EVINO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

EVINO

Jörg Jarnut

Esercitò il potere nel ducato di Trento almeno dal 574, forse già dalla conquista dell'Italia nordorientale da parte dei Longobardi nella seconda metà del 568. Nell'ultimo terzo del sesto secolo era una delle personalità più eminenti nel regno longobardo che andava consolidandosi nella penisola: egli infatti era signore di un importante e vasto ducato confinante con il regno franco, precisamente con la Baviera, l'avamposto sudorientale più indifeso. L'importanza di E. verrà sottolineata dal fatto che Paolo Diacono, grande storiografo del suo popolo, lo nominerà insieme con altri quattro duchi tra i trentacinque che si suppone governarono i Longobardi dopo la morte di re Clefi durante il cosiddetto interregno (574-584). Il fatto che egli fosse stato duca almeno dal 574, si fosse sposato verso il 575-76 e fosse morto nel 595 circa porta alla conclusione che fosse nato in Pannonia negli anni tra il 550 e il 555. Infatti era in Pannonia che i Longobardi si erano stabiliti prima di conquistare una parte dell'Italia nel 568. Nulla si conosce a proposito della sua famiglia e della sua religione, benché si possa supporre che egli fosse stato cristiano fedele alla Chiesa scismatica dei Tre Capitoli, come molti abitanti dei suo ducato.

Negli anni 575-76, cioè durante l'interregno, E. ricoprì un ruolo chiave non bene precisato data l'estrema scarsezza delle fonti, nelle complesse relazioni tra Longobardi, Bizantini e Franchi. Fu allora che i Bizantini consegnarono ai Franchi austrasiani, comandati dal duca Cramnichi, l'importante luogo fortificato di Nano in Val di Non, appartenente al ducato di Evino. Per contrastare la minaccia che andava creandosi a Nord, Ragilo, il comes longobardo della Val Lagarina attaccò gli invasori, ma la sua armata subì una pesante sconfitta ad opera di Franchi ed egli stesso cadde in questa battaglia. In seguito Cramnichi conquistò l'intero ducato di Trento. Questa azione militare franca, sovente considerata come un episodio autonomo dagli storici, in realtà deve essere intesa come l'adempimento dei patti che il re austrasiano Sigiberto aveva stipulato nel 571, allorché aveva stretto alleanza contro i Longobardi con l'imperatore Giustino II.

La campagna di Cramnichi si rivela quindi come parte essenziale di una ben coordinata azione franco-bizantina contro il regno longobardo indebolito dall'interregno, che fu causa di una serie di divisioni intestine. Questa offensiva in fin dei conti aveva lo scopo di cacciare nuovamente i Longobardi dall'Italia. Vi era quindi uno stretto legame tra la spedizione di Cramnichi e il grande attacco portato dai Bizantini contro i Longobardi, condotto da Ravenna da parte di Baduario, genero di Giustino. Evidentemente Sigiberto, impegnato in una dura lotta contro il fratello Chilperich, mantenne i suoi patti con Bisanzio, facendo occupare la zona centrale della regione alpina da una parte del suo esercito, di cui poteva momentaneamente fare a meno nella difficile situazione all'interno del regno franco. Egli minacciò quindi i Longobardi dal Nord, mentre le truppe bizantine, comandate da Baduario, li attaccavano dal Sud. Tutt'altro che un locale conflitto di confine, l'intervento austrasiano era dunque connesso con la grande offensiva, fallita, di Baduario e costituisce un precedente degli attacchi bizantini degli anni 584-590, tesi a minacciare la esistenza stessa del regno longobardo.

Forse E. fu impegnato in questi mesi a combattere insieme con altri duces contro Baduario, cosicché Ragilo dovette assumere il comando dell'armata tridentina per contrastare i Franchi. Comunque egli si scontrò con Cramnichi solo dopo la morte. di Ragilo: presso Salorno egli ne annientò l'armata, provocando anche la morte del dux franco. Grazie a questa brillante vittoria si riappropriò del dominio sul suo ducato e il suo prestigio fu accresciuto talmente dal successo che Garibaldo., il potente duca agilolfingo dei Bavari, gli diede in sposa sua figlia. La principessa, il cui nome ci è ignoto, per via della madre Valderada apparteneva alla dinastia dei Lethingi, che fino al 540 circa, per sette generazioni, aveva fornito i re ai longobardi. Grazie a questo matrimonio, tanto importante dal punto di vista politico, E. si trovò in prima fila tra i possibili candidati al trono longobardo. Nello stesso tempo si assicurò l'appoggio di uno dei più importanti magnati austrasiani e della sua ramificata famiglia, una delle più nobili e influenti del regno franco.

Si può supporre che E., considerata la sua eminente posizione nel regno longobardo, abbia giocato un ruolo determinante nell'innalzamento al trono di Autari, figlio di Clefi, in modo da porre termine all'interregno, che si era rivelato molto pericoloso per l'esistenza stessa del regno. Egli ebbe comunque la piena fiducia di questo sovrano, che gli affidò nel 587 (0 poco dopo) il comando di un'armata, con il compito di attaccare l'Istria, nome con il quale si deve intendere la parte nordorientale dell'Italia tenuta dai Bizantini. Le sue vittorie in quella zona spinsero Grasulfo I, duca del Friuli, che era passato ai Bizantini dopo aver abbandonato il campo di Autari, a tornare presso il proprio re. E. si ritirò dopo aver stipulato una tregua di un anno, portando con sé un cospicuo bottino che consegnò ad Autari.

Nel 588-89 E. fu implicato, per via dei suoi legami matrimoniali, nel grave conflitto che opponeva re Childeberto II a suo suocero Garibaldo, il duca agilolfingo dei Bavari. Una armata franca invase la Baviera. In consequenza di questo intervento Garibaldo perse il suo ducato, mentre suo figlio Gundoaldo e sua figlia Teodolinda, promessa in sposa ad Autari, re dei Longobardi, furono costretti a rifugiarsi in Italia. I legami di E. con il giovane re longobardo, incalzato da più lati, furono rafforzati per via del fidanzamento e del successivo matrimonio di Autari, avvenuto nel maggio del 589, con Teodolinda, sorella della sua consorte la quale avrebbe influenzato significativamente la storia longobarda.

E., genero di Garibaldo e cognato di Gundoaldo, doveva apparire agli occhi dei Franchi austrasiani come il più acerrimo nemico all'interno del regno longobardo dopo Autari. Non fu quindi un caso che la grande offensiva austrasiana del 590, con l'appoggio dei Bizantini, contro il regno longobardo nella zona alpina si fosse concentrata principalmente sul ducato di Trento. Il comandante franco Chedinus occupò o distrusse numerose fortezze. Con un tal colpo inferto al più importante alleato di Autari si sarebbe dovuta preparare l'occupazione della Padania orientale. Il caldo estivo e le malattie costrinsero però i Franchi ad una ignominiosa ritirata dopo appena tre mesi e con ciò crollò anche la loro posizione nel ducato di Trento. Alla morte di Autari nel settembre 590., probabilmente come nel 584, E. giocò un ruolo importante nella scelta del successore al trono, il duca torinese Agilulfo. La tradizione longobarda ascrive all'affascinante Teodolinda tutte le iniziative che portarono a tale incoronazione, ma è molto probabile che essa si fosse consultata con uno dei suoi parenti più stretti, suo cognato E., già da decenni una delle personalità più potenti nel regno. Ad ogni modo egli si mostrò sempre, a differenza di numerosi altri duces, fedele seguace del nuovo re.

Nel 591 il nuovo sovrano affidò ad E. un compito estremamente importante: egli avrebbe dovuto negoziare la pace con i Franchi in modo da allentare la pressione quasi mortale che da anni la alleanza offensiva franco-bizantina esercitava contro il regno longobardo non ancora consolidato. E. si recò nel regno franco e stipulò con re Childeberto Il un trattato di pace che molto probabilmente contemplava il riconoscimento di una non meglio precisata alta sovranità franca e il pagamento annuale di un tributo di 12.000 solidi da parte dei Longobardi. In cambio il trattato avrebbe preservato questi ultimi dal pericolo franco per decenni.

E. morì verso il 595. Come valoroso militare, politico e diplomatico il grande duca aveva difeso con successo, attraverso tutte le crisi di quel tempo, la causa dell'unità e dell'autonomia della sua gens Langobardorum.

Fonti e Bibl.: Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. Lang. et Italic. saecc. VI-IX, Hannoverae 1878, ad Indicem; L. M. Hartinann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 1, Leipzig 1900, pp. 60 s., 72, 77; L. Schmidt, Geschichte der deutschen Stämme bis zum Ausgang der Vökemanderung, München 1941, pp. 600 s., 605 s.; P. M. Conti, La spedizione del comes Langobardorum de Lagaré contro il 'castrum Anaguis', in Arch. per l'Alto Adige, LVIII (1964), pp. 305-317; G.P. Bognetti, S. Maria foris portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in Id., L'età longobarda, II, Milano 1966, pp. 160, 163, 168 s., 178; J. Jarnut, Prosopographische und sozialgeschichtliche Studien zum Langobardenreich in Italien (568-774), Bonn 1972, p. 350; S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, p. 55; P. Delogu, Ilregno longobardo, in Storia d'Italia (UTET), I, Torino 1980, pp. 24, 27; J. Jarnut, Geschichte der Langobarden, Stuttgart 1982, pp. 38, 40 s., 43; E. Ewig, Die Merowinger und das Imperium, in Rhein-Westf. Akad. d. Wiss., Geisteswiss. Vorträge, Düsseldorf 1983, pp. 30 s., 48; J. Jarnut, Agilolfingerstudien, Stuttgart 1986, pp. 59 s., 128; Id., Das Herzogtum Trient in langobardischer Zeit, in Atti dell'Acc. Roveretana degli Agiati. Contributi della classe di scienze umane, di lettere ed arti, s. 6, XXV (1986), pp. 167-171; H. Wolfram, Die Geburt Mitteleuropas, Wien 1987, pp. 91 s.

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