GABRICI, Ettore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GABRICI, Ettore

Marcello Barbanera

Nacque a Napoli il 23 nov. 1868 da Giovanni e da Angiola Malandrini. Dopo aver compiuto gli studi liceali si iscrisse all'Università partenopea dove seguì i corsi di archeologia tenuti da G. De Petra, cui dedicherà poi la memoria Topografia e numismatica dell'antica Himera (e di Terme) stampata a Napoli nel 1894.

Laureatosi nel 1889, venne nominato professore reggente in alcuni ginnasi del Regno (Terni, Alghero, Campobasso) e riuscì a farsi comandare al ginnasio Vittorio Emanuele di Napoli, circostanza che gli consentì di non perdere i contatti con l'ambiente archeologico della città e, nello stesso tempo, di dedicarsi all'attività scientifica.

Nel 1898 fu comandato presso il Museo archeologico di Napoli dove, già nel 1893 era stato invitato dal De Petra - che ne era divenuto direttore - per redigere il catalogo delle monete della raccolta Santangelo.

L'attività scientifica del G. si era andata di fatto focalizzando nell'ambito della ricerca numismatica. L'interesse per lo studio delle monete, accanto a quelli per la topografia e l'architettura, costituì una fra le principali linee guida della sua produzione scientifica. Trovandosi a operare in un periodo in cui la scienza archeologica tentava di trovare una propria definizione nei confronti di settori - l'epigrafia e la numismatica appunto - che rientravano ancora pienamente nella configurazione antiquaria della scienza dell'antichità nel periodo preunitario, il G. non poté sottrarsi per un paio di volte, programmaticamente almeno, dall'affrontare lo studio della numismatica senza una preventiva riflessione metodologica. La prima occasione fu costituita dal congresso di numismatica, tenutosi a Parigi nel 1900 (Le rôle de la numismatique dans le mouvement scientifique contemporain, in Congrès international de numismatique…, Paris 1900, pp. 35-50) in cui il G., rispondendo ad alcune affermazioni di G. Patroni, sottolineava come la numismatica si fosse ormai differenziata dall'archeologia e - nel tentativo di precisarne ulteriormente il campo di azione - sosteneva che "la partie artistique, épigraphique, mythologique ou iconographique, n'a qu'un intérêt secondaire pour le numismate" (p. 41). Inoltre, individuando nel valore la "vraie substance de la monnaie", riteneva che la disciplina andasse necessariamente ricondotta entro la cerchia delle scienze economiche, fatto che comunque non gli impediva di prendere in considerazione quegli aspetti tradizionalmente legati allo studio della moneta, l'iconografia, la mitologia, la divulgazione delle collezioni, l'individuazione delle serie monetarie e la cronologia. La seconda opportunità che ebbe il G. di ribadire il suo punto di vista sullo studio della numismatica fu invece in occasione della morte di T. Mommsen (Teodoro Mommsen, in Riv. ital. di numismatica, XVI [1903], pp. 399-410): la comprensione mommseniana della moneta, come fatto principalmente storico ed economico, attraeva il G., il quale aveva anche modo di ricordare l'importanza del lavoro preparatorio di un C. Cavedoni o di un B. Borghesi di cui si era potuto avvalere il celebre antichista d'Oltralpe. Di fronte a un così ampio programma metodologico sembra tuttavia aver maggior peso negli studi del G. - anche nelle pubblicazioni numismatiche della tarda età - una difesa del prevalere dei criteri piú propriamente tecnici nell'analisi delle monetazioni antiche.

Una prospettiva critica del G. numismatico sembra ancora emergere nell'ambito di un profilo dello studio storico della moneta greca e romana nella cultura italiana dell'Ottocento, in cui l'opera dello studioso napoletano è vista piuttosto come un esempio dell'affievolimento della ricerca dopo il 1870, se si confronta il suo lavoro con quello precedente di A. Salinas sulla monetazione della Sicilia antica (Parise).

Ottenuta la libera docenza in storia antica nel 1901, nel decennio seguente il G. svolse la sua attività presso le soprintendenze archeologiche ancora con la formula del comando. Prestò così servizio nel Museo di Napoli fino al 1902, operativo a Pompei, successivamente per circa tre anni nel Museo archeologico di Firenze e, di nuovo, dal 1905 a Napoli finché nel 1907 vinse il concorso per ispettore.

Nel 1910 partecipò al concorso per direttore del Museo archeologico di Napoli, in cui risultò vincitore Vittorio Spinazzola. Avendo il G. fatto ricorso chiedendo l'annullamento del concorso, la sua permanenza a Napoli divenne imbarazzante e nel 1914 venne trasferito al Museo di Villa Giulia di Roma.

In quegli anni i suoi interessi si erano andati focalizzando sulla pubblicazione di materiali inediti, sia in ambito numismatico sia in quello topografico e architettonico, come dimostrano studi quali Monete inedite o rare del Museo nazionale di Napoli (in Corolla numismatica, London 1906, pp. 98-103), nonché i resoconti dei rinvenimenti che con continuità comparivano sulle Notizie degli scavi. In particolare sono da menzionare le indagini condotte a Bolsena che lo condussero alla scoperta e alla pubblicazione del recinto sacro etrusco-italico, identificato - in base allo studio delle stipi votive rinvenute - come consacrato alla dea Nortia, una divinità italica catactonia e salutare, poco conosciuta, assimilabile a divinità consimili venerate nei santuari del Lazio (Bolsena: scavi e trovamenti fortuiti, in Notizie degli scavi, 1906, pp. 59-93; Bolsena. Scavi nel sacellum della dea Nortia sul Pozzarello, in Monumenti antichi dei Lincei, XVI [1906], coll. 169-240).

Di ben più ampia portata fu l'attività del G. in Campania, in cui sono delineabili tre indirizzi di ricerca: ne sono testimonianza gli scritti minori relativi a documenti e scoperte isolate a Napoli e nel territorio campano, e le più corpose pubblicazioni su Napoli e Cuma. Oltre allo scavo, il G. si distinse per la pubblicazione di scavi precedenti fino ad allora rimasti inediti. A lui si dovette infatti l'edizione dei materiali provenienti dalla necropoli di Teano (Necropoli di età ellenistica a Teano dei Sidicini, ibid., XX [1910], coll. 5-152) e la pubblicazione del rilevante volume su Cuma (Cuma, ibid., XXII [1914], coll. 449-872), in cui figurano raccolti e illustrati i monumenti che E. Stevens aveva scavato tra il 1878 e il 1893 e, in una breve ripresa, nel 1896. Il G. aggiornò l'opera con saggi storici che completavano il quadro dalla fase preellenica all'avanzata età imperiale.

Nel 1914 partecipò al concorso per direttore del Museo archeologico di Palermo vincendolo ex aequo con L. Pernier e ottenendo il posto per anzianità di servizio. Approdato a Palermo nello stesso anno fu anche incaricato dell'insegnamento di archeologia all'Università da novembre fino al febbraio dell'anno seguente.

Tutta la sua attività di ricerca fu, da allora in poi, quasi esclusivamente rivolta alla Sicilia e, in particolare, a Selinunte. Gli scavi nell'antica colonia megarese cominciarono nel 1915 e inizialmente furono concentrati sul santuario extraurbano di Demetra Malophoros (Selinunte: temenos di Demeter Malophoros alla Gaggera. Relazione preliminare degli scavi eseguiti nel 1915, in Notizie degli scavi, 1920, pp. 67-91). Le ricerche selinuntine si estesero seguendo principalmente tre direttrici: il santuario della Malophoros, l'acropoli e i settori architettonico e topografico. L'attenzione del mondo archeologico per Selinunte sollecitò il G. a dare continue relazioni preliminari sui risultati delle campagne di scavo e, soltanto dopo una lunga gestazione, i risultati critici del suo lavoro furono raccolti in due ampie monografie pubblicate a distanza di vent'anni l'una dall'altra (Per la storia dell'architettura dorica in Sicilia, in Monumenti antichi dei Lincei, XXXV [1933-35], coll. 139-250, e Studi archeologici selinuntini, ibid., XLIII [1956], coll. 206-391).

Promosso soprintendente archeologo nel 1926 con l'incarico per la Venezia Giulia, il G. ottenne in seguito di continuare la sua attività a Palermo con la giurisdizione estesa alle province di Trapani e Agrigento. Nel 1927 pubblicò a Palermo La monetazione del bronzo nella Sicilia antica, una trattazione rimasta a lungo importante punto di riferimento per gli studi numismatici, volta a chiarire ragioni e cronologia delle emissioni enee della Sicilia. Nello stesso anno partecipò al concorso per la cattedra di archeologia e storia dell'arte antica all'Università del capoluogo siciliano, risultando primo della terna dei vincitori, seguito da G. Libertini e da L. Pernier. Chiamato sulla cattedra, vi venne confermato nel 1930 rimanendo a insegnarvi fino al pensionamento nel 1939.

L'intera attività archeologica del G. parla in favore di una predilezione per l'indagine sul campo, piuttosto che per problemi di storia dell'arte dai quali si sentiva distante e riservati, a quanto sembra, all'insegnamento universitario (Adriani, p. 100). Non c'è accenno infatti nei suoi scritti al dibattito nato intorno alle opere di A. Riegl e F. Wickhoff e nello stesso senso dovrà essere interpretato il suo smarrimento di fronte a una personalità fervida nell'indagine sul campo e teoricamente preparata come fu quella di P. Marconi. Quando, nel 1924, dette alle stampe un contributo sulla plastica dedalica proveniente da Selinunte (Daedalica Selinuntia, in Mem. della R. Acc. di archeol., lettere e belle arti di Napoli, IV), egli tentò di inserirsi nel dibattito sulla plastica dorica arcaica ritenuto in voga tra gli "archeologi dell'arte" - come egli definiva E. Löwy e M. Collignon - evidenziando implicitamente il distacco da quella generazione di studiosi. Lo studio ha comunque il pregio di restituire un'altra metopa dell'edificio cui appartenevano le due metope già conosciute con la figura di Europa e una sfinge e di rendere noti i materiali di una stipe votiva rinvenuta nel pronao del tempio di Demetra.

In seguito, quando dovette riprendere un problema di storia dell'arte, questa volta in età molto avanzata (Riflessioni sul travaglio dell'arte figurativa contemporanea, in Atti della Acc. di scienze lettere e arti di Palermo, s. 4, VII [1945-46], pp. 5-17), il G. dimostrò la sua formazione di studioso da sempre principalmente dedito all'attività di scavo e poco avvezzo alle sintesi storico-artistiche. Dopo un rapido excursus sullo svolgersi dell'arte dall'impressionismo all'età contemporanea arrivava all'astrattismo, mostrando di non comprendere la differenza tra astrazione come forma e astrazione come contenuto, pronunciandosi in favore di un'arte tradizionale e realistica: "E non è sinceramente vera l'arte del Segantini, del Sartorio, del Morelli, del Michetti, del Mancini? In questo significato io comprendo l'arte italiana". Il G. ribadì ancora la sua posizione verso la Kunstarchäologie di tradizione tedesca quando dovette commemorare G.E. Rizzo (Commemorazione…, in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, cl. di scienze morali, s. 8, V [1950], pp. 631-641), sottolineando il fatto che lo studioso italiano non era stato archeologo militante, ma maestro dalla cattedra, archeologo dell'arte, della tradizione che in Italia da Winckelmann giunge fino a Löwy, quasi a ribadire la sua diversa natura.

Politicamente poco impegnato, seguendo la corrente si iscrisse al Partito nazionale fascista il 22 febbr. 1933. Personaggio a disagio di fronte a problemi di natura teorica, nel confronto con altri archeologi contemporanei bisogna riconoscergli quella qualità di infaticabile lavoratore e divulgatore che lo portò, più che ottantenne, a tornare su un tema di vecchia data come quello della topografia napoletana con il Contributo archeologico alla topografia di Napoli e della Campania, in Monumenti antichi dei Lincei, XLI (1951), coll. 553-674, in cui pubblicò i dati inediti di cui era depositario, contenuti in alcuni taccuini da lui redatti nel capoluogo campano in occasione dei vastissimi lavori di sventramento operati alla fine del secolo scorso. Continuò a coltivare i suoi interessi per la numismatica antica, pubblicando Tecnica e cronologia delle monete greche (Roma 1951) e, ancora, Problemi di numismatica greca della Sicilia e della Magna Grecia (Napoli 1959), lavoro ormai visibilmente stanco, quasi frutto di divagazioni "personali" (Stazio) lontane dai nuovi orientamenti degli studi.

Membro di numerose accademie, tra cui l'Accademia di scienze lettere e arti di Palermo e di Napoli e, dal 1946, socio dell'Accademia dei Lincei, il G. morì a Palermo il 28 genn. 1962.

Fonti e Bibl.: Necr., Ricordo di E. G., in Annali dell'Ist. ital. di numismatica, VII-VIII (1960-61), p. 335; V. Tusa, E. G., in Studi etruschi, XXX (1962), pp. 395 s.; A. Adriani, Comm. di E. G., in Atti dell'Accad. di scienze lettere e arti di Palermo, XXIV (1963-64), pp. 97-110 (con bibl. a cura di V. Tusa, pp. 111-116). Roma, Arch. centr. dello Stato, Carte C. Fiorilli, fasc. E. Gabrici; Ibid., Ministero della Pubblica Istruzione, II versamento, II serie, Professori universitari, fasc. E. Gabrici; L. Breglia, Divagazioni numismatiche e problema storico, in Annali dell'Ist. ital. di numismatica, I (1954), pp. 197-199; A. Stazio, Magna Grecia e Sicilia, in Congresso internazionale di numismatica, I, Roma 1961, ad ind.; N.F. Parise, Ricerche italiane di numismatica, in Lo studio storico del mondo antico nella cultura italiana dell'Ottocento, a cura di L. Polverini, Napoli 1993, p. 248; Enc. Italiana, App. terza, I, p. 695.

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