Fama

Enciclopedia Dantesca (1970)

fama

Fernando Salsano

Significa il fenomeno del divulgarsi di una notizia, come in Cv I III 11 la imagine per sola fama generata sempre è più ampia, e IV 1 la fama dilata lo bene e lo male oltre la vera quantità. Tradizionale è la sua personificazione: Virgilio dice... che la Fama vive per essere mobile, I III 10.

Significa più spesso l'effetto del fenomeno, ovvero " voce ", " popolare notizia ": Cv IV X 6 secondo la fama che di lui grida; come tale rappresenta sovente la sopravvivenza nel ricordo, e vale appunto " memoria ", " ricordo ", in If III 49 Fama di loro il mondo esser non lassa; XXXI 127 Ancor ti può nel mondo render fama (dove non pare si tratti di " buona voce ", come suggeriva il Campi [cfr. il Dizionario del Tommaseo], ma solo di " rinnovare la memoria "), e XXXII 92.

Vale " reputazione ", " nomea " buona o cattiva, per il riferimento a un giudizio, esplicito - If XV 67 Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; Cv I III 7 La fama buona principalmente è generata da la buona operazione ne la mente de l'amico; IV XXIX 6; Rime XCI 94 non è che disdetta / di mala fama -, o implicito, come in If XIII 53 tua fama rinfreschi / nel mondo sù; XV 107; Pg VI 117 a vergognar ti vien de la tua fama (dove è dubbio se la f. sia buona o cattiva: " quia reputaris pius, et non es; et quia pressura servi cedit in dedecus Domino ", Benvenuto; anche tra gl'interpreti moderni non si riscontra una netta prevalenza del valore negativo, variamente giustificato); VIII 124, Vn XXV 5, Cv I IV 4 e 10; Fiore XVIII 6 cortese, franco e pro' di buona fama; Rime dubbie XXX 21 (v. anche la significativa variante fama in luogo di infamia, in If XXXIII 8).

La locuzione ‛ aver f. ' significa una pubblica attribuzione di eccellenza, che può rivelarsi eccessiva: Vn XXV 5 la cagione per che alquanti grossi ebbero fama di sapere dire, è che quasi fuoro li primi che dissero in lingua di sì. L'altra locuzione, ‛ noto di f. ', significa unicamente la notorietà dovuta a qualsiasi condizione o fatto, come in Pd XVII 138 ti son mostrate... pur l'anime che son di fama note.

È frequente in D. anche l'accezione di " celebrità unita a lode ", coronante quasi per legge naturale l'esercizio della virtù: nulla grandezza puote avere l'uomo maggiore che quella de la virtuosa operazione, che è sua propia bontade, per la quale le grandezze de le vere dignitadi, de li veri onori... de la vera e chiara fama, e acquistate e conservate sono (Cv I X 8; e si ricordi l'invocazione di Pd XVIII 82-85 O diva Pegasëa che li 'ngegni / fai glorïosi e rendili longevi).

Solo alla luce di siffatta connessione di rinomanza e merito possono intendersi nel loro giusto valore gli appelli alla f. come a titolo fortemente positivo e le esortazioni a perseguirla (" non leggero stimate perder fama, ché menore male serea perdere vita ", Guittone Lettere, ediz. F. Meriano, Bologna 1923, 145).

Così in If II 59 O anima cortese mantoana, / di cui la fama ancor nel mondo dura, / e durerà quanto 'l mondo lontana, la lode di Virgilio può esser imperniata sul riconoscimento della sua imperitura f., in quanto questa è il segno certo della sua virtù e del suo merito; non pare, infatti, che qui si tratti di una semplice ‛ captatio benevolentiae ' (" la prima vocazione, o anima cortese... lusinga Virgilio nel sentimento che più si confà ai poeti, l'amore della gloria ", Pagliaro, Ulisse 95), se nella successiva spiegazione della venuta di Beatrice ella indica nel rapporto virtù-rinomanza la garanzia su cui poggia la sua scelta: venni... fidandomi del tuo parlare onesto / ch'onora te e quei ch'udito l'hanno (vv. 112-114; lo stesso D., nell'invocare l'aiuto di Virgilio, aveva usato l'espressione famoso saggio, I 89).

Analogamente, i tre Fiorentini apostrofano D. in nome della propria f. (la fama nostra il tuo animo pieghi / a dirne chi tu se', If XVI 31), la quale ritorna come una significativa indicazione, tanto nella risposta di D. (sempre mai / l'ovra di voi e li onorati nomi / con affezion ritrassi e ascoltai, vv. 58-60), quanto nell'augurio di Iacopo Rusticucci (e se la fama tua dopo te luca, v. 66). Siffatto valore della f. è confermato in If IV 76-78 e Pg XXI 85-87, e risale indubbiamente alla tradizione biblica (cfr. Ecli. 41, 15; Prov. 22, 1; Sap. 8, 13). La medesima accezione ritorna in Pd VI 48 i Deci e ' Fabi / ebber la fama che volontier mirro (la f. di Torquato, di Quinzio, dei Deci e dei Fabi è legata, per quell'onde del v. 46, alle guerre del periodo repubblicano; ma è evidente che in siffatti campioni del sacrosanto segno essa scaturisce da virtù, più che militari, variamente morali: si veda Cv IV V 10 ss., dove le azioni di questi stessi eroi sono evocate come prova dell'intervento divino nella storia di Roma); Pd XVI 87; Cv I III 5 per alcuna fama in altra forma m'aveano imaginato, IV 13, III XI 4 e Rime dubbie XXVI 8.

Significativo è altresì il fatto che il perseguimento della f. come universale lode è predicato come dovere umano tanto nella zona infernale, per bocca di Virgilio, che vede in essa quasi la meta della faticosa anabasi del discepolo (seggendo in piuma, / in fama non si vien, né sotto coltre; / sanza la qual chi sua vita consuma, / cotal vestigio in terra di sé lascia, / qual fummo in aere e in acqua la schiuma, If XXIV 48), quanto nella zona celeste, per bocca di Cunizza (Pd IX 39 Di questa luculenta e cara gioia / ... grande fama rimase / ... vedi se far si dee l'omo eccellente, / sì ch'altra vita la prima relinqua) che non senza ragione pone a fronte, sul limite della f., l'omo e la turba, e altresì esemplifica l'eccellenza dell'uomo con il caso di un suggestivo personaggio quale Folchetto di Marsiglia, la cui grande f. si lega a quella rinascimentale armonia di sacro e profano rappresentata nel paesaggio naturale e spirituale che lo stesso Folco disegna ai vv. 82-108.

Il perseguimento della f. comporta talvolta una deviazione verso un concetto di terrestrità che può avere due gradi di gravità: uno minore, compiutamente significato in Pd VI 114 i buoni spirti... son stati attivi / perché onore e fama li succeda: / e quando li disiri poggian quivi, / sì disvïando, pur convien che i raggi / del vero amore in sù poggin men vivi, dove è evidente che il valore positivo della f. non è sminuito dal fatto che il porla come finalità del buon agire riduca il merito degli spiriti attivi; e uno maggiore, quando il desiderio di eccellenza porta alla superbia, come è il caso di Oderisi da Gubbio (Pg XI 85-88, e cfr. XVII 115-116), e alla concezione del primato e della nominanza come fini vanagloriosi dell'operare e non più come effetto della raggiunta eccellenza: su questo piano di conquista del primato e conseguente negazione dell'umiltà, la f. si riduce a vana gloria (Pg XI 91), mondan romore (v. 100), voce (v. 103), nominanza (v. 115), e si oscura nel giro di una generazione: Pg XI 96 e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura.

Per la tendenza all'accoppiamento di f. con ‛ onore ', si veda, oltre al già citato Pd VI 114, Pg XVll 118, Cv I XI 17 e IV XVII 5.