EUTICHIO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

EUTICHIO (Ευτυχιος Eutychius)

Thomas S. Brown

Eumico, dignitario della corte di Costantinopoli, nel 727 fu dall'imperatore Leone III Isaurico creato patricius ed esarca d'Italia ed inviato nella penisola come successore dell'esarca Paolo, scomparso tragicamente in quell'anno. Nulla sappiamo delle sue origini, della sua vita e della sua carriera prima di tale evento.

Si è spesso ritenuto nella letteratura storica che E. abbia ricoperto per due volte la carica di esarca d'Italia, una prima tra il 710 e il 713 circa, una seconda tra il 727 ed il 751. Di fatto, una così lunga attività pubblica (41 anni!) è inverosimile, mentre, d'altro canto, la tesi di un esarcato di E. anteriore al 727 poggia sul tenue argomento della mancanza di notizie su altri esarchi nel corso di quegli anni per noi oscuri a causa della laconicità delle fonti e su un'interpretazione errata della frase "qui dudum exarchus fuerat", che accompagna la prima citazione di E. nella seconda redazione della biografia ufficiosa del papa Gregorio II inserita nel Liber pontificalis della Chiesa romana ("dudum" deve essere inteso "per lungo tempo" piuttosto che "in precedenza").

E. sbarcò a Napoli in quello stesso anno 727, in un momento particolarmente difficile per l'autorità imperiale in Italia. La maggior parte dei territori di dominio bizantino era infatti in rivolta (per molti storici a causa della politica fiscale e religiosa avviata da Leone III, ma recenti studi sostengono che allora la riforma iconoclasta non fosse ancora in questione): le truppe imperiali, che presidiavano i ducati di Venezia, della Pentapoli, di Roma e lo stesso Esarcato, si erano ammutinate; a Ravenna, nel corso di una vera e propria battaglia tra la frazione lealista ed i rivoltosi, aveva perso la vita l'immediato predecessore di E., l'esarca Paolo, e la città era passata sotto il controllo dei ribelli. A Roma il duca Pietro, accusato di tramare, in accordo con Leone III, contro Gregorio II, era stato deposto e accecato.

Accanto al papa ed ai ribelli romani si erano schierati i duchi longobardi di Spoleto, Trasamondo II, e di Benevento, Romualdo IL Anche il re dei Longobardi Liutprando era intervenuto nel conflitto, cogliendo l'occasione per riprendere la politica espansionistica dei suoi predecessori, col duplice obiettivo di riaffermare l'autorità regia e di completare l'unificazione italiana. Presentandosi come difensore dell'ortodossia contro l'imperatore eretico, aveva occupato in Emilia Bologna ed Imola, nella Pentapoli Numana ed Ancona. Gli si erano consegnati allora, spontaneamente, numerosi capisaldi imperiali della pianura e dell'Appennino emiliani - Sant'Agata Bolognese, Persiceta (presso l'odierna Carpineta), Monteveglio, Pavullo - e nella Pentapoli la fortezza di Osimo.

E. aveva ricevuto da Leone III il compito di riportare all'obbedienza l'Italia bizantina: con l'aiuto delle forze locali conservatesi fedeli doveva colpire gli animatori del moto - il papa, dunque, e gli optimates di Roma e di Ravenna -, dando immediata esecuzione alle condanne a morte loro comminate, applicare i provvedimenti di confisca dei beni della Chiesa romana, reprimere l'insurrezione. Da Napoli, che era rimasta estranea alla rivolta e nella quale dovette trattenersi almeno due anni, E. cercò innanzi tutto di prendere contatto con gli ambienti lealisti romani, per metterli a parte del suo disegno ed avere il loro appoggio. Il tentativo fallì. Il messo, latore dei suoi dispacci, fu intercettato dalle autorità municipali e la trama svelata: l'esarca, proclamato anatema dai Romani, venne scomunicato dal papa. E. iniziò allora un'intensa campagna diplomatica, con l'obiettivo di staccare Liutprando e i duchi longobardi di Spoleto e di Benevento dall'alleanza col pontefice. Largheggiò in lusinghe, promise compensi, distribuì danaro. Soprattutto giuocò sulle contraddizioni interne, che minavano la solidarietà dello schieramento avversario.

Né Gregorio II né i duchi di Spoleto e di Benevento auspicavano una completa vittoria del sovrano di Pavia sugli Imperiali e la totale scomparsa della presenza bizantina in Italia: esse avrebbero significato infatti per la Chiesa di Roma il passaggio sotto la tutela del re longobardo, per gli Spoletini ed i Beneventani la perdita, a breve o a medio termine, della loro secolare tradizione di autonomia. D'altro canto la cordiale intesa e la collaborazione stabilitasi tra il papa, Trasamondo II e Rornualdo II non poteva non apparire a Liutprando - specie se considerata in prospettiva - estremamente pericolosa per l'autorità regia.

Nel 729, ad ogni modo, E. dette prova di abilità diplomatica concludendo un accordo con Liutprando ed utilizzando la pressione dell'esercito longobardo accampato sotto Roma per indurre Gregorio II e i Romani a riconoscere la sua autorità.

L'accordo, su base militare, prevedeva che il re longobardo avesse piena libertà di agire contro i duchi di Spoleto e di Benevento, ma che fornisse poi all'esarca l'appoggio militare necessario a quest'ultimo per restaurare anche in Roma l'autorità imperiale e punire esemplarmente i responsabili locali della rivolta antibizantina. Così, mentre E. si dirigeva con i suoi verso Roma, Liutprando marciò con l'esercito longobardo su Spoleto, se ne rese padrone senza troppa difficoltà e piegò Trasamondo II prima, Romualdo II poi a prestargli giuramento di fedeltà e a consegnargli ostaggi. Però, quando si fu ricongiunto con le sue truppe alle forze dell'esarca accampate sotto le mura di Roma, il re si rifiutò di portare le sue armi contro la città e di consentire ad E. di impadronirsi di quest'ultima e di compiere le sue vendette. Si interpose anzi come mediatore fra l'esarca e il pontefice, avviando trattative in vista di un'intesa, che fu di lì a poco effettivamente raggiunta. Infattil nel corso di un incontro tenutosi nel campo longobardo alla presenza di Liutprando, E. rinunziò a dar esecuzione agli ordini di Leone III e il papa si impegnò a far riconoscere al clero, alle magistrature e al popolo romano l'autorità dell'imperatore e quella del suo rappresentante in Italia. Solo a queste condizioni E. poté entrare nella città, ove fu accolto con tutti gli onori.

Il papa, l'alto clero e i responsabili civili e militari del ducato aiutarono allora E. a reprimere una pericolosa rivolta nella Tuscia romana promossa da Tiberio Petasio, il quale si era proclamato imperatore e aveva trovato molti sostenitori. Il moto venne soffocato nel sangue: il suo capo, caduto nelle mani dei vincitori, venne giustiziato.

A quanto sembra, E. ristabilì l'autorità imperiale nell'Italia bizantina grazie all'uso sistematico del compromesso e della corruzione: così, quando più duro si fece il contrasto fra Roma e Bisanzio sul terreno religioso, non dette esecuzione ai decreti iconoclasti promulgati da Leone III e stabilì una stretta alleanza col nuovo papa, Gregorio III, eletto e consacrato il 18 marzo 731, al quale fece dono di sei colonne di onice per la basilica di S. Pietro. Sembra inoltre che E. abbia riorganizzato le milizie del ducato bizantino di Roma e stabilito - dimostrando in tal modo considerevole abilità diplomatica - stretti rapporti con il duca di Spoleto Trasamondo II al fine di controbilanciare la crescente potenza di Liutprando in Italia. Nel 732, allorché il sovrano longobardo riprese le armi contro gli Imperiali approfittando del conflitto religioso, E. inviò un corpo di spedizione a riconquistare i territori perduti in Emilia negli anni precedenti: i suoi uomini furono sconfitti dall'esercito longobardo, che Liutprando aveva affidato al comando del duca di Vicenza Peredeo. I Longobardi investirono quindi e conquistarono prima Rimini e poi la stessa Ravenna. E. dovette abbandonare la capitale e cercare rifugio nel ducato bizantino di Venezia. In seguito, però, grazie alle pressanti esortazioni del papa Gregorio III alle autorità religiose e militari di quel ducato, i Veneziani inviarono con una squadra navale forze che collaborarono con le truppe dell'esarca nella riconquista della capitale (733). Tornato padrone di Ravenna, E. liberò poi Rimini, mentre Liutprando veniva sconfitto nella valle della Marecchia presso Pennabilli.

Nel 739 E. costituì una triplice alleanza con Gregorio III e con Trasamondo Il in funzione antiregia. Liutprando reagì non solo compiendo incursioni nella Pentapoli ma, dichiarati ribelli Trasamondo II ed il nuovo duca longobardo di Benevento Godescalco, salito al potere intorno al 738, perché si erano rifiutati di rispondere al bando di mobilitazione generale allora lanciato dal re, marciò su Spoleto, impadronendosi di quella città e di quel ducato, ove insediò un Ilderico, mentre Trasamondo II riparava a Roma.

Il re marciò quindi contro Roma, le cui autorità si erano rifiutate di consegnargli il duca ribelle: occupate Bieda, Orte, Bomarzo ed Amelia, capisaldi difensivi del confine settentrionale del ducato di Roma, pose l'assedio all'Urbe. Lo tolse nell'agosto, per accorrere Oltralpe a portare sostegno a Carlo Martello, il maggiordomo del Regno dei Franchi, duramente impegnato, oltre che dai suoi nemici interni, dagli Arabi, i quali si erano impadroniti di Arles.

Al principio del 740 Liutprando, che dopo il rientro in Italia aveva posto la sua base operativa nella Tuscia longobarda, lanciò bande di razziatori a saccheggiare il territorio di Ravenna e quello di Roma ma evitò che queste azioni di disturbo sfociassero in guerra aperta.

Ignoriamo, per il silenzio delle fonti note, quale atteggiamento abbia tenuto E. nei confronti del sovrano longobardo in questa circostanza. Per lo stesso motivo ignoriamo come egli si sia posto di fronte a Liutprando e al papa quando, sul finire del 740, Trasamondo II riconquistò con l'aiuto delle milizie romane il ducato di Spoleto ed uccise Ilderico, il duca insediato dal re; o quando quest'ultimo, dopo la morte di Carlo Martello (22 ott. 741), mobilitò nuovamente il suo esercito e riprese le operazioni contro il ducato di Roma, le cui autorità avevano fornito aiuto al ribelle Trasamondo II e lo avevano aiutato a recuperare i suoi antichi domini. Certo è che quando la città per il rifiuto dello stesso Trasamondo a proseguire nella lotta contro il sovrano, rimase sola a fronteggiare il ritorno offensivo di Liutprando, il nuovo. papa, il greco Zaccaria (eletto alla morte di Gregorio III ed ordinato senza attendere la ratifica dell'esarca il 10 dic. 741), si vide costretto ad accordarsi con Liutprando e nella prima metà del 742 l'esercito romano e quello longobardo invasero simultaneamente il ducato di Spoleto, E. mostrò di considerare nemico il re ed alleato naturale il ribelle Trasamondo. Siamo infatti informati che la retroguardia dell'esercito regio in marcia verso il Sud lungo la via Flaminia fu attaccata per ben due volte - tra Fano e Fossombrone, la prima, al guado di un fiume, di cui non ci è stato tramandato il nome, la, seconda - da contingenti imperiali della Pentapoli uniti a guerrieri spoletini fedeli a Trasamondo II. Però E. null'altro fece oltre a ciò, per quanto ci è dato sapere, per arrestare l'azione allora intrapresa dal re: Trasamondo fu deposto ed il suo ducato passò per il momento sotto il controllo diretto del sovrano longobardo, che intervenne anche nel ducato di Benevento, dove restaurò al governo il nipote Gisulfo II. Allo stesso modo non abbiamo notizia che E. abbia reagito quando Liutprando riprese nel 742 le operazioni militari contro il ducato bizantino di Roma e poi quando, nell'agosto di quell'anno, si accordò con il papa Zaccaria nel convegno di Terni.

Quando il re longobardo nel 743 sferrò una nuova offensiva contro l'Esarcato ed occupò Cesena, minacciando la capitale e le città della Pentapoli marittima, E. e l'arcivescovo di Ravenna Giovanni (VI) chiesero l'intervento del papa Zaccaria. Questi si affrettò ad -inviare a Liutprando il vicedominus Benedetto, vescovo di Mentana, e il primicerius notariorum Ambrogio, col compito di chiedere la restituzione di Cesena.aì Ravennati e la cessazione delle ostilità. La missione fallì. Zaccaria decise allora di incontrarsi di persona col sovrano. Partito da Roma sul finire di maggio od agli inizi di giugno, il papa trovò l'esarca ad attenderlo in una località presso Rimini. E. accolse il pontefice e lo scortò sino a Ravenna, dove lo ospitò per qualche giorno. Il 22giugno il papa riprese il viaggio per Pavia, dove giunse il 28: nei colloqui, che si svolsero tra il 28 ed il 30, giunse ad un accordo con Liutprando, ottenendo da lui - non senza fatica - una tregua delle attività militari, lo sgombero dei territori occupati nel Ravennate, la restituzione di una parte delle dipendenze rurali di Cesena.

Nulla sappiamo dei rapporti di E. con i Longobardi dopo la morte di Liutprando (gennaio del 744) e durante il breve regno del suo successore Rachis (giugno 744-inizi di luglio 749), né quali siano state le sue reazioni all'improvviso attacco sferrato dal sovrano longobardo contro i territori di dominio imperiale dalla Pentapoli a Perugia attigui al confine spoletino, nella primavera del 748. Sappiamo, ad ogni modo, che ancora una volta fu il pontefice romano ad intervenire fattivarnente in favore delle popolazioni minacciate. Nella primavera del 749, infatti, Zaccaria raggiunse Rachis, che si trovava sotto Perugia con il suo esercito, impegnato nelle operazioni d'assedio di quella città di dominio bizantino: in una serie di colloqui, svoltisi nel campo longobardo, il papa convinse il re a levare il blocco, a sospendere le ostilità ed a ritirarsi con le sue truppe entro i confini del Regno.

Quando, dopo l'abdicazione di Rachis, il fratello e successore di questo, Astolfò, riprese le ostilità conquistando gli ultimi resti dei domini imperiali del littorale emiliano e della Pentapoli e nel 751investì - forse con l'aiuto dei Venetici e di ravennati dissidenti - la stessa Ravenna, E. fu costretto ad arrendersi e ad abbandonare la città al nemico.

Di E., dopo questo avvenimento, più nulla ci riferiscono le fonti note.

Rispetto alla precedente debolezza ed impopolarità dell'Impero in Italia, la politica di E., caratterizzata da flessibilità ed abilità, conobbe notevole successo nel ritardare l'aggressione longobarda e nel contenere la crisi dell'autorità bizantina. La sua posizione, ad ogni modo, non fu mai forte, poiché si basava sul compromesso (come risulta dalla decisione di non dare esecuzione alla politica iconoclasta), su di un uso opportunistico di alleanze ed accordi e, molto probabilmente, anche sulla concessione di privilegi ai sempre più potenti arcivescovi di Ravenna ed alla aristocrazia dell'Esarcato. Dopoil 729 sembra che E. abbia avuto poca autorità nei territori di dominio bizantino dell'Italia meridionale e nel ducato di Roma, dove il "patricius et dux" locale e, soprattutto, il papa acquistarono poteri sempre più ampi.

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