EUROPA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

EUROPA (XIV, p. 604; App. I, p. 566; II, 1, p. 883; III, 1, p. 583)

Pio Nodari
G. Battista Pellegrini

Mutamenti politici e territoriali. - Dopo il 1960 non si sono avute variazioni territoriali in E., se si escludono quelle lievissime in conseguenza del trattato di Osimo del 10 novembre 1975, con cui l'Italia e la Iugoslavia hanno risolto il problema del Territorio libero di Trieste, con il riconoscimento de iure della ripartizione attuata nel 1954 con il Memorandum d'intesa di Londra (Zona A all'Italia e Zona B alla Iugoslavia), e hanno proceduto alla sistemazione definitiva del loro confine politico. Per quanto concerne l'assetto dei confini nell'E. centrale, particolare importanza assumono i trattati di normalizzazione dei rapporti reciproci e di riconoscimento delle attuali linee confinarie firmati dalla Rep. Fed. di Germania con la Rep. Dem. Tedesca (21 dicembre 1972 e 7 marzo 1974), con l'Unione Sovietica e la Polonia (rispettivamente 12 agosto 1970 e 7 dicembre 1970, ratificati il 17 maggio 1972) e, infine, con la Cecoslovacchia (12 dicembre 1973), la Bulgaria e l'Ungheria (21 dicembre 1973). Come conseguenza di questi atti, nel settembre 1973 ambedue gli stati tedeschi sono entrati a far parte dell'ONU. Abbastanza rilevanti e numerose sono state invece le variazioni dell'assetto costituzionale interno di alcuni stati. La Cecoslovacchia ha apportato alla costituzione dell'11 luglio 1960 vari emendamenti con la legge sulla Federazione del 28 ottobre 1968, per effetto della quale il paese si è trasformato in Federazione degli Stati ceco (Boemia e Moravia) e slovacco (a partire dall'1 gennaio 1969). In Grecia il colpo di stato del 21 aprile 1967 instaurò il regime militare dei "colonnelli" che allontanò il re Costantino II e, con il referendum dell'1 giugno 1973; proclamò la repubblica. Un ulteriore colpo di stato (25 novembre 1973) fece cadere il regime militare e rimise in vigore la costituzione dell'1 gennaio 1952 (ad esclusione degli articoli relativi al re e alla famiglia reale). Con il referendum dell'8 dicembre 1974 il popolo greco ha sancito la volontà di costituirsi in repubblica e nel 1975 ha approvato la nuova Costituzione. Malta ottenne l'indipendenza dal Regno Unito il 21 settembre 1964, ma nel dicembre 1974 rescisse ogni legame con la corona britannica divenendo una repubblica parlamentare. In Portogallo il colpo di stato militare del 25 aprile 1974 pose fine al regime dittatoriale. Nel 1976, in base a una nuova costituzione (2 aprile 1976), è stato eletto un Parlamento monocamerale. In Spagna la legge organica dello stato del 1967 ha costituito lo Stato spagnolo in monarchia. Dopo la morte del generale F. Franco, è stato incoronato re Juan Carlos di Borbone (22 novembre 1975) e sono state approvate modifiche costituzionali per l'elezione di un Parlamento democratico. Significativi mutamenti interni si sono inoltre avuti in Francia (legge costituzionale del 2 novembre 1962 sull'elezione del presidente della Repubblica a suffragio universale; provvedimenti del marzo 1964 sul raggruppamento dei dipartimenti in 22 regioni economiche): in Italia (legge costituzionale del 10 novembre 1971 sull'attribuzione alle province di Bolzano e di Trento di particolari forme di autonomia e sulla tutela delle minoranze tedesca e ladina dell'Alto Adige); in Iugoslavia (nuova costituzione del 21 novembre 1974 fondata sull'"autogestione"); nel Regno Unito (nel 1973 abolizione del governatore e del Parlamento dell'Irlanda del Nord e trasferimento di alcuni poteri a nuovi organi denominati Assemblea ed Esecutivo; per quanto concerne Gibilterra, la costituzione del 30 maggio 1969 ha ampliato l'autonomia amministrativa della colonia). Qualche variazione si è avuta anche nelle alleanze militari: nel settembre 1968 l'Albania uscì dal Patto di Varsavia; nel 1966 la Francia e nel 1974 la Grecia hanno allentato i loro rapporti con la NATO. Nell'estate del 1975 si è svolta a Helsinki la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in E., a cui hanno partecipato tutti gli stati europei (meno l'Albania), l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti, e che si è conclusa con la firma, da parte dei 35 capi di stato e di governo presenti, di un documento che sostanzialmente garantisce lo status quo dell'assetto politico-territoriale europeo, derivato dalla seconda guerra mondiale. Dopo il 1960 i paesi europei hanno concesso l'indipendenza a quasi tutte le loro colonie in Africa, Asia, America e Oceania. Il processo di decolonizzazione ha investito a partire dal 1974 anche le colonie portoghesi (Guinea-Bissau, Isole del Capo Verde, São Tomé e Principe, Angola, Mozambico e Timor).

Popolazione: assoluta e relativa, distribuzione, movimenti demografici. - Dopo il 1960 tutti i paesi europei hanno eseguito uno o due censimenti generali della popolazione. In valore assoluto, comprendendo le parti europee della Turchia e dell'Unione Sovietica, le Azzorre e Madera per il Portogallo, le Canarie per la Spagna, le isole asiatiche della Grecia e le dipendenze artiche della Norvegia, la poPolazione europea è passata dai 592 milioni di ab. del 1960 a oltre 666 milioni nel 1975, con un aumento di circa l'11,5%. La popolazione dell'E. rappresenta ora solo il 17% di quella mondiale e tale aliquota tende a diminuire per la progressiva riduzione dell'indice di accrescimento naturale, sceso negli ultimi anni a circa il 6-7‰, in confronto all'indice mondiale che si aggira sul 18‰. In termini relativi la densità della popolazione europea è passata dai 56 ab. per km2 del 1960 ai 63 del 1975 e continua a essere la più elevata fra tutte le parti del mondo. Il fenomeno dell'urbanesimo è tuttora rilevante, specie nei paesi di più recente industrializzazione. Alcuni stati tendono a limitare l'eccessiva concentrazione della popolazione e delle attività economiche attuando delle politiche di riequilibrio delle varie regioni. Se si escludono i microstati, i maggiori aumenti di popolazione nel periodo 1960-1975 si sono avuti in Albania (46%), Turchia (22,2% nella parte europea), Islanda (21,6%), Svizzera (19,9%), Paesi Bassi (17,5%), Spagna (15%), Francia (14,6%), Iugoslavia (13,9%) e nella parte europea dell'URSS (13,6%). Diminuzioni o aumenti piuttosto bassi si sono verificati a Berlino Ovest (−6,9%), in Portogallo (−3%), nella Rep. Dem. Tedesca (−1,9%), a Berlino Est (1, 1%), in Ungheria (4,5%), Finlandia (5,1%), Belgio (6,6%), Austria (6,7%), Regno Unito (6,8%), Irlanda (6,9%), Cecoslovacchia (7,2%) e Grecia (7,5%). All'evoluzione demografica hanno concorso sia il movimento naturale della popolazione (specie con la differenziazione degl'indici di natalità), sia i movimenti migratori, che sono tuttora molto attivi. Ne è derivata un'accentuazione degli squilibri di densità tra i vari stati. Infatti (escludendo i microstati) si passa da indici altissimi, come quelli dei Paesi Bassi (331 ab. per km2) e del Belgio (321), a quelli assai bassi dei paesi nordici (Islanda 2, Norvegia 12, Finlandia 13, Svezia 18), dell'Irlanda (44) e della parte europea dell'Unione Sovietica (34). Il tasso medio annuo di natalità, in diminuzione dall'inizio del secolo come conseguenza dei fenomeni d'industrializzazione, deruralizzazione e urbanesimo sempre più diffusi, è sceso al 16‰ circa e corrisponde a uno stadio demografico di maturità. Il tasso medio annuo di mortalità, che ammonta attualmente a circa l'11‰, è invece aumentato in conseguenza non tanto delle condizioni igieniche, sanitarie e alimentari, abbastanza buone in tutti i paesi, ma soprattutto per l'invecchiamento della popolazione, testimoniato anche da una "speranza di vita" che si aggira in media sui settant'anni. La natalità varia specialmente in relazione al livello di progresso economico e sociale raggiunto dai vari paesi, al grado di popolamento in rapporto alla loro effettiva capacità, alle convinzioni religiose, alla legislazione sul controllo delle nascite e ai fenomeni migratori: gl'indici; che oscillano attualmente tra il 30 e il 10‰, sono più elevati in alcuni paesi dell'E. meridionale, e cioè Albania (29,4‰), Portogallo (19,0‰) e Spagna (18,1‰), in Irlanda (21,6‰) e in Islanda (20,1‰), mentre quelli più bassi appartengono a un gruppo di paesi piuttosto eterogeneo, e cioè Rep. Fed. di Germania (9,8‰), Rep. Dem. Tedesca (10,8‰), Lussemburgo (10,9‰), Svezia (11,9), Belgio (12,2), Svizzera (12,3), Austria (12,5) e Finlandia (14,1). Per quanto riguarda la mortalità, che, come si è visto, è maggiore nei paesi in cui sono diffuse le classi anziane, gl'indici oscillano tra il 6,5 e il 14‰ e sono più bassi nei paesi a composizione spiccatamente giovanile, come l'Islanda (6,5‰), l'Albania (6,7‰), i Paesi Bassi (8,3‰), la Spagna (8,2‰), la Grecia (8,9‰), la Iugoslavia (8,2) e l'Unione Sovietica (9,3), mentre i valori più elevati si riscontrano in alcuni paesi a bassa natalità e ad elevato grado di senilità, come Rep. Dem. Tedesca (14,3‰), Austria (12,8‰), Belgio (12,2‰) e Lussemburgo (12,6‰). Il tasso annuo di accrescimento naturale è ovunque positivo, tranne che nella Rep. Dem. Tedesca (−3,5‰), nella Rep. Fed. di Germania (−2,1‰) nel Lussemburgo (−1,7‰), nell'Austria (−0,3), e nel Belgio (0). Valori piuttosto bassi si riscontrano pure nel Regno Unito (1,3‰), Svezia (0,9‰), Francia (3,10to) e Svizzera (3,6‰), mentre al di sopra della media si trovano, oltre all'Albania con un accrescimento simile ai paesi del Terzo Mondo (22,7‰), anche l'Islanda (13,6060) l'Irlanda (10,9‰), la Spagna (9,9‰), la Iugoslavia (9,8‰), il Portogallo (8,6‰), la Polonia (10,2‰), l'Unione Sovietica (8,9‰) e la Romania (10,4‰).

Movimenti migratori. - Dopo il 1960 i trasferimenti di popolazione dovuti a motivazioni politiche sono fortemente diminuiti. I più rilevanti hanno riguardato i rientri in patria di persone residenti nelle ex colonie europee e particolarmente in Francia dall'Algeria e dall'Indocina, in Italia dalla Libia, dall'Eritrea e dalla Somalia e, ultimamente, in Portogallo dai territori africani. È pure continuato, anche se non si è più trattato di un fenomeno massiccio, l'esodo dai paesi comunisti verso quelli occidentali. Per quanto concerne invece i movimenti migratori con motivazioni economiche, sono in fase di netto declino le partenze transoceaniche, sia per le notevoli limitazioni poste dai paesi di arrivo, sia per le migliorate condizioni economiche di quei paesi europei che più avevano contribuito a tali movimenti. In E. arrivano invece in misura crescente lavoratori da altre parti del mondo. In particolare correnti migratorie esistono da vari paesi del Commonwealth verso il Regno Unito e dal Nordafrica e dai paesi della Comunità franco-africana verso la Francia. Notevoli sono stati in questo periodo, anche se ora risentono della crisi economica in atto, i flussi migratori di lavoratori italiani, spagnoli, portoghesi, greci, iugoslavi e turchi specialmente verso la Rep. Fed. di Germania, la Svizzera, la Francia e il Belgio. La Comunità economica europea tende ad assicurare la libertà di circolazione della manodopera dei paesi membri.

Economia. - Negli anni successivi al 1960 l'economia europea, pur in un quadro estremamente composito e con ritmi molto differenziati, ha avuto un notevole periodo di sviluppo durato fino all'inizio degli anni Settanta, quando alcuni paesi (Francia, Regno Unito, Italia) sono stati colpiti dalla recessione, anche per riflesso della situazione economica degli Stati Uniti; nel 1974 tutti i paesi sono stati coinvolti nella crisi energetica conseguente alle limitazioni e all'aumento dei prezzi imposti dai paesi arabi sul mercato del petrolio. La crisi energetica ha provocato un maggiore sfruttamento delle risorse carbonifere europee e la riattivazione di alcune miniere già abbandonate per gli alti costi di estrazione. Migliori risultati per il fabbisogno energetico europeo si attendono dai giacimenti di petrolio e di gas naturale scoperti in questi ultimi anni sulla piattaforma continentale del Mare del Nord (Forties, Auk, ecc.) che offrono buone prospettive per il futuro. Il problema energetico potrà venir risolto, però, solo con la creazione di nuove centrali elettronucleari. L'attuale situazione di crisi riguarda principalmente i paesi occidentali, ma anche quelli del blocco orientale ne risentono, specialmente se si tiene conto dell'amicinamento economico dei due blocchi verificatosi in questi ultimi anni e dei rapporti commerciali che si sono sviluppati tra alcuni paesi occidentali e orientali. Per quanto concerne gli organismi economici interstatali, nati in periodi diversi verso la fine degli anni Cinquanta, essi hanno registrato vari periodi di sviluppo e consolidamento alternati a momenti di crisi. Il Consiglio di Mutua Assistenza Economica (COMECON), istituito il 4 dicembre 1959 sulla base del Trattato di Mosca del 25 gennaio 1949 al fine di promuovere e coordinare l'espansione economica dei paesi membri e i loro scambi commerciali, riunisce quasi tutti i paesi comunisti europei (l'Albania ha di fatto interrotto i rapporti con l'organizzazione dal 1961, mentre la Iugoslavia, che non ne fa parte, ha firmato un accordo di cooperazione nel 1964), più la Mongolia (dal 1962) e Cuba (dal 1972). Il COMECON è però egemonizzato e condizionato dall'Unione Sovietica, la cui economia è di gran lunga più potente di quelle degli altri membri. La Comunità economica europea, istituita con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957, in seguito al Trattato di Bruxelles dell'8 aprile 1965 ha fuso gli organi deliberativi ed esecutivi con quelli della CECA e della CEEA (a partire dall'1 luglio 1967). La sua costituzione provocò come reazione la nascita del COMECON, di cui si è detto, e quella dell'Associazione Europea per il Libero Scambio (EFTA), sorta sulla base della Convenzione di Stoccolma del 20 novembre 1959 per iniziativa del Regno Unito con l'adesione di quei paesi europei che gli erano strettamente legati economicamente e commercialmente (Portogallo, Danimarca, Norvegia, più l'Islanda dal 1970) o che, per impegni derivanti dalla loro neutralità, non potevano aderire alla CEE (Austria, Svizzera, Svezia; il 27 marzo 1961 all'EFTA si associò anche la Finlandia). La competizione fra la CEE e l'EFTA si è risolta nel 1972 con il Trattato di Bruxelles, con cui aderirono alla CEE il Regno Unito, la Danimarca e l'Irlanda, e nel 1973 con i trattati di associazione alla CEE degli altri paesi dell'EFTA (oltre che di Malta). Alla CEE si erano precedentemente associati la Grecia e la Turchia, gli Stati Africani e Malgascio (SAMA, con il trattato di Yaoundè del 1963) e altri paesi dell'Africa settentrionale (Marocco e Tunisia) e orientale (Kenya, Uganda, Tanzania, Mauritius). Accordi di cooperazione sono stati stipulati anche con la Iugoslavia. Questi organismi hanno contribuito a rendere più costante e omogeneo lo sviluppo economico nei vari paesi e a rendere meno evidenti le differenze tra le economie dei paesi occidentali, che seguono ancora un indirizzo economico sostanzialmente liberistico, anche se lo stato interviene sempre più ampiamente e decisamente per controllare tutto il sistema, e i paesi socialisti, che hanno dovuto ricercare dei correttivi alla totale collettivizzazione delle loro economie, onde poter ampliare la diffusione dei beni di consumo e ovviare alle difficoltà esistenti negli scambi con l'estero. Lo sviluppo economico europeo in questi ultimi quindici anni è stato caratterizzato da un generale e rapido processo d'industrializzazione.

L'agricoltura è ormai nella maggior parte dei paesi un'attività modesta, sia per numero di addetti (in continua riduzione), che per reddito prodotto. Essa è tuttavia assai diffusa e praticata con tecniche colturali moderne, con forte impiego di macchine, concimi chimici, sementi specializzate, ecc. Per quanto concerne l'occupazione, essa oscilla notevolmente tra i paesi più industrializzati e quelli meno sviluppati, tra un minimo del 3% circa nel Regno Unito e un massimo del 62% nell'Albania.

Le attività industriali sono diffuse e preminenti in quasi tutti i paesi europei, con una netta prevalenza di quelli occidentali, specie nel campo dei beni di consumo. La popolazione attiva nel settore industriale varia anch'essa moltissimo da paese a paese, dal 21% dell'Albania, al 47,8% della Rep. Fed. di Germania, come pure la parte di prodotto nazionale derivante dall'industria (Albania 44%, Cecoslovacchia 73%).

Le attività terziarie hanno raggiunto negli ultimi anni un discreto livello, ma rivestono una maggiore importanza nei paesi occidentali. Gli scambi commerciali sono stati molto attivi, sia all'interno dell'E. (specie nell'ambito dei mercati integrati CEE e COMECON, di cui si è già parlato), che nei confronti delle regioni extraeuropee. Negli ultimi dieci anni i paesi occidentali hanno praticamente raddoppiato i loro scambi con l'estero, mentre quelli orientali hanno registrato un aumento medio di circa il 70%. Questi ultimi presentano però complessivamente un maggior equilibrio nella bilancia commerciale. Notevoli rapporti di complementarietà esistono fra i paesi più industrializzati dell'E. occidentale e centrale con quelli meno sviluppati delle regioni orientali e meridionali, che sono in grado di esportare generi alimentari e minerali in cambio di prodotti dell'industria manifatturiera e di equipaggiamenti industriali. Per quanto concerne i rapporti con le regioni extraeuropee, l'E. continua a essere esportatrice in tutto il mondo di prodotti industriali in genere, mentre è sempre più debitrice di prodotti alimentari e di materie prime di ogni tipo. In conclusione, si può affermare che in questi ultimi quindici anni l'economia europea ha fatto notevoli progressi sia in termini assoluti che per quanto concerne il problema dell'integrazione di mercato e quello della riduzione dei divari interni. L'E. però ha definitivamente perduto la sua autonomia nei confronti delle superpotenze mondiali (SUA-URSS), come ha evidenziato la recente crisi energetica, che ha messo le economie dei vari paesi (quelli occidentali in particolare) in balia dei produttori di petrolio. L'esame del prodotto nazionale lordo (trasformato in dollari SUA) segnala al primo posto l'Unione Sovietica (compresa la parte asiatica), con quasi 380 miliardi di dollari nel 1972, seguita dalla Rep. Fed. di Germania (210), dalla Francia (190), dal Regno Unito (145) e dall'Italia (107). Tra i paesi comunisti emergono anche la Polonia (50), la Rep. Dem. Tedesca (36) e la Cecoslovacchia (32), mentre tra quelli occidentali si distinguono la Spagna (42), i Paesi Bassi (38), la Svezia (37) e il Belgio (32). Escludendo i microstati, agli ultimi posti si trovano l'Albania (1,2), l'Irlanda (5) e il Portogallo (8). Molto diversa è la graduatoria del prodotto nazionale lordo pro-capite che vede ai primi posti la Svezia (4480 dollari), la Svizzera (3940) e la Danimarca (3670). Questa graduatoria evidenzia le disparità esistenti ancora in E. e conferma una certa superiorità economica dei paesi occidentali rispetto a quelli orientali.

Comunicazioni. - Come supporto essenziale per la sua economia, l'E. possiede una fitta rete di vie di comunicazioni in continuo sviluppo e ammodernamento, in diretto rapporto con la densità di popolazione e con la varietà e importanza delle attività produttive; perciò essa si presenta molto più densa ed efficiente nelle regioni centrali e occidentali rispetto a quelle orientali, meridionali e settentrionali. Solo in alcuni casi l'ambiente naturale incide ancora negativamente sullo sviluppo delle comunicazioni, non tanto per motivi tecnici, quanto per i condizionamenti ambientali allo sviluppo del popolamento e dell'economia. In questi ultimi quindici anni l'impulso ricevuto dalle comunicazioni non è però stato identico in tutti i settori e l'importanza relativa dei vari sistemi è notevolmente cambiata. La rete ferroviaria è stata, ed è tuttora, la base dei traffici internazionali, ma in questo quindicennio ha subito la concorrenza dei trasporti stradali e aerei. Solo in questi ultimi anni, come conseguenza della crisi energetica e della preferenza data ai trasporti pubblici di massa rispetto a quelli privati individuali, le ferrovie hanno ripreso a svilupparsi. Comunque, dopo il 1960, la lunghezza della rete non è molto aumentata (anzi in alcuni paesi è diminuita per l'eliminazione dei cosiddetti "rami secchi"), ma si è verificato un notevole ammodernamento dei vari servizi. Si sono avute anche nuove costruzioni, specie nei paesi di più recente sviluppo economico e in quelli dove la rete era assolutamente carente e poco densa, mentre sono aumentati la rete elettrificata e l'impiego dei locomotori Diesel in sostituzione delle locomotive a vapore. Inoltre è migliorato il materiale rotabile e sono stati accelerati i collegamenti internazionali e interni. Nonostante la concorrenza degli altri mezzi di trasporto, si è verificato un incremento dei passeggeri e, soprattutto, delle merci trasportate, più rilevante nei paesi orientali. Anche le vie d'acqua interne, dopo un periodo di decadenza, sono nuovamente in fase di sviluppo, soprattutto per i trasporti internazionali a grande distanza. Infatti, a parte i lavori di ripristino e di ammodernamento di alcune reti nazionali, è in fase avanzata di costruzione il canale Reno-Meno-Danubio, che unirà il Mare del Nord al Mar Nero attraversando numerosi paesi, mentre sono in progetto un canale tra il Rodano e il Reno, che unirebbe il Mediterraneo occidentale al Mare del Nord, e un altro dall'Isonzo alla Sava e al Danubio, che collegherebbe l'Adriatico al Mar Nero e al Mare del Nord. La navigazione marittima, fondamentale nei trasporti intercontinentali, vede ancora i paesi europei in una posizione di preminenza (quasi la metà di tutta la flotta mercantile mondiale è registrata nei porti europei). Dopo il 1960 si sono registrati notevoli aumenti, specie per le navi petroliere, che però hanno visto ridotta la loro importanza con la crisi energetica e la riapertura del canale di Suez (1975). Il trasporto passeggeri ha subito la forte concorrenza dei mezzi aerei ed è attualmente in grave crisi. Molte navi passeggeri, anche di recente costruzione, vengono poste in disarmo o adibite a usi particolari (crociere, navi ospedali, alberghi, ecc.). Il trasporto merci continua invece la sua evoluzione, quantitativa e qualitativa, con l'avvento dei trasporti specializzati, containerizzati, roll on-roll off, ecc. La ristrutturazione dei traffici via mare ha portato come conseguenza notevoli cambiamenti anche nei principali porti per far fronte alle nuove esigenze (fondali più profondi, attrezzature più moderne per lo scarico e il carico rapido delle merci, vaste aree di deposito, magazzini frigoriferi, ecc.) e provocando spesso un'ulteriore specializzazione funzionale dei singoli scali. I trasporti su strada hanno avuto un fortissimo sviluppo fino al 1973, quando il parco automobilistico europeo rappresentava un terzo di quello mondiale. Nel 1972 vari paesi europei possedevano un autoveicolo per meno di 5 ab. (Svezia, Danimarca, Francia, Lussemburgo, Rep. Fed. di Germania, Svizzera 3, Norvegia, Islanda, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Italia, Austria 4, Finlandia 5). Strade e autostrade assolvono oggi un ruolo di prim'ordine nelle comunicazioni europee, anche nelle regioni già ben servite dalle ferrovie. In particolare le autostrade si prestano egregiamente ai trasporti rapidi di merci deteriorabili su lunghe percorrenze, senza rottura di carico. Dopo il 1960 quasi tutti i paesi europei hanno incrementato le costruzioni autostradali creando delle vere e proprie reti (le più notevoli delle quali sono quelle della Rep. Fed. di Germania e dell'Italia), spesso già in collegamento tra di loro, anche attraverso le Alpi (autostrada del Brennero e trafori del Monte Bianco e del Gran San Bernardo). La crisi energetica ha poi colpito gravemente i traffici automobilistici e ha provocato una stasi nel processo di motorizzazione privata (con la conseguente crisi dell'industria automobilistica europea), nello sviluppo dei traffici, come pure nelle costruzioni autostradali.

Le comunicazioni aeree rappresentano certamente il settore che ha avuto lo sviluppo maggiore in questi ultimi anni, provvedendo in misura sempre crescente al trasporto rapido dei passeggeri (ma anche di merci di alto valore commerciale) sulle lunghe distanze (ma anche su quelle medie), sia tra i vari stati europei che tra questi e le altre parti del mondo. Presso le grandi città sono sorti, e continuano a ingrandirsi e a sdoppiarsi, grandi aeroporti che registrano ormai un movimento globale superiore a quello marittimo. Gli aeroporti sono dotati di piste sempre più lunghe, per permettere l'atterraggio e il decollo di aerei di maggior mole e più veloci, di tutta una serie di attrezzature tecniche per il controllo e la sicurezza del traffico e di vari altri servizi a disposizione dei passeggeri. Tra gli scali di più recente costruzione si segnala quello intitolato a C. de Gaulle, terzo aeroporto di Parigi. Le varie flotte nazionali europee, fra cui primeggia quella inglese (che ha visto l'unificazione nella British Airways, della BEA e della BOAC), sono seconde solo a quella degli Stati Uniti e sono dotate di aeromobili modernissimi (stanno per entrare in funzione i supersonici Concorde e Tupolev), sempre più grandi e più veloci. Infine grandi progressi hanno fatto anche le telecomunicazioni (servizi telefonici, telegrafici, radiofonici e televisivi), in cui i paesi europei collaborano sempre più strettamente, favorendo così la circolazione delle informazioni e i rapporti culturali. Radio, televisori e telefoni sono diffusi in tutti i paesi d'E., specie in quelli occidentali.

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Lingue. - Situazione linguistica e cambiamenti linguistici dell'ultimo mezzo secolo. - Nell'ultimo cinquantennio, per quanto concerne l'E. linguistica è necessario sottolineare soprattutto - a prescindere da numerosi spostamenti di popolazioni e di confini politici avvenuti dopo la seconda guerra mondiale - quali siano le parlate che hanno acquisito lo status di lingua ufficiale e quali abbiano raggiunto una standardizzazione. Per le lingue neolatine va notato che dal 20 febbraio 1938 la Svizzera, in seguito a plebiscito nazionale, ha elevato al rango di Nationalsprache, cioè di quarta lingua nazionale (ma non di Amtsprache, cioè di lingua ufficiale), accanto al tedesco, il francese e l'italiano, il romancio o ladino occidentale parlato nei Grigioni. Tale linguaggio è in realtà assai frazionato e non ha mai goduto dell'uso di una koiné tra i 48000 (circa) locutori. Nell'insegnamento sono adoperate cinque varietà: il soprasilvano, il sottosilvano, il surmirano (grigionese centrale), l'alto engadinese (puter) e il basso engadinese (vallader). Nel secondo dopoguerra, accanto al riconoscimento nell'Alto Adige (Südtirol) della minoranza tedesca con proprie scuole, ecc., con l'accordo De Gasperi-Gruber si dà autonomia per la provincia di Bolzano anche a un gruppo linguistico "ladino", ed è garantito l'insegnamento di tale idioma per le varietà gardenese e badiotto-marebbana. "Ladino", da un'accezione linguistica, è venuto così ad assumere un contenuto politico. Il friulano, invece, e il sardo, pur presentando - come del resto tante favelle italiane - una notevole originalità, continuano a esser ritenuti varietà periferiche dell'italo-romanzo. Con la creazione della Regione autonoma della Valle d'Aosta il francese è ivi considerato lingua culturale e ufficiale accanto all'italiano.

Nonostante i tentativi, ripetutisi anche negli ultimi decenni, di ridare vitalità al provenzale od occitanico, tale gloriosa lingua di una particolare etnia sì avvia, nell'uso quotidiano, al completo declino di fronte alla lingua egemonica nazionale; la situazione non è diversa per il franco-provenzale i cui patois tendono a esser rapidamente assorbiti. Pur non essendo ancora riconosciuto come lingua ufficiale - tranne dal 1931 al 1939 in seno alla Generalitat de Catalunya, e ancor oggi nel piccolo stato di Andorra - il catalano continua a godere di prestigio nell'uso parlato e scritto (al pari del basco e del gallego, esso è lingua liturgica). A partire dal 1947, con la costituzione della Repubblica socialista della Moldavia, è considerata una nuova lingua nazionale e letteraria romanza il moldavo; tale è peraltro l'opinione dei linguisti sovietici non condivisa dalla massima parte degli studiosi. Il moldavo, parlato nella repubblica suddetta (e in parte dell'Ucraina) corrisponde, salvo minime sfumature, al moldavo parlato in Romania e quasi sempre le particolarità attribuite a tale lingua sono attestate dalla migliore tradizione letteraria romena per cui la nuova lingua dev'essere considerata un dialetto del dacoromeno. Va detto peraltro che la dizione di "lingua moldava" non è un'invenzione moderna; essa continua infatti un filone dell'antica letteratura moldava che, per la separazione politica della Bessarabia, non ha partecipato al fenomeno di unificazione della lingua romena svoltosi nel secolo scorso come si nota nella Moldavia al di qua del Prut. Qualche linguista romeno ha proposto di attribuire il rango di lingua anche agl'idiomi staccatisi dal tronco originario e che vivono di una vita autonoma, privi di un'autentica letteratura, quali i linguaggi romeni subdanubiani (arumeno, meglenitico, istrorumeno). Analogamente (ma con minor successo e convinzione) alcuni studiosi iugoslavi sembrano voler assegnare lo status di lingua romanza autonoma ai dialetti istrioti (dell'Istria sud-occidentale), ma le particolarità di tali dialetti (che non si possono separare da quelli veneti o cisalpini) e il sentimento linguistico dei pochi locutori non consentono di separare tali favelle dall'italo-romanzo. Lingua ufficiale di Malta, indipendente dal 21 settembre 1964, oltre all'inglese è il maltese (di origine araba, ma con amplissima penetrazione lessicale italo-sicula), introdotto in sostituzione dell'italiano fin dal 1934. L'inglese ha ivi gradatamente soppiantato l'uso dell'italiano anche come lingua di cultura, ma le sorti di quest'ultimo - e non solo presso le generazioni anziane - non appaiono definitivamente compromesse poiché i trilingui sono assai numerosi. Il maltese, dopo tanti tentativi, ha raggiunto la standardizzazione anche grafica mediante l'alfabeto denominato Tal-Ghaqda ( "della confederazione") accolto universalmente dal 1934 (29 lettere latine con l'utilizzazione di diacritici e del digramma gh). Tra le lingue slave meridionali è da segnalare il rango di lingua ufficiale iugoslava - accanto al serbo, croato e sloveno - del macedone, un complesso di dialetti omogenei intermedio tra serbo e bulgaro (ma più vicino a quest'ultimo). Ciò è avvenuto a partire dal 1944 con la cacciata dei tedeschi dalla Macedonia, e dopo che è stato scelto a base della koiné letteraria il dialetto parlato a O del fiume Vardar nell'area del quadrangolo Prilep-Bitola-Kičevo-Veles; nel 1951 è stato pubblicato il primo Makedonski pravopis ("ortografia macedone"). Col secondo dopoguerra, nella Rep. Dem. Tedesca il sorabo-lusaziano, parlato da circa 200.000 persone, è considerato lingua della minoranza ed è insegnato nelle scuole; in Cecoslovacchia è venuta a mancare per eventi postbellici la minoranza tedesca dei Sudeti, in Polonia, con i massacri degli ebrei, è praticamente sparito lo yiddish, mentre è stata annessa a tale stato l'area linguistica dei parlanti kašubo (a O di Danzica). Nell'Unione Sovietica sono considerate lingue ufficiali (oltre al russo) delle singole repubbliche federate le lingue locali, il bielorusso, l'ucraino, l'armeno, il georgiano, il lettone, il lituano, l'estone, ecc. Quanto alle lingue germaniche, è da rilevare un nuovo accordo tra Belgio e Olanda (1954) circa la riforma ortografica del neerlandese; l'insuccesso del Landsmål rispetto al Riksmål o Bokmål in Norvegia; la notevole diminuzione dei parlanti svedese in Finlandia (ridotti al 6,5%); l'uso ufficiale del frisone nella provincia Friesland (ove anche la segnaletica è bilingue: Leeuwarden/Ljouwert). L'albanese - riconosciuto anche come lingua ufficiale della minoranza in Iugoslavia, circa 1 milione di parlanti - ha raggiunto una standardizzazione con un compromesso tra ghego e tosco e netta prevalenza del secondo (conferenza di Tirana del settembre 1952). Oltre al Fjalor i gjuhës shqipe del 1954, è apparso da poco il manuale ufficiale di ortografia albanese Drejtshkrimi i gjuhës shqipe, dell'Accademia delle Scienze (Tirana 1973).

Bibl.: A. Pagliaro, W. Belardi, Linee di storia linguistica dell'Europa, Roma 1963; G. Héraud, Popoli e lingue d'Europa, Milano 1966; Reading in the Sociolgy of Language, a cura di J. A. Fishman, L'Aia-Parigi 1968; M. Straka, Handbuch der europäischen Volksgruppen, Vienna-Stoccarda 1970.

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