EVANGELISTA da Pian di Meleto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

EVANGELISTA da Pian di Meleto

Francesco F. Mancini

Figlio di Andrea di ser Nicola, nacque a Piandimeleto (od. prov. di Pesaro e Urbino) verso il 1458. Lo si deduce da un documento del 1483 che, ricordandolo in quafità di testimone, ne attesta implicitamente l'età, sicuramente non inferiore ai venticinque anni, limite richiesto dagli statuti di Urbino per esercitare tale funzione (il documento e quelli citati in seguito, se non altrimenti indicato, sono riportati in Scatassa, 1903). Nello stesso documento E. è definito "famulus Ioannis Sancti pictore de Urbino"; rapporti di familiarità fra il giovane artista e il padre di Raffaello sono comprovati anche dal testamento di Giovanni Santi del 1494, dove E. risulta presente alla stesura dell'atto insieme con Ambrogio di Antonio Barocci da Milano.

Morto il Santi, E. ne ereditò la bottega urbinate. Poco dopo si unì in società con Timoteo Viti, appena uscito dalla scuola di Francesco Francia. Nel 1499 (10 dicembre) acquistò una casa ad Urbino, l'anno successivo (23 gennaio) comperò terreni nella campagna dì Piandimeleto; altri acquisti sono registrati nel 1501 e nel 1506. Nel 1508 è allibrato a catasto con sei poderi. Il 10 dic. 1500 "magister Rafael Iohannis Santis de Urbino et Vangelista Andree de Plano Meleto pictores" ricevettero l'allocazione della pala con l'Incoronazione di s. Nicola da Tolentino per la cappella Baronci nella chiesa di S. Agostino a Città di Castello; il 13 sett. 1501 i due pittori rilasciarono quietanza di pagamento (docc. in Magherini Graziani, 1908).

Nel 1502 E. contrasse matrimonio con Lucia di Bartolomeo, orfana di agiata famiglia urbinate, ricevendo in dote 65 fiorini e un podere con casa nella corte del castello di Cavallino. Nel 1511 E. acquistò una seconda casa ad Urbino in contrada S. Lucia. Poco dopo, per lavori non autorizzati, ricevette una diffida dai magistrati ("Et che uno Evangelista da Piandimeleto quale ei fu temerario senza licentia ha auto ardire fare un portico in anti la sua casa, lo debba gectare a terra. Attendo ch'el fabrica o chiuda dicti portichi").

All'andamento positivo della sua attività corrispondono forme di investimento in terreni (1513) e case (1518). Nel 1514 (1° marzo) s'iscrisse insieme col figlio Marcantonio alla Compagnia dei Corpus Domini. Lavorò per questa Compagnia nel 1515 (testate per letti funebri), nel 1518 (fregio sulla facciata della chiesa), nel 1519 (rifacimento di un crocefisso "che sta accanto l'altar grande a man dritta"). Nel 1526 ne divenne priore. Eseguì opere di carattere decorativo anche per l'oratorio di S. Croce (1513, 1514 - "depentura de un palio da tavolo de l'altare de la cappella" -, 1520) e per la chiesa di S. Antonio Abate (1530: "tre santi"). Per quasi tutto il 1521 risulta assente da Urbino "m.ro Vangelista depentor absente"). Nel gennaio del 1522 fu tra i Priori del Comune, incarico che gli fu confermato nel 1537 e nel 1538.

La società di lavoro con Timoteo Viti è documentata in varie occasioni, ma con maggiore frequenza fra il 1518 e il 1520. Alla morte del Viti (10 ott. 1523) E. mantenne la bottega presso la chiesa di S. Francesco. Fra il 1527 e il 1528 risulta impegnato nella decorazione della nuova cappella della Compagnia del Corpus Domini: i documenti parlano di una "nostra Donna", forse la figura principale di una più vasta composizione, come sembrano suggerire i ripetuti pagamenti ad E. e a un suo collaboratore, tale Ottavio Prassede, che percepì compensi nel giugno del 1527. I due erano ancora creditori della Compagnia alla fine del 1533 (22 novembre).

Fra il 1534 e il 1535 E. ricevette pagamenti per armi ducali; nel 1536 veniva pagato per un "calice grande e un crocefisso", nel 1538 realizzò un baldacchino per l'altare dell'oratorio di S. Croce. In questo stesso anno riattivò la società con Pietro Viti, figlio di Timoteo. Frutto della collaborazione fra i due furono gran parte delle opere successive a questa data (una croce nel 1538; restauro dì un segno processionale dipinto da Giusto di Gand nel 1539; calici e testate da morto sempre nel 1539).

Dalla fine del 1542 al 1548 mancano documenti sull'artista. Il 13 maggio 1548 ricevette pagamenti per la "cupola che va sopra l'altare" nella chiesa del Corpus Domini.

Morì a Urbino il 9 nov. 1549. Il segretario della Compagnia del Corpus Domini annotò "M.o Vangelista pictoris morì - cuius anima requiescat". Il figlio Marcantonio era morto pochi mesi prima del padre (7 maggio 1549).

Il curriculum documentario non assegna ad E. un ruolo primario nella storia dell'arte urbinate tra Quattrocento e Cinquecento. Da solo o con altri maestri egli è infatti prevalentemente ricordato per lavori di decorazione, di restauro, di doratura. Il profilo che ne emerge è quello di un buon organizzatore di bottega, capace di fornire svariate prestazioni attinenti più che altro al settore della manualità artigiana. Gli unici documenti che sembrano elevare il pittore a un ruolo di responsabilità artistica sono quelli citati, relativi all'allocazione della pala di S. Nicola da Tolentino, per la chiesa di S. Agostino a Città di Castello (1500-1501). Qui è ricordato accanto a Raffaello che, pur essendo molto più giovane di lui, sembra godere di maggiore considerazione ed è definito "magister". La sfuggente fisionomia di E. ha stimolato l'elaborazione di varie ipotesi a cominciare da quelle dello Scatassa (1901) e del Calzini (1909), che tentarono di ricondurre alla sua mano un gruppo di opere anonime conservate a Piandimeleto (chiesa parrocchiale) e a Sassocorvaro (Museo civico e chiesa di S. Francesco). Questi dipinti, caratterizzati da uno stile semplice e uniforme, potrebbero aspirare, secondo il Calzini (1909), alla paternità di E. per una serie di prove indiziarie, come i richiami stilistici a Giovanni Santi e a Timoteo Viti, la loro collocazione geografica in luoghi abitualmente frequentati dall'artista e - non ultima - la tradizione orale, che li assegna con certezza al maestro di Piandimeleto.

Orientata verso una maggiore "nobilitazione" dell'arte di E. appare la proposta di A. Venturi (1911), che ne costruisce il catalogo, sottraendo opere al corpus di Giovanni Santi. Così, secondo lo studioso, sarebbero lavori di E. il Cristo morto tra due angeli, i sei Apostoli, l'Arcangelo Raffaele e Tobia e il S. Rocco della Galleria nazionale delle Marche ad Urbino, il S. Sebastiano dell'oratorio della Croce ad Urbino, le muse Melpomene, Calliope, Erato e Tersicore della Galleria Corsini di Firenze, nonché le figure del s. Crescenzio, del putto e del conte Oliva nella pala del convento di Montefiorentino a Frontino e alcune parti della Visitazione di S. Maria Nuova a Fano. E. sarebbe inoltre l'autore, sempre secondo Venturi, della Creazione di Eva della Pinacoteca comunale di Città di Castello (opera attribuita a Raffaello) e di una Madonna con Bambino e santi del Museo di belle arti di Budapest, datata 1489. L'implausibilità di questa ricostruzione è stata sottolineata dal Serra (1934), propenso a considerare giusta l'ipotesi dello Scatassa e dei Calzini, dal van Marle (1933), che trova inutili gli sforzi per individuare il volto artistico di E., il cui nome "non è altro che una parola che generalmente significa prima maniera di Giovanni Santi"; in tempi più recenti, lo Zampetti (1970) e la Dubos (1971) hanno restituito al Santi l'intero elenco stilato dal Venturi, con l'eccezione della Creazione di Eva di Città di Castello, confermata a Raffaello, e della Madonna con Bambino e santi di Budapest, già dal Berenson (1936, n. 1224) riconosciuta come opera di un altro seguace di Giovanni Santi, l'urbinate Bartolomeo di Gentile.

La scarsità di dati sicuri relativi ad E. ne fa un personaggio enigmatico, il cui profilo, ancora molto incerto, è appena illuminato da qualche documento che lo presenta come artista "capace di guidare nella vita più che nei suoi studi di pittore il giovane Raffaello" (Dubos, 1971), come "decoratore apprezzato al quale pittori più dotati a cominciare dallo stesso Santi potevano affidare il pennello per portare a compimento un quadro" (ibid.), come maestro che, dopo la morte del Santi, fu in grado di rilevarne la bottega e di mantenerla attiva per un lungo periodo.

In mancanza di opere firmate, ed essendo inoltre scomparsi tutti i dipinti documentati, l'unica opera conservata, anche se molto frammentaria, in relazione alla quale è possibile introdurre il nome di E. è la già ricordata pala di S. Nicola da Tolentino per Città di Castello: la parte superiore con l'Eterno Padre e la Vergine è nel Museo di Capodimonte a Napoli; un Angelo è nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, mentre un altro Angelo è entrato di recente al Louvre (cfr. Béguin, 1982). Ma qui il problema appare notevolmente complicato dalla contemporanea presenza di Raffaello, a cui gli studi più recenti (ibid.) tendono a riconoscere una vastissima responsabilità nella realizzazione del dipinto, restringendo le possibilità di collaborazione di E. a parti secondarie (cherubini) o decorative (lumeggiature d'oro). Ora, proprio la stretta somiglianza fra le teste dei cherubini e l'Angelo del Louvre potrebbe far pensare a un più esteso intervento (forse per tutta la parte conservata al Museo di Capodimonte a Napoli) di E., certamente operante su cartoni e disegni (Lille, Musée dés beaux-arts. Oxford, Ashmolean Museum) del più giovane collega. Un'ipotesi, questa, che ridarebbe dignità al ruolo di E. come continuatore della bottega di Giovanni Santi, ma che soprattutto potrebbe spiegare la sensibile differenza qualitativa e stilistica tra l'Angelo del Louvre e l'Angelo di Brescia, di sicura autografia raffaellesca.

Fonti e Bibl.: L. Pungileoni, Elogio stor. di Giovanni Santi, Urbino 1822, p. 136; A. Schmarsow, Giovanni Santi, der Vater Raphaels, Berlin 1887, p. 96; A. Alippi, Di maestro E. da P. pittore, in Nuova Rivista misena, IV (1891), pp. 51 ss.; E. Calzini, Urbino e i suoi monumenti, Firenze 1899, ad Indicem; E. Scatassa, Due opere sconosciute di E. di mastro Bartolomeo [sic!] di Piandimeleto. in Rassegna bibliogr. dell'arte ital., IV (1901), pp. 193-197; Id., E. di mastro Andrea di Piandimeleto pittore, ibid., VI (1903), pp. 110-121; G. Magherini Graziani, Documenti ined. relativi al "S. Nicola da Tolentino" e allo "Sposalizio di Raffaello", in Boll. della R. Deput. di storia patria per l'Umbria, XIV (1908), pp. 87-90; E. Calzini, Raffaello ed E. di P., in Rassegna bibliogr. dell'arte ital., XII (1909), pp. 145-151; Id., Ancora a proposito di Raffaello e di E. di P., ibid., XIII (1910), pp. 48-52; U. Gnoli, Il primo maestro di Raffaello, in Rassegna d'arte umbra, II (1911), pp. 52-58; L. De Schlegel, Il primo maestro di Raffaello. Notizie e docum. inediti, in Rassegna d'arte, XI (1911), pp. 72-75; A. Venturi, Ilprimo maestro di Raffaello, in L'Arte, XIV (1911), pp. 139-146; E. Calzini, Ilprimo maestro di Raffaello, in Rassegna bibliogr. dell'arte ital., XIV (1911), pp. 58-66; ibid., XV (1912), pp. 75 s.; M. Ciartoso, Nuove attribuzioni ad un discepolo di Giovanni Santi, in L'Arte, XV (1912), pp. 258-262; A. Venturi, Storia dell'arte ital. La pittura del Quattrocento, VII, 2, Milano 1913, pp. 188-221; W. Bombe, in U . Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, pp. 96 s.; A. Colasanti, La pittura del Quattrocento nelle Marche, Milano 1931, pp. 92-95; R. van Marle, Giovanni Santi, Bartolomeo di maestro Gentile ed E. di P., in Boll. d'arte, XXVII (1933), p. 493; L. Serra, L'arte nelle Marche, Roma 1934, pp. 322 ss.; B. Berenson, Pittura ital. del Rinascimento, Milano 1936, p. 154; P. Rotondi, Il palazzo ducale di Urbino, Urbino 1950, pp. 375, 377 s., 469; W. Schöne, Raphaels Krönung des heiligen Nikolaus von Tolentino, in Eine Gabe der Freunde für Carl Georg Heise zum28Juni 1950, Berlin 1950, pp. 113-136; R. Longhi, Percorso di Raffaello giovane, in Paragone, VI (1955), 65, pp. 8-23; R. Wittkower, The young Raphael, in Allen Memorial Art Museum Bulletin, Oberlin College (Ohio), XX (1963), pp. 150 ss.; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Central Italian and North Italian schools, I, London 1968, p. 124; P. Zampetti, La pittura marchigiana da Gentile a Raffaello, Milano 1970, pp. 230, 240; R. Dubos, Giovanni Santi, peintre et croniqueur à Urbin au XV siècle, Bordeaux 1971, ad Indicem; S. Béguin, Un nouveau Raphael: un ange du retable de S. Nicolas da Tolentino, in Revue du Louvre et des Musées de France, XXXII (1982), pp. 99-115; S. Ferino Pagden, Disegni umbri del Rinascimento da Perugino a Raffaello, Firenze 1982, p. 162; A. Marabottini, Raffaello giovane fino all'ottobre del 1504, in Raffaello giovane e Città di Castello, Città di Castello 1983, pp. 48-54; F. Martelli, in Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello (catal.), Firenze 1983, pp. 137 ss., 142-145; F. Gualdi Sabatini, ibid., pp. 220-226; F. Martelli, Giovanni Santi e la sua scuola, Rimini 1984, pp. 51-55; L. D. Ettlinger, Raphael's early patrons, in Studies in the history of art, XVII (1985), pp. 85-90; V. Curzi, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1987, p. 622; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori..., IV, Milano 1973, ad vocem.

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