FAVORINO

Enciclopedia Italiana (1932)

FAVORINO (Favorinus, Φαβωρῖνος)

Bruno Lavagnini

Sofista e filosofo eclettico dell'età di Adriano. Nato ad Arelate (Arles) in Provenza circa l'85 d. C., morì dopo il 143 d. C., ma prima del 176. In Marsiglia ricevette probabilmente l'educazione greca che fece del Celta romanizzato un rappresentante dell'ellenismo. Risiedette a Roma sotto Traiano, Adriano, Antonino; ebbe l'ordine equestre e, in patria, una carica sacerdotale. Ascoltò Dione di Prusa, fu amico di Plutarco, ebbe inimicizie e polemiche col sofista Polemone. Dimorò a Roma, ma fece viaggi e conferenze a Corinto, ad Atene, dove gli furono erette statue, e in Asia Minore. Circa il 131, per cause che non conosciamo, cadde in disgrazia dell'imperatore Adriano, e poco dopo, mentre il sofista rivale Polemone acquistava il pieno favore dell'imperatore, F. fu relegato nell'isola di Chio. L'esilio dovette avere termine con l'avvento al trono di Antonino, nel 138 d. C. Reduce da Chio, F. si stabilì a Roma, dove più tardi lo conobbe Aulo Gellio. A Roma era ancora dopo il 143. Fu tra i suoi discepoli anche Erode Attico.

Del maestro Dione ebbe la tendenza atticistica e l'abito della divulgazione filosofica, seguendone anche negli scritti morali la tendenza cinico-stoica. Nella teoria della conoscenza invece, senza atteggiamenti originali di pensiero, fu seguace del probabilismo della nuova accademia, anzi riunì in sé le due tendenze dello scetticismo, l'accademica e la pirroniana. Ma il tratto più caratteristico in lui è dato dall'interesse per la varia erudizione, che ne fa un precursore di Aulo Gellio, di Clemente Alessandrino, di Ateneo, di Eliano, di Macrobio. Dei suoi scritti non ci restavano se non pochi frammenti e due declamazioni sperdute fra le opere di Dione di Prusa, il Discorso ai Corinzî (Κορινϑιακός, pseudo-Dione XXXVII) che avevano abbattuto una sua statua, e una diatriba Sulla fortuna (Περὶ τύλης, pseudo-Dione, LXIV). Oltre a due declamazioni tradotte in latino presso Gellio (Noctes Atticae, XIV, 1 e XII,1). Da un rotolo di papiro della Marmarica, acquistato nel 1930 dalla Biblioteca Vaticana, e pubblicato nel 1931 da G. Vitelli e da M. Norsa, un nuovo scritto di F., mutilo del principio e della fine, è tornato ora alla luce. Si tratta di una diatriba, una dissertazione morale, che F. relegato ín Chio dalla collera imperiale ha composta per consolare dell'esilio sé stesso e altri che possa trovarsi in analoga condizione. Onde a ragione il titolo Περὶ ϕυγῆς, Sull'esilio, è stato apposto all'opuscolo dagli editori, benché esso non figuri fra i titoli conservati delle opere di F. Con argomenti attinti alla predicazione morale dei cinici e degli stoici vengono combattuti i desiderî e i rimpianti che rendono amaro l'esilio: il desiderio della patria, dei parenti e degli amici, delle ricchezze e degli onori. Sono questi gli avversarî con cui l'anima dell'esule deve lottare. Ciascuno dei tre punti è ampiamente discusso, con ragionamenti di piana evidenza, infiorati di citazioni poetiche e animati da esempî attinti alla storia e al mito. Una serietà morale, un pathos contenuto, che nasce dall'amara esperienza personale, solleva il tono di questa prosa oltre la superficialità vacua degli scritti retorici e l'innalza al disopra delle consuete esercitazioni. La prosa dell'atticista non mira soltanto a un successo stilistico, ma desidera di raggiungere con la pacata convinzione del ragionamento filosofico un alto scopo morale. Un poco dello spirito plutarcheo vibra nelle pagine del nuovo F. Anche gli altri scritti filosofici avevano soprattutto carattere divulgativo. Di essi il più importante erano i dieci libri dei Discorsi Pirroniani (Πυρρώνειοι), un altro riguardava la teologia d'Omero, uno s'intitolava a Plutarco, un altro, contro Epitteto, provocò una risposta polemica di Galeno.

Ma l'attività maggiore di F. fu nel campo della varia erudizione filosofica e letteraria. Cinque libri di Commentarî ('Απομνμοεύματα) utilizzati da Diogene Laerzio, contenevano una raccolta di materiale, per lo più aneddotico, sui filosofi, dal sec. VI al IV, mentre i 24 libri della Varia erudizione (Παντοδαπὴ ἱστορία), distinti ciascuno da una lettera dell'alfabeto, costituivano una specie di enciclopedia in forma piacevole, che servì di modello alle opere consimili di Gellio, Ateneo, Eliano, Marziano Capella, Macrobio. L'opera è stata sfruttata da Diogene Laerzio e da Stefano di Bisanzio; non è riuscito il tentativo di dimostrare che è la fonte principale di Ateneo, Eliano, Clemente Alessandrino, Taziano.

Frammenti in J. L. Marres, De Favorini Arelatensis vita, studiis, scriptis, Utrecht 1853 (i framm. storici anche in C. Müller, Fragm. Histor. Graec., III, Parigi 1841 segg., pp. 577-586).

Bibl.: E. Zeller, Philos. d. Griechen, III, 5ª ed., Berlino 1923, pp. 76-82; A. Goedeckemeyer, Gesch. d. griech. Skeptizismus, Lipsia 1905, p. 248 segg.; W. Schmid, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, 1909, 2078 segg.; M. Norsa e G. Vitelli, Il papiro vaticano greco 11: Φαβωρίνου περὶ ϕυγῆς; Registri fondiari della Marmarica, Città del Vaticano 1931.

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