FANTINO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FANTINO

Jean-Marie Sansterre

Quando, nel maggio del 591, viene citato per la prima volta nelle fonti a noi note, F. appare già rivestire il rango di defensor della Chiesa romana e serviva nell'amministrazione del patrimonium beati Petri in Sicilia, il complesso dei beni patrimoniali della Chiesa romana nell'isola. Operava allora alle dipendenze del suddiacono Pietro che, per nomina e in rappresentanza del papa, come rector patrimonii, del governo appunto di quei beni aveva la responsabilità e la direzione.

I defensores Ecclesiae, che proprio in quel periodo furono riuniti a costituire un particolare Collegio, venivano reclutati almeno in parte tra i laici e con ogni probabilità venivano tonsurati al momento della loro entrata in servizio. Mentre alcuni di loro svolgevano le proprie funzioni essenzialmente a Roma, altri - più numerosi - venivano impiegati nelle amministrazioni dei diversi patrimonia della Chiesa romana.

Poiché, a quanto ci è dato sapere, F. svolse la sua attività solo in Sicilia; e poiché la Chiesa di Roma si serviva, allora più che per il passato, di personale non originario dell'Urbe, si può avanzare l'ipotesi che egli appartenesse a famiglia siciliana. Non abbiamo tuttavia elementi più sicuri e precisi, che possano sostenere una simile congettura. F. è menzionato per la prima volta in una lunga lettera, che il papa Gregorio I indirizzò, appunto nel maggio del 591, al suddiacono Pietro, rettore del patrimonium beati Petri in Sicilia (Reg. epist., I, 42). Dalla missiva, in cui il pontefice affronta diversi problemi connessi col governo delle cose ecclesiastiche nell'isola, risulta che F. approfittava del suo ufficio per arrotondare una retribuzione forse corrisposta in modo irregolare: era stato infatti accusato di aver estorto una cospicua somma, pari a 3 libbre d'oro, ad un certo Pietro, conductor - "fattore" - di una proprietà della Chiesa romana. Il papa gli rimproverava inoltre di aver convinto un Giovanni - forse un monaco, forse un notarius - alasciargli in eredità, per testamento, la metà dei suoi beni, che invece - secondo il parere del pontefice - sarebbero dovuti andare integralmente alla Chiesa romana.

Per quanto riguardava il primo problema, Gregorio I, con la sua lettera, dava mandato al rector patrimonii di indagare sul fatto: se l'accusa fosse stata provata, il suddiacono doveva costringere F. a restituire al conductor la somma che gli aveva estorto. Per quanto riguardava la questione dell'eredità, invece, il papa riteneva opportuno che il suddiacono Pietro lasciasse a F. quanto Giovanni gli aveva legato per testamento; doveva però ammonire il defensor Ecclesiae a guardarsi per il futuro dal ricorrere a sistemi di quel genere. A questo punto, però, il pontefice faceva un larvato rimprovero allo stesso rector patrimonii: gli raccomandava infatti di dare a F. un giusto compenso per l'attività da lui svolta, "ut ei vacuus labor suus esse non debeat". Gregorio I concludeva invitando il suddiacono Pietro a ricordare a F. che "qui Ecclesiae stipendiis subsistit, ad lucra propria non anhelet" e che, in ogni caso, "Nostro reservetur iudicio, qualiter debeant remunerari" i dipendenti della amministrazione ecclesiastica.Sulla base di elementi riscontrabili in una lettera di Gregorio I indirizzata al vescovo di Palermo Giovanni nel settembre del 603, ma riferentesi a fatti accaduti in epoca precedente, nei quali si erano trovati coinvolti di nuovo F. e lo stesso conductor Pietro, sembra potersi avanzare l'ipotesi che già nel 591, quando viene ricordato per la prima volta, F. esercitasse le sue funzioni nell'ambito della regione di Palermo, dove del resto la sua presenza e la sua attività sono attestate anche negli anni successivi.

Allorché nell'estate del 592 il suddiacono Pietro fu trasferito dalla Sicilia sul continente, a dirigere l'amministrazione del patrimonium beati Petri in Campania, il papa dispose - forse per facilitarne la gestione - che il patrimonio della Chiesa romana nell'isola venisse diviso in due unità amministrative, l'una, con centro a Siracusa, riuniva i beni siti nella Sicilia orientale ("in partibus Syracusanis, Catenensibus, Agrigentinis et Messanensibus"), e l'altra, con centro a Palermo, i beni siti nella Sicilia occidentale "in partibus Panormitanis"). Il patrimonium fu riunificato un anno dopo, quando venne affidato ad un nuovo rettore, il diacono Cipriano che lo resse a partire dall'estate del 593 sino alla fine del 597 o più probabilmente sino al primi mesi del 598.

Si trattò di un provvedimento transitorio. Infatti, allo scopo di rendere meno gravosi i compiti del nuovo rettore, che risiedette in Siracusa, la gestione degli affari che concernevano più specificamente il settore occidentale del patrimonium siciliano della Chiesa di Roma venne affidata, al più tardi nel 594, al defensor F., e appunto a partire dal 594 il Richards pensa che F. abbia avuto il titolo e abbia svolto le funzioni di rector patrimonii beati Petri nel Palermitano.

Lo studioso inglese non condivide infatti l'opinione prevalente circa la riunificazione del patrimonium della Chiesa romana in Sicilia, pensando piuttosto che il rector patrimonii residente in Siracusa godesse di un potere di controllo sul suo collega residente in Palermo. Tuttavia, l'interpretazione comunemente accolta dalla letteratura storica risponde meglio al complesso della documentazione nota e, tra l'altro, permette di spiegare meglio perché il Registrum epistolarum di Gregorio I per il periodo compreso tra il 594 e il 597 contenga una sola lettera indirizzata a F., mentre se ne conservano numerose per gli anni successivi al 597.

Con lettera dell'agosto del 594 (Reg. epist., IV, 43) il papa incaricò F. di intervenire presso i creditori di un mercante siriano di nome Cosma, perché riconsegnassero a quest'ultimo il figlio, da essi trattenuto contra legem a garanzia del denaro da essi prestato. Gregorio I avvisava contestualmente il defensor di avergli inviato per mezzo di un suo notaio, allo scopo di facilitare le trattative, la cospicua somma di 60 solidi, con la quale avrebbe potuto pagare una prima parte del debito contratto da Cosma. Nel settembre successivo il Papa ordinò al vescovo di Palermo Vittore di consegnare a F., perché la interrogasse sulla vicenda e prendesse i provvedimenti che gli sarebbero parsi opportuni, una religiosa di nome Vittoria, appartenente alla comunità del monastero di S. Martino de Scalis presso Palermo, accusata di averne dilapidato le sostanze (ibid., V, 4). Da una lettera del marzo del 595 indirizzata al diacono Cipriano, rector patrimonii beati Petri in Sicilia (ibid., V, 28), siamo informati che F. aveva allora in custodia i beni del monaco Cicerione, che "pro suis excessibus" era stato "in poenitentia deputatus" per disposizione del precedente rettore e che Benenato, vescovo di Miseno, reclamava come "iuris Ecclesiae suae famulus". Nell'estate del 597, come apprendiamo da una lettera del luglio di quell'anno diretta al vescovo di Siracusa Giovanni (ibid., VII, 36), F. ricevette dal papa l'incarico di inviare a quel presule un agrimensore di nome Giovanni, allora giunto nell'isola proveniente da Roma.

Nel 598, dopo che il diacono Cipriano fu richiamato nell'Urbe, i beni della Chiesa romana in Sicilia vennero nuovamente ripartiti in due patrimoni distinti, l'orientale e l'occidentale. Quest'ultimo, il patrimonium beati Petri in partibus Panormitanis, venne affidato - com'era da attendersi - a F., che fu promosso al rango di rector.

Gregorio I qualifica F. "defensor Noster ac rector patrimonii partium Panormitanorum" in una lettera indirizzata nell'ottobre del 598 ad una nobildonna di nome Praietta (ibid., IX, 23). Però il titolo di rector patrimonii non accompagna mai il nome di F. nel protocollo dei dispacci che a quest'ultimo furono inviati dal pontefice negli anni successivi e che ci sono stati conservati dal Registrum gregoriano. L'anomalia si può spiegare col fatto che in quella raccolta le intestazioni dei protocolli sono in genere abbreviate. Così stando le cose, sulla base della sola lettera a Praietta non si può dunque stabilire con certezza se F. sia stato innalzato al titolo ed alle funzioni di rector patrimonii in partibus Panormitanis solo nel settembre del 598, quando iniziava l'anno indizionale, o qualche tempo prima, forse anche avanti il maggio di quello stesso anno, come sembra potersi dedurre da una lettera inviatagli in quel mese dal papa (ibid., VIII, 23). Ad ogni modo, appunto a partire dal 598 F. appare frequentemente menzionato nella corrispondenza di Gregorio I come incaricato di delicate missioni o come destinatario di lettere pontificie sino al 603. Si tratta di menzioni di grande interesse, perché illustrano diversi aspetti degli incarichi, che il papa affidava ai rectores patrimonii. Da lui nominati e in contatto regolare con lui, questi ultimi assicuravano al papa l'esecuzione della sua volontà nelle circoscrizioni di loro competenza e i loro interventi avevano tanto più peso supportati da un'autorità spirituale di grande prestigio e da un potere economico spesso considerevole.

Assunta la nuova responsabilità, infatti, F. svolse non solo funzioni più o meno strettamente connesse con l'amministrazione dei beni della Chiesa di Roma in partibus Panormitanis ma, in conformità con la tendenza ad estendere il raggio d'azione dei rectores patrimonii beati Petri che si registra nel corso del pontificato di Gregorio I, fu chiamato spesso da quest'ultimo ad intervenire anche nel campo dei rapporti tra religiosi o enti ecclesiastici e le autorità imperiali, in quello dei rapporti sociali tra laici e, perfino, nella stessa vita delle Chiese locali, con incarichi e provvedimenti relativi al settore più propriamente religioso-disciplinare ed a quello pastorale.

Nel maggio del 598 il papa gli scrisse (Reg. epist., VIII, 23) di recarsi nell'entroterra di Agrigento, dove un gruppo numeroso di ebrei stava preparandosi a ricevere i sacramenti dell'iniziazione cristiana: doveva confermarli nella loro scelta di vita e, se, una volta accertata la loro preparazione religiosa, essi avessero mostrato di desiderarlo, doveva incontrarsi "cum fratre Nostro episcopo ipsius loci" per disporre le cose in modo di non attendere le festività pasquali per accogliere quei catecumeni in seno alla Chiesa e da anticipare la celebrazione dei riti del battesimo, fissandoli per un giorno di domenica o di altra solennità religiosa. Nella medesima lettera il papa affidava alle cure di F. il monastero femminile di S. Stefano, sito in territorio di Agrigento, e la sua badessa, Domina. Nell'estate concluse un accordo con Praietta, la nobildonna già ricordata, circa i carati di proprietà di beni siti nel territorio e nella città di Palermo: la "massa Leucas et Samantaria" ed un palazzo. Tale accordo venne ratificato dal papa nella lettera citata dell'ottobre successivo (ibid., IX, 23). Tra lo scorcio dell'estate e l'inizio dell'autunno F. ebbe il compito di eseguire le disposizioni testamentarie del defunto diacono Servus Dei (ibid., IX, 8). Con lettera del settembre-ottobre (ibid., IX, 10) ricevette l'ordine di collaborare con persone inviate da Napoli per ricercare gli schiavi del defunto "vir spectabilis" Romano, che "perhibentur habitare in Sicilia": via via che fossero stati identificati, doveva riunirli insieme in un luogo "ubi laborare debeant" sotto il suo controllo per mantenere se stessi e provvedere un reddito annuo al monastero che, secondo la volontà del defunto Romano, era stato costituito nel palazzo napoletano di quest'ultimo.

Nell'ottobre F. fu investito dal papa di nuovi e delicati incarichi. Con un primo dispaccio (ibid., IX, 35) gli fu affidato il compito di eseguire le disposizioni testamentarie del defunto "vir illustris" Isidoro. Con altro dispaccio (ibid., IX, 38) ricevette l'ordine di costringere il vescovo di Palermo Vittore a pagare, nella misura stabilita dal "patricius" Venanzio e dall'abate Urbico, l'indennizzo ed il risarcimento da quello dovuto agli ebrei della sua città per aver loro sequestrato e consacrato al culto cristiano - a dispetto delle precise direttive emanate in proposito dal pontefice - le loro sinagoghe "cum hospitiis suis". Il papa ordinò inoltre a F. di obbligare il presule a restituire agli ebrei anche gli arredi e i libri sacri, che in quella occasione aveva loro confiscato. Con un nuovo dispaccio (ibid., IX, 39) F. ebbe il compito di proteggere una donna, certa Ianuaria, che si era rivolta al pontefice chiedendo di essere da lui difesa perché da tempo vessata da tre personaggi (Ingenuo, Anastasio e Bonifacio), i quali miravano a privarla "de possessione, quam per plurimos annos asserit possedisse". F. doveva incontrarsi con i tre ed ammonirli "ut mami facere nihil praesumant", perché la donna si trovava sotto la "tuitio ecclesiastica". Se i tre ritenevano di aver diritti da accampare, doveva consigliar loro di portare la questione dinnanzi a "iudices" scelti da loro e dalla donna, e di attenersi alle loro decisioni: ad ogni modo, concludeva il papa, F. "antefatae mulieri - salva aequitate - tuitionem impendat et eam contra rationis ordinem nullo modo gravari permittat". Sempre in quel mese, con altra lettera (ibid., IX, 40) Gregorio I gli ordinò di indagare "cum omni subtilitate" se rispondesse a verità quanto gli aveva riferito un certo Nostamnus, un mercante ebreo in difficoltà non solo finanziarie. Questi si era lamentato con lui del fatto che il defensor Candido (un subordinato di F.), dopo essersi impadronito, d'accordo "cum aliis creditoribus", di una "navem suam et res alias" ed averle rivendute "pro, credita, quam dederant, pecunia", si rifiutasse di dargli indietro - a differenza di quanto avevano fatto gli altri creditori - l'obligationis chirographum relativo alla somma prestatagli dal defensor. Se al termine della sua inchiesta F. fosse arrivato alla conclusione che il ricavato dalla vendita aveva coperto, come Nostamnus asseriva, l'intero ammontare del debito da questo contratto, F. doveva costringere Candido a restituire al mercante il documento richiesto.

Nel novembre-dicembre il papa affidò a F. il compito di redigere, alla presenza di testimoni e del servus Consentius che le aveva in custodia, l'inventario delle "res" che il defunto Primigenio, "notarius suus", aveva per testamento legato in parte alla propria moglie, in parte a un nipote ex fratre, in parte alla Chiesa romana. F., inoltre, non solo avrebbe dovuto riunire e depositare in luogo sicuro quelle "res" ma ne avrebbe dovuto anche comunicare al papa, il prima possibile, la "summa reditum" (ibid., IX, 74).

Nel febbraio del 599 Gregorio I inviò a F. ed ad altri responsabili dell'amministrazione dei Patrimonia della Chiesa romana una lettera circolare (ibid., IX, 110) l'ordine di procedere ad un'opera di riforma dei costumi del clero locale. A F. - così come agli altri suoi corrispondenti - il papa dava infatti il mandato di accertare "si qui episcoporum, quos commissi tibi patrimonii finis includit, cum mulieribus degunt": quando si fosse imbattuto in situazioni in contrasto con i sacri canoni - i quali consentivano la coabitazione solo con "matre, amita, germana et aliis huiuscemodi", ricorda il pontefice -, doveva intervenire con la massima fermezza per stroncare l'abuso. Gregorio I affidava inoltre a F. - così come agli altri suoi corrispondenti - il compito di cooperare con i vescovi nel sorvegliare e nel seguire i loro "subiectos in sacris ... ordinibus constitutos", perché anch'essi mantenessero la medesima purezza di vita, "hoc tantum modo adiecto", concludeva il papa, "ut hi - sicut canonica decrevit auctoritas - uxores, quas caste debeant regere, non relinquant". Con una lettera riferibile ai mesi di febbraio-aprile (ibid., IX, 119) Gregorio I dette a F. istruzioni perché spingesse il vescovo di Palermo Vittore a porre una buona volta fine - o in via amichevole o per vie legali, ricorrendo al patricius Venanzio e allo stesso F. - alla sua controversia con il magister militum Maurenzio per il possesso della massa Getina. Da un dispaccio inviato nel maggio dal papa al suddiacono Antemio, rector patrimoniiCampaniae (ibid., IX, 144), apprendiamo che quest'ultimo aveva ricevuto l'ordine di far tradurre a Palermo e di far consegnare a F. un ricercato "ab actionariis publicis". Si trattava di un servo "iuris publici" che, condotto "orationis gratia" in Campania da un certo Gallo "nauclerius" e sfuggito quando si trovava nel porto di Miseno, aveva trovato protezione in un vicino monastero e lì aveva vestito l'abito di religione. F. era già stato avvisato del fatto ed aveva ricevuto l'incarico di provvedere nei confronti del fuggiasco divenuto monaco "secundum praeceptionis Nostrae seriem". Nel giugno-luglio F. ricevette il mandato di rispedire a Fusco, abate di due monasteri napoletani, quello di S. Arcangelo "quod Macharis dicitur" e quello dei Ss. Massimo, Erasmo e Giuliana, i libri e i paramenti che il prete Costanzo, morto qualche tempo prima in Sicilia, aveva portato con sé quando si era trasferito nell'isola (ibid., IX, 172). Nel luglio il papa dette a F. disposizioni perché inducesse il vescovo di Lilibeo Decio a restituire a certo Savino il denaro che questi aveva "de proprio" anticipato alla sua Chiesa quando, "absente episcopo", era stato defensor civitatis Lilybaetanae tra il settembre del 594 e l'agosto del 598. Se il vescovo non riteneva di dover risolvere la vertenza "pacifica ordinatione" in quanto stimava di aver validi motivi per esimersi "a restitutione expensarum", doveva presentarsi dinnanzi a F., il quale avrebbe risolto quella ed altre questioni pendenti tra il presule e l'antico defensor civitatis (ibid., IX, 198).

Nella primavera del 600, come apprendiamo da un dispaccio inviato nel maggio di quell'anno dal pontefice a Zittano, magister militum Siciliae (ibid., X, 10), Gregorio I informò F. di quanto gli aveva comunicato lo stesso Zittano in lettere "Graeco sermone dictatas", dandogli ordine di costringere i "religiosi viri", che "in Panormitanis partibus" avevano omesso di "responsum iuri publico de rebus ei competentibus reddere", a presentarsi immediatamente dinnanzi ad "electos iudices" per rendere ragione dei loro atti.

Dopo il maggio del 600 e sino al settembre del 603 non si trova menzione di F. nel Registrum epistolarum di Gregorio I. Sembra che in questo periodo egli sia stato sostituito nelle funzioni di rector patrimonii in partibus Panormitanis da un notarius, Adriano, la cui presenza a Palermo è attestata a partire dal 601. F. tornò ad occupare la sua antica carica solo dopo che il notaio Adriano fu trasferito a Siracusa nel gennaio del 603: la presenza di F. come rettore del patrimonio palermitano è provata da una lettera che Gregorio I gli inviò nel settembre di quell'anno (ibid., XIV, 4) per comunicargli di avere - in seguito alle iterate richieste del vescovo di Catania Leone - perdonato al vescovo Esilarato, presule di una sede che non menziona (forse Tindari), e di averlo rimandato in Sicilia.

Il Richards mette in relazione l'assenza di F. da Palermo con il processo dì Esilarato, celebrato a Roma dinnanzi al papa. Tuttavia, poiché Gregorio I cambiava, spesso i rettori dei patrimoni della Chiesa romana, l'assenza di F. da Palermo può forse venire spiegata con un avvicendamento rientrante nell'ambito di una normale prassi amministrativa.

Non sappiamo per quanto tempo ancora F. abbia ricoperto quella carica. Nel Registrum gregoriano, che finisce nel 604, egli è menzionato ancora solo una volta, e sempre nel settembre del 603, in una lettera indirizzata al nuovo vescovo di Palermo, Giovanni (ibid., XIV, 5), nella quale il papa incaricava quel presule di risolvere una vertenza tra F. e il Pietro conductor di cui si è detto più sopra.

F. figura nell'elenco dei rectores patrimonii redatto, sulla base del Registrum epistolarum, dal diacono romano Giovanni Himmonide nella sua Vita di Gregorio Magno, composta fra 873 e 876.

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