LAMPERTICO, Fedele

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LAMPERTICO, Fedele

Giuseppe Monsagrati

Nacque a Vicenza il 13 giugno 1833 da Domenico e da Angela Valle, di nobile famiglia.

La famiglia paterna, che un biografo definisce "doviziosa" e dedita a lucrose attività commerciali, tra cui anche alcuni "traffici all'estero" (Rumor, pp. 9 s.), doveva le sue fortune a un fratello maggiore del padre, Fedele senior, che in epoca napoleonica l'aveva sollevata da una condizione di povertà consentendole di accumulare grandi ricchezze. Ma la natura e l'andamento di questi traffici non sono mai stati accertati e solo ci si è limitati a definire "malignità" e "velenose dicerie" le insinuazioni poco benevole con cui qualche contemporaneo aveva inteso spiegare la trasformazione in ricchissimi possidenti di coloro che in origine erano stati solo "ambulanti in matasse e bombace" (Carteggi, I, p. 4). La morte prematura dello zio (1837) e quella del padre (1851), che aveva provveduto per tempo a emanciparlo, misero il L. in condizione di amministrare insieme con la madre, accortissima, un patrimonio accresciuto nel frattempo da alcune fortunate combinazioni matrimoniali -tra le proprietà va ricordata quella, vastissima, di Montegaldella che il L. fece condurre dal figlio Domenico "come un feudo dei tempi moderni": S. Lanaro, Genealogia di un modello, in Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni…, p. 63.

Dopo aver ricevuto una prima formazione da un istitutore privato, il L. compì gli studi inferiori nel seminario vescovile di Vicenza, dove fu allievo di Giacomo Zanella, del quale divenne poi amico e biografo. Iscrittosi quindi all'Università di Padova, vi si laureò il 28 ag. 1855 in giurisprudenza, col massimo dei voti e la lode, discutendo con G. Todeschini una tesi Sulla statistica in Italia prima dell'Achenwall (subito data alle stampe in Padova).

Intanto, malgrado la giovane età, era già entrato nella vita pubblica vicentina come consigliere comunale (1853) e poi come assessore, carica quest'ultima che, con qualche intervallo negli anni fino al 1865 e poi ininterrottamente, avrebbe conservato fino al 1905. Il matrimonio con Olimpia dei conti Colleoni (5 febbr. 1854) - scomparsa prematuramente nel 1861 dopo avergli dato cinque figli, due dei quali morti subito dopo la nascita - rinsaldò la collocazione del L. al vertice della scala sociale cittadina.

Formato dal magistero dello Zanella e dal conseguente interesse per le teorie rosminiane, il L. costruì in ambito locale la sua fama di riformatore, grazie alla sua assidua presenza nel settore caritativo-assistenziale debitamente sostenuta dalle molte collaborazioni a un foglio locale, Il Berico: segretario e dal 1857 presidente della Società S. Vincenzo de' Paoli per i colerosi, nel 1858 fondò con altri e presiedette la Società di mutuo soccorso degli artigiani, dirigendola fino al 1888, quando rinunciò alla carica per insofferenza verso i limiti che l'assemblea dei soci avrebbe voluto porre ai suoi poteri.

Non minore fu la sua assiduità nelle istituzioni culturali (Accademia Olimpica) e in quelle economico-commerciali (Banca popolare di Vicenza, Camera di commercio), sorretta da una preparazione che sempre più si sforzava di affiancare alla formazione giuridica lo studio del pensiero economico (è del 1865 un volume abbastanza maldestro su Gianmaria Ortes e la scienza economica al suo tempo, Venezia) e della scienza delle finanze: come dimostrò il suo lavoro Sulle conseguenze che si possono presagire pel commercio in generale e pel commercio veneto in particolare dall'apertura di un canale marittimo attraverso l'istmo di Suez premiato dall'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti (nei cui Atti comparve nel 1859, alle pp. 679-708 e 713-922), insieme con quello sociale, gli stava a cuore il problema dello sviluppo economico che affrontava senza particolari bardature ideologiche e con una fede profonda nella bontà delle strutture amministrative. Di certo lo coinvolgeva di meno, prima della liberazione del Veneto, la passione unitaria, che manifestò solo pubblicando sotto il velo dell'anonimato due opuscoli (Urgenza della questione veneta, Torino 1864, e Relazione di uno statista veneto ad un ministro austriaco, in L'Opinione, 12 luglio 1865), entrambi su incarico di A. Cavalletto e dell'organizzazione dei conterranei esuli in Italia, con l'intento di far ricadere la decadenza commerciale della regione sull'Austria (che si affrettò a incriminare l'anonimo autore per alto tradimento).

In conseguenza dell'annessione il L. venne a trovarsi quasi naturalmente nella posizione di principale portavoce e notabile di una città cui si sentiva profondamente legato e dove il prestigio di uomo di cultura e di benefattore (nel 1861 aveva collaborato con I. Cabianca al volume su Vicenza e il suo territorio, edito a Milano come contributo alla Grande illustrazione del Lombardo-Veneto a cura di C. Cantù; numerosi altri saggi sarebbero seguiti sui temi dell'economia, della storia e delle tradizioni cittadine) lo aveva messo al centro di un'imponente rete di relazioni anche clientelari. Primeggiavano tra esse l'amicizia con L. Luzzatti, P. Lioy e A. Messedaglia, e il legame di parentela con A. Fogazzaro; si aggiunsero, con l'entrata in Parlamento in rappresentanza della sua città nella X legislatura (1867, lo stesso anno in cui fu eletto al Consiglio provinciale, che avrebbe presieduto dal 1870 al 1905), i rapporti con gli esponenti della Destra storica nazionale, con Q. Sella soprattutto e M. Minghetti.

Per scontata che fosse la sua appartenenza allo schieramento monarchico-liberale, il L. portava con sé alla Camera un complesso di idee non del tutto in sintonia con il partito di governo: tali l'obiettivo proclamato del decentramento, il bisogno di conservare parte delle antiche regole amministrative, il dubbio sull'opportunità di mantenere in vita, a unificazione compiuta, la rigida contrapposizione tra gli schieramenti politici tradizionali. Conservatore sotto molti punti di vista, ma anche culturalmente incline a cercare soluzioni più che conflitti, auspicava "il progressivo miglioramento delle istituzioni pubbliche", tanto da non esitare a definirsi "progressista", con ciò prefigurando la futura svolta trasformista (Sui doveri del deputato. Pensieri, Vicenza 1866, p. 13); da cattolico, infine, se non si attestava sulla linea degli intransigenti, riteneva però dannoso l'accanimento dello Stato laico contro la Chiesa (nel 1867 insieme con pochi altri votò contro l'art. 1 del progetto di liquidazione dell'asse ecclesiastico), così come dopo il 1870 fece parte del fronte conciliatorista e si espresse contro il non expedit: il tutto sullo sfondo di una concezione che postulava come essenziale un assetto sociale ordinato gerarchicamente, con una disposizione per gradi che poneva sulla cima la proprietà in quanto naturale depositaria del potere economico e civile. Proprietà e ordine sociale, avrebbe detto un giorno in Senato, equivalgono a libertà.

Non molto sensibile alla disciplina di partito, il L. fu invece sempre assai attento a sostenere le aspettative del suo collegio elettorale in materia di sviluppo delle infrastrutture, di quelle ferroviarie come delle portuali. Furono anche le doti di intermediario tra la periferia e il centro a fare di lui "il dio onnipresente e onnipotente che dominava tutti gli aspetti della vita politico-amministrativa vicentina" (G.A. Cisotto, Alessandro Rossi e la classe politica vicentina, in Schio e Alessandro Rossi, p. 462). Stimatissimo dalla Destra per il frenetico attivismo che metteva nel campo legislativo come in quello pubblicistico, ebbe tuttavia a provocare più di una delusione nei colleghi: all'inizio del 1870 Sella, in ansia per le sorti del governo che aveva appena faticato a formare, restò assai male quando il L., fino allora impegnato al suo fianco nella commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, gli annunziò la propria intenzione di lasciare la Camera a causa di non meglio precisati "doveri di famiglia" (Sella, III, p. 34), opponendo un fermo diniego a tutte le pressioni volte a farlo tornare sulla propria decisione. In realtà sulla sua decisione avevano pesato "le critiche rivolte al lavoro svolto dalla commissione" (Camurri, introduzione a La scienza moderata, p. 27), rispetto alle quali aveva preferito smarcarsi. Ne derivò tra i due un raffreddamento che si rinnovò qualche anno dopo per la stizza con cui il L., da poco socio dei Lincei, accolse l'invito - quasi un ordine - a votare per l'ammissione nell'Accademia di due esponenti della Sinistra; screzi non mancarono neppure con Minghetti che, dopo avere avuto il suo appoggio nella manovra di raggiungimento del pareggio di bilancio, nel 1876 si dolse con Luzzatti del fatto che il L. lo trattava "da nemico non da amico" (Minghetti, II, p. 851): né bastò un chiarimento di poco successivo a dissolvere le nubi calate sul loro rapporto. E però grande, e forse financo eccessiva, era la considerazione che si aveva della sua autorevolezza e della sua capacità di lavoro, emerse entrambe in tutta evidenza con la relazione della commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso da lui presentata alla Camera il 28 nov. 1868 al termine di una lunga presidenza che lo aveva visto favorevole al ritorno alla convertibilità e gli aveva permesso di "determinare gli indirizzi della politica monetaria e doganale italiana" (Lanaro, 1979, p. 112). Fu questo il più importante di una serie di documenti sottoscritti dal deputato L. nelle vesti di relatore.

La rinunzia alla rappresentanza, tenendolo lontano dal Parlamento fino al rientro come senatore (avvenuto il 6 nov. 1873 auspice il Minghetti), aprì al L. una stagione di studi assai intensa.

Nell'infittirsi delle pubblicazioni - alla fine della sua vita furono alcune centinaia, ma qualche storico ha adombrato l'esistenza al suo fianco di "un vero esercito di "negri"" (Franzina, 1980, p. 47) -, in un profluvio di commemorazioni e altri scritti d'occasione tutti recanti il marchio stilistico di una verbosità un po' contorta, si stagliava il filone degli scritti economici, aperto dal volume Sulla statistica teorica in generale e su Melchior Gioia in particolare, Venezia 1870, e culminato nel trattato o meglio nel manuale sull'Economia dei popoli e degli Stati (I-V, Milano 1874-84, il primo volume di introduzione, i restanti quattro dedicati rispettivamente al lavoro, alla proprietà, al commercio e al credito). Il successo di vendite dell'opera anche fuori d'Italia e la designazione a socio dei Lincei per la classe di scienze morali, storiche e filologiche giunta con decreto del 13 maggio 1875 parvero sanzionare una volta per tutte l'eccellenza degli studi scientifici del L., il che fu poi confermato dalle ripetute chiamate a far parte di commissioni di concorso per cattedre universitarie senza che egli avesse mai insegnato. E tuttavia molti, soprattutto a sinistra, espressero seri dubbi sul fatto che lo si potesse considerare un economista e Antonio Labriola lo accomunò ai "compilatori meschini che non intendono nemmeno i testi da cui copiano" (A. Labriola, Carteggio, I, 1861-1880, a cura di S. Miccolis, Napoli 2000, p. 494).

È però innegabile che egli avesse un pensiero economico e che inizialmente esso fosse riconducibile al liberismo, al punto da porsi spesso in rotta di collisione con l'industriale laniero Alessandro Rossi (del quale peraltro negli anni '60-'70 era stato socio azionista in alcune iniziative manifatturiere e di cui restò amico pur tra tanti contrasti). L'approfondimento della statistica e la sua utilizzazione empiristica non come mera somma di dati ma come forma di conoscenza propedeutica all'apprestamento di una nuova legislazione sociale lo persuasero però che la sopravvivenza del liberismo dipendeva dalla sua capacità di guidare, magari anche autolimitandosi, le inevitabili trasformazioni socio-economiche connesse con la modernizzazione del paese. Gli attacchi alla proprietà compiuti dalla Comune parigina del 1871 e la crisi economica del 1873 gli diedero la conferma della necessità di una presenza diretta dello Stato (e della sua funzione di armonizzazione degli interessi) nei processi dello sviluppo industriale e nelle questioni sociali che ne sarebbero derivate. Con questo spirito, cui non era estraneo l'influsso del solidarismo cattolico, il L. arrivò insieme con Luzzatti, Messedaglia, L. Cossa e V. Cusumano a gettare sul piano teorico le basi di un'economia diversa da quella classica e vicina invece a quella che in Germania aveva ispirato il socialismo della cattedra. Nell'accesa polemica che ne seguì, a F. Ferrara, che ribadiva il primato assoluto del liberoscambismo e accusava la cosiddetta scuola veneta di statalismo, il L. e i suoi amici replicarono convocando un congresso a Milano (4-6 genn. 1875) nel corso del quale furono approvate alcune mozioni relative alle casse di risparmio postali e alla legge di tutela dell'emigrazione; nei giorni successivi un comitato promotore di cui faceva parte il L. costituì l'Associazione permanente per il progresso degli studi economici in Italia e lanciò un periodico, il Giornale degli economisti, fondato a Padova nel 1875, al quale nel primo anno di vita il L. non fece mancare la sua collaborazione (tra l'altro, con due lettere aperte a F. Ferrara accolte nel volume II della I annata, pp. 115-144).

Con questa scelta critica nei confronti del liberismo - ma anche avversa al protezionismo auspicato da Rossi - il L. si mantenne coerente non solo negli scritti ma anche nel suo ruolo di senatore, intervenendo in aula ovvero relazionando a più riprese su importanti progetti di legge e sui risultati delle commissioni d'inchiesta (per un elenco completo della sue relazioni si veda Lanaro, 1976, pp. 133 s.): al centro dei suoi interessi e delle manovre che lo avevano portato ad avvicinarsi alla Sinistra, oltre ai problemi del lavoro, della circolazione bancaria, dei trattati di commercio e delle convenzioni con l'estero, stavano ora le riforme costituzionali, o comunque suscettibili di incidere sui meccanismi di funzionamento delle istituzioni, sia che si trattasse della riforma del Senato sulla quale intervenne con uno studio intitolato Lo statuto e il Senato (Roma 1886) - in cui il timore di un graduale svuotamento della Camera alta rivelava se non l'ostilità pregiudiziale alla riforma quanto meno la base conservatrice del pensiero del L. - sia che si trattasse di quella elettorale del 1881 che, nella veste di segretario dell'ufficio centrale del Senato, lo impegnò come relatore e lo vide sostanzialmente schierato a favore dell'introduzione dello scrutinio di lista (con grave disappunto di Minghetti) senza particolare attenzione al problema della rappresentanza proporzionale delle minoranze da lui considerata più dannosa che utile. Dal L., è stato osservato, dipese dunque "il successo della linea governativa", favorito in nome delle "esigenze della governabilità" (Ullrich, pp. 102 s.) a cui egli si era sorprendentemente aperto, con la speranza, forse, che fosse possibile "superare la differenziazione tra collegi urbani e collegi rurali, in modo da far valere la forza d'urto del voto contadino in un confronto diretto con i "sofisticati umori" delle città" (Lanaro, 1976, p. 130).

Con l'avvento di Crispi al potere il L. compì un'ulteriore sterzata in direzione del triplicismo e del colonialismo. Unendo cattolicesimo e nazionalismo, il 21 dic. 1886 entrò come socio onorario nell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, organizzazione che, con venature visibilmente antifrancesi, perseguiva lo scopo di espandere la presenza italiana nel Mediterraneo e in Africa sostenendo lo sforzo della Chiesa e collaborando con essa nell'assistenza all'emigrazione. Il L. ne divenne presidente il 7 apr. 1893, due anni dopo aver pubblicato a Firenze una monografia, Il protettorato in Oriente, in cui in nome dell'Associazione si proclamava il diritto-dovere che l'Italia aveva di tutelare le attività missionarie.

Da ultimo, in una vita tanto immersa nella cosa pubblica da rendere impossibile una sintesi completa di opere e giorni, spicca ancora la cura assidua con cui il L. seguì le vicende del mondo rurale, quello a cui per tanti versi era sentimentalmente più legato e che paternalisticamente considerava serbatoio di virtù non ancora intorbidato dai germi della vita cittadina e della produzione industriale.

Su questo scenario, che per lui era anche quello più produttivo economicamente e più stabile socialmente, lo Stato non doveva intervenire altro che per "garantire le necessarie infrastrutture essenziali allo sviluppo ed allo sfruttamento delle risorse" (L. Migliaretta, "Pellegrino carpone purché si vada". Sviluppo economico e opzione politica in F. L., in La scienza moderata, p. 265). Di un analogo armamentario liberista si servì al momento di valutare nel 1885 i risultati dell'inchiesta agraria contrastando decisamente le richieste di dazi protettivi. Anche sul tema dell'emigrazione, cui il Veneto non poteva non essere interessato, la posizione del L. assegnò allo Stato un ruolo di controllo delle modalità con cui essa aveva luogo senza ipotizzare interventi limitativi del fenomeno e anzi apprestando con la legge del 31 genn. 1901, da lui elaborata insieme con Luzzatti che ne fu relatore, le misure e gli organismi più idonei a far sì che i flussi migratori si sviluppassero con regolarità.

Gli ultimi anni del L. non furono sempre sereni: la morte della madre (1892) lo privò di chi lo aveva assistito nei momenti più difficili e nelle scelte più delicate. Poi vennero le infelici vicende matrimoniali della figlia Angelina e da ultimo una malattia per la quale nel 1905 fu sottoposto a una operazione i cui esiti lo costrinsero a rinunciare in pratica a tutti i suoi incarichi.

Morì a Vicenza il 6 apr. 1906.

Fonti e Bibl.: Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, Carte Lampertico (donato per disposizione testamentaria dello stesso L. alla biblioteca della cui Deputazione era stato presidente dal 1866 al 1883, il fondo, che comprendeva inizialmente la sua raccolta libraria, tutte le sue pubblicazioni, alcuni manoscritti inediti - la I e II parte delle sue Cronache di Vicenza 1848-1866, di prossima pubblicazione nell'edizione dei Carteggi, su cui v. infra - e un carteggio di circa 80.000 pezzi, è stato successivamente arricchito da ulteriori donazioni effettuate dagli eredi); Roma, Arch. centr. dello Stato, Pubblica Istruzione, Personale 1861-1881, b. 1131, f. Lampertico Felice (vi figurano alcune sue lettere a C. Correnti, Q. Sella ecc.).

L'elenco delle pubblicazioni del L. (per un totale di 402 titoli, inclusi i molti discorsi parlamentari) si legge in appendice a S. Rumor, La vita e le opere di F. L., in F. L.,VI aprile MCMVII, I anniversario della sua morte, Vicenza 1907, pp. 131-200. Una selezione della corrispondenza a lui indirizzata in F. Lampertico, Carteggi e diari 1842-1906, I, a cura di E. Franzina, Venezia 1996; II, a cura di R. Camurri, ibid. 1998. Tra le altre fonti edite si vedano: M. Minghetti, Copialettere 1873-1876, I-II, a cura di M.P. Cuccoli, Roma 1978, ad ind.; Q. Sella, Epistolario, a cura di G.-M. Quazza, II, III e V, Roma 1984-99, ad indices. Mentre manca una biografia complessiva del L. scientificamente condotta, numerosi sono invece i saggi dedicati alla sua attività di imprenditore e politico, a cominciare dalle introduzioni dei curatori ai Carteggi e dalla prefazione di G. De Rosa al vol. I degli stessi. In particolare, si rinvia al profilo di S. Lanaro, Società e ideologie nel Veneto rurale (1866-1898), Roma 1976, pp. 108-160 e passim, e ai saggi che compongono il volume collettaneo La scienza moderata. F. L. e l'Italia liberale, a cura di R. Camurri, Milano 1992; quindi a L. Avagliano, Alessandro Rossi e le origini dell'Italia industriale, Napoli 1970, ad ind.; S. Chiecchi, Alcune considerazioni sull'atteggiamento di F. L. di fronte al problema temporalistico e alla questione romana, in Cattolici e liberali veneti di fronte al problema temporalistico e alla questione romana. Atti del II Convegno di studi risorgimentali… 1970, a cura di E. Reato, Vicenza 1972, pp. 323-338; Id., Stato moderno e società civile nella dottrina del L., in Economia e storia, XXIII (1976), pp. 211-235; S. Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Venezia 1979, ad ind.; E. Franzina, Vicenza, Vicenza 1980, ad ind.; Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità a oggi, Il Veneto, a cura di S. Lanaro, Torino 1984, ad ind.; Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, a cura di G.L. Fontana, Roma 1985, ad ind.; Storia della cultura veneta, 6, Dall'età napoleonica alla prima guerra mondiale, Vicenza 1986, ad ind.; M. Nardello, Dal carteggio De Pol - Lampertico. Note sui rapporti tra i cattolici e i liberali vicentini, in Archivio veneto, CX (1988), pp. 99-136; G. Ciampi, Scrutinio di lista e rappresentanza delle minoranze: il dibattito politico nel 1882, in Critica storica, XXVIII (1991), pp. 312-315, 317; Luigi Luzzatti e il suo tempo. Atti del Convegno internazionale di studio… 1991, a cura di P.L. Ballini - P. Pecorari, Venezia 1994, ad ind.; A. Berselli, Il governo della Destra. Italia legale e Italia reale dopo l'Unità, Bologna 1997, ad ind.; H. Ullrich, Sistemi elettorali e sistema politico: dalla riforma del 1882 alla crisi di fine secolo, in Idee di rappresentanza e sistemi elettorali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di P.L. Ballini, Venezia 1997, ad ind.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v.; Il Parlamento italiano, V, 1877-1887, Milano 1989, pp. 602 s.

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