FARMACOLOGIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

FARMACOLOGIA

Vittorio Erspamer

(XIV, p. 818; App. II, I, p. 903; III, I, p. 591; IV, I, p. 760)

Fra le scienze che si occupano dei fenomeni della vita animale, la f. continua ad avere, consolidandola, una posizione di primo piano. Al di là del suo enorme rilievo come disciplina di base, essa ha infatti anche formidabili ricadute applicative nella cura delle malattie dell'uomo e degli animali. Se nell'uomo la durata della vita media, la life expectancy (o speranza di vita), si è molto elevata, ciò è dovuto anche, in misura ragguardevole, alla f. che non solo ne ha prolungato la durata ma ne ha anche migliorato la qualità.

La f. è la scienza dei farmaci (drugs), di tutte le sostanze inorganiche e organiche cioè, naturali o di sintesi, che, introdotte nell'organismo dall'esterno o in esso prodotte e liberate, riescono a modificare, direttamente o indirettamente, i processi biochimici e quindi l'attività funzionale della cellula. Tutte le sostanze attive rientrano nel campo della f. sperimentale in quanto, in ogni caso, capaci di fungere da preziose sonde nello studio dei fenomeni della vita. Fra esse, tuttavia, una posizione particolare occupano quelle che per le caratteristiche della loro azione (potenza ma graduabilità, selettività, reversibilità) hanno prospettive, sia pure limitate e remote, d'impiego clinico, terapeutico o diagnostico. È a queste sostanze che viene generalmente riservato il nome di ''farmaco'' o, in senso ancora più restrittivo, di ''medicamento''.

La f. è una scienza dai limiti assai sfumati. Ora più che mai essa s'intreccia o si compenetra inestricabilmente con la biochimica, la fisico-chimica, la fisiologia e, subordinatamente, con l'immunologia, la microbiologia, la genetica e altre discipline ancora, dalle quali attinge masse di informazioni e di metodiche e alle quali offre, con pari generosità, metodiche nuove e soprattutto miriadi di molecole, i farmaci, atti a scandagliare, attraverso le modificazioni dei processi biochimici e funzionali da essi indotte, gli eventi più intimi della vita cellulare. Tuttavia, se da un lato si perdono sempre più i confini fra le varie discipline biologiche, dall'altro, col suo enorme espandersi, il corpo della f. si è in certo modo smembrato in branche distinte di ricerca che ormai nessun cultore può controllare nel loro insieme.

Accanto alla vecchia f. generale, di organo e sistema, abbiamo così la f. cellulare e molecolare, la farmacogenetica, la cronofarmacologia, la neurofarmacologia, la psicofarmacologia, la neuroendocrinofarmacologia, la chemioterapia, l'anestesiologia, la f. preclinica e clinica, umana e veterinaria. Strettamente legata e inscindibile dalla f. è la tossicologia. Non esiste farmaco che non possa essere veleno e non esiste veleno che, almeno potenzialmente, non possa essere farmaco. La tossicologia ha attualmente invaso, con i problemi dell'inquinamento dell'aria, del terreno, dell'acqua, degli alimenti, tutti i campi dell'attività umana e della vita animale. Qui ovviamente la disciplina sarà considerata esclusivamente in quanto attinente ai farmaci o, ancor più, ai medicamenti. Il rapido sviluppo tecnologico degli ultimi anni, con l'introduzione, anche nella ricerca farmacologica, di metodiche di analisi e di sintesi sempre più raffinate, sofisticate e largamente automatizzate, ha offerto allo sperimentatore possibilità prima impensabili d'identificazione, isolamento, studio strutturale e preparazione di nuove molecole attive, nonché di più precise informazioni, per farmaci nuovi e vecchi, sul loro destino nell'organismo, la loro biodisponibilità, il loro metabolismo, il loro meccanismo d'azione, infine, anche a livello molecolare. Le ricadute in campo pratico-terapeutico sono state la comparsa di nuove generazioni di farmaci già consolidati e l'introduzione di importanti medicamenti nuovi.

Il presente aggiornamento, necessariamente succinto e soprattutto incompleto, ha il solo scopo di offrire qualche informazione su direzioni, tendenze e problematiche della f. sperimentale e clinica degli anni Novanta.

La ricerca farmacologica di base. − La sperimentazione farmacologica classica. − Perché una molecola ricada nell'ambito della f. è giocoforza, come si è detto, che essa sia attiva. Continuano quindi e continueranno a trovare largo spazio, nella f. sperimentale, le metodiche classiche atte a svelare le modificazioni biochimiche e funzionali grossolane e appariscenti indotte dalle sostanze attive nell'organismo in toto (pressione del sangue, attività cardiaca, temperatura, respiro, secrezioni e motilità del tubo intestinale, funzione renale, attività della muscolatura scheletrica, attività del sistema nervoso centrale, attività sessuale, ecc.), in tessuti e organi isolati, in colture cellulari. Non solo sarà possibile, con queste metodiche, avere dati qualitativi sull'attività di una sostanza, ma anche avere su essa precise informazioni quantitative, titolarne cioè l'attività in senso assoluto e in paragone a quella di altre sostanze. Con l'applicazione in parallelo di vari saggi sarà anche possibile distinguere e discriminare fra loro sostanze attive e similari (saggio biologico parallelo).

È evidente l'importanza di questa massa di informazioni preliminari. Quanto più intenso, selettivo, dose-dipendente e reversibile sarà l'effetto di una sostanza attiva, tanto più essa sarà farmacologicamente valida e tanto più solida la sua candidatura a divenire medicamento. La dimostrazione dell'attività di una sostanza deve, come sempre, essere immediatamente seguita da una precisa definizione della sua tossicità e dallo studio del suo destino nell'animale da esperimento: due ordini di dati in ogni caso importanti, ma perentoriamente richiesti quando un farmaco abbia prospettive terapeutiche. Fino a pochi decenni or sono la f. sperimentale esauriva praticamente qui le sue possibilità: a livello di organo, di tessuto o, al massimo, di cellula. Ora essa punta assai più in profondità, scandagliando gli effetti del farmaco a livello di strutture subcellulari, di canali ionici, di molecole singole, rappresentate soprattutto da enzimi e messaggeri endocellulari. È con questo studio, reso in larga parte possibile dal formidabile sviluppo della tecnologia, che si potrà indagare a fondo sul meccanismo d'azione di un farmaco, cuore della ricerca farmacologica, su quella cascata di eventi biochimici e biofisici, cioè, provocata dall'agganciamento del farmaco al suo recettore. Senza disconoscere il ruolo insostituibile della vecchia, gloriosa, metodica farmacologica, è evidente che la ricerca farmacologica del futuro sarà essenzialmente una ricerca a livello molecolare.

La farmacologia molecolare. − Dell'enorme massa di dati sperimentali che si vanno vertiginosamente accumulando nel campo della f. molecolare, saranno presentate qui, in forma necessariamente incompleta e schematica, solo alcune fra le acquisizioni fondamentali più pacificamente recepite. Esse riguardano i recettori, i canali ionici e i secondi messaggeri intracellulari. Le informazioni riportate possono dare un'idea dei grandi progressi che negli ultimi anni sono stati compiuti, seppure fra incertezze e difficoltà interpretative, nelle nostre conoscenze sulla cascata di eventi prodotti, a livello molecolare, dall'impatto di una sostanza attiva sulla cellula bersaglio.

Recettori. − Affinché le sostanze attive endogene, nella loro totalità (ormoni, neurotrasmettitori, neuromodulatori, ecc.), e la maggior parte dei farmaci esogeni possano agire sulla cellula bersaglio, è necessario che essi si aggancino a un sito di legame o recettore, struttura macromolecolare posta alla superficie (membrana) o all'interno della cellula. È da questo agganciamento che originano i segnali che portano alla risposta cellulare.

È definitivamente acquisito che per i liganti endogeni, quelli studiati più a fondo e con maggiore profitto, non esiste un solo tipo di recettore, ma più tipi, spesso distribuiti in tessuti diversi, ma talvolta anche in una stessa cellula. Può anche verificarsi, per i neurotrasmettitori, che recettori emergano non solo sulle strutture post-sinaptiche ma anche a livello pre-sinaptico, sulla stessa terminazione nervosa che li ha liberati. Così abbiamo i recettori adrenergici α1 e α2, β1 e β2; i recettori dell'istamina H1 e H2; i recettori muscarinici e nicotinici dell'acetilcolina; i recettori oppioidi μ, δ, e k, e così via.

Ma ai vari tipi e sottotipi di recettori possono agganciarsi non solo molecole capaci di modificare, in senso positivo o negativo, la risposta cellulare, i cosiddetti liganti agonisti, ma anche altre molecole (più o meno simili strutturalmente alle precedenti) che pur in grado di legarsi, anche tenacemente, al recettore, sono incapaci di per sé d'indurre direttamente una qualsiasi risposta cellulare. È evidente che se un recettore è occupato da uno di questi liganti inerti, il ligante agonista non potrà più avere accesso al recettore e quindi la sua attività sarà bloccata. Si dicono antagonisti questi liganti che, di per sé privi di qualsiasi effetto primario, sono però in grado di svolgere azioni farmacologiche indirette, ma per questo non meno preziose, attraverso il blocco dei rispettivi agonisti. Così in f. sperimentale e in terapia abbiamo gli α1, i β1 e i β2 bloccanti adrenergici, gli antistaminici H1 e H2 bloccanti, i bloccanti dei recettori della dopamina, dei recettori nicotinici e muscarinici dell'acetilcolina, i bloccanti dei recettori μ e δ degli oppioidi, ecc.

A rendere più complesso il problema del recettore, ma nello stesso tempo a gettare su esso nuova luce, è sopraggiunto il concetto di modulazione allosterica del recettore, soprattutto di quello della cellula nervosa e di altre strutture eccitabili. Il recettore, cioè, oltre ad avere il sito di agganciamento per il neurotrasmettitore principale, può presentare anche altri siti di legame, detti appunto allosterici, cui potranno agganciarsi ulteriori molecole, di per sé incapaci d'influenzare l'attività cellulare, ma idonee a modulare l'effetto del trasmettitore principale, di volta in volta rinforzandolo o attenuandolo. Uno degli esempi più citati è quello della modulazione allosterica del recettore dell'acido γ−aminobutirrico, il GABA (principale trasmettitore inibitore nel sistema nervoso centrale) ad opera delle benzodiazepine, i comuni tranquillanti.

Di parecchi recettori, tutti di natura proteica, si conosce ormai la struttura primaria, cioè la composizione e la sequenza aminoacidica. La grande importanza di queste acquisizioni è ovvia, sia per la comprensione dell'affinità di legame ligante-recettore, sia per la progettazione di liganti (agonisti e antagonisti) nuovi, cioè di farmaci nuovi.

È anche evidente l'interesse che riveste l'esatta conoscenza della distribuzione dei recettori nei vari tessuti e della loro densità, del loro numero, cioè, sulla cellula bersaglio. Questo è reso possibile con l'uso di liganti marcati, radioattivi, che, con la tecnica dell'autoradiografia, rivelano distribuzione e densità dei loro recettori non solo nei diversi tessuti, ma anche a livello cellulare e subcellulare. Le implicazioni teoriche e pratiche derivanti da queste conoscenze sono assai rilevanti. È chiaro che dall'identificazione della mappa di distribuzione di una sostanza attiva, soprattutto nuova, noi potremo avere decisive informazioni sulla sua possibile funzione; è chiaro che l'azione di una sostanza sarà tanto più selettiva quanto più ristretta sarà l'area di distribuzione dei suoi recettori; è infine altrettanto evidente che una molecola perderà o attenuerà la sua azione in caso di assenza primaria, congenita, dei suoi recettori specifici o di riduzione secondaria, patologica, di questi recettori.

Se il tubulo renale distale sarà congenitamente privo dei normali recettori per l'ormone antidiuretico, si avrà il diabete insipido nefrogeno, che non potrà essere corretto da una terapia ormonale sostitutiva; se le cellule neoplastiche del cancro tiroideo e di quello della mammella avranno perso i rispettivi recettori per lo iodio e per gli steroli, la terapia con iodio radioattivo o con ormoni sessuali non potrà sortire alcun successo; se la placca motrice del muscolo scheletrico risulterà depauperata, per ragioni autoimmunitarie, dei recettori nicotinici dell'acetilcolina, come si ha nella miastenia grave, il muscolo perderà il suo tono normale e al grave inconveniente si potrà ovviare solamente facilitando la sintesi di molecole recettoriali nuove mediante una terapia immunosoppressiva.

Per quanto concerne i liganti antagonisti, col loro agganciamento al recettore la loro funzione è esaurita. Le eventuali ripercussioni intracellulari di questo agganciamento sono conseguenti non a qualche loro azione positiva, ma semplicemente al blocco di legame dei rispettivi agonisti. Blocco, tuttavia, che può essere di grande rilievo sperimentale, perché spesso capace d'indicare il meccanismo d'azione di un farmaco e di permettere l'individuazione e la distinzione di vari tipi e sottotipi di recettore, e di grande importanza terapeutica in caso di eccesso di disponibilità di agonisti esogeni ed endogeni o di eccessiva densità o reattività dei recettori.

Si pensi al vasto impiego degli agenti di blocco adrenergico e degli antagonisti dell'ipertensina e della serotonina nel trattamento della malattia ipertensiva, all'impiego degli H2 bloccanti istaminici nel trattamento dell'ulcera peptica, all'uso del naloxone nell'avvelenamento da oppiacei e dell'atropina nell'avvelenamento da funghi muscarinici. Per le sostanze agoniste, invece, l'agganciamento recettoriale è, come subito si vedrà, l'innesco, tramite le Gproteine di membrana, di tutta una cascata di eventi biochimici e biofisici intracellulari sfocianti nella risposta cellulare.

Somministrando endovena liganti (neurotrasmettitori, oppiacei, benzodiazepine, ecc.) marcati con isotopi emittenti positroni oggi si è giunti, con la tecnica del PET (Positron Emission Tomography) a poter visualizzare e quantificare la distribuzione dei relativi recettori nel cervello di uomo. L'impatto esercitato nella fisiologia, f. e patologia da questa eccezionale, non aggressiva tecnica, sarà certamente cospicuo.

Canali ionici. − Uno degli argomenti di punta della f. molecolare è lo studio dei cosiddetti canali ionici, di grandissima importanza per l'interpretazione dei fenomeni fisiologici e farmacologici che avvengono soprattutto a livello dei tessuti eccitabili, quali tessuto nervoso e tessuto muscolare, liscio e striato. Si tratta di canali di membrana, costituiti da glicoproteine di varia complessità (proteine di canale o di poro), che permettono il passaggio, spesso solo selettivo, di ioni o attraverso la parete della cellula o, nell'interno della cellula, attraverso la parete di organelli intracellulari (reticolo endoplasmatico, mitocondri), determinando in questo modo variazioni nella concentrazione di ioni nel citosol, il liquido amorfo della cellula. Gli ioni più importanti e maggiormente studiati sono i cationi Na+, K+ e Ca++ e l'anione Cl. Le variazioni nel loro contenuto citosolico sono d'importanza cruciale per l'insorgere e la trasmissione dei potenziali d'azione, la liberazione dei mediatori e, nelle cellule effettrici, per l'attivazione o il blocco della risposta cellulare. I canali ionici possono essere strettamente associati ai recettori o fungere essi stessi da recettori per neurotrasmettitori, farmaci e tossine. L'apertura e chiusura dei canali è causata da variazioni nella struttura delle proteine di canale, in risposta a un agente chimico (canali chemiodipendenti) o a una modificazione del potenziale di membrana (canali potenziale-dipendenti).

La ricerca sui pori ionici di membrana è assai complessa, non solo per la molteplicità dei canali stessi (si conoscono 5÷7 canali del potassio e 3 canali del sodio, con caratteristiche diverse), ma anche per le frequenti interazioni fra i vari canali. È la metodica del patch clamp (v. Neherer, Erwin, e Sakmann, Bert, in questa Appendice), che ha permesso grandi passi in avanti nelle nostre conoscenze sulla natura e attività dei canali ionici, soprattutto della cellula nervosa. Con questa raffinata tecnica si riesce a osservare e registrare il comportamento di uno o pochi canali in un minuscolo frammento di membrana cellulare, con precise informazioni sul voltaggio di membrana e sui movimenti di vari ioni in condizioni di base e in presenza di specifici attivatori o inibitori di canale. Con questa e altre fini metodiche elettrofisiologiche si è riusciti, per dare esempi concreti, ad assodare che gli anestetici locali impediscono la generazione e la trasmissione dell'impulso nervoso essenzialmente attraverso un blocco reversibile dei canali del sodio; che anche la tetrodotossina blocca, ma questa volta in modo difficilmente reversibile, i canali del sodio della fibra nervosa e della fibra muscolare striata; che i glicosidi digitalici incidono profondamente negli scambi di sodio e calcio che avvengono sia nell'interno della fibra miocardica, sia a livello della sua membrana; che tossine della pelle di anfibio, di scorpione e di celenterati possono attivare potentemente di volta in volta i canali del sodio e del calcio; che infine le benzodiazepine agiscono sui canali del cloro attivati dall'acido γ−aminobutirrico, potenziando l'effetto inibitore dell'aminoacido.

La conoscenza più approfondita dei tipi e del funzionamento dei canali ionici non solo sta rendendo possibile una migliore comprensione di numerosi fenomeni elettrofisiologici che si svolgono nell'ambito del sistema nervoso centrale e periferico e di altre strutture eccitabili ma, come si è detto, permette anche d'identificare il sito d'azione molecolare di svariati farmaci, e di conseguenza di programmare la creazione di farmaci nuovi, attivatori o bloccatori dei canali ionici, spesso con considerevoli implicazioni terapeutiche. È questo il caso dei bloccatori dei canali del calcio (i calcio antagonisti), quali il verapamil, la nifedipina, il diltiazene e altri, che trovano vasto impiego nel trattamento dell'angina, delle aritmie cardiache, dell'ipertensione, dell'asma e di malattie vascolari periferiche. Sono anche in studio sperimentale attivatori dei canali del calcio e attivatori e inibitori di altri canali ionici.

Ci si è soffermati in modo particolare sui canali della cellula nervosa e della fibra muscolare, ma è evidente che questi canali giocano un ruolo fondamentale nell'attività funzionale di tutte le cellule dell'organismo, tutte legate a ben precisi equilibri nella composizione e concentrazione ionica intracellulare. È anche facilmente comprensibile come i canali ionici intervengano in modo decisivo in tutti i processi secretori, in tutti i processi di assorbimento (soprattutto intestinale) e nei formidabili processi d'interscambio ionico che avvengono nel tubulo renale, processi che stanno alla base dell'omeostasi ionica in tutti i liquidi extracellulari.

Secondi messaggeri. Eventi intracellulari. − Come si è detto, i neurotrasmettitori, gli ormoni, i fattori di crescita e molti farmaci non naturali trasmettono i loro messaggi attraverso l'agganciamento a recettori specifici. Il segnale così recepito viene trasdotto e amplificato da particolari proteine di membrana leganti un nucleotide guaninico (le G-proteine). Sono esse le dirette responsabili dell'attivazione di canali ionici e di sistemi enzimatici, sempre di membrana, che catalizzano la formazione di secondi messaggeri, i veri promotori di quella finale successione di reazioni biochimiche che determina la risposta cellulare. Fra gli enzimi attivati dalle G-proteine, e i relativi secondi messaggeri, i meglio conosciuti sono: l'adenilciclasi, che genera l'adenosinmonofosfato ciclico (cAMP), capace, dopo amplificazione catalitica del suo messaggio, di controllare, a mezzo di processi di fosforilazione, una serie di reazioni metaboliche liberatrici di energia. Sembra attuarsi attraverso il cAMP l'azione della corticotropina sulle cellule della corteccia surrenale (produzione di glucocorticoidi), quella delle gonadotropine sulle cellule sessuali (produzione di ormoni sessuali), quella dell'adrenalina, quando s'agganci ai β−recettori. Un'attivazione o un'inibizione nella formazione del cAMP piastrinico ad opera delle prostacicline e, rispettivamente, dei trombossani sembra giocare un ruolo importante nell'aggregazione e nell'adesività di questi elementi del sangue, e conseguentemente anche nella patogenesi della malattia trombotica;

la guanilciclasi, che dà origine al guanosinmonofosfato ciclico (cGMP), responsabile, per es., della risposta della fibrocellula muscolare liscia e delle cellule del tubulo renale ai peptidi natriuretici atriali;

la fosfolipasi C che, catalizzando l'idrolisi dei polifosfoinositidi (PIP), dà origine a due ulteriori secondi messaggeri, rappresentati dal diacilglicerolo e da uno sciame di inositolfosfati, dei quali il più importante e di gran lunga il più attivo è l'inositolo trifosfato (IP3). Questo diffonde nel citosol producendo la liberazione in esso del calcio depositato negli organelli intracellulari, calcio che, a sua volta, può controllare i canali ionici della membrana plasmatica, per es. i canali del potassio calciodipendenti. Un accumulo eccessivo di IP3 citosolico è impedito dall'entrata in gioco di enzimi inattivanti, fosfatasi e chinasi, che trasformano l'IP3 in IP2 e IP4 (inositolo di- e tetra-fosfato) inattivi. Il diacilglicerolo, che sembra fermarsi nella membrana cellulare, innesca, per suo conto, da una parte l'attivazione della proteino-chinasi C, dall'altra l'attivazione della fosfolipasi A, con conseguente liberazione di acido arachidonico e generazione dei suoi potenti metaboliti (prostaglandine e trombossani). Nei tessuti eccitabili la fosfolipasi C sembra poter essere attivata, senza l'intermediazione del diacilglicerolo, anche da un aumento del calcio citosolico di provenienza extracellulare.

È difficile in questo momento avere un'idea precisa sull'importanza relativa dei secondi messaggeri, anche perché il loro numero è probabilmente destinato a crescere. In generale si tende attualmente a enfatizzare l'importanza dei derivati del polifosfatoinositide e della liberazione di ioni calcio nel citosol da essi indotta. Attraverso un innesco dell'idrolisi del PIP si pensa agisca la 5-idrossitriptamina, la vasopressina, l'istamina, la noradrenalina (recettori α1), l'acetilcolina e svariati neuropeptidi, fra cui la bombesina e le tachichinine. Il sistema del PIP potrebbe anche essere il bersaglio del litio, che esplicherebbe la sua benefica azione negli stati maniacali deprimendo la sintesi del PIP e con ciò attenuando le eccessivamente intense interazioni fra neurotrasmettitori e recettori.

Queste schematiche e incomplete informazioni su recettori, canali ionici e secondi messaggeri prospettano le linee maestre su cui si sta muovendo la moderna ricerca farmacologica, e indicano i vasti spazi che si aprono alla progettazione e realizzazione di farmaci e medicamenti sempre più mirati, selettivi ed efficaci e, sperabilmente, sempre più scevri da fenomeni collaterali indesiderati.

I farmaci ''naturali'' o ''endacoidi''. − Sempre in linea con gli indirizzi sopra indicati è l'individuazione, lo studio farmacologico e quindi, possibilmente, l'introduzione in terapia, di sostanze attive naturali o endacoidi (endo-farmaci), di sostanze cioè che, quali normali costituenti dei tessuti, nei tessuti trovino i loro naturali recettori e nei tessuti vengano trasformate, seguendo le normali vie metaboliche in prodotti intermedi e finali non tossici. Il nocciolo dell'interesse terapeutico degli endacoidi sta quindi nella loro presumibile innocuità, beninteso quando siano dati a dosi fisiologiche. Nella categoria dei farmaci naturali entrano già i vecchi, classici ormoni, specie se utilizzati nella terapia sostitutiva (insulina, tiroxina, ormoni sterolici, ecc.), i classici neurotrasmettitori (per es. dopamina, noradrenalina, acetilcolina), ma molti altri endacoidi attendono di essere individuati o studiati più a fondo. Fra essi non solo sostanze endogene capaci di agire sul recettore dell'organo bersaglio come agonisti primari (ormoni ipotalamici liberatori degli ormoni dell'ipofisi anteriore, gli stessi ormoni preipofisari, i peptidi oppioidi e altri neuropeptidi, i peptidi natriuretici dell'atrio cardiaco, i numerosi derivati dell'acido arachidonico, ecc.), ma anche sostanze endogene di per sé incapaci di provocare la risposta cellulare, ma idonee a modulare la reazione indotta dall'agganciamento recettoriale del ligante principale, neurotrasmettitore o altro principio attivo che esso sia. Modulazione che significa graduazione nell'intensità della risposta, attraverso smorzamenti o intensificazioni discreti, tali da renderla in ogni momento adeguata al bisogno.

Un campo in cui lo studio dei farmaci naturali promette risultati particolarmente gratificanti è quello del sistema nervoso, centrale e periferico. In esso sono state individuate, insieme ai loro recettori, oltre 50 molecole attive aminoacidiche, aminiche e peptidiche, ciascuna delle quali può essere ragionevolmente ritenuta capace di svolgere selettive azioni di vera e propria trasmissione o di modulazione a livello di un numero più o meno rilevante dei miliardi di sinapsi neuronali coinvolte nella nostra vita intellettuale, emotiva e vegetativa.

Per portare alcuni esempi: i numerosi peptidi oppioidi e le tachichinine che intervengono nella trasmissione ed elaborazione della sensazione dolorosa; le bombesine che regolano temperatura, tasso glicemico, secrezione gastrica e motilità intestinale; la colecistochinina che controlla appetito e assunzione di cibo; i peptidi ansiogeni DBI (Diazepam Binding Inhibitors) e i loro derivati che, antagonizzando l'azione depressiva dell'acido gamma-aminobutirrico, producono nell'animale una risposta pre-conflitto.

Un altro aspetto degli endacoidi, che va acquistando un'importanza sempre maggiore, è quello trofico. L'esempio più pertinente è quello costituito dal Nerve Growth Factor (NGF) che controlla e favorisce lo sviluppo del neurone.

Ma altri fattori trofici di grandezza molecolare diversa vanno rapidamente emergendo. Per le sue ricadute nella patologia umana può essere qui di nuovo ricordata, fra i neuropeptidi piccoli, la bombesina che, al di fuori del sistema nervoso, possiede una potente azione trofica su certe linee cellulari del cancro a piccole cellule del polmone umano. In esse il peptide si è rivelato un potente agente mitogeno autocrino, cioè, in ultima analisi, un agente pro-tumorale. È più che evidente l'interesse delle attuali ricerche dirette a individuare peptidi antagonisti della bombesina, atti forse a bloccare o rallentare la proliferazione neoplastica. Per finire, non deve essere passato sotto silenzio che, in aggiunta ai peptidi, amine e aminoacidi, stanno facendosi largo, nell'ambito del sistema nervoso centrale, anche endacoidi a diversa struttura chimica quali i fosfolipidi e i gangliosidi, per i quali viene prospettata una considerevole importanza nei fenomeni di plasticità e rigenerazione neuronale.

Applicazioni terapeutiche della ricerca farmacologica. − Anche negli anni Ottanta la ricerca farmacologica finalizzata ha avuto come obiettivo principale, sia nei laboratori universitari sia, e ancor più, in quelli dell'industria, l'individuazione e lo sviluppo di farmaci atti a combattere le malattie a più larga diffusione, che di fatto costituiscono le malattie di maggior rilievo sociale ed economico. Si tratta delle malattie cardiovascolari, delle malattie neoplastiche, delle malattie infettive e del sistema immunitario, delle malattie infine del sistema nervoso centrale e del sistema endocrino.

In numerosi casi, più che di sviluppo di farmaci realmente ''nuovi'', si è trattato di rimaneggiamenti più o meno rilevanti di vecchie molecole attive, in modo da ridurne gli effetti collaterali indesiderati, di controllarne meglio intensità e durata di azione, di permetterne, infine, un'assunzione per via orale che, nonostante tutto, sembra rimanere, nella grande maggioranza dei casi, la più congrua e naturale via di somministrazione di un farmaco.

Malattie cardiovascolari. − Nell'ambito di queste malattie che nei paesi industrializzati rappresentano attualmente la più frequente causa di morte, progressi sono stati compiuti nel trattamento delle aritmie cardiache con nuovi prodotti simili alla vecchia lidocaina (tocainide, flecainide, lorcainide, ecc.), nel trattamento dell'angina di petto con la vecchia nitroglicerina applicata topicamente sotto forma di pomata (o sotto forma di bendaggi adesivi portanti un polimero impregnato di sostanza attiva), e con gli agenti di blocco dei canali del calcio, o calcio antagonisti, quali il verapamil, la nifedipina, il dialtazene, la nifendipina. Nel trattamento della malattia ipertensiva hanno fatto la loro comparsa ancora i calcio antagonisti, nuovi antiadrenergici centrali, il guanabenz e la lofexidina che agiscono stimolando gli α−recettori centrali, nuovi α1−bloccanti adrenergici periferici quali l'indoramina e la terazocina, infine la ketanserina, che sembra agire con un meccanismo del tutto nuovo, vale a dire attraverso un blocco dei recettori periferici S2 della serotonina. Né devono essere qui dimenticati, quali antiipertensivi, i nuovi inibitori dell'enzima convertitore dell'angiotensina, quali l'enalapril e il rimopril, ad azione più prolungata di quella del vecchio captopril.

Malattie neoplastiche. − Sia la sperimentazione sull'animale che la sperimentazione sull'uomo e il conseguente impiego in terapia dei medicamenti antineoplastici sono, come non mai, di stretta competenza specialistica, e la valutazione dell'efficacia e degli effetti collaterali di questi agenti, quasi sempre aggressivi, si basa largamente su criteri statistici di ampio respiro e a lungo termine. È evidente che per farmaci efficaci siamo disposti ad accettare una tossicologia clinica normalmente intollerabile. Consueta è, nel trattamento della malattia neoplastica, l'applicazione di protocolli terapeutici di continuo rielaborati e perfezionati, consistenti in genere nella somministrazione di cocktails di farmaci, di composizione variabile a seconda della natura e dello stadio del tumore. Diversi medicamenti antitumorali sono stati recentemente introdotti in terapia. Fra essi nuovi agenti alchilanti, antimetaboliti, antibiotici, nuovi derivati del cisplatino e altre molecole ancora, in fase di studio. Un cenno a parte è bene riservare, per la loro buona tolleranza, agli analoghi dell'ormone ipotalamico liberatore delle gonadotropine (cancro della prostata, cancro mammario ormono-dipendente), nonché ad alcuni agenti immunologici, quali gli interferoni (leucemia a cellule capellute) e le interleuchine (cancro della vescica e del retto, melanoma).

Malattie infettive. − Nella terapia delle comuni malattie infettive bacteriche, largamente sotto controllo, sono da segnalarsi soprattutto nuove penicilline semisintetiche e nuove cefalosporine, che appartengono alla cosiddetta terza generazione; nella terapia delle gravi malattie fungine sistemiche e profonde, nuove molecole tiazoliche (ketoconazolo, itraconazolo), spesso in grado di sostituire la pericolosa amfotericina B.

Tuttavia è soprattutto all'individuazione di agenti medicamentosi capaci di prevenire e curare, in attesa di efficaci vaccini, le malattie virali, che sono in questo momento rivolti i maggiori sforzi dei ricercatori. Problema delle malattie virali che si è acuito in modo drammatico in questi ultimi anni per l'inarrestabile dilagare dell'AIDS.

I maggiori successi terapeutici nell'ambito delle virosi sono stati conseguiti nelle infezioni da virus erpetici, in tutte le loro localizzazioni. Fra gli antierpetici della seconda generazione, attivi sia topicamente che per via sistemica, sono l'aciclovir, con vari derivati, e la ribavirina, analoghi del nucleotide purinico, capaci di bloccare competitivamente la sintesi dell'acido nucleico virale, rispettando quella dell'organismo ospite. Importante è che questi farmaci risultano attivi anche in pazienti a funzione immunitaria compromessa. Possibile è anche l'impiego nelle infezioni da virus erpetico del levamisolo, delle interleuchine e dell'interferone.

L'unico medicamento che ha dimostrato qualche attività nella gravissima virosi da HIV, Human Immunodeficiency Virus (AIDS), è l'azidotimidina (AZT), derivato trifosfato della timidina che, in vitro, si è dimostrato un potente bloccatore della replicazione virale, attraverso un'inibizione della transcriptasi inversa, con conseguente blocco della sintesi del DNA virale. Sembra che l'AZT possa portare a un parziale, transitorio ripristino della reazione immunitaria, con conseguente riduzione delle lesioni degenerative nel sistema nervoso centrale (fenomeni demenziali) e modesto prolungamento della vita.

Malattie immunitarie. − Possono essere causate da eccesso, difetto o aberrazione nella formazione di anticorpi, e quindi vanno trattate di volta in volta con agenti immunosoppressori e immunostimolanti.

Fra i medicamenti immunosoppressori, indispensabili per controllare gravi malattie autoimmunitarie e, ancor più, per evitare il rigetto dei trapianti di tessuto e organo, sono comparsi, affiancando i vecchi glucocorticoidi, che continuano ad avere vasto impiego, alcune molecole citotossiche quali l'azotioprina e, di gran lunga più efficace, la ciclosporina. La prima, derivato della mercaptopurina, agisce bloccando competitivamente la sintesi delle purine e con ciò rallentando la moltiplicazione e l'attività delle cellule immunocompetenti. La seconda, polipeptide ciclico isolato dal fungo Tolypocladium inflatum, è capace d'inibire selettivamente la funzione dei linfociti T-helper, favorendo invece l'attività dei linfociti T-suppressor, con la conseguenza di un blocco della risposta anticorpale primaria, una parziale inibizione della risposta secondaria e una notevole inibizione dell'ipersensibilità ritardata. Alla potente azione immunosoppressiva della ciclosporina è dovuto il cospicuo aumento nella percentuale di attecchimento degli allotrapianti: fino al 95% in quelli di rene e fino al 75% in quelli di cuore e fegato, a un anno dall'intervento. Promettenti risultati ha dato la ciclosporina anche in malattie a supposta base autoimmunitaria: diabete mellito giovanile, cirrosi epatica, psoriasi, dermatomiosite, miastenia grave, artrite reumatoide, lupus erythematosus sistemico, ecc.

Opposta all'immunosoppressione è l'immunostimolazione o immunopotenziamento che ha lo scopo di ricostituire un sistema immunitario deficitario, facilitando e incrementando la risposta immune all'antigene. Fra gli agenti immunostimolanti farmacologici (poiché solo di questi qui si tratta) suscitano il maggiore interesse alcune molecole che accrescono le difese dell'organismo verso le malattie virali: molecole di sintesi, quali il levamisolo, e ancor più promettenti e teoricamente più stimolanti, alcune molecole biogene, gli interferoni e le interleuchine. Il levamisolo, noto da molto tempo come antielmintico, è considerato un agente immunonormalizzante in quanto capace di potenziare un sistema immunitario deficitario, non uno normale. Agisce, con meccanismo complesso, direttamente su linfociti, granulociti e macrofagi modificando la loro proliferazione, mobilità e capacità fagocitaria. Di dubbia efficacia nei tumori, sembra aver dato più consistenti risultati nelle infezioni erpetiche e in certe malattie autoimmuni. Gli interferoni sono glicoproteine sintetizzate in tutte le cellule animali nucleate, capaci di spiegare complesse azioni sulla sintesi del DNA e quindi sulla moltiplicazione cellulare e sulla sintesi degli anticorpi. Si aggiunga una stimolazione delle cellule T citolitiche e delle cellule killer naturali. Le sostanze hanno trovato impiego, in parte solo sperimentale, in svariate malattie virali e neoplastiche, fra le quali, con successo, nella leucemia a cellule capellute. Le interleuchine, linfochine prodotte da Tlinfociti attivati, spiegano anch'esse, attraverso meccanismi ancora una volta complessi, una cospicua attività di ripristino e di stimolo della risposta immunitaria. Inefficaci nel trattamento dell'AIDS, le interleuchine, come si è detto, hanno dato promettenti risultati nella cura del cancro della vescica e del retto e nel trattamento del melanoma.

Malattie del sistema nervoso centrale. − Dagli ormai consolidati farmaci antipsicotici, tranquillanti, antidepressivi e anticonvulsivanti, nel cui ambito non si registrano novità di rilievo, l'attenzione dei ricercatori si sta decisamente spostando verso possibili farmaci idonei al trattamento delle malattie degenerative del sistema nervoso centrale, soprattutto verso quelle dell'età matura e avanzata, sia nella loro forma grave, talora distruttiva della psiche (per es. morbo di Alzheimer, 500.000 pazienti in Italia), sia verso le forme meno severe e progressive che finiscono col confinare e in parte confondersi con il decadimento fisiologico del cervello senile.

Le gravi, estese forme degenerative del sistema nervoso centrale sfuggono per ora a un qualsiasi approccio farmacologico, e per esse, anche per il futuro, si prospettano più possibilità di prevenzione che di cura. Il problema, concretamente attuale, riguarda il trattamento delle forme degenerative meno severe e il possibile procrastinamento dell'invecchiamento cerebrale fisiologico che ineluttabilmente porta a una progressiva perdita di neuroni e a un progressivo affievolimento di tutti i processi biochimici intracellulari, con ovvia riduzione anche nella sintesi e disponibilità di fattori trofici, neurotrasmettitori e neuromodulatori. Nella fondata supposizione che alcuni dei multiformi disturbi psichici dell'anziano, attinenti la sfera intellettuale e affettiva, siano riconducibili a deficit circolatori, soprattutto nel microcircolo cerebrale, sono stati proposti vasodilatatori distrettuali diretti e indiretti, con risultati estremamente ambigui e di difficile interpretazione, date le oscillazioni spontanee della fenomenologia. Molto più interessanti, ma altrettanto incerti e d'interpretazione ancor più difficile, sono i risultati di tentativi miranti a portare a contatto diretto della cellula nervosa sostanze attive esogene, o sostanze endogene da esse liberate, in modo da rallentare l'usura fisiologica o il decadimento patologico del tessuto nervoso o di facilitarne, in caso di lesioni acute riparabili, i processi di ripristino anatomico e funzionale. Per qualche sostanza attiva siamo ancora nel campo della pura ricerca farmacologica sperimentale; per altre è già in atto una consistente, ma non definitiva sperimentazione clinica. Il Fattore di Crescita Nervoso (NGF) e altri fattori trofici similari entrano nella prima categoria di farmaci, la fosfatidilserina e i glangliosidi nella seconda. La fosfatidilserina, fosfolipide naturale, potrebbe agire nei disturbi della vecchiaia attraverso un'attivazione della mediazione colinergica; i gangliosidi (glicosfingolipidi della membrana della cellula nervosa) potrebbero agevolare il recupero neuronale dopo danno cerebrale o periferico.

Come si vede, in questi primi approcci al difficilissimo problema della farmacoterapia cerebrale, siamo sempre in presenza di molecole biogene. E probabilmente questa è la via maestra per produrre discrete, delicate ma persistenti modificazioni biochimiche, correttive o riparatrici, nella cellula nervosa in dissesto morfologico o funzionale. È sperabile che fra le decine e decine di molecole proteiche, peptidiche, aminiche, aminoacidiche, fosfolipidiche o di altra natura che sono state individuate o sono in corso d'individuazione nel sistema nervoso centrale, qualcuna o un insieme di esse possa agire sul neurone ritardandone la decadenza o, se leso, facilitandone la riparazione. Purtroppo un grave ostacolo al raggiungimento del sito di azione, nell'interno della massa cerebrale, da parte delle sostanze attive esogene sarà sempre rappresentato dalla barriera emato-encefalica.

Disfunzioni endocrine. − Progressi sono stati compiuti nel trattamento dell'endometriosi, della pubertà ritardata o, viceversa, precoce e del criptorchidismo, con l'introduzione in terapia di analoghi della gonadorelina ipotalamica (ormone liberatore delle gonadotropine ipofisarie). Si tratta del leuprolide e del buserolin capaci di svolgere, di volta in volta, potenti azioni di stimolo e d'inibizione sulla secrezione delle gonadotropine, soprattutto di quella luteinizzante. Nel trattamento del diabete mellito è importante la disponibilità d'insulina umana, in grado di ovviare agli insuccessi terapeutici dovuti a formazione di anticorpi verso insuline eterologhe e, per il trattamento del diabete dell'età avanzata, di nuovi antidiabetici orali. Il nanismo ipofisario potrà valersi, oltre che della somatotropina (ormone della crescita) umana, anche, in casi selezionati di nanismo da deficit ipotalamico, dell'ormone ipotalamico liberatore della somatotropina (GH-RH). Finalmente vari tipi di calcitonina si sono dimostrati efficaci, e vengono largamente utilizzati, non solo nel morbo di Paget, nelle decalcificazioni da metastasi ossee e da immobilizzazione prolungata, ma anche, dopo incertezze iniziali, nella diffusissima osteoporosi. Interessante è la documentata efficacia degli analoghi della gonadorelina e della calcitonina anche per somministrazione endonasale, come già da tempo era stato osservato per la vasopressina.

Problemi farmacologico-terapeutici. − I farmaci nell'età pree perinatale e nella vecchiaia. − Ai due estremi dell'arco della vita sta da una parte la fase di tumultuoso sviluppo e di consolidamento del nuovo organismo, dall'altra la fase del suo progressivo decadimento fino alla morte. Tutti eventi fisiologici che, nel mammifero, si racchiudono nel periodo fetale e perinatale e nella vecchiaia. Sia all'alba che al tramonto della vita l'organismo è, per ragioni apparentemente opposte ma in realtà similari, facilmente vulnerabile da qualsiasi aggressione esterna, soprattutto chimica. Per quanto concerne la f. fetale, essa riguarda in primo luogo i possibili danni da farmaco sul prodotto del concepimento, danni che possono estrinsecarsi o nella morte del feto, o in malformazioni grossolane (teratogenesi) o in più sottili lesioni biochimiche palesantisi anche parecchio tempo dopo la nascita. A tutti sono note le malformazioni da talidomide (un sonnifero), le gravi conseguenze somatiche e psichiche, sperimentali e cliniche, da alcoolismo, i vari deficit neonatali dei bimbi delle forti fumatrici, meno note possibili neoplasie benigne e maligne insorgenti nella progenie per assunzione di farmaci da parte della madre in gravidanza. Tutte queste alterazioni sono l'espressione ovvia di una labilità e fragilità dei processi biochimici fetali, in larga misura imputabili a una ancora carente organizzazione enzimatica. Questa situazione continua, progressivamente attenuandosi, per alcuni anni dopo la nascita. Quindi: riduzione drastica nella somministrazione di farmaci durante la gravidanza, limitandosi a quelli strettamente necessari; attenta scelta qualitativa e acuta valutazione quantitativa dei medicamenti nel neonato e nella prima infanzia.

Dalla maturità l'organismo trapassa, poco per volta, nella vecchiaia, la fase terminale della vita. Il metabolismo cellulare si abbassa, per decadimento del corredo enzimatico; molte cellule, soprattutto nervose, muoiono e quindi la neurotrasmissione e la neuromodulazione si fanno più torpide; la densità recettoriale decresce; l'irrorazione sanguigna degli organi, e soprattutto del cervello, è meno prontamente adattabile ai bisogni. È logico che in queste condizioni l'azione dei farmaci si modifica, sempre quantitativamente (con risposte eccessive per difetto d'inattivazione enzimatica o risposte carenti per deficit recettoriale) e talvolta anche qualitativamente, con più frequente comparsa e maggiore severità di fenomeni collaterali indesiderati. Lo studio dei fenomeni biochimici fini, a livello molecolare, che stanno alla base dell'invecchiamento naturale è del massimo interesse non solo per la f. sperimentale ma anche per quella clinica, perché è da essa che potranno scaturire indicazioni essenziali sull'uso corretto dei farmaci nell'anziano e, sperabilmente, idee e indicazioni per lo sviluppo di molecole attive nuove peculiarmente indicate nelle malattie dell'età avanzata.

Monitoraggio dei medicamenti. Farmacovigilanza. − Dopo che un farmaco è stato registrato, è divenuto cioè un medicamento, a disposizione di tutti i medici, esso non dev'essere abbandonato a se stesso ma dev'essere sorvegliato attentamente per anni, allo scopo d'individuare e valutare gli effetti collaterali indesiderati e pericolosi che esso inevitabilmente produrrà in un numero maggiore o minore di pazienti. Possiamo affermare che un effetto indesiderato è attribuibile a un dato medicamento quando esiste una ragionevole sequenza cronologica fra la sua somministrazione e l'effetto collaterale, e quando la reazione osservata non può essere ragionevolmente attribuita alla storia naturale della malattia in atto nel paziente. Da tenersi presente la possibilità di danni a lungo termine: carcinogenesi ultratardiva da arsenico o thorotrast; embriopatie medicamentose, quali quella da talidomide; carcinogenesi in generazioni successive per somministrazione, nella madre gravida, di dietilstilbestrolo. L'attenta registrazione di tutti i fenomeni indesiderati di un farmaco, acuti o cronici, vicini o remoti, spesso rilevabili dopo che il farmaco è stato somministrato a decine di migliaia di pazienti di tutte le età, affetti magari da più malattie, che esigono associazioni di medicamenti, è oggetto di quello che viene chiamato monitoraggio dei farmaci. Monitoraggio affidato non tanto alla buona volontà e acume di singoli medici o infermieri ma, molto meglio, a gruppi di esperti in istituzioni ospedaliere create allo scopo. Compito degli esperti dev'essere quello di segnalare, o attraverso pubblicazioni scientifiche o mediante denuncia a enti pubblici, non solo tutte le morti sospette da medicamenti, ma anche tutte le reazioni avverse, previste o del tutto inattese, che abbiano modificato considerevolmente le condizioni generali del paziente, il decorso della malattia e la durata della spedalizzazione.

A questo punto entra in gioco la farmacovigilanza, servizio sociale di carattere nazionale e internazionale che, utilizzando tutti i dati affluiti dal monitoraggio, ha la mansione di valutare obiettivamente, in modo qualitativo e quantitativo, la pericolosità dei singoli medicamenti, di precisare di essi i limiti posologici, la durata del trattamento e le controindicazioni, realizzando in questo modo un'efficace prevenzione dei danni da farmaci. Quando il beneficio di un medicamento risultasse soverchiato dal possibile danno, sono imperativi la proibizione e il ritiro dal commercio del medicamento stesso. Il monitoraggio e la farmacovigilanza sono tanto più indispensabili ai nostri giorni per l'estendersi, anche nel campo dei farmaci, del fenomeno del consumismo, per il dilagare dell'automedicazione, infine per un non sempre soddisfacente aggiornamento culturale del medico e del farmacista. Compete altresì alla farmacovigilanza l'indicazione dei metodi diagnostici più affidabili e raffinati per depistare a tempo danni (epatici, renali, cardiaci, ecc.) derivanti da medicamenti.

Il problema dei fenomeni collaterali dannosi da farmaci è di enorme interesse non solo individuale, ma anche sociale ed economico. Secondo alcune statistiche, negli Stati Uniti un letto di ospedale su dieci è occupato da malati in cura per effetti dannosi provocati da farmaci, per una malattia cioè iatrogena; secondo altre statistiche, la percentuale delle complicanze ospedaliere da farmaci (e quindi la durata della spedalizzazione) oscilla fra il 6 e il 15% dei pazienti. Anche il numero delle morti da farmaci sarebbe tutt'altro che irrilevante: parecchie migliaia all'anno negli Stati Uniti e in Germania, spesso dovute a tossicità intrinseca del farmaco (per es. agenti antineoplastici) o a imprevedibile ipersensibilità individuale (per es. penicillina), altre volte a uso irrazionale del farmaco da parte del medico o a inadempienze e automedicazione da parte del paziente.

Ritmi circadiani e somministrazione dei farmaci. Cronoterapia.- È ben noto che numerose funzioni fisiologiche vanno incontro a variazioni durante il corso delle 24 ore (ritmi circadiani o nictemerali) o nel corso dell'anno (ritmi circannuali) e che, di conseguenza, anche la somministrazione di un medicamento può avere effetti diversi a seconda del tempo in cui viene attuata, nell'arco delle 24 ore o nelle diverse stagioni. Per es., poiché durante la giornata la secrezione dei glucocorticoidi da parte della corteccia surrenale è massima verso le ore 8, minima verso le ore 20, è logico che una terapia sostitutiva corretta dovrebbe prevedere la somministrazione di una dose maggiore di ormone al mattino, minore la sera. Un'applicazione pratica importante della cronoterapia sembra si possa avere nella chemioterapia antineoplastica che, attuata secondo protocolli basati sui ritmi circadiani, potrebbe essere più efficace e meno tossica. Si afferma per es. che l'adriamicina è meglio tollerata al mattino, e il cisplatino di sera. Sempre nel campo dei tumori si sa che esistono variazioni stagionali nella loro incidenza e aggressività, ovviamente legate a variazioni nell'assetto neuroumorale e immunitario. Questo impone non solo un più attento monitoraggio della malattia nella stagione più a rischio (spesso la primavera), ma anche congrue modificazioni negli schemi terapeutici.

Farmacogenetica. − È stato da parecchi anni osservato che fra individuo e individuo possono esistere grandi differenze nei processi di ossidazione intracellulari e quindi d'inattivazione di certi farmaci. Queste differenze si palesano già alle prime somministrazioni di tali farmaci e pertanto devono essere considerate congenite. Esempio classico di farmacogenetica sono i medicamenti antidepressivi triciclici. In pazienti con processi ossidativi deficitari i composti triciclici producono, alle normali dosi terapeutiche, concentrazioni ematiche eccessivamente elevate e pesanti effetti collaterali, in pazienti con abnormemente rapidi processi ossidativi, basse concentrazioni ematiche, terapeuticamente inefficaci. Altri esempi di anomalie enzimatiche genetiche sono la carenza di pseudocolinesterasi plasmatica, che causa ipersensibilità ed eccesso di risposta curarica al suxametonio, l'eccesso di attività della glucoso-6fosfato deidrogenasi che può provocare gravi episodi di emolisi dopo somministrazione di certi sulfamidici, la carenza di catalasi nei globuli rossi e nelle cellule tessutali, che impedisce la liberazione di ossigeno dall'acqua ossigenata. È più che probabile che variazioni genetiche nell'assetto degli enzimi ematici e cellulari siano più numerose di quanto finora accertato. La loro individuazione permetterà di prevenire gravi reazioni da ipersensibilità e di attenuare o abolire parecchi effetti collaterali dei farmaci.

Farmaci orfani. − Possono essere definiti orfani quei farmaci (inclusi i vaccini e alimenti destinati a diete speciali) che, nonostante la loro potenziale utilità, non sono disponibili per il paziente a motivo del loro limitato interesse commerciale. In pratica si tratta di farmaci a) destinati al trattamento di malattie rare, b) non patentabili o con patenti vicine all'estinzione, c) impiegati in paesi poveri (in particolare per malattie endemiche tropicali) che non sono in grado di pagarli. Come si vede, il denominatore comune per tutti i farmaci orfani è la mancanza di adeguati profitti per le case farmaceutiche. Negli Stati Uniti una malattia è considerata comune quando la sua incidenza nella popolazione è di almeno l'1%, rara quando ne ha una dello 0,025% (meno di 50.000 pazienti). Se si tiene conto che il costo per lo sviluppo di un farmaco veramente ''nuovo'', dall'iniziale sperimentazione farmacologica alla registrazione, è dell'ordine di 50÷70 miliardi di lire, si capisce come le case farmaceutiche siano state e siano tuttora restie a occuparsi di medicamenti di limitato consumo. Il problema sembra tuttavia avviato a una parziale risoluzione. Sia spontaneamente, per ragioni umanitarie e di prestigio, sia in seguito a consistenti incentivazioni governative (sovvenzioni, esenzioni fiscali, licenze esclusive), case farmaceutiche e istituti statali si sono impegnati a produrre una serie di farmaci orfani e a programmare ulteriori ricerche finalizzate al trattamento di malattie rare. Il risultato è stato, per es., la disponibilità del 5-idrossitriptofano (mioclono), del primozide (sindrome di Tourette), della trientina (malattia di Wilson), della bromocriptina (morbo di Parkinson, iperprolactinemia), di vari nuovi sostituti del sangue, di vari medicamenti antierpetici e così via. Più complessa appare la questione dei farmaci orfani che sono caduti in disuso nei paesi sviluppati per la scomparsa delle relative malattie, ma sono tuttora d'importanza vitale nei paesi del Terzo Mondo per il trattamento delle gravi, diffusissime malattie tropicali. Data l'enorme quantità di medicamenti richiesti (chemioterapici, vaccini) si cerca d'incoraggiare e aiutare i paesi interessati a produrre essi stessi, con adeguata supervisione, i peculiari medicamenti di cui abbisognano e nello stesso tempo, sempre nel campo delle malattie tropicali, si cerca di finanziare e incentivare lo sviluppo di farmaci nuovi, più efficaci e sicuri di quelli attualmente disponibili. Questo ormai, dati i sempre più intensi rapporti commerciali e turistici fra i vari paesi, in una visione globale di interessi generali.

Bibl.: Trends in neurosciences, vol. 1-11 (1978-88); Trends in pharmacological sciences, vol. 1-9 (1980-88); B. Alberts e altri, Molecular biology of the cell, New York 1983; L. S. Goodman, A. G. Gilman, The pharmacological basis of therapeutics, ivi 19857; AMA, Drug evaluation, Filadelfia 19866; Meyler's side effects of drug, Amsterdam-New York-Oxford 198811.

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