Fattore di crescita

Dizionario di Medicina (2010)

fattore di crescita

Andrea Carfi
Laura Fontana

Proteina che regola funzioni cellulari essenziali quali la proliferazione, la crescita, la sopravvivenza, la migrazione, lo sviluppo e il differenziamento.

Scoperta

L’individuazione delle necessità minime per la proliferazione di cellule in coltura è rimasta a lungo senza successo; infatti, le cellule in vitro possono proliferare solo se nel terreno di coltura, oltre ad amminoacidi, vitamine e glucosio, si aggiunge una certa quantità di siero, il quale contiene concentrazioni molto basse di sostanze che determinano la proliferazione delle cellule. Tali sostanze, rimaste per molto tempo sconosciute, sono state chiamate genericamente fattori di crescita. I primi f. di c. a essere isolati sono stati quello derivato dalle piastrine (PDGF, Platelet Derived Growth Factor) e l’NGF (Nerve Growth Factor). Essendo presenti in piccolissime quantità, i f. di c. sono difficili da isolare con tecniche biochimiche tradizionali, mentre le tecniche di isolamento e clonazione di geni hanno permesso di compiere grandi passi avanti in questo settore. Una volta identificato e clonato il DNA che codifica un f. di c., è stata usata la sua sequenza come sonda per isolare geni correlati che codificano altri membri della stessa famiglia.

Funzioni

Alcuni f. di c., quali il PDGF, il f. di c. dell’epidermide (EGF, Epidermal Growth Factor) e il f. di c. dell’insulina (IGF, Insulin-like Growth Factor), possono influenzare diverse tipologie di cellule (f. di c. a specificità larga), mentre altri, quali l’eritropoietina, agiscono solamente su un tipo di cellule (f. di c. a specificità stretta). Inoltre, molti f. di c. stimolano sia la proliferazione sia la crescita delle cellule, ma alcuni ne promuovono soltanto la crescita (per es., l’NGF per i neuroni); altri, come il f. di c. trasformante beta (TGF-β, Transforming Growth Factor β), a volte promuovono la proliferazione cellulare e a volte invece la inibiscono.

Azione

Per esplicare la sua azione il f. di c. si lega inizialmente a uno specifico recettore di trans-membrana, localizzato sulla superficie della cellula bersaglio; la porzione intracellulare del recettore regola poi l’azione di molecole che agiscono da segnali intracellulari trasmettendo lo stimolo ad altre molecole, di solito mediante una serie di eventi a cascata di fosforilazione. Questi segnali, arrivati nel nucleo della cellula, determinano cambiamenti nella risposta dei geni. I geni controllati dai f. di c. sono di due categorie: geni della risposta precoce, quali i protoncogeni Myc, Fos e Jun, attivati entro 15 minuti dal trattamento delle cellule con il f. di c., e geni della risposta tardiva, indotti dopo circa un’ora. I geni di entrambe le classi sono trascritti a livelli basali nelle cellule quiescenti, ma vengono trascritti in grande quantità se si aggiungono f. di c. nel terreno di coltura. Se l’esposizione ai f. di c. viene mantenuta, il livello di espressione dei geni si riduce gradualmente e nelle cellule in continua divisione i prodotti di questi geni sono sempre presenti, pur in basse concentrazioni. La trascrizione dei geni della risposta tardiva richiede i prodotti dei geni della risposta precoce perché questi ultimi codificano componenti essenziali del sistema di controllo del ciclo cellulare, quali le proteine Cdk e numerose cicline. Pur se non tutti i sistemi di controllo sono conosciuti, è noto che i segnali stimolatori indotti dai f. di c. agiscono anche superando dispositivi inibitori specifici che garantiscono il mantenimento della cellula in uno stato quiescente. I primi inibitori identificati sono stati le proteine codificate dai geni antiproliferazione, che furono scoperti originariamente come geni soppressori di tumore (per es., Rb).

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