Etruschi

Dizionario di Storia (2010)

etruschi


Antica popolazione abitante le regioni dell’Italia centrale (Toscana, Lazio settentrionale e buona parte dell’Umbria). Noti nell’antichità con i nomi di tyrsenoi o tyrrhenoi in greco (da cui «tirrenico»), tusci o etrusci in latino (da cui Toscana), nella loro lingua essi si denominavano rasna.

Origini

Fin dall’antichità l’origine degli e. era considerata un enigma. Dal punto di vista etnico essi si distinguevano nettamente da tutte le altre popolazioni dell’Italia preromana: la loro lingua non era indoeuropea. Ciò portò alla formulazione di teorie disparate sulle origini di questo popolo, volta a volta rappresentato come di derivazione micrasiatica, giunto in Italia a seguito di un mitico capostipite Tirreno (è questa la tesi erodotea), autoctono (Dionigi di Alicarnasso), ma anche proveniente dall’Europa centrale (Tito Livio). La moderna ricerca storica e archeologica preferisce ormai porre su basi diverse la questione dell’etnogenesi etrusca. Si riconoscono infatti elementi di verità in tutte e tre le tradizioni sopra accennate: l’influenza micrasiatica appare innegabile in molte manifestazioni artistiche etrusche; la trasformazione di popolazioni autoctone riferibili come villanoviane appare molto probabile; la scoperta in alcune isole dell’Egeo al largo delle coste della Tracia di iscrizioni molto antiche scritte in un idioma simile all’etrusco rendono possibile una migrazione per via di terra. La soluzione oggi proposta non è più quella di una semplice migrazione, bensì quella di un complesso processo di acculturazione, dove gli influssi orientali sono meglio spiegati tramite contatti commerciali già molto antichi, mentre la facies culturale etrusca sarebbe il risultato della trasformazione subita dalle culture delle popolazioni locali, in particolare i villanoviani, grazie all’afflusso di nuove culture celtiche provenienti dal Nord. Questa primordiale mescolanza di culture differenti avrebbe quindi dato luogo a una nuova civiltà, quella etrusca, mutuamente influenzata dal contatto con le popolazioni vicine, fino a costituire quella che è stata chiamata da due grandi studiosi dell’Italia preromana, Massimo Pallottino e Santo Mazzarino, la «koinè etrusco-italica».

Storia

Le fonti per la storia degli e. sono tutte di ambito greco e romano, e non rivelano che pochi eventi significativi della storia di quel popolo. La struttura sociale prevalente tra gli e. era la città, che aveva caratteristiche sociali e organizzative per molti aspetti simili a quelle delle città greche. Questi nuclei demici principali non tardarono a riunirsi per formare entità di maggiore ampiezza, grazie alla creazione di numerose leghe. La più nota è la cd. dodecapoli etrusca o Lega dei dodici popoli. Come avveniva anche presso i greci e i latini, le leghe si costituivano attorno a santuari di particolare rilevanza, ma, al contrario di quelle, le leghe etrusche non andarono mai oltre una funzione meramente sacrale. La dodecapoli etrusca si riuniva attorno al Fanum Voltumnae, nei pressi di Volsini, e comprendeva le città di Vulci, Volterra, Volsini, Veio, Vetulonia, Arezzo, Perugia, Cortona, Tarquinia, Cere, Chiusi e Roselle. L’inefficacia politica di tali organismi sovracittadini nel mondo etrusco è testimoniata dal fatto che quando Roma conquistò Veio, dopo una guerra decennale, nessuna città etrusca della Lega le venne in aiuto. Il periodo di massimo rigoglio politico di questa civiltà iniziò nell’8° sec. a.C. con una espansione inarrestabile che portò al controllo politico di tutta la costa laziale e campana. Il 6° sec. a.C. è quello in cui la storiografia romana pone il dominio etrusco su Roma, tramite la tradizione relativa ai Tarquini e a Porsenna, mentre in Campania venne fondata Capua; tracce linguistiche e archeologiche sono riconoscibili anche a Pompei e a Salerno. A N dell’Appennino gli e. giunsero a occupare Felsina, Mantova, Adria, Spina, e a fondare la città di Marzabotto. Nel 540 a.C. gli e., assieme ai cartaginesi, vinsero una grande battaglia navale al largo di Alalia, in Corsica, contro una flotta greca (focese), mettendo fine all’espansione ellenica verso il Tirreno settentrionale. Con la fine del 6° sec. la parabola della potenza etrusca iniziò a mostrare i segni di un irreversibile declino. Nel 510-509 a.C. Roma si sottrasse all’influenza etrusca, rappresentata nella tradizione dai Tarquini, e pose le basi del nuovo ordinamento repubblicano, iniziando una politica aggressiva oltre la riva destra del Tevere, in territorio etrusco. La propaggine meridionale dell’Etruria – le città campane di Capua e Pompei – si trovarono quindi isolate dal resto delle città etrusche, relegate a N del Tevere, e furono perdute a partire dal 505, anno della battaglia di Ariccia, mentre nel 474 una flotta greca vendicò al largo di Cuma la sconfitta di Alalia. A partire dal 5° sec. il baricentro della civiltà etrusca si spostò tutto a N, mano a mano che si accentuò la pressione militare di Roma. Secondo la tradizione annalistica la prima guerra tra Roma e gli e. sarebbe divampata nel 483-474, con il celebre episodio del massacro dei Fabi al Cremera nel 477. La conquista della cittadina etrusca di Fidene sarebbe avvenuta a seguito della guerra del 428-425, mentre Veio venne conquistata da Roma nel 396, dopo una guerra decennale iniziata nel 405, dall’epico colorito troiano. La caduta di Veio portò all’alleanza con Roma di alcune città minori, come Nepi e Sutri, ma l’espansione romana verso N subì un arresto deciso per via della traumatica incursione dei galli di Brenno (390). Nel 356 cadde Tarquinia e Cerveteri ottenne la cittadinanza senza suffragio, mentre altri scontri si inquadrano all’interno della seconda guerra sannitica (326-304). Un estremo tentativo di resistenza (quasi unitario) contro Roma venne tentato alla fine della terza guerra sannitica, quando una grande alleanza di e., galli, sanniti, sabini e umbri sfidò apertamente le legioni nelle grandi battaglie campali di Sentino e di Perugia (295). La pace del 294 assoggettava di fatto l’Italia centrale a Roma, con i tributi che venivano versati alla città egemone da Volsini, Perugia, Arezzo e Cortona. L’assoggettamento dell’Etruria si compì nella prima metà del 3° sec. a.C., con la conquista di Volsini nel 264. Le propaggini settentrionali si sottomisero all’espansione romana senza opporre resistenza: la civiltà etrusca aveva oramai cessato di esistere come entità politica autonoma.

Società

Originariamente rette da re, a partire dal 5° sec. a.C. le città etrusche conobbero sempre più spesso costituzioni di tipo aristocratico. Numerose iscrizioni rendono noti i nomi di queste magistrature, purthi, zilath, maru corrispondenti agli edili, pretori e questori di Roma. Molte delle insegne del potere del re etrusco furono successivamente assunte nello Stato romano per designare il potere dei magistrati superiori, i consoli e i pretori: la corona d’oro, il trono d’avorio, lo scettro ornato da un’aquila, la tunica e il mantello di porpora intessuti d’oro, infine i littori, in origine guardie del corpo che accompagnavano sempre il re portando sulla spalla il segno della sua potestà di punire, cioè il fascio di verghe con la scure, che da loro si chiamò fascio littorio. Ognuno dei dodici re della lega etrusca ne aveva uno, e a Roma i consoli sarebbero stati preceduti ciascuno da dodici littori. Il re fondava il suo potere su una classe aristocratica di ricchi proprietari terrieri, che facevano coltivare le loro terre da masse di servi, praticamente privi di ogni diritto politico. Agli occhi dei greci due erano gli aspetti che maggiormente caratterizzavano la società etrusca: il ruolo che in essa aveva la donna – che, al contrario di quanto avveniva in Grecia, partecipava attivamente alla vita sociale – e lo strabiliante lusso che caratterizzava il modo di vita delle classi dirigenti, fortemente condizionato dall’importanza che in esso ricopriva il banchetto: molto spesso i defunti sono rappresentati sui coperchi dei sarcofagi come se stessero partecipando a un simposio, distesi sul caratteristico letto triclinare, che venne poi adottato dall’élite romana.

L’arte

L’arte etrusca è per noi soprattutto funeraria, poiché proviene da necropoli; particolarmente famose quelle di Cerveteri, di Tarquinia e di Chiusi, con le tombe sotterranee a camera, o quelle di Norcia, con le tombe a grotta. Molto meno note sono le città: se le tombe, nelle varie tipologie – a ziro (così si chiamava un grande orcio di argilla grezza che conteneva il vero e proprio vaso cinerario con le ceneri del defunto), a camera, a grotta – si sono conservate in gran numero, l’edilizia riservata ai vivi è sopravvissuta in modo molto sparso e casuale. Anche gli edifici di culto, costruiti quasi sempre con materiali deperibili, sono andati per lo più perduti. Dai pochi resti rimasti sappiamo che gli edifici civili e i templi avevano in pietra solo le fondamenta, mentre l’alzato era in mattoni crudi, in terracotta o in legno. I templi sorgevano su alti basamenti ed erano costituiti da una parte anteriore aperta e porticata, e da un’altra chiusa, per lo più divisa in tre celle tra loro non comunicanti, caratteristiche queste, che sarebbero rimaste in molti templi romani ancora in età imperiale. Il colonnato del portico era formato da colonne caratteristiche, dette tuscaniche, che, a differenza di quelle greche, erano lisce. Di questi templi si sono salvati soprattutto gli acroteri, per lo più in terracotta. Tutta l’arte etrusca, al contrario di quella greca, predilige la terracotta rispetto alla pietra: sia le statue sia i sarcofagi sono, in Etruria, per lo più in terracotta, anche se le raffigurazioni sono fortemente influenzate dall’estetica e dal gusto greco, seppure con forti connotazioni locali. Particolarmente caratteristica è la produzione di sarcofagi. L’evoluzione della ritrattistica è uno degli elementi che consente di seguire la lunga e complessa evoluzione dell’arte etrusca dalla fase arcaica a quella cosiddetta ellenistica. I visi passano dalla astratta espressività del Sarcofago degli sposi rinvenuto a Cerveteri (del 6° sec. a.C.) al crudo realismo dei sarcofagi di età ellenistica rinvenuti a Tuscania, addirittura umoristici nel mettere in risalto le imperfezioni e i difetti fisici dei defunti. Gli arredi funerari mostrano una società opulenta. Sono relativamente comuni le suppellettili d’oro, dalla splendida patera finemente istoriata rinvenuta a Palestrina alle tavolette iscritte in etrusco e in fenicio, testimonianza dell’alleanza che portò al trionfo di Alalia, rinvenute a Pyrgi (presso S. Severa), alla famosissima fibula della tomba Regolini-Galassi, opere conservate a Roma, nel Museo nazionale etrusco di Villa Giulia (che vanta la più imponente collezione di arte etrusca) o al Museo gregoriano-etrusco del Vaticano. Non sono rari nemmeno gli avori. La ceramica mostra il fortissimo influsso greco, anche se è possibile distinguere, sulle forme greche, una gran quantità di officine locali, con caratteristiche assolutamente originali: accanto a tipologie ceramiche marcatamente grecizzanti, ve ne sono altre nelle quali non è riscontrabile l’influsso greco, ma piuttosto un’originale derivazione dalla precedente cultura villanoviana: in particolare gli ossuari con coperchio conico rovesciato, le numerose tipologie di buccheri e canopi. La metallurgia raggiunse presso gli e. livelli eccellenti. Favoriti dalla buona disponibilità di materiale ferroso, gli e. furono in grado di sviluppare una tecnica straordinaria nella lavorazione dei metalli. Tra le maggiori manifestazioni dell’arte metallurgica etrusca si può annoverare la lupa in bronzo, alla quale, in ossequio alla leggenda di Romolo e Remo, vennero successivamente aggiunti i due gemelli nell’atto di succhiare il latte, conservata a Roma nei Musei Capitolini. La tradizione la attribuisce a un mitico artista di nome Vulca, che avrebbe importato le arti a Roma durante la monarchia dei Tarquini. Etrusca è anche la splendida statua in bronzo di un uomo togato, rappresentato con il braccio alzato in atto di parlare, il cd. Arringatore, trovata nei pressi del Lago Trasimeno e conservata nel Museo archeologico di Firenze, altissima testimonianza dell’ultima fase artistica della civiltà etrusca.

Religione

Come l’arte, anche la religione etrusca presenta un carattere curiosamente composito. Da una parte gli e. accolsero le figure divine e i miti della Grecia, come dimostrano abbondantemente i casi di Apulu-Apollon, Artimi-Artemis, Hercle-Herakles. Dall’altra vi sono invece divinità che presentano caratteristiche totalmente estranee al mondo greco. Intermedi sono poi un gruppo di dei che in Etruria ebbero nomi diversi, ma caratteristiche simili ai corrispondenti ellenici, come Tinia-Zeus o Turan-Aphrodite. Il sincretismo religioso agì infine anche nei riguardi delle popolazioni romano-laziali, come è possibile riscontrare nei casi di Uni-Iuno, Menerva-Minerva, Maris-Mars. A differenza della religione greca, quella etrusca si caratterizzava per l’importanza che in essa aveva l’aruspicina, cioè l’arte di fare previsioni sul futuro fondandosi sull’osservazione delle viscere delle vittime sacrificate agli dei. La rappresentazione in bronzo di un fegato di pecora (cd. fegato di Piacenza), con tutte le indicazioni necessarie per servirsene come di uno specimen per gli aspiranti aruspici, costituisce un «manuale» di quella che i romani chiamavano etrusca disciplina. Così nel mondo etrusco la capacità di indovinare il futuro tramite l’interpretazione di segni – che potevano essere eventi meteorologici come fulmini, piogge e venti, il volo degli uccelli in una particolare zona del cielo o i segni riscontrati nelle viscere degli animali sacrificati – crebbe e si sviluppò in una vera e propria arte. Proprio il fegato citato, assieme alle bende che avvolgevano una mummia (cd. mummia di Zagabria) e che in origine costituivano un libro in lino contenente una sorta di calendario religioso, sono i documenti più importanti per ricostruire queste antichissime credenze religiose e pratiche rituali. Particolare rilievo nella religione etrusca ebbe infatti anche il calcolo del tempo e la sua organizzazione nel calendario. Questa pratica appare collegata al già menzionato desiderio di predire il futuro, che portava i sacerdoti etruschi a scrutare con particolare attenzione il cielo, dividendolo molto minuziosamente in zone, così come facevano con il fegato delle vittime sacrificali. Questa organizzazione della volta del cielo, però, sembrava finalizzata più alla determinazione spaziale di specifici fenomeni atmosferici, che non a calcoli astronomici, come presso i chaldaei d’Oriente. L’urgenza d’interpretare il messaggio contenuto in un fulmine, cioè, portava alla necessità di determinare con la maggior precisione possibile lo spazio dell’etere in cui il fenomeno si era manifestato. Questa peculiare caratteristica della religione etrusca produsse una grande attenzione all’orientamento di edifici, strade e intere città secondo i punti cardinali; la ripartizione dell’anno in mesi e dei mesi in giorni fasti e nefasti (secondo la terminologia romana, che dagli e. direttamente importò anche concetti quali, per es., le idus); infine un’attenzione molto accentuata nei confronti della numerologia, con un valore sacrale riferito ad alcuni numeri, come il tre e i suoi multipli, che sembrano ossessionare le menti dei sacerdoti etruschi.

Il mondo dei morti

Particolarmente sviluppate presso il popolo etrusco erano le concezioni religiose relative al mondo dei morti. Il mistero del passaggio dalla vita alla morte è rappresentato in maniera estremamente suggestiva in un famoso affresco scoperto in una tomba di Paestum. Questa, conosciuta come Tomba del tuffatore, pur appartenendo a un membro dell’aristocrazia greca che governava la città, risente degli influssi artistici esercitati dall’ambiente artigiano di Capua etrusca. Qui il defunto è rappresentato come un giovane, nudo e solitario, che dall’alto di un trampolino si tuffa in un mare tranquillo. Il mondo dei morti è separato e distinto da quello dei vivi, per andarvi ci si può tuffare, come nel caso appena citato, oppure ci si può essere condotti da un demone infernale, geloso custode dell’aldilà. Il «Caron dimonio, con occhi di bragia» cantato da Dante, cioè l’essere che nella Divina Commedia traghetta Dante e Virgilio nell’Inferno, non è altro che una rivisitazione di Charun, che, nella religione etrusca, svolgeva le stesse identiche funzioni.

Figura

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