ALBERGATI, Fabio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ALBERGATI, Fabio

Elena Fasano Guarini

Nacque a Bologna nel 1538 da Filippo e da Giulia Bargellini. Le notizie sulla sua vita sono scarse e non prive di incertezze. Chiamato ad Urbino da Guidubaldo della Rovere fu, pare, tra i maestri di Francesco Maria, figlio ed erede del duca. Dopo l'elezione di Gregorio XIII al pontificato (1572), l'A. si trasferì a Roma, dove fu addetto al servizio di lacopo Boncompagni, duca di Sora, figlio di Gregorio XIII: nel 1575, si prodigò come mediatore nel progetto di matrimonio - poi non realizzato - tra questo e Lavinia della Rovere, sorella di Francesco Maria Il.

A quanto dice un Compendio della vita di F. A. premesso all'edizione delle sue opere del 1664, Gregorio XIII si sarebbe servito di lui anche per alcune missioni diplomatiche, ed in particolare lo avrebbe inviato presso Filippo Il per convincerlo a concedere la mano della propria figlia a Francesco duca d'Anjou.

Anche dopo la morte di Gregorio XIII (1585), l'A., pur senza avere un incarico stabile presso la corte pontificia, restò legato a questa. Nel 1589 Sisto V gli affidò le funzioni di ambasciatore presso il duca d'Urbino. Nel 1591 Innocenzo IX lo nominò castellano della fortezza di Perugia. In seguito, pur continuando a frequentare la corte romana (durante il pontificato di Clemente VIII, compariva spesso nell'affollata anticamera del segretario di stato, cardinale Pietro Aldobrandini), l'A. tornò al servizio di Francesco Maria Il. Secondo il Compendio della vita di F. A., il duca gli avrebbe affidato missioni diplomatiche presso la Repubblica di Venezia ed il ducato di Savoia e sarebbe inoltre ricorso ai suoi consigli nella compilazione degli Statuti dei propri domini. Una traccia precisa dell'attività dell'A. al servizio di Francesco Maria Il, negli anni del pontificato di Clemente VIII, è il Discorso a papa Clemente VIII a nome del Duca d' Urbino sopra il raddrizzare il commercio d'Ancona, in cui l'A. espone le obiezioni che Urbino, insieme con Venezia, moveva ai progetti romani di incremento del porto d'Ancona, a danno di quello di Senigallia.

Dalla moglie Flaminia, figlia di Antonio Bentivoglio, ebbe diversi figli, tra i quali ebbero una certa notorietà Lavinia, che sposò Orazio Ludovisi, fratello di Gregorio XV, e soprattutto Antonio, vescovo di Bisceglie, che occupò cariche di rilievo presso la Santa Sede.

L'A. mori a Bologna il 15 ag. 1606.

L'opera letteraria dell'A., maturata nell'ambiente della Curia pontificia e della severa corte dell'ultimo duca d'Urbino, si inserisce nell'abbondante trattatistica politico-morale della Controriforma. Tanto nei suoi trattati minori, quanto nelle sue opere più note, l'A. si fece sostanzialmente assertore di una concezione cattolica e confessionale dello stato. Ma, sensibile anche alla tradizione della trattatistica politica laica cinquecentesca, si sforzò di dedurre le proprie conclusioni dai "veri principi della politica" considerati distinti da quelli, religiosi e morali, della dottrina cattolica. Come molti suoi contemporanei trovò i naturali strumenti logici per questo suo sforzo nell'aristotelismo.

Iniziò la propria attività letteraria con un breve scritto d'occasione, il Ragionamento al Cardinal S. Sisto come nipote di papa Gregorio, redatto e pronunciato in occasione dell'elevazione di Filippo Boncompagni alla porpora, nel 1572. Lo scritto venne successivamente pubblicato nel 1598, a Milano, nel Tesoro politico raccolto da Comino Ventura (cc. 237-254).

Alcuni anni dopo, dietro invito di I. Boncompagni, duca di Sora, a cui il libro è dedicato, l'A. scrisse Del modo di ridurre alla pace le inimicizie private (Roma 1583; Bergamo 1589; Venezia 1614 e 1615; Milano 1621). Dopo aver parlato nella parte introduttiva dei fondamenti naturali della società e della necessità della pace civile per la conservazione dell'ordine costituito, l'A. si limita ad esaminare le questioni d'onore quali fonti di discordie. Nella sua analisi si affiancano da un lato la preoccupazione di misurare le questioni d'onore sulla base della dottrina cristiana (l'onore sta solo nella virtù, donde la necessità del perdono), dall'altro una più concreta attenzione agli aspetti politici del problema (necessità di una riparazione che il principe stesso, come supremo arbitro della vita pubblica, deve esigere). In base ad entrambi questi principi, cioè quello del perdono e quello dell'autorità arbitrale del principe, l'A. condanna decisamente il duello, polemizzando a questo proposito con diversi trattatisti cinquecenteschi, tra i quali Muzio Giustinopolitano, che in alcuni casi lo riteneva lecito.

Più impegnativo è lo scritto dedicato a O. Farnese in occasione della sua elevazione alla porpora, Il Cardinale (Bologna 1589; Roma 1598 e 1599), raccolta di precetti di buon governo religioso e civile, indirizzata al cardinale nella sua duplice veste di principe della Chiesa e di funzionario degli Stati pontifici. In effetti Chiesa e Stati pontifici vengono spesso fusi in una unica immagine nel corso dell'opera.

Il libro si apre con una celebrazione della Repubblica cristiana, esempio perfetto di "stato misto", di cui il papa è il monarca e il clero l'aristocrazia, fondato però su un sistema democratico di reclutamento del clero che gli conferisce un'impronta popolare. Nella parte dedicata al buon governo ecclesiastico ha largo spazio il problema della conservazione e restaurazione della religione: l'A. è ovviamente acceso fautore dell'intolleranza civile, ma va notato che, mentre illustra diffusamente mezzi di restaurazione religiosa come la predicazione e la buona istruzione, e attribuisce molta importanza alla convocazione frequente di sinodi, non accenna affatto all'impiego di mezzi repressivi come l'Inquisizione.

Il secondo libro è dedicato all'esame dell'organizzazione dello Stato della Chiesa (in particolare delle sue finanze e del suo esercito). Infine l'A., sensibile alle preoccupazioni politiche della Curia e fautore di una concezione del mondo di impronta teocratica, esalta il ruolo politico che spetta al papa in quanto padre e capo supremo della Cristianità: egli dovrà conservare o instaurare la pace tra i principi cristiani e promuovere e dirigere la guerra contro gli infedeli.

L'A. dovette la sua notorietà soprattutto a De i discorsi politici libri cinque.., ne i quali viene riprovata la dottrina politica di Giovanni Bodino e difesa quella di Aristotele (Roma 1602; Venezia 1603). Il libro, dedicato al cardinale P. Aldobrandini, fu scritto, a quanto l'A. stesso afferma nel proemio, per suggerimento del cardinale F. Toledo, il quale avrebbe incitato l'autore a confutare su un terreno più propriamente politico La République del Bodin, già confutata in termini di stretta dottrina cattolica dal Possevino e condannata dalla Chiesa.

L'A. elabora la sua confutazione sulla falsariga dell'aristotelismo controriformistico. Contro il Bodin, che sostiene aver avuto lo stato origine per violenza in una società patriarcale, l'A. afferma che esso sorse "per necessità e inclinazione naturale" e che il principe, quale suprema autorità dello stato, è "vera immagine di Dio". Alla distinzione delle forme di governo esclusivamente fondata sul numero di coloro che detengono il potere, l'A. oppone l'ulteriore distinzione, in base "ai vizi ed alle virtù", di monarchia e tirannia, aristocrazia ed oligarchia, democrazia e demagogia. Contro il Bodin, fautore di una forma di monarchia temperata, l'A., che pur sostiene, in polemica con il francese, l'esistenza dello "stato misto", rivendica la superiorità assoluta della forma monarchica pura, che è "simile al governo divino e regola di ogni altra". Dopo aver confutato con grande minuzia le idee del Bodin sull'organizzazione dello stato e sulle rnutazioni delle forme di governo, l'A. scende su un piano di polemica più concreta e circoscritta: contro il Bodin, che riduce l'Impero ad una confederazione di principi e nega ogni potere reale all'imperatore, l'A. ripropone la concezione secondo cui l'imperatore gode di una suprema autorità politica, e deve tuttavia al papa un "tributo di adorazione" quale "principe inferiore" verso ("maestà superiore". Nell'ultimo libro, poi, condanna violentemente le posizioni del Bodin - che egli accusa di tendenze calvinistiche - sulla tolleranza, e contrappone alla "libertà naturale" la "libertà ferma" (libertà di cre dere quello che si vuole): concedere quest'ultima sarebbe in contrasto con il fine della società, che è "il vivere onesto e felice", e quindi con la buona politica.

Ispirata da analoghe preoccupazioni religiose e sociali è La Republica regia, pubblicata postuma a Bologna (1627), e dedicata dal figlio Ugo a Francesco Maria Il duca d'Urbino: un'utopia politica a carattere rigidamente cattolico.

Il principe, che, a garanzia di moralità (e non tanto per porre un limite all'assolutismo), deve essere eletto da tutti i cittadini "senza macchia" superiori ai quarant 'anni, deve occuparsi della felicità dei sudditi, che consiste nelle "virtù contemplative". La religione è fondamento e fine del Regno. Tutti i beni della comunità devono essere divisi in due parti, una di proprietà del monarca (che dovrà dedicarne metà alle spese del culto, metà alle spese pubbliche), l'altra dei privati. Questo sistema di distribuzione della proprietà, unito a severe limitazioni del diritto di ereditare, ha non solo una funzione morale, ma ancor più uno scopo sociale: eliminare i "grandi" e gli "infimi" e garantire così la pace civile che la presenza di quelli mette in pericolo. Anche il diritto di far guerra agli altri stati è ammesso dall'A. soltanto in funzione rigorosamente difensiva. Abolizione della venalità degli uffici, limitazione del diritto di commerciare, esclusione delle arti decorative e stretta vigilanza sugli spettacoli sono altre norme di governo caratteristiche del severo stato ideale dell'Albergati. Nella sua utopia egli dà corpo anche all'aspirazione alla pace civile ed alla stabilità sociale, che, come molti suoi contemporanei, sentiva profondamente.

Sempre a Bologna, nel 1627, furono stampate Le Morali, dedicate dal figlio Antonio, vescovo di Bisceglie, a Urbano VIII, che era stato, quand'era cardinale (M. Barberini), grande amico dell'Albergati. Si tratta di una dissertazione di impronta aristotelica, sulle virtù considerate nel loro variare con il variare delle condizioni umane.

Tutte queste opere dell'A., salvo il Ragionarnento, furono ristampate a Roma nel 1664. Alcune altre restarono inedite: un Discursus de Curia Romana (conservato alla Biblioteca Vaticana) e una Disputatio de causis bellorum Religionis causa gestorum (all'Ambrosiana di Milano). Di numerose lettere dell'A., conservate soprattutto alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro, dà notizia il Mazzatinti.

Bibl.: G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, I, Bologna 1781, pp. 97-98; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d'Urbino, lI, Firenze 1859, p. 354; L. Rossi, Gli scrittori politici bolognesi..., Bologna 1888, pp. 125-139; U. Gobbi, L'economia politica negli scrittori italiani del sec. XVI-XVII, Milano 1889, pp. 98-101; G. Scotoni, La giovinezza di Francesco Maria II e i ministri di Guidobaldo Della Rovere, Bologna p. 899, pp. 265-266; A. Wehn, Des Publizisten F.A. Leben und Werk, Bonn 1913 (dissertazione di laurea con molti errori); L.v. Pastor, Storia dei Papi, IX, Roma 1929, p. 25; E. Gianturco, Bodin's conception of the Veneuian constitution and his critical rift with F.A., in Rev. de littérature comparée, XVIII (1938), pp. 684-695; R. De Mattei, L'idea democratica e contrattualista negli scrittori politici italiani del Seicento, in Riv. stor. ital., LX (1948), pp. 20-21; Id., Il problema della "Ragion di Stato" nel Seicento, in Riv. internaz. di filosofia del diritto, XXVIII (1951), pp. 714-716; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 100-101, 157; L. Firpo, Lo Stato ideale della Controriforma, Ludovico Agostini, Bari 1957, p. 88; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, XVII- XLVIII, passim (insieme con gli scritti dell'A, ne sono catalogati altri di F.A. gesuita, che va ovviamente distinto).

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