a favore di quest'ultimo; ma il piano, rigettato la prima volta, successivamente fu lasciato in disparte. Nel 1967 una nuova disposizione apportava innovazioni nella tassazione, assoggettandovi il prodotto agricolo e abolendo altri privilegi gravanti sulla terra a favore del proprietario, tra cui la corresponsione, in natura, del decimo del raccolto da parte del fittavolo; ma in pratica la disposizione non apportò vantaggi, anzi si risolse a danno del fittavolo, che continuò a corrispondere anche il decimo del raccolto al proprietario. Per di più, le terre in possesso della Chiesa etiopica, che sembra rappresentino il 28% circa della terra seminativa del paese, erano rimaste escluse dai nuovi provvedimenti.

Un'altra fonte di disagio politico-sociale e di continua spesa per l'erario si era creata con l'annessione dell'Eritrea, come provincia, nel 1962, allo scadere del decennio di federazione stabilito dall'ONU. L'annessione accrebbe le reazioni dei fuoriusciti eritrei, che reclamavano l'indipendenza di quel territorio; e presto un movimento clandestino per la liberazione dell'Eritrea (a un certo momento i movimenti sono divenuti due, tra loro in contrasto, il Fronte ora detto e il Movimento o Fronte popolare di liberazione, d'ispirazione marxista), era sostenuto da stati arabi (Siria, Iraq, Arabia Saudita, Yemen meridionale, Libia, ecc.), che lo rifornivano di mezzi finanziari e armi. La guerriglia in Eritrea, con le sue vittime, le distruzioni e i gravi danni anche alle popolazioni civili, ha costituito fino ad ora una causa di logoramento per le forze etiopiche, impegnate a reprimere l'attività "ribelle".

Anche nel settore dei lavoratori dipendenti, nelle aziende di stato o a controllo e partecipazione statale, si è cominciato con maggiore frequenza a usare lo sciopero come arma di rivendicazioni dei propri diritti, dopo che una disposizione del 1962 aveva riconosciuto ai lavoratori la facoltà di organizzarsi in sindacati, sebbene il governo vigilasse e controllasse tale attività per evitare manifestazioni contrarie alla situazione in atto, fomentatrici di possibili disordini (sciopero delle linee aree etiopiche nel 1964, fatto cessare d'autorità dal governo; sciopero nella tipografia "Brehànenná Salàm" nel 1966; scioperi negli zuccherifici di Wonǧì nel 1967 e nel 1969). Ovviamente tali scioperi, specialmente nel 1974, assunsero anche una colorazione politica.

Fu in questa situazione che nel febbraio 1974, a causa di eventi contingenti come l'aumento clamoroso del costo della vita per riflesso della crisi economico-finanziaria abbattutasi sul mondo intero nel 1973 e l'aumento del prezzo del petrolio, a cui si sommavano acuti disagi locali, scoppiarono i disordini che culminarono nella ribellione delle truppe in Eritrea, le quali, sotto il peso dei compiti loro affidati nella provincia, reclamavano miglioramenti economici e organizzativi. I disordini presto apparvero il movente occasionale per attuare un piano organico diretto a rovesciare il governo in carica. Nel febbraio il gabinetto dei ministri veniva esonerato dal sovrano, che nominava un nuovo governo esecutivo, il quale però non soddisfaceva né i militari né gli studenti dell'università, a causa, almeno apparentemente, della persona del primo ministro Endalkàččaw Makonnén, ritenuto partecipe degl'interessi della classe dirigente che si voleva estromettere dal potere. Il giorno del sabato santo, 13 aprile, il sovrano, nel tradizionale ricevimento a corte, annunciava la nomina a successore al trono del figlio ventiduenne dell'erede legittimo, Asfà Wasän, colpito da paralisi un paio d'anni prima: un atto fuori tempo, in un clima politico oramai in rapida evoluzione, certo espressione della deficienza di valutazione degli eventi in corso da parte del sovrano e della sua cerchia. Contemporaneamente, infatti, il comitato dei militari a capo del movimento di opposizione imponeva il rinnovo della Costituzione vigente, promesso dal sovrano medesimo nei giorni precedenti, secondo radicali principi, che sarebbero poi stati quelli proclamati nel settembre successivo, al momento dell'istaurazione del nuovo regime. Ancora nell'aprile, voluti dai militari, cominciarono i primi arresti di membri del passato regime, accusati di profitti illeciti, corruzione, malgoverno. I militari s'impossessarono quindi definitivamente del potere concreto dello stato e con oculata azione misero sotto custodia, arrestandoli gradatamente, tutti i personaggi di rilievo del precedente regime, pur facendo pubblica dichiarazione di fedeltà al sovrano Ḫāyla Sellāsē. Ma tra la fine dell'agosto e i primi del settembre 1974 una pubblica campagna di accuse contro la persona di quest'ultimo e la nazionalizzazione di imprese commerciali d'interesse della famiglia reale e, poi, dello stesso palazzo reale preludevano alla deposizione del sovrano, avvenuta formalmente il 12 settembre (giorno seguente al capodanno etiopico), e al suo immediato arresto, mentre a succedergli veniva designato il figlio, erede legittimo, paralizzato (come si è accennato) e residente fuori dell'E. per cure. Alla deposizione seguì una prima enunciazione di massima del programma del nuovo governo, che come principio aveva la creazione di uno stato socialista, la cui "filosofia" doveva riassumersi nel motto "Etiopia innanzitutto" (ityoṗyp̀ teqdv̄m, in amarico), preso a emblema di tutta l'azione rinnovatrice.

Il Comitato coordinatore delle forze armate, della polizia e della milizia territoriale assunse il 15 settembre il titolo di Consiglio militare provvisorio, o, più compiutamente, Consiglio militare amministrativo provvisorio, che però è stato presto sostituito, nell'uso corrente delle informazioni a stampa, da "Governo militare provvisorio". Aveva a capo un presidente e due primi vicepresidenti, e avocava a sé, collegialmente, le funzioni di capo dello stato, in attesa del nuovo re designato, Asfà Wasv̄n. Ma il 17 marzo 1975 la monarchia venne dichiarata decaduta e l'istituto incompatibile con l'E. socialista. Lo stesso 12 settembre 1974, inoltre, la costituzione dello stato, in vigore dal 1955, era abrogata perché contraria ai principi del nuovo stato e il parlamento disciolto, in quanto asservito al regime precedente e quindi in discordanza con i tempi nuovi. Il 22 novembre veniva ucciso il primo presidente del governo militare, generale Ammàn Mikaèl ‛Andòm, ed erano giustiziati sommariamente 29 personalità civili e 30 militari, tutti appartenenti al passato regime, accusati di aver complottato contro il nuovo regime.

Il governo militare è quindi passato all'applicazione del proprio programma, enunciato ufficialmente il 22 dicembre 1974, a 100 giorni dalla deposizione del sovrano. Sono seguite le nazionalizzazioni di banche, compagnie di assicurazione, industrie e imprese commerciali. Si è quindi dato mano (dicembre 1974), con molta solennità formale, a una campagna d'istruzione e indottrinamento della popolazione, che prevede l'impiego di 60.000 tra studenti e insegnanti, precettati e avviati a questo scopo nelle quattordici province etiopiche. Finalmente, nel marzo 1975, sono stati nazionalizzati tutti i terreni agricoli e si sta ora dando esecuzione a un programma di riforma agraria, basato sulla creazione di aziende agricole collettive di grande estensione e sulla concessione di lotti di pochi ettari a individui per coltivazione diretta. Mentre il nuovo govern0 militare s'impegnava all'attuazione dei propri piani di riforma, la lotta con i movimenti eritrei (due, come accennato) di liberazione si è fatta più accesa ed è sfociata, nel febbraio 1975, in un violento scontro aperto di guerra, che ha investito la stessa città di Asmarà, il capoluogo dell'Eritrea, con gravissimi danni per le persone e le cose. La situazione si è quindi calmata in un'attesa, da ambe le parti, di una tentata soluzione negoziata.

La Chiesa etiopica ha dato il suo appoggio ufficiale, per bocca del Patriarca, al nuovo governo militare subito dopo la sua costituzione, nel settembre 1974. Nel marzo 1975 in Addìs Abebà veniva tenuto un seminario per i rappresentanti del clero della città, nel quale uno dei due vicepresidenti del governo militare invitava la Chiesa ad adeguarsi alle nuove direttive politiche, rinunciando ai contrasti di religione e tenendo presente che il socialismo etiopico, ora inaugurato, e la religione sono tra loro conciliabili, avendo tale socialismo come sostegno la Bibbia e il Corano e dovendo le concezioni religiose illuminate e il progresso sociale ed economico procedere di pari passo. Il giorno della Pasqua etiopica, cadente il 4 maggio 1975 secondo il nostro calendario, l'articolo di fondo del locale giornale quotidiano, The Ethiopian Herald, in lingua inglese e d'indirizzo governativo, aveva come titolo "In cerca della verità" e poneva Cristo fra i fondatori delle grandi religioni, accanto a Confucio, Budda, Zoroastro e Maometto. Alla fine di questo articolo d'intonazione dottrinale ne seguiva un altro dal titolo "Alimentazione e igiene", con cui si condannava l'uso di consumare carne cruda (mangiata in enormi quantità proprio nella festività della Pasqua) come contrario alla salute. Per la prima volta, nella storia ufficiale dell'E. cristiana, l'illuminismo razionalista faceva il suo ingresso.

Quanto alla storia dei rapporti internazionali, l'E. ha continuato negli ultimi anni a mantenere e sviluppare le relazioni con tutti gli stati esteri, in particolar modo con quelli dell'Europa occidentale e con gli Stati Uniti, dai quali ha ricevuto continui cospicui aiuti finanziari per lo sviluppo economico e sociale del paese, oltre ad aiuti di carattere militare. Il nuovo governo militare salito al potere nel settembre 1974 ha confermato questa politica di amicizia con gli stati esteri, sottolineando in particolar modo i sentimenti amichevoli verso Kenia, Somalia, Sudan, Egitto. Più stretti diplomaticamente sono diventati i rapporti con gli stati indipendenti dell'Africa, specialmente dopo che nel 1963 l'E. fu scelta come sede dell'Organizzazione per l'unità africana. In questo campo, poi, particolarmente delicati sono stati, nel quindicennio in esame, i rapporti con gli stati confinanti della Somalia, del Kenia e del Sudan, che hanno dato luogo a vivacissimi contatti diplomatici bilaterali. Con il Sudan le relazioni divennero tese a causa del movimento di liberazione dell'Eritrea, che aveva le sue basi nel finitimo territorio di quello stato: vari accordi, tra il 1964 e il 1967, hanno avuto lo scopo di mettere fine a quell'attività, con impegno dello stato etiopico d'impedire, a sua volta, sul proprio suolo, l'organizzazione di azioni ostili da parte degli appartenenti al movimento d'insurrezione nel Sudan meridionale. Nella questione connessa con i problemi suscitati dal movimento anzidetto si è anche inserita quella relativa alla delimitazione dei confini tra i due stati nella regione del fiume Setit, sulla quale si è giunti a un accordo basato sullo statu quo. Con la Somalia, divenuta stato indipendente, l'indeterminatezza dei confini, riguardante essenzialmente la zona di nord-ovest, e in modo specifico l'Ogadèn, ha tenuto le relazioni in una continua tensione, che nel 1964 (febbraio-marzo) portò a gravi scontri armati soprattutto nell'Ogadèn, ai quali successero una tregua e il passaggio alle trattative diplomatiche, con la mediazione internazionale dell'Organizzazione per l'unità africana e di quella delle Nazioni Unite; la questione non è stata tuttavia risolta, e, dopo un periodo caratterizzato da un atteggiamento di reciproca comprensione, nel corso del 1977 la situazione si è fatta di nuovo tesa, giungendo, dopo la creazione della Repubblica di Gibuti (27 giugno), a un aperto conflitto con il Fronte di liberazione della Somalia occident., operante nell'Ogadèn, e appoggiato dalla Somalia. Le truppe del Fronte hanno conseguito notevoli successi spingendosi (genn. 1978) sino alle vicinanze di Haràr. Ma la controffensiva etiopica, sostenuta da soldati cubani e da un massiccio aiuto militare sovietico richiesto dal presidente del Därg col. Mangestù, ricacciava le truppe del Fronte entro i confini della Somalia (marzo 1978).

Bibl.: Per compiute informazioni si terranno presenti le seguenti opere: G. A. Lipsky (in collaborazione con W. Blanchard, A. M. Hirsch, B. C. Maday), Ethiopia - its people its society its culture, New Haven (USA) 1962; R. Greenfield, Ethiopia - A New Political History, Londra 1965; M. Perham, The Government of Ethiopia, ivi 1969, seconda edizione (ampliata); Ch. Clapham, Haile-Selassie's Government, ivi 1969; R. L. Hess, Ethiopia - The Modernization of Autocracy, Ithaca-Londra 1970; P. Schwab, Decision-making in Ethiopia. A study of the Political Process, Londra 1972; J. Markakis, Ethiopia. Anatomy of a traditional polity, Oxford 1974; P. Gilker, The Dying Lion. Feudalism and Modernization in Ethiopia, Londra 1975 (il più recente studio, che contiene un breve cenno sugli avvenimenti che hanno portato alla deposizione del svorano etiopico nel settembre 1974 e alla salita al potere del governo militare); B. Thomson, Ethiopia. The Country That Cut Off Its Head. A Diary of the Revolution, ivi 1975. Per la cronaca degli avvenimenti annuali, seguiti nel loro svolgersi progressivo, dal 1964 si dispone di una fonte pregevole, lo Africa Research Bulletin, mensile, suddiviso nelle due serie Political Social and Cultural Series e Economic Financial and Technical Series, pubblicato a Exeter (Gran Bretagna). Si possono aggiungere il quindicinale Africa Confidential, Londra (fondato nel 1959), e i panorami annuali di Africa Contemporary-Record-Annual Surrey and Documents (il cui primo volume apparve nel 1969); utile per dati riassuntivi d'insieme anche il The Middle East and North Africa, soprattutto a cominciare dalla sedicesima edizione, comprendente gli anni 1969-70, Londra. Per la cronaca degli avvenimenti si veda altresì Africa (trimestrale) e La Voce dell'Africa (mensile), periodici pubblicati dall'Istituto Italo-Africano di Roma.

Per il movimento degli studenti universitari etiopici, in patria e all'estero, si troveranno notizie anche in un opuscolo-libello di Hosea Jaffe (ma nella pagina interna: "Da un 'collettivo' di studenti etiopici, a cura di Hosea Jaffe"), La fine della leggenda: l'Etiopia, Milano 1971, pp. 55-69. Sui movimenti per la liberazione dell'Eritrea si veda anche R. Lobban,Eritrean Liberation Front: a close-up view (map. photographs), Pasadena, California 1972-73.

Letteratura. - La letteratura d'ispirazione tradizionale ha quasi oramai lasciato il posto a una produzione nuova, suggerita dall'Occidente europeo, la quale continua a esprimersi di massima in lingua amarica, che è la lingua ufficiale dello Stato, mentre la lingua tigrina ha un impiego molto più limitato, per dissuasione anche della situazione politica locale. Con il rinvigorirsi di una consapevolezza sempre più accentuata della necessità di autonomia di espressione e di contenuto, sulla quale certamente sta avendo il suo peso l'accesa spinta verso la coscienza di una personalità letteraria in proprio nell'ambito della rivendicazione di un panafricanismo totale, messa in campo da nuove generazioni di studiosi e letterati africani fortemente occidentalizzati, la produzione in lingua amarica di questi ultimi quindici anni si è andata espandendo, sebbene non come avrebbe forse potuto, sia per causa delle scarse disponibilità dei mezzi di stampa e finanziari e sia anche per remore di ordine politico, riassunte nella censura preventiva.

Più facile questa espansione è stata nel campo che si potrebbe cominciare a chiamare giornalistico, sebbene ancora non sia agevole stabilire una fondata demarcazione fra produzione letteraria propriamente detta e letteratura quotidiana d'informazione si riesce oramai a riconoscere una prosa cronachistica e saggistica di argomento politico-sociale e sportivo, grandemente influenzata, anche linguisticamente (lessico ed espressione concettuale), dal corrispondente settore della stampa e pubblicistica occidentale, e ciò per l'accrescersi della stampa quotidiana e periodica e dei servizi d'informazione trasmessi dai mezzi audiovisivi. In questo campo, con l'ascesa al potere (settembre 1974) del govenno militare socialista, la conseguente immediata propaganda, affidata a tutti i mezzi d'informazione pubblica, per spiegare minutamente e insistentemente il significato delle teorie socialiste, ha fatto sentire la necessità di coniare rapidamente una intera nuova terminologia e fraseologia, con cui esprimere i nuovi principi, prima assenti dalla tematica politico-sociale etiopica. La coniazione dei nuovi termini lessicali segue peraltro lo schema consueto, quello di ricorrere alla lingua letteraria antica (ge'ez) ogni volta che si creda impossibile trovare il corrispondente nell'amarico (o nel tigrino, nella prosa d'informazione in questa lingua).

A questa produzione in prosa se ne affianca spesso una in rima, la quale, al contrario, è più incline ai moduli compositivi e concettuali di schietta tradizione locale. Va infine notato che il nascere e svilupparsi di interessi e studi scientifici sta lentamente conducendo alla formazione di un altro tipo di prosa, diverso per lessico e impostazione sintattico-espressiva, ispirata a quella dell'Occidente.

Nel campo più propriamente letterario la produzione ha continuato nei modi e tipi già affermatisi negli anni precedenti, con una preferenza spiccata per la trattazione di argomenti di un certo contenuto sociale (matrimonio, libertà femminile, ecc, visti fra la tradizione e la modernità), la quale ha il suo movente primo nella visione tradizionale dell'individuo concepito unicamente come membro ed espressione degli atteggiamenti tradizionali etici della comunità. Perciò molta di questa produzione conserva spesso un tono di serietà aggrondata e quasi imperativa.

Si può dire che, per regola, nell'opera letteraria non si rinviene il personaggio con una sua fisionomia umana individuale, sibbene la personificazione di un tipo sociale. Ciò è percettibile con immediatezza nell'opera teatrale, il cui sviluppo è nella pratica favorito anche dal continuo uso che ne viene fatto dai mezzi audiovisivi.

Solo in pochi casi ancora l'autore, quando per la sua particolare natura abbia meglio assorbito la sensibilità estetica dell'Occidente, riesce a svincolarsi da questa impostazione etica e artistica che potrebbe qualificarsi come comunitaria per sollevarsi alla configurazione di personaggi-individui a tutto tondo, esprimenti accenti di un'umanità più intima e consapevole di se stessa. Tra questi letterati spiccano due tra i più lodati dell'E. attuale: Mangestù Lammā, e Saggāyē Gäbrämädhén; il primo, autore specialmente di opere per il teatro, a cui lo spinge una congeniale propensione, sa trasferire su un piano umano universale i problemi sociali più tradizionali, raggiungendo autentici effetti d'arte per una sua misura creativa, sostenuta da agilità e freschezza di stile; il secondo, autore spiccato di opere di teatro, è più portato a sviluppare, su un piano di validità artistica e usando una consumata perizia letteraria, una problematica filosofico-intimista, sempre drammatica, con un tono che in nuce rispecchia quello del letterato etiopico tradizionale, uso al sermoneggiare (un pericolo che lo Saggāyē non riesce del tutto a evitare). Si aggiunga al piglio già grave l'uso del mezzo espressivo più solenne e aulico della tradizione letteraria, la versificazione. Lo Saggāyē ha prodotto anche composizioni teatrali direttamente in lingua inglese, ma di soggetto etiopico, pur se fantasticamente travestito.

L'altro filone in cui la produzione letteraria si estrinseca è quello del racconto, di regola lungo, ma che non può dirsi vero romanzo. Innato è il gusto del narrare, ma l'autore etiopico è soggetto a una facile indulgenza verso l'abbondanza o anche la prolissità, pur se essa appare soprattutto tale al lettore europeo, mentre all'ambiente locale la qualità può piacere come espressione di un gusto comune per la colorita cronaca colloquiale. In questi ultimi anni non può dirsi che sia emerso alcunché di alto merito in questo settore. Va invece notata negli autori più recenti una graduale maggiore scioltezza nell'articolazione dello scritto, segno di un'acquisita libertà artistica sempre più pronunciata, disincagliata da certe pastoie imposte da moduli concettuali ed espositivi ancora troppo legati ai modi d'intendere la narrazione secondo i canoni tradizionali di un finalistico moraleggiare sentenzioso. Questi non hanno peraltro perduto ogni traccia, poiché tuttora riafiora non di rado l'andamento didascalico-normativo anche dove più costante appare l'affrancamento dai vecchi schemi.

Nel quadro della narrativa ha il suo posto anche quella con fini più scopertamente politico-sociali, rimasta sempre in ombra per non incorrere nei rigori della censura, ma che ha avuto un suo momento di libera circolazione recentemente (1974-75), in connessione con gli eventi che hanno portato a rivolgimenti politici nel reggimento del paese. Da anni un posto di distinzione viene riconosciuto, in questo genere, ad Abiē Gubeñā, fecondo produttore di opere come ogni buono scrittore etiopico tradizionale, il quale soprattutto raccomanda la sua reputazione di scrittore politico, satirico e critico al racconto Alewwàlladem ("Non voglio nascere"); qui peraltro l'allegoria politica è talmente evidente e condotta con un tono talmente didascalico da far ricadere l'opera nel solco meno felice della narrativa tradizionale.

Infine la poesia non annovera produzione degna di particolare nota; lo Abiē su ricordato, in polemica con l'Occidente, ha voluto dimostrare, dandone esempio, che la versificazione etiopica ha una sua ricchezza e flessibilità tali da poter esprimere ogni atteggiamento dell'animo.

La letteratura tigrina, sia giornalistica che propriamente d'impegno letterario, si muove sullo stesso piano di quella amarica contemporanea, di cui si è finora discorso, pur con le differenze di tono che sono dovute sia alla lingua che all'atteggiamento etico ed estetico dell'ambiente tradizionale tigrino, con le peculiarità che lo diversificano dall'altro. La ristrettezza di produzione, dovuta a circostanze esterne, impedisce la naturale fioritura di opere attraverso la quale si giunge alla creazione di pregio. Un recentissimo racconto lungo, Mārqosp̀y - waynì mes hembāsp̀y ("Marchetto - vino e pane mio", Asmara 1973), opera di un Abbp̀ Yisḥàq Gäbrä Iyäsùs (nome sotto cui si cela un frate cappuccino, emerito filologo e letterato, eritreo), si rifà alla storia di Marcellino pane e vino della pellicola cinematografica, proiettata in Asmarà in italiano (e nel tigrino l'assonanza delle due parti del titolo vuole ripetere quella dell'originale), per dipanarsi in una narrazione di fine educativo, che si distingue per la forbitezza e la ricchezza della lingua e per l'impasto del racconto, il quale attinge accortamente a espressioni anche poetiche della tradizione orale, conseguendo effetti vitalizzanti per il lettore locale.

Bibl.: E. Cerulli, La letteratura etiopica, con un saggio sull'Oriente Cristiano, Firenze 19683; L. Ricci, Lettearture dell'Etiopia, in Storia delle letterature d'Oriente, I, Milano 1969, pp. 803-911 (indice dei nomi in fine del volume); A. S. Gérard, Four African Literatures Xhosa, Sotho, Zulu, Amharic, Berkeley-Los Angeles 1971, pp. 271-376 (pp. 430-40 bibliografia di opere letterarie in amarico); Th. L. Kane, Ethiopian Literature in Amharic, Wiesbaden 1975; id., Muslim Writers in Amharic, in IV Congresso Internazionale di Studi Etiopici (Roma, 10-15 aprile 1972), I, Roma 1974, pp. 717-26; id., Arabic translations into Amharic, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, XXXVII, 3, Londra 1974, pp. 608-27; Tasfāyē Gässäsä, Av̌er ya'ityoṗyā tiyatér ṭenāt kamaǧammariyaw eska kabbada mikä'ēl ("Breve studio sul teatro in Etiopia, dagl'inizi a Käbbäda Mikä'ël"), in Proceedings of the Third International Conference of Ethiopian Studies - Addis Ababa 1966, II, Addìs Abebà 1970, pp. 302-15 (in amarico); Yoftähē Nŭgusie, Yāmārĭñp̀ tiyātér darāsyān ("Gli autori di opere teatrali in amarico"), ibid., pp. 316-28 (in amarico); Mangestù Lammp̀, Yati̯ēyater dersät - yāṣṣāṣāfu blehāt ("L'opera teatrale: arte del comporla"), Asāttāmiw ya'ityopyā dersv̄t māhbär (pubblicata dalla Società letteraria d'Etiopia), Addìs Abebà 1964 a. g. [= 1971-72] (in appendice, la versione, brillante e tutta etiopica, ad opera del Mangestù, di L'Orso di A. Čechov, il cui titolo in amarico è Dāndi̯èw v̌abudiè (= Il bruto V̆abudiè [= "pigliatutto"]).

Si consultino anche i seguenti periodici: Ethiopia Observer, Londra e Addìs Abebà, anno 1956 segg. (prima mensile, poi trimestrale; in inglese, di regola); Journal of Ethiopian Studies (precede il titolo in amarico), Addìs Abebà, anno 1963 segg. (semestrale, plurilingue); Ethiopian Publications - Books, Pamphlets, Annuals and Periodical Articles, ivi, anno 1965 segg. (irregolare).

Archeologia. - Preistoria. - Nella bassa valle del fiume Omo, a circa 30 km a N del lago Rodolfo, una missione paleontologica internazionale (all'inizio francese-inglese, dal Kenia-statunitense; subito dopo, solo francese-statunitense) ha individuato giacimenti che possono farsi risalire a più di 2 milioni di anni addietro e che mostrano la presenza di ominidi producenti manufatti litici; il lavoro, cominciato nel 1967, ha dato i suoi maggiori risultati nel 1973. Un sito di tipo olduvayano, con larga messe di manufatti e residui animali, verisimilmente resti di consumazione di carne da parte degli ominidi che abitarono a lungo il luogo dando a questo chiaramente una organizzazione artificiale nella sua topografia (creazione anche di un riparo coperto?) è Malkà Qunṭurrè, circa 50 km a SO di Addìs Abebà, presso le rive del fiume Awàš, dove i lavori, iniziati nel 1965, procedono tuttora, a cura di una missione francese. Nella provincia etiopica del Wallò, a NE di Addìs Abebà, una missione franco-statunitense ha scoperto nel 1974 resti umani probabilmente risalenti a più di 3 milioni di anni fa; sono le vestigia di fossili umani più antiche finora scoperte. Nella stessa regione, non lontano dal centro urbano di Däsiè, il rinvenimento, nella stessa epoca, di altri resti fossili databili a 3 o 5 milioni di anni fa starebbe a testimoniare un'esistenza dell'uomo cinque milioni di anni orsono, cosa del tutto nuova per la scienza paleontologica umana. Anche l'arte rupestre (pitture, incisioni, bassorilievi) si è arricchita di numerose altre scoperte, specialmente in Eritrea e poi anche nella regione di Harar-Dirrè Dawà. Di particolare importanza è il ritrovamento, del 1965, nella regione del Sidamo (E. meridionale), di una serie di bassorilievi rupestri, realizzati circoscrivendo e ribassando il fondo di superficie, che rappresentano vacche isolate o disposte in serie successive, alcune delle quali sovrapposte a mo' di registro. La tecnica e lo stile, sicuri e accurati, sono nuovi per l'E., come nuovo è il prodotto, anche se qualche addentellato tipologico potrebbe trovarsi in figurazioni animali di pitture rupestri pure rinvenute in Etiopia.

Altre scoperte di incisioni rupestri, insieme con insediamenti e manufatti, sono avvenute in Dancalia centrale nel 1968. Dal 1969 una missione francese ha dato l'avvio allo studio sistematico dei monumenti di tipo "dolmen" (o ciste dolmeniche) esistenti nella regione di Harv̄r, d'incerta attribuzione e definizione. Accanto ai "dolmen", la stessa missione ha portato la sua attenzione su tumuli caratteristici, aventi diversi tipi di struttura interna (monumenti a camera circolare, ecc.). La missione archeologica francese presso l'istituto etiopico di archeologia ha intanto ripreso, nel 1974, l'individuazione e la catalogazione in loco delle stele scolpite nella regione dei Soddò e Guragè, altro esempio di monumenti singolari la cui età e attribuzione storica restano ancora un mistero.

Storia: antichità precristiane e cristiane antiche. - Assai proficuo e ricco di ritrovamenti è stato il lavoro di ricerca e scavo effettuato nell'E. del nord, quasi esclusivamente nel Tigrai. Per di più, ricognizioni archeologiche condotte soprattutto dalla missione francese presso l'istituto etiopico di archeologia, hanno portato alla luce insospettati antichi resti su molta parte dell'E. settentrionale e anche centro-orientale. Rinvenimenti casuali, ma più spesso ricerche e scavi sistematici, hanno fruttato largo materiale di resti architettonici e di sculture di epoca sudarabica, come mostrano le iscrizioni. Particolare rilievo ha la statuaria in pietra: due statue, di persone sedute, di diversa foggia e stile, sono state rinvenute l'una nella zona di Sen‛afè (Eritrea) e l'altra in quella di Haultì, subito a SE di Aksùm, dove è stata rinvenuta, presso la statua, anche un'edicola con bassorilievi sui lati esterni e sulle tre facce della cornice, accompagnati da una parola incisa in caratteri sudarabici 'antichi'.

Queste sculture appaiono di particolare importanza poiché mostrano tipi e tecnica del tutto originali rispetto ai consimili monumenti sudarabici d'Arabia. Inoltre, i reperti di Haultì, insieme con altri (statuette di bovini, altari, ecc.) provenienti dal vicino centro di Melazò, confermano che Aksùm giaceva in una zona di sicuro e notevole insediamento sudarabico. Lo provano pure altri ritrovamenti a pochi km a SO di Aksùm, in località Seglamièn, donde provengono un'iscrizione dedicatoria su pietra in caratteri sudarabici 'antichi', rinvenuta nel 1973, e quello che probabilmente è un sigillo sudarabico in bronzo, rinvenuto in scavi del 1974. Non lontano da Aksùm è Yehà, dove dal 1960 a oggi la missione francese predetta ha condotto scavi, portando alla luce una quantità di materiale vario, tra cui notevoli resti di ceramica e sigilli (?) in bronzo e pietra (con scrittura sudarabica in cifra), cominciando a liberare un gruppo di rovine che vanno rivelandosi come un complesso monumentale di singolare imponenza e struttura.

Della Aksùm di epoca postsudarabica (di un'Aksùm sudarabica non vi sono finora prove archeologiche, ma centri sudarabici esistettero tutt'intorno, fino alle porte della città posteriore) gli scavi presso il centro attuale, e specialmente all'interno di esso, hanno rivelato una serie sorprendente di monumenti ipogei, che confermano la grandiosità dell'insieme architettonico dell'antica città. Sotto questo rispetto, eccezionali risultati hanno coronato gli scavi che, dal 1973, sta conducendo una missione del British Institute in Eastern Africa di Nairobi (Kenia) al centro (in particolare nella zona delle grandi stele) e alla periferia di Aksùm, portando alla luce un copiosissimo corredo archeologico (ceramica, vetri, metalli, ecc.): monumenti e resti che si propende a collocare in epoca cristiana e anche tardocristiana, ma il cui inquadramento cronologico andrà fatto più in là. Fuori di Aksùm, alla sua immediata periferia, la missione archeologica francese aveva già messo alla luce nel 1966-1968 una complessa costruzione (castello?) e, attraverso sondaggi nel suolo, aveva potuto accertare che l'antica città si estendeva verso O, aldilà dell'insediamento odierno. Altro sito di notevole importanza si è rivelato a una ricognizione, quello di Henzat, pochi km a S di ‛Adwà (Adua) e non molti a E di Aksùm, dove una quantità di stele lavorate (una anche con una lunga iscrizione in caratteri etiopici non vocalizzati), prova l'esistenza di un importante insediamento almeno del periodo postsudarabico antico. Ancora ad Aksùm, poi, recentissimi scavi del 1974 hanno messo alla luce nella sua interezza un complesso edilizio, sito a O-NO della città attuale e sull'altura che da quella parte la sovrasta, quasi certamente i resti - gli unici finora conservati - di una o due chiese cristiane, di tipo basilicale (?), di architettura anticoetiopica, con impiego di grandi blocchi di pietra lavorata. Poco più a NO di questo complesso è stato rinvenuto un campo di stele, alcune di misure notevoli e lavorate, altre più rozze, ed ancora erette in qualche caso, sotto le quali è stata rinvenuta una ricca messe di ceramica a pareti sottili, di tipo 'antico', e figurine fittili. Accanto al campo di stele, poco più a S, su un masso sono state osservate tipiche tacche per il distacco delle stele dalla pietra viva (altro simile reperto era stato già rinvenuto poco più a E di questo), con accanto incise parole in caratteri etiopici antichi non vocalizzati. In tutta quest'area, poi, frequenti sono i ritrovamenti occasionali di monete etiopiche antiche, di epoca anche non cristiana.

Appartenente alla stessa civiltà etiopica postsudarabica appare il vario e ampio insieme di costruzioni residue portate alla luce, in successive campagne a cominciare dal 1959, dalla missione francese a Matarà (Eritrea), unitamente a un assai ricco e significativo corredo di manufatti, fra cui grande quantità di ceramica. L'insieme della ceramica venuta fuori dai vari siti ha permesso di dare inizio a una prima classificazione di tipi e caratteristiche in relazione ai vari strati archeologici di provenienza, nella speranza di raggiungere una sistemazione cronologica qualitativa, atta a servire di ausilio per la datazione relativa dei monumenti. In Eritrea, dove la fascia di vestigia archeologiche sudarabiche e non sudarabiche da Sen‛afè al mare attende ancora un'indagine sistematica, per il momento non attuabile (solo in Adulis la missione francese ha condotto scavi iniziali), degna di nota è la presenza, rivelatasi a più riprese, di una quantità di siti con abbondante materiale litico e fittile in superficie, preistorico e forse storico insieme; molti di tali siti si trovano nella zona della città di Asmarà. Nessuno è stato regolarmente scavato o sottoposto, almeno, a saggi sistematici. Tra il materiale reperito recentissimamente s'impongono all'attenzione una serie di piccoli bucrani più o meno schematici, lavorati, in pietra anche variegata, con voluti effetti cromatici, che costituiscono un prodotto nuovo nel settore dei manufatti archeologici finora venuti alla luce e che fanno supporre l'esistenza di una o più officine artigianali al servizio di un diffuso impiego di tali oggetti.

Va infine segnalata la scoperta nello Scioa, sull'altipiano a E di Addìs Abebà, di resti di costruzioni eseguite con notevole perizia tecnica e con materiale in pietra lavorato e decorato a bassorilievo, rappresentanti motivi floreali e geometrici stilizzati.

Lo scavo effettuato in uno di questi siti nel 1973 (sulle pendici SE del monte Yerèr, a circa 60 km da Addìs Abebà) ha messo in luce i resti di un edificio, forse una chiesa a pianta basilicale, nella cui struttura apparivano reimpiegati materiali di riporto da un edificio più antico, costruito con grandi blocchi squadrati e lavorati, forniti di modanature, richiamanti per tipo quelli degli edifici dell'antica civiltà etiopica: forse un insediamento di epoca lontana, continuato fino alle soglie dell'epoca neoetiopica (dal 14° secolo circa in poi).

Ricco è il numero delle monete etiopiche rinvenuto un po' dappertutto negli scavi e nei sondaggi; una grande quantità ne viene ritrovata di continuo in superficie nella zona d'insediamento di Aksùm, portata alla luce da lavori agricoli del suolo o dalla corrosione delle piogge; di un caso si è avuto già occasione di fare cenno qui sopra. Assai numerose le iscrizioni, ma per lo più in frammenti, oppure assai brevi, venute alla luce un po' dovunque: in sudarabico monumentale o tendente al corsivo o corsivo completamente e in etiopico antico, non vocalizzato e vocalizzato.

Di particolare interesse sono alcune centinaia di brevi iscrizioni, incise occasionalmente sulla roccia viva e sparse per la campagna, nella regione dell'Akkelè Guzài (Eritrea), in luoghi del Qohaitò e nelle vicinanze, redatte in caratteri sudarabici corsivi o in antico etiopico (non vocalizzato) pure esso corsivo, pubblicate finora solo in parte (una buona quantità sarà prossimamente edita da chi scrive questa nota), che attestano l'esistenza di una fitta zona d'insediamento e di transito nella regione, mentre per altro verso testimoniano largamente il passaggio dalla scrittura sudarabica corsiva all'etiopica.

L'importanza delle iscrizioni rinvenute in questi anni sta infatti anche nel loro contributo all'antica epigrafia sudarabica di E. ed etiopica. Di grande rilievo inoltre sono, fra le iscrizioni a testo più ampio, alcune rinvenute ancora ad Aksùm (anni 1968-69), che vanno ad aumentare il numero di quelle ritrovate già nel passato nello stesso luogo. La loro scoperta è causale, il che impedisce di collegarle con un preciso sito archeologico. Sono di notevole lunghezza, come le altre già note, e redatte una in greco e tre in caratteri sudarabici tardi fioriti. Incise su lastra di pietra, hanno tenore annalistico, riferite come pare al re: per quanto sembra dedursi dall'interpretazione datane dagli editori, esse riguardano, infatti, i re Ezana, Kaleb e W'RS, figlio del precedente: quella in greco sembra riguardare una spedizione guerresca contro i Noba, e appare munita di un preambolo di attestazione della fede cristiana; le altre tre in caratteri sudarabici sono purtroppo molto danneggiate in più parti e ben poco l'editore ha potuto trarre dal loro testo.

Gli anni dal 1963 in poi sono stati caratterizzati da un'altra sorprendente scoperta: nel Tigrài centro-orientale veniva segnalato e poi visitato e studiato un numero insospettato (oltre cento) di chiese scavate in roccia, di cui solo qualche esemplare, che pareva isolato, era noto fino ad allora. Si tratta di un patrimonio architettonico di prim'ordine, che fa riconnettere questi monumenti alla tradizione dell'antica architettura cristiana etiopica e mette assai più in chiaro l'ambiente storico entro cui poterono essere create le chiese monolitiche di Lalibelà. Come epoca, si ha motivo di ritenerle attribuibili, di massima, al periodo compreso fra il 6°-7° e il 12° secolo all'incirca. Le chiese ora menzionate contengono anche pregevolissime pitture parietali, che sono dei veri cimeli della più antica arte pittorica etiopica e vanno a collocarsi accanto a quelle dei più antichi manoscritti illustrati, di cui il più vetusto è stato forse scoperto nella regione di ‛Adwà, nel Tigrai, verso il 1960, e contiene un'illustrazione dei Canoni di Eusebio, che si rifà a prototipi siriaci e dové essere stata eseguita in E. in epoca assai lontana. Quanto al complesso delle chiese monolitiche di Lalibelà, già menzionato, si ricorda che nel 1966-1967 fu iniziato un restauro con l'intervento finanziario dell'International Fund for Monuments di New York (SUA) e con la direzione tecnica di architetti e tecnici italiani. In questo quadro di ricerche archeologiche va anche ricordata, a parte, la costante attenzione rivolta a resti di monumenti e iscrizioni musulmane di epoca antica: nell'E. centrale, stele con iscrizioni funerarie; stele funerarie con iscrizioni, provenienti dalle isole Dahlak o ancora in situ (queste ultime, nella necropoli di Dahlak Kebir, oggetto di una ricognizione italiana sul luogo nel 1972), iscrizioni attribuibili ai secc. 4°-6° dell'Egira (= 10°-13° dell'era cristiana).

Bibl.: Per un'esauriente informazione su quanto si è appena accennato nella breve rassegna qui sopra, basterà consultare le seguenti pubblicazioni: Annales d'Ethiopie, Parigi 1955 segg. (dal vol. VIII [1970] stampata in Addìs Abebà); Documents pour servir à l'histoire des civilisations éthiopiennes, [Parigi], 1970 segg. (finora usciti 5 fascicoli, ciascuno dei quali contiene anche un'appendice bibliografica e un notiziario succinto); Rassegna di Studi Etiopici, Roma 1941 segg.; Il Bollettino, Asmara (usciti solo tre volumi: 1953, 1957, 1963); Journal of Ethiopian Studies, Addìs Abebà 1963 segg. (semestrale; rari gli articoli di soggetto archeologico); Bjēta maṣāheft wamazakker'ennā yaarkēwoloži masriyā bi̯èt, i) Baadwā awrāgā yatagañu yatārik qersoč, ivi 1959 (in amarico, sui ritrovamenti di Haultì e Melazò); J. Leroy, L'évangéliaire éthiopien du couvent d'Abba Garima et ses attaches avec l'ancien art chrétien de Syrie, in Cahiers Archéologiques, Parigi 1960, pp. 131-43; J. Leclant, Le Musée des Antiquités d'Addìs-Ababa, in Bulletin de la Société d'Archéologie Copte, II, Cairo, XVI (1962), pp. 289-304; G. Bailloud, Les giemnts paléolithiques de Melka-Kontoure, in Cahiers de l'Institut Ethiopien d'Archéologie, 1; Addìs-Abebà 1965; G. Gerster, Kirchen im Fels - Entdeckungen in Äthiopien, Stoccarda 1968 (con collaborazione di vari studiosi; sono seguite edizioin in francese, inglese, italiano; quset'ultima: L'arte etiopica - Chiese nella roccia, Settimo Milanese 1970); Tewelde Medhin Josef (Abbà), Introduction génerale aux églises monolithes du Tigraï, in Proceedings of the Third International Conference of Ethiopian Studies, Addis Ababa 1966, I, Addìs Abebà, giugno 1969, pp. 83-98; F. Anfray, A. Caquot, P. Nautin, Une nouvelle inscription grecque d'Ézana, roi d'Axoum, in Journal des Savants, Parigi 1970, pp. 260-74; R. Plant, D. R. Buxton, Rock-hewn Churches of the Tigre Province, in Ethiopia Observer, XIII, 3, Addìs Abebà [1970], pp. 158-267; Ya'ityoṗyā nŭgusa nagast mangest - yaṭentāwi tārikāwi qersoč astadādar, Yatārik qers madabañā sefrāwoč: Omo, Malkā Qunṭure, Yaḥa, Aksum, Maṭarā, Adulis ("Siti archeologici di primo piano: Omo..."], ivi 1970 (in amarico); D. R. Buxton, The Rock-hewn and Other Medieval Churches of Tigré Province, Ethiopia, in Archaeologia, CIII, Oxford 1971; F. Anfray, L'archéologie d'Axoum en 1972, in Paideuma - Mitteilungen zur Kulturkunde, XVIII, 1972, pp. 60-78; C. Lepage, Découverte d'un art étonnant - Les églises éthiopiennes, in Archeologia - Trésors des âges, 64, Parigi, nov. 1973, pp. 45-58; F. Anfray, Deux villes Axoumites: Adoulis et Matara, in IV Congresso di studi Etiopici (Roma, 10-15 aprile 1972), I, Roma 1974, p. 745-65; L. Ricci, Scavi archeologici in Etiopia, in Africa, XXIX, 3, ivi 1974, pp. 435-41; R. Schneider, Trois nouvelles inscriptions royales d'Axoum, in IV Congresso Internazionale di Studi Etiopici (Roma, 10-15 aprile 1972), I, ivi 1974, pp. 767-86; C. Lepage, L'église de Zaréma (Ethiopie), découverte en mai 1973, et son apport à l'histoire de l'architecture éthiopienne, in Comptes rendus des séances de l'Académie des Inscriptions et Belles Lettres, Juillet-Octobre 1973, [Parigi] 1974, pp. 416-54; R. Pankhurst, A cave church at Kistana, south of the river Awash, in Ethiopia Observer, XVI, 2, Addìs Abebà [1974]; G. Oman, La necropoli islamica di Dahlak Kebir nel Mar Rosso, in Africa, XXIX, i, Roma 1974, pp. 43-51; id., La necropoli islamica di Dahlak Kebir (Mar Rosso). [I vol.] Le epigrafi del Museo civico di Modena; [II vol.] Epigrafi del Museo Ferdinando Martini di Asmara, Napoli 1976. Per i restauri a Lalibelà si veda: Lalibela - Phase I, Adventure in restoration, New York 1977 (ma stampato a Bergamo, Italia).

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