FEGATO

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

FEGATO (XIV, p. 968; App. II, 1, p. 912)

Mario COPPO

Fisiologia. - Lo sviluppo della microdissezione per mezzo del micromanipolatore e dell'ultracentrifuga, associatamente al progresso della citochimica e dell'enzimologia, hanno trasformato la fisiologia del f. nella dottrina delle funzioni particolari delle sue cellule specifiche e connettivali e delle loro ultrastrutture (mitocondriali, ergastoplasmiche, golgiane, ecc.). Le funzioni, intese come attività specifiche, svolte o dimostratamente possibili nel f., si contano in alcune centinaia e offrono un vasto campo di ipotesi e di discussioni ancora aperto alla ricerca.

In sintesi, il f. partecipa come organo centrale funzionale ai processi del pool metabolico (trasformazioni, sintesi, demolizioni, varî aspetti del metabolismo intermedio di lipidi, protidi e glicidi appartengono alla funzione normale del fegato). Il f. interviene con una parte prevalente nella regolazione di molte attività enzimatiche, nel metabolismo di vitamine, nel ricambio dei minerali e dell'acqua, nella sintesi dei sali e dei pigmenti biliari, nei processi di detossicazione, trasformazione, attivazione, ecc. L'uso di sostanze contenenti elementi marcati, e cioè riconoscibili per la loro radioattività (in particolare di amminoacidi e d'altre sostanze contenenti solfo, azoto, carbonio marcati), ha permesso di seguire, con notevole margine di sicurezza, i fenomeni epatici del metabolismo, ottenendo risultati evidenti e persuasni.

Patologia. - L'argomento delle epatiti da virus assume da un anno all'altro un'importanza sempre maggiore nella patologia epatica. La ricerca sperimentale ha conseguito dei progressi notevoli, isolando alcuni virus (differenti dall'umano) provocatori di epatite itterigena nell'animale da esperimento (ratto, topo). L'epatite del cane e dei canidi richiama l'attenzione per le sue affinità con l'epatite umana. Nell'uomo, l'epatite da virus della mononucleosi infettiva ha assunto una fisionomia clinica ben definita. I pediatri hanno contribuito, con osservazioni fondamentali, alla definizione del quadro clinico dell'epatite virale neonatale.

Nel campo della cirrosi epatica propriamente detta (cirrosi di Morgagni-Laennec), dopo le tristi esperienze della seconda guerra mondiale, si attribuisce importanza causale alla malnutrizione (v. in questa App.), comprendendo sotto tale termine tutte le forme di nutrizione inadeguata, per difetto di quantità e di qualità, per difetto di introduzione e di digestione, secondo modalità e meccanismi numerosissimi. L'eveutuale azione cirrogena del virus dell'epatite umana è invece ancora oggetto di discussione: appare certa nei casi nei quali, per il probabile concorso di fattorì collaterali favorenti, l'infezione assume un decorso cronico; l'incidenza statistica di detta eventualità, valutata diversamente dai varî autori, è però nelle personali osservazioni assai esigua.

Quanto all'ascite, sintomo di fondamentale importanza nella cirrosi epatica, il suo meccanismo patogenetico oggi appare sensibilmente più complesso che in passato, associandosi altri fattori alla costrizione e alla inerente ipertensione portale: la fatica del cuore nell'abnorme situazione della circolazione generale, il difettoso blocco epatico dell'ormone antidiuretico ipofisario e di ormoni corticosurrenalici con effetto aldosteronico, la disprotidemia prodotta dal difetto epatocitico d'albuminopoiesi e dall'intervento gamma-globulinopoietico delle cellule connettivali attive e attivatesi.

Non si può omettere di insistere sull'ipoalbuminemia dei cirrotici e sulla loro ipergammaglobulinemia ematica, con tendenza alla fusione delle frazioni globuliniche, nel loro profilo elettroforetico su carta: da queste peculiarità nasce infatti l'esito positivo di alcune prove sul siero (reazione di M. Takata con le sue varianti, di Ucko, di MacLagan, di Wuhrmann e Wunderly, di Mallen, ecc.), usate spesso con insufficiente critica, non soltanto quali prove di un'alterata protidemia, ma altresì come prove specifiche di una malattia epatica o addirittura della cirrosi. Nella diagnosi, l'accertamento laparografico e la conferma biottica, con prelievo eseguito con le cautele che saranno dette più oltre, hanno ridotto considerevolmente le possibilità di errore.

La prognosi della cirrosi epatica è migliorata alquanto, oggidì, se la diagnosi è posta precocemente e cioè nella fase dell'epatopatia in evoluzione cirrogena; costituitasi l'ascite, la prognosi diviene molto seria. La terapia è basata essenzialmente sulla dieta - che deve contenere protidi e calorie in quantità sufficienti e, per favorire la diuresi, deve essere asodica -, sulla correzione della discrasia proteica e sull'uso di estratti epatici.

Una forma di pseudocirrosi o di sclerosi epatica ha assunto importanza concreta e notevole consistenza casistica: la cirrosi o sclerosi colostatica (detta anche cirrosi biliare), dovuta a ipertensione biliare comunque prodotta, sovente anitterica, in numerosi casi associata a colelitiasi, che ha la proprietà di stabilizzarsi definitivamente, se un intervento tempestivo ristabilisce il normale drenaggio della bile dal fegato. Talvolta le lesioni istologiche all'esame biottico sono tali da far temere un insuccesso terapeutico pur tuttavia l'esito a distanza, se l'ipertensione biliare è stata rimossa, è in molti casi ottimo. Quest'indirizzo conduce al largo uso dei mezzi diagnostici acclaranti la situazione anatomo-funzionale delle vie biliari extraepatiche in tutti quei casi nei quali vi sia il sospetto clinico di un ostacolo (v. bile; chirurgia, in questa App.)

A completa revisione è stato sottoposto il vecchio concetto di cirrosi pigmentaria e di emocromatosi; questo nome sembra cedere il campo a quello più pertinente di siderocromatosi epatica e di siderosi epatica, due aspetti diversi in senso istopatologico e clinico, di un eccessivo accumulo epatico di ferro, rispetto alle quantità fisiologiche. Questa particolare situazione si può costituire per errori primitivi di autoregolazione, oppure per lesioni primitive del fegato di varia natura, oppure perché l'alimentazione è povera di protidi e danneggia il viscere, aprendo la strada all'accumulo del metallo.

Un'altra malattia epatica, che ha ricevuto contributi recenti di notevole peso, è il cancro primitivo del fegato, in particolare nella sua forma associata alla cirrosi, la cosiddetta cancro-cirrosi, nella quale il cancro si forma sulla base dei processi di neoformazione epatica prodotti dalla cirrosi preesistente. La sua frequenza è molto elevata in alcune popolazioni africane, colpite da un'intensa patologia epatica di natura infettivo-parassitaria e nutritiva. Anche in Europa la singolare affezione è divenuta però più frequente; se ne interpreta l'origine come un aspetto abnorme dell'eccezionale capacità rigenerativa insita nelle cellule proprie del fegato e "liberata" dal disordine strutturale caratteristico della cirrosi.

Diagnostica. - Il settore della clinica epatologica si è oggi arricchito di un notevole numero di metodi nuovi, in rapporto con lo sviluppo della chimica e della chimicofisica applicate alla patologia. In un sommario elenco trovano posto le prove enzimologiche di lesioni del fegato, eseguibili sul siero di sangue, quali sono la misura dell'attività transaminasica e aldolasica del siero, che s'accrescono in modo significativo, se vi sia stata distruzione o comunque grave degenerazione di una quantità adeguata di cellule epatiche, come accade in modo tipico nelle epatopatie acute itterigene, quale l'epatite umana da virus. Accanto alla prova classica e accettata da tutti della BSF (bromosulfonftaleina), eseguita valutando pure il tempo di sua comparsa nel succo duodenale, s'usa da molti una prova con rosa bengala marcato, contenente cioè un elemento radioattivo, che si conclude con la raccolta di una specie di autoradiografia epatica o "gammagrafia" di singolare evidenza ed efficcacia diagnostica. Vanno anche ricordati la diffusione e il successo dei metodi diagnostici, che si fondano: 1) sulla biopsia epatica eseguita con l'ago e con l'aspirazione di un frustolo epatico; 2) sulla laparoscopia, cioè sull'osservazione diretta, transparietale del fegato, con apposito strumento; 3) sull'applicazione dell'esame radiologico all'esame delle vie biliari extraepatiche e del fegato.

La biopsia epatica per puntura ed aspirazione si esegue con varie modalità tecniche. Il metodo proposto da G. Menghini, è stato accolto e applicato con successo in varî Paesi ed è, se bene eseguito, pressoché scevro di pericoli e ricco di risultati significativi. La laparoscopia si esegue nell'addome disteso con ossigeno (pneumoperitoneo) con un trequarti oculare ed illuminatore, il quale (apparecchio di A. Fourès) permette anche di raccogliere, con un lampo elettronico, perfette fotografie a colori del fegato e degli altri visceri endoaddominali. L'endoscopia permette di eseguire una biopsia epatica mirata nel punto giusto, con un ago di grossezza adeguata, col miglior successo e senza pericoli gravi, poiché il laparoscopista ne controlla l'esito, può intervenire con manovre idonee sul focolaio emorragico, oppure sollecita l'intervento tempestivo del chirurgo.

Anche l'esame radiologico si è arricchito di nuovi mezzi di contrasto i quali consentono di ottenere, non solo ottime immagini colecistografiche, ma anche colangiografiche, somministrando il contrasto per via orale. Se il f. funziona male e non concentra sufficientemente la sostanza radioopaca e se nel caso concreto è indispensabile verificare l'integrità delle vie biliari extraepatiche, si ricorre alla colangiografia diretta per-operatoria o previa l'istituzione di una colecistostomia. Sono stati fatti tentativi di colecistografia diretta (iniezione del contrasto nella colecisti) in controllo laparoscopico. Il radiologo ottiene dati di grande valore con l'approfondito esame del profilo e della densità epatica in pneumoperitoneo.

Fornisce risultati soddisfacenti questa specie di triade diagnostica morfologica ad esecu2ione simultanea: pneumoperitoneo con esame radiologico, laparoscopia, biopsia epatica mirata in laparoscopia. Il metodo non è applicabile in tutti i casi di malattia epatica, perché può non essere indispensabile e può non essere tollerato. Nella personale esperienza è servito per risolvere in senso diagnostico e in senso terapeutico gravi situazioni di patologia epatica, che i comuni esami clinici e le molte ricerche collaterali avevano lasciate oscure e incerte.

Bibl.: H. Kalk e W. Bruhl, Leitfaden der Laparoskopie, Stoccarda 1951; J. Caroli, A. Fourès, P. Ricordeau, in Concours médical, 1952, p. 27; G. Dominici, Le malattie del fegato, Milano 1952; F. Bertolani, Laparoscopia e laparografia, Torino 1954; M. Coppo, Etiopatogenesi delle epatopatie non infettive, Milano 1954; H. Kalk, Cirrhose und Narbenleber, Stoccarda 1954; Sh. Sherlock, Diseases of the liver and biliary system, Oxford 1955; F. Bertolani e F. Squadrini, in Revue internationale d'hépatologie, 1956, p. 389; G. Menghini, in Studî e ricerche in epatologia, Roma 1957, p. 73; H. Popper e F. Schaffer, Liver: structure and function, New York 1957; F. Bertolani e M. Coppo, in Archive maladies appareil digestif, 1959, pp. 151-164; M. Coppo, in Giornale medicina militare, 1959, pp. 217-226.

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