GULLO, Fausto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GULLO, Fausto

Marco De Nicolò

Nacque a Catanzaro il 16 giugno 1887 da Luigi e Clotilde Ranieri. Stabilitosi a Cosenza, seguì gli studi classici; si iscrisse quindi, nel 1905, alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Napoli e qui si laureò nel 1909 con una tesi in diritto civile sull'ipoteca costituita su fondo altrui.

La sua formazione ebbe una forte connotazione laica, che si ricongiungeva al filone del riformismo illuministico, caratteristico di tanti intellettuali meridionali.

Durante gli anni universitari si era avvicinato al socialismo, particolarmente influenzato dal pensiero di Antonio Labriola, ma il suo vero impegno politico iniziò solo nel 1914, quando si presentò come candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale di Cosenza nel mandamento di Spezzano Grande, contrapposto a L. Tancredi, liberale, già membro della giunta provinciale. Il G., giovane avvocato, venne sostenuto, oltre che dai socialisti, anche da La Parola repubblicana, un giornale anticlericale, e venne eletto con 1042 voti contro gli 857 del suo antagonista.

Il successo fu dovuto a una campagna elettorale basata non tanto sul contrasto diretto con l'avversario, quanto sulla denuncia delle condizioni di sfruttamento del Mezzogiorno e delle sue classi meno abbienti.

Nel 1915 venne nominato socio corrispondente dell'Accademia cosentina. Partecipò alla prima guerra mondiale raggiungendo il grado di tenente, di cui fu poi privato per ragioni politiche. In Consiglio provinciale, nel 1916, si batté per il mantenimento dello ius venandi e per la tassazione delle rendite onde incrementare l'attivo di bilancio; nel 1918 chiese che fosse aumentato il finanziamento alla Biblioteca civica ed elevata la pensione annua dei cantonieri. Nello stesso anno intensificò la sua partecipazione alla vita del partito socialista di Cosenza, entrando quindi nel comitato esecutivo provinciale e nel comitato di redazione del giornale La Parola socialista; le polemiche interne al partito - che rendevano difficile anche il lavoro al giornale - spinsero il G. a presentarsi come indipendente alle elezioni del Consiglio provinciale nel 1920, riuscendo eletto.

Continuò la sua battaglia in difesa dei contadini per l'applicazione del decreto Visocchi, del 2 sett. 1919, e contro l'assenteismo dei latifondisti, così come difese i ferrovieri delle Calabro-Lucane contro la Società Mediterranea, sia sul terreno politico sia come avvocato.

Maturato il definitivo distacco dal Partito socialista, il G. aderì al Partito comunista d'Italia (PCd'I) con cui si presentò alle elezioni politiche del 1921, risultando il più votato della lista anche se non fu eletto. Dal marzo 1922 diede vita al giornale Calabria proletaria, organo regionale del partito comunista, dedicando particolare attenzione al mondo contadino.

Il giornale denunciò anche i soprusi dei fascisti cosentini, ma fu costretto a sospendere le pubblicazioni nel gennaio 1923 in seguito agli arresti compiuti ai danni di redattori e militanti; come avvocato il G. difese molti contadini arrestati dopo le agitazioni represse dalle forze di polizia.

Nel settembre 1924, insieme con F. La Camera, fondò il nuovo settimanale comunista L'Operaio.

Il periodico fu continuamente oggetto di perquisizioni, censure, diffide e sequestri; a Cosenza i fascisti invasero e danneggiarono la tipografia dove veniva stampato; dopo aver subito, tra il gennaio e il maggio 1925, quattro sequestri, nel luglio dello stesso anno fu infine costretto al silenzio.

Il G., già schedato dalla polizia, venne arrestato una prima volta nel 1923 e presto rilasciato. Nonostante il clima intimidatorio, in occasione delle elezioni politiche del 6 apr. 1924 riuscì a essere eletto deputato.

Il 7 nov. 1924, in una casa colonica di Perito (Pedace), si svolse il congresso della federazione provinciale comunista di Cosenza, alla presenza del rappresentante del centro del partito, U. Terracini. La posizione ufficiale del PCd'I non fu condivisa dalle federazioni di Cosenza e di Catanzaro che apparivano orientate su posizioni vicine ad A. Bordiga, entrato in dissidio con il gruppo di Ordine nuovo. Il 1° giugno 1925, il G., insieme con altri deputati e dirigenti (O. Damen, L. Repossi, B. Fortichiari, U. Girone, O. Perrone e C. Venegoni), formò un comitato d'intesa tra gli elementi di sinistra, suscitando la pronta reazione della direzione nazionale del PCd'I: i dirigenti vennero espulsi e il comitato fu costretto allo scioglimento. Il G. riuscì a evitare sanzioni ufficiali e divenne anzi segretario provinciale, pur rimanendo sotto controllo da parte del vertice del partito; mentre l'allontanamento dalle posizioni di Bordiga era stato anche "facilitato" da una diversa visione del problema del Mezzogiorno, negando Bordiga una specificità della questione meridionale che il G. considerava, invece, un nodo rimasto irrisolto dopo l'unificazione del Paese.

Intanto, la pressione dei fascisti si faceva sempre più intensa, costringendo di fatto i comunisti alla clandestinità. Nel luglio 1925, come già ricordato, uscì l'ultimo numero dell'Operaio, nel settembre il G. fu accusato di complotto e arrestato; venne rimesso in libertà dopo pochi giorni per insufficienza di prove ma tenuto costantemente sotto sorveglianza. Nel novembre la commissione provinciale per il confino lo condannò a quattro anni; costituitosi dopo un mese e mezzo di latitanza, venne destinato a Nuoro, insieme con altri antifascisti calabresi. Ridotta dapprima la pena a due anni, nel giugno 1927 questa venne infine commutata in diffida dalla commissione d'appello. Tornato a Cosenza, il G. riprese l'attività di avvocato e agì con maggiore cautela, pur non rinunciando a mantenere contatti con esuli antifascisti, dai quali ricevette finanziamenti per le attività del PCd'I clandestino. Dopo lo scoppio della guerra, il G. intensificò i rapporti con i fuorusciti e con i dirigenti comunisti operanti nelle altre regioni. Tra il 1941 e il 1942 la rete comunista calabrese, organicamente ricostruita, era in grado di proteggere gli antifascisti grazie ai nascondigli nella Sila; il G. riprese anche l'attività di propaganda e fu direttore responsabile del giornale Ordine proletario. Dopo la rivolta spontanea di Cosenza del 4 nov. 1943 contro la permanenza in cariche istituzionali di persone coinvolte con il regime fascista, fu fatto il nome del G. come prefetto, ma gli Alleati, ripreso il controllo della situazione, procedettero alla nomina di P. Mancini. Il G., che aveva accettato la "svolta di Salerno" aderendo alle scelte di P. Togliatti, fu nominato ministro dell'Agricoltura e Foreste nel secondo ministero Badoglio (22 apr. 1944), rimanendo in questa carica nei successivi governi fino al primo ministero De Gasperi.

Lasciata la direzione dell'Ordine proletario, nell'arco di un anno, tra il maggio 1944 e il maggio 1945, varò una serie di decreti i cui scopi erano: salvaguardare i rifornimenti alimentari senza compromettere gli interessi dei coltivatori, riservando loro metà del ricavato e restringendo così l'area dell'evasione dell'ammasso (r.d.l. 2 maggio 1944, n. 14); evitare la revisione dei patti agrari in senso sfavorevole ai lavoratori della terra o la disdetta di contratti da parte dei proprietari (r.d.l. 3 giugno 1944, n. 146); concedere ai contadini terreni altrimenti non sfruttati (r.d.l. 27 luglio 1944, n. 279); ridistribuire tali terreni in modo equo e corretto (d.l.l. 19 ott. 1944, n. 284; pur riprendendo una linea già sperimentata dal decreto Visocchi, la concessione di terre a cooperative o a contadini inquadrati in altri enti incentivò l'organizzazione e l'occupazione dei terreni oggetto del decreto); rivedere, in favore di coloni, mezzadri e compartecipanti, i rapporti con i proprietari (ibid., n. 311; tale decreto non era vigente nei territori amministrati dal Comando militare alleato); eliminare l'intermediazione nei rapporti agrari, permettendo al subaffittuario di sostituirsi all'affittuario in tutti i rapporti giuridici nei confronti del proprietario (d.l.l. 5 apr. 1945, n. 156).

Globalmente l'insieme dei decreti tendeva a dare continuità e stabilità al lavoro agricolo, incentivava, inoltre, il movimento contadino a organizzarsi e a servirsi di strumenti legali, si proponeva di inaugurare un nuovo rapporto tra Stato e masse rurali. Il G. sollecitò anche, presso il proprio partito, una politica di lavori pubblici in grado di attivare subito il settore industriale nel paese.

Dopo le elezioni amministrative del 1946, il G., nel secondo ministero De Gasperi, passò al ministero di Grazia e Giustizia, sostituito all'Agricoltura da A. Segni. Erano state le polemiche successive all'emissione dei decreti da lui patrocinati - sollevate da un ampio fronte conservatore che andava da B. Croce a una parte rilevante della Democrazia cristiana (DC) - a determinare il cambiamento: la nomina di Segni doveva mitigare gli "eccessi" innovatori delle misure volute dal Gullo. Al ministero di Grazia e Giustizia egli rimase alcuni mesi, dal luglio 1946 fino all'estromissione delle sinistre dal governo, nel maggio 1947, trovandosi a gestire soprattutto il provvedimento d'amnistia nei confronti degli ex fascisti, varato da Togliatti, precedente titolare di quel ministero, pochi giorni prima di lasciare l'incarico.

Dopo aver chiesto, già nel corso della prima riunione del governo Badoglio, il 24 apr. 1944, la convocazione di un'Assemblea costituente una volta finita la guerra, e non essendo riuscito a convincere i suoi colleghi ad assegnare all'Assemblea anche la potestà legislativa, il G. fu uno dei protagonisti del dibattito costituente.

Fece parte di molte commissioni - tra cui quelle per l'esame delle leggi elettorali, per l'elezione della Camera dei deputati, per la limitazione temporanea del diritto di voto ai capi responsabili del regime fascista, per l'esame del disegno di legge riguardante l'elezione del Senato della Repubblica - e fu membro del Comitato di redazione.

Nel dibattito egli si pronunciò tenendo costantemente presenti tre principî cardine: sovranità popolare, centralità del Parlamento, unità nazionale; di conseguenza si mostrò diffidente verso organi che, nella loro composizione, risultassero eminentemente "tecnici", in favore di organi che scaturissero direttamente dalla volontà popolare. Per questo motivo fu in principio restio all'istituzione della Corte costituzionale e si pronunciò sia per l'elettività dei giudici, sia per le giurie popolari; così come derivava da quell'impostazione di fondo la sua contrarietà all'inserimento della Corte dei conti e del Consiglio di Stato nella Carta costituzionale, temendo che tali istituti allargassero impropriamente le proprie competenze invadendo il campo legislativo. Convinto sostenitore di una maggiore autonomia dei Comuni, il G. mostrò invece ostilità nei confronti delle Regioni: il Comune, per la sua connotazione di piccola circoscrizione, non avrebbe mai rappresentato un pericolo per lo Stato, mentre la Regione avrebbe potuto, in virtù della sua funzione legislativa, trovarsi in contrasto con la legislazione nazionale; inoltre delle Regioni temeva sia la potenziale "interruzione" territoriale di grandi riforme nazionali, come la riforma agraria, sia l'autonomia finanziaria che, per quanto riguardava il Mezzogiorno, avrebbe compromesso anche la sola ipotesi di uno sviluppo; confidava invece in un'azione riformatrice dall'alto che poneva le sue premesse in un successo delle sinistre. Non convinto, per la sua formazione anticlericale, dell'opportunità di inserire il concordato nella costituzione, accettò il compromesso in sede costituente con un laconico assenso manifestato nell'ambito del gruppo parlamentare comunista; ma si pronunciò contro l'indissolubilità del matrimonio. Nella commissione che doveva fissare le norme per l'elezione del Senato, il G. espresse parere favorevole al criterio uninominale, al turno unico, alla simultaneità delle elezioni delle due Camere.

Eletto deputato ininterrottamente dal 1948 al 1968, sempre nella circoscrizione di Catanzaro-Cosenza-Reggio Calabria, fu vicepresidente della commissione Giustizia nella I legislatura repubblicana; nella II legislatura fu vicepresidente del gruppo parlamentare del Partito comunista italiano (PCI) e fece parte della commissione Interni, nella III fu membro della commissione Affari costituzionali e venne confermato vicepresidente del gruppo parlamentare, nella IV fu riconfermato alla commissione Affari costituzionali, di cui divenne vicepresidente, carica che mantenne anche nella legislatura successiva, e fu anche vicepresidente della commissione per i procedimenti d'accusa.

Alla Camera intervenne soprattutto in relazione ai temi dell'agricoltura e del Mezzogiorno. Anche nei confronti del sindacato il G. sviluppò una dialettica vivace, mostrandosi contrario al "piano del lavoro" proposto da G. Di Vittorio nel 1949 (II congresso della Confederazione generale italiana del lavoro, 4-9 ottobre), perché vi riteneva sottovalutato il problema del Mezzogiorno e delle sue campagne. Si mostrò critico anche nei confronti della riforma dell'Opera per la valorizzazione della Sila, ente che aveva tuttavia contribuito a istituire, non apprezzando la proposta che poneva al vertice un presidente di nomina governativa. Si batté contro la legge-stralcio della riforma fondiaria, presentata da Segni (luglio 1950), in quanto, secondo il G., non affrontava integralmente la questione e non garantiva le classi contadine più deboli. Cambiò idea, invece, circa l'opportunità dell'istituzione della Corte costituzionale e nel novembre 1950 e, poi, nel febbraio 1951, fece sentire la sua voce per reclamare la rappresentanza delle minoranze nell'elezione dei cinque giudici nominati dal Parlamento e si pronunciò, a nome del gruppo comunista, in favore della nomina dei cinque giudici da parte del presidente della Repubblica con piena autonomia. In seguito insistette per ottenere la completa aderenza dell'istituto al dettato costituzionale e per l'estensione retroattiva del giudizio di costituzionalità, onde evitare che rimanessero in vigore parti della legislazione fascista.

Già segretario regionale del PCI dal 1947, abbandonò la carica nel 1949 per un avvicendamento deciso dal centro del partito. Nella vita interna del PCI, il dibattito successivo al XX congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica, lo vide opposto a Togliatti, non condividendo fino in fondo la presa di distanza di quest'ultimo dal socialismo sovietico, ventilata nella relazione La via italiana al socialismo del 14 dic. 1956.

Il G. invece sosteneva che nella costruzione dello Stato sovietico erano stati compiuti errori di direzione e di esecuzione, ma riteneva i crimini staliniani riprovevoli eccessi di un processo rivoluzionario complessivamente positivo e fruttuoso.

A segnare una distanza ancora maggiore da Togliatti furono gli interventi del G. contro le interferenze ecclesiastiche nella vita politica italiana, compiuti nel dicembre 1957 e, poi, nel febbraio e nel marzo 1958, interventi che costituivano azione di disturbo in rapporto al progetto di avvicinamento alle forze politiche cattoliche che il segretario del PCI stava promuovendo.

Il dissenso esplose in modo manifesto nella conferenza d'organizzazione del PCI (Napoli, marzo 1964) intorno all'opportunità, contestata dal G., di un "dialogo" con le forze cattoliche. Togliatti accusò il G. di non riuscire a vedere valori comuni perché ancora legato a una vecchia cultura anticlericale.

Contrario alla candidatura di qualsiasi democristiano alla Presidenza della Repubblica, mentre il PCI appariva già disposto ad appoggiare A. Fanfani contro G. Leone, insieme con altri dirigenti "intransigenti" riuscì a modificare l'orientamento del partito, spingendolo a sostenere G. Saragat, poi eletto. Tuttavia l'opposizione del G. a qualsiasi accordo con la Democrazia cristiana, era oramai mal tollerata nel partito del "compromesso storico".

Dopo essersi ritirato dalla vita politica nel 1972, il G. morì a Macchia di Spezzano Piccolo il 3 sett. 1974.

Tra i suoi scritti, oltre ai Discorsi parlamentari (I-III, Roma 1979-80), si ricordano: Contadini, emigrazione e riforme. Pagine meridionalistiche (Cosenza 1978); Il problema fondamentale della Calabria, in Il Ponte, settembre-ottobre 1950, n. 9-10 (numero monografico dedicato alla Calabria), pp. 1214-1225.

Fonti e Bibl.: Documenti, lettere e appunti del G. si trovano a Cosenza, presso l'Istituto calabrese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea, Archivio Fausto Gullo. Vedi anche: Roma, Arch. della Fondazione Istituto Gramsci, Verbali delle riunioni del gruppo parlamentare comunista all'Assemblea costituente; Biografie, memorie, testimonianze; Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2595, f. 25659; Confino politico, b. 523; Presidenza del Consiglio dei ministri, Governo di Brindisi-Salerno 1943-1944, categoria 15. Tra le opere critiche, la prima biografia è quella di F. Mazza - M. Tolone, F. G., Cosenza 1982; per gli aspetti relativi all'attività del G. quale ministro dell'Agricoltura: A. Rossi Doria, Il ministro e i contadini, Roma 1983; per la sua attività di costituente: M. De Nicolò, Lo Stato nuovo. F. G., il PCI e l'Assemblea costituente, Cosenza 1996; i diversi momenti della vita politica del G. sono affrontati in Mezzogiorno e Stato nell'opera di F. G., a cura di G. Masi, Cosenza 1998. Sulle opere che riguardano le forze politiche calabresi: S.G. Tarrow, Partito comunista e contadini nel Mezzogiorno, Torino 1972, ad ind.; P. Mancini, Il Partito socialista italiano nella provincia di Cosenza (1904-1924), Cosenza 1974, ad ind.; P. Cinanni, Lotte per la terra e comunisti in Calabria (1943-1953), prefaz. di U. Terracini, Milano 1977, ad ind.; F. Cordova, Alle origini del PCI in Calabria (1918-1926), prefaz. di A. Leonetti, Roma 1977, ad ind.; infine, per la dialettica interna al PCI: P. Spriano, Storia dal Partito comunista italiano, I-V, Torino 1967-75, ad indices; G. Galli, Storia del PCI, Milano 1977, ad indicem.

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